Référence bibliographique: Giovanni Ferri di S. Costante (Éd.): "L’incredulità", dans: Lo Spettatore italiano, Vol.4\53 (1822), pp. 325-332, édité dans: Ertler, Klaus-Dieter / Fuchs, Alexandra (Éd.): Les "Spectators" dans le contexte international. Édition numérique, Graz 2011- . hdl.handle.net/11471/513.20.917 [consulté le: ].


Niveau 1►

L’incredulità

Citation/Devise► Noi non veggiamo se non meraviglie nella natura e,
ricuseremo di credere alcune verità, solo perche
meravigliose ci sembrano?

(Segneri) ◀Citation/Devise

Niveau 2► Niveau 3► Récit général► Niveau 4► Voi, disse l’accorto Palemone, concedete, o Leonzio, l’esistenza di un supremo Essere, l’immortalità dell’anima e una religione divina che verità sieno evidenti: e vi sofferirebbe l’animo di rimaner tuttavia nella greggia de’miscredenti? e potreste voi darvi ad intendere che ci abbia di veri increduli, che ad essi consenta ciò il loro intelletto, e che in loro opinione si vivano felici? Investighiamo ambedue le lor cagioni, i lor portamenti e la vita: tegniamo lor dietro insino al termine, e vi sia noto se ad essi più invidia sia da portare, che compassione.

Dal giogo della religione giurano gl’increduli che senza alcuno intendimento di utilità hanno ritratto il collo, e che a spogliarsi i comunali errori gli ha sospinti la sola verità. Ma i loro costumi e l’opre loro fanno palese lo artificio e l’inganno de’loro ragionamenti. E chi costoro, che si spacciano increduli, ha sotto la scorza veduti, conosce ch’essi altra scienza non hanno che alcuni dubbii, appresso il volgo già triti, de’quali è stato in ogni secolo mercato, ed è ancora, senza che il mondo gli disamini giammai, nè gl’intenda. Uomini senza [326] peso nè acume si vede che essi sono; li quali non sanno far considerazioni, e sdegnerebbero di prendere alcuna delle disoccupate ore a spenderla nella per loro increscevole investigazione di queste verità ch’essi non si brigano di conoscere. D’altro non sanno favellare se non se delle dubbiezze che hanno apparate, perciocchè dubitare da se stessi non sanno. Sicchè questo è loro come ricordo d’ignoranza e d’empietà che avuto hanno dagli altri: non sono miscredenti, ma eco fanno alla miscredenza.

Le cagioni, quali sono che li conduce ad accostarsi con una insensata scuola? Innanzi a tutte è una folle vanità, per la maggior parte. A questo sventurato mestiere d’incredulità si mettono essi con argomento che singulari lumi siano in quella riposti, ed una forza ed una altezza di mente che sceverar li faccia dai vulgari. Si gloriano di niente tener per fede, e per lo soperchio gloriarsene viene lor fatto di persuadersene: somigliano a certi nuovi uomini, i quali ancora della oscurità dei loro parenti e della ignobilità non bene spogliati, vogliono da tutti esser tenuti di sangue antichissimo ed orrevole; e tanto l’affermano e tanto il confermano e divulgano, che all’estremo il credono a se medesimi. Così nei reputati increduli dimora meno di miscredenza che di scemevole vanità e di povertà di cuore; conciossiachè niuna cosa bassa e vile e da beffar tanto ci abbia, quanto voler essere giudicato chi egli non è, ed onorarsi delle doti di un altro.

[327] Increduli non sono fatti dalla ragione, anzi dalla debolezza del cuor guasto, che i più sozzi appetiti non seppe vincere; anzi da una viltà di animo, il quale non avendo con fermo viso potuto sostenere nè riguardar gli spaventi e le minacce della religione, briga di stupefarsi, reiterando sempre che elle sono ombre a spaurar fanciulli. Ingegnasi l’empio di persuadere a sè che Dio non sia, nè eternità, per pace ne’suoi falli trovare e nelle sue tristizie; le quali s’accorge di non potere essere lasciate andare impunite, s’egli è che sopra noi dimori, chi fa vendetta del vizio. Conviene di necessità spezzare i vincoli della religione a chi vuole senza rimordimento rompere quelli della virtù, e godersi in pace il frutto de’suoi maleficii. Ma se la religione ingiunti non avesse doveri i quali fatica è fornire; e se a fornir quelli non fosse mestieri far disdetto alle più ardenti passioni ed ai più piacevoli affetti e più cari; se cosa fosse solamente che allo spirito ed alla credenza si appartenesse, e che al cuore non desse noia nè alle affezioni, non penerebbero troppo gli increduli a confessarsi vinti. Insensati reputerebbero coloro che difficultà non più che speculative, come quelle che a credere non costerebbero, ragguagliar volessero con una eternale sciagura, la quale potrebbe in sorte ai miscredenti toccare. Adunque malagevole cosa non per altro sembra loro la religione, se non perchè ella affrena le passioni, ma non perchè contenga misteri: e per conseguente la santità delle sue massime, non l’incomprensibilità de’suoi arcani, gli sgomenta; laonde son corrotti animi, non veri increduli.

[328] La miscredenza non voglio io negare che a vere dubbietà s’appoggia alcune volte: veggiamo adunque se possono quelle essere giustificate. Chi fede, chi testimonianza fa loro che nè eternità sia, nè gastighi, nè guiderdoni di là da questa vita, e che abbia ogni cosa con esso noi fine? Non la ragione, perciocchè a volerà bene udire insegnaci ella che avvi per certo in noi alto principio alla materia soprastante. Estimeranno per avventura l’anima dover essere mortale, perchè essi dubitano di loro immortalità: e questo è le più volte lo stato de’miscredenti che di cangiar si dilettano le loro dubitazioni in certezza ed in una quasi fede. Ma può fede che dai dubbii e dalla incertezza nacque, esser mai ragionevole? Al principio ond’è mossa, dee la fede rispondere: ora, perciocchè tal principio è il dubbio e l’incertezza, non possono ragionevolmente affermare i miscredenti, nè saldamente credere che nè immortalità nè bene sempiterno sia, nè male. Dov’è persona che in su questo principio della credenza surta dalla dubbiezza voglia avventurare un gran bene? Che se futuro giudizio nè vita eterna vi ha, null’altro viene il cristiano a perdere che il piacere di esser malvagio, e di sfrenatamente soddisfare alle ree passioni ed alle vili. Ma se un eterno avvenire ci è, i miscredenti che perdono? Dipingete voi la lor miseria, riguardando alla sua eternità, se potete.

A ciascun detta la sana ragione non si convenire un’opinione deporre sotto spezie d’alcuna difficultà che ella porti, per apprendersi [329] ad altra la quale di più e maggiori difficultà piena sia: ma gli empii fan pur così. Per lo spirito di contraddizione, per quel fiero mostro e maraviglioso di credulità e d’incredulità formato, essi non comprendono come un Dio ci abbia ab eterno, e comprendono che il mondo senza tempo si sta. Non comprendono come un Essere onnipotente, intelligente e sapiente ponesse insieme le varie parti di questo universo, e comprendono che sia stato dal caso, senza mente nè ingegno, edificato: non comprendono come sia una spirituale sustanzia; e comprendono che una sustanzia bruta, che atomi di materia pensino, concepiscano e considerino. Non si piegano a voler credere incomprensibili misteri, e seguitano l’un dopo l’altro errori incomprensibili. A guerir della sua empietà l’incredulo, che altro si richiederebbe, se non se l’abisso delle sconcezze e delle contraddizioni in che è egli forzato a cascare, per nascondere a se stesso la sua spaventevole dottrina?

Giusta cagione non hanno gl’increduli di porre studio in acquistare seguaci, come coloro che nè a sè, nè ai loro discepoli propongono veruna utilità. Con tutto questo non è gente che tanto s’ingegni di fare ad altrui accorre la sua opinione, quanto essi. E secondo che loro s’inforsa la verità della lor scuola, desiderio li accende di aver l’autorità di un’altra mente. Studiano di trovar seguaci con ogni cura, e cercano scuse eziandio piccolissime per adornare di qualche famoso nome la lor setta. Chi nè Dio crede, nè eternità, nè religione, [330] che furor gli sprona a divulgare la lor sentenza? Egli è, rispondono, il desiderio di liberare il mondo dalle catene in cui per la religione egli è avvinto. Ahi sventurata liberazione! perchè togliendoci di quello che altri crede errore, a mille veraci miserie ci adduce, spezza il fondamento dell’umana società, suscita rubellazioni negli Stati, discordie nelle famiglie, ed ogni eccitamento rimuove, ogni sostegno della virtù. Deh! chi sarebbe in così spessi trasmutamenti della fortuna, eziandio più notabile e più splendida, che ne sostenesse, se non la religione? Chi, se non fosse ella, pacificherebbe in tanti travagli e tempeste la nostra coscienza? Chi ne affiderebbe principalmente nelle ambasce delle mortali infermità, quando in su ’l doloroso letto giaceremo intra il vero e presente male e la tenebrosa notte dell’avvenire? Atterrando e distruggendo tutto quello che gli uomini in reverenza hanno ed in pregio, involano i miscredenti agli afflitti l’estrema consolazione delle loro miserie, ai grandi ed ai ricchi l’unico freno de’loro appetiti: in somma dall’imo de’cuori estirpano i rimordimenti delle colpe, la fiducia della virtù, e tuttavia vanto si danno che essi son benefattori del genere umano. Verità, essi dicono, non ha mai nociuto agli uomini. Niveau 5► Citation/Devise► “Ancora io il credo per certo, risponde un filosofo, ed è, a mio giudizio, chiarissima prova che ciò che essi insegnano, non è il vero.” ◀Citation/Devise ◀Niveau 5

Che utilità fa adunque la miscredenza? che piacere dimorar può nel costringer l’animo a non sapere onde è egli venuto, nè a che dee [331] venire? Se nel piccolo spazio che la nostra vita circonscrive, l’amor di libertà e di franchigia assaporar ci fa un tal funesto partito, quanto egli ci costerà caro nell’orlo della vita? Oh! potessi io, amico mio dolce, appresentarvi lo stato dell’uomo che in queste dure incertezze si muore, e che queste verità della religione suo malgrado ravvisa, e si fatica indarno di torle via dal cuor suo! Tutto concorre in questo orribile passo a contristare il suo animo. Ecco, egli dice a se stesso, ecco me nel letto pur della morte, privato d’ogni speranza di poter mai nel mondo tornare. Abbandonato mi hanno i medici; nè gli amici altro mi ponno dare che inutili sospiri e lagrime vane; perchè tutto l’universo, non che questa particella che io delle terrene cose posseggo, niente varrebbe a levar me di questa lacrimabile condizione: per conseguente si dee morire! Adesso non è già un predicatore ch’io odo, nè un libro che mi parla, ma la morte stessa mi si accosta ad ammaestrarmi. Sentomi già prendere non so che gelo: già mi bagna tutta la persona il sudore mortale; discolorati i piedi e le mani; e l’altre mie membra son più di cadavero tutte che di corpo vivo: per conseguente morir si dee! Dove vo io? che sarà di me? Omai qual fia più paurosa vista che in quella del mio corpo? Mi si parano avanti alla mente le triste cere, la bruna coltre, il funeral suono, quella stanza sotterra e que’vermini! Ben guardo io la mia anima, ma non so la sua sorte: chino la fronte, e mi lascio cadere in una notte eterna. Dicemi [332] l’incredulità mia, che chimera è un’altra vita, ma io sento alcuna cosa turbare la mia incredulità. Lieve a comportar mi parrebbe, con tutto che orribile sia, il pensier del niente, se non fosse che contra mia voglia mi si offerisce dinanzi agli occhi l’immagine d’un paradiso e di un inferno. Veggo io questo paradiso, quest’immortale albergo di gloria e di gioia! Veggolo sul mio capo, e veggolo come alcun luogo le cui porte sono state a me chiuse dal mio fallire. Veggo similmente quest’inferno che io ho preso a gabbo ed a scherno, e sotto ai miei piedi mel veggo aperto!1

Questo, o Leonzio, nel letto mortale è il fiero stato dell’incredulo. Nè immaginazioni sono queste a ciancia fatte ed a giuoco: dipinture sono esse assembrate dalla natura. Questo è ciò che noi continuamente vediamo in quelle fatali visitazioni che imposte ci sono dal nostro ufficio, alle quali par che Dio ci metta per noi far divenire tristi testimoni dell’ira e della vendetta sua. ◀Niveau 4 ◀Récit général ◀Niveau 3 ◀Niveau 2 ◀Niveau 1

1V. Saurin, Serm. sur la Revelat.