Citazione bibliografica: Giovanni Ferri di S. Costante (Ed.): "Iddio", in: Lo Spettatore italiano, Vol.4\49 (1822), pp. 299-305, edito in: Ertler, Klaus-Dieter / Fuchs, Alexandra (Ed.): Gli "Spectators" nel contesto internazionale. Edizione digitale, Graz 2011- . hdl.handle.net/11471/513.20.913 [consultato il: ].


Livello 1►

Iddio

Citazione/Motto► Orfano sarebbe il mondo se Dio non avesse

(Shattersbury). ◀Citazione/Motto

Livello 2► Livello 3► Racconto generale► In costa di un poggio è posto il casamento di Clenore, là onde si vedono foreste altissime, vallette frequentate di arbuscelli, pianure da vive fontane attraversate, montagne che lungamente durano verso il settentrione, e il mare che chiude l’orizzonte. Per quivi un giorno di state bellissimo andò l’onorabile Palemone a diportarsi con Leonzio, figlio di Clenore, alcuna ora prima che il sole si coricasse. Questo magnifico ragguardamento ed il posar di tutta la natura una malinconia muovea non miga grave, ma dolce, ed a meditare invitava l’animo, ed uno stuolo di grandi pensieri vi mettea. Ed essendone Leonzio dentro commosso molto, Palemone che lo sentì, conobbe che tempo era questo assai confacevole a dar battaglia agli errori di quel disavveduto garzone dalle dottrine di una falsa filosofia traviato, e così cominciò.

Fia dunque vero che il mio giovane amico si abbia spogliate le savie opinioni onde era già tutto il suo pregio e il suo bene? Rispose Leonzio: Di nuova luce m’hanno la considerazione e lo studiar riempiuto, e condotto alla verità. La considerazione e lo studiar! soggiunse Palemone: di là dunque avete voi apparato a [300] non più conoscere un Essere supremo, a tener l’anima per un fuoco che col corpo si spegne, e la religione per una tela di vulgari pregiudizi? Ma come avete voi potuto abbandonare i principii tanto per addietro al sentimento conformi del cuor vostro, ed al vedere della vostra ragione? Chi v’ha menato a sì nuova conoscenza e sì meravigliosa? Avete voi ricerca ogni cosa? consultato bene? guardia e sollecitudine presa, quanto bisognava alla maggior faccenda del viver vostro? purificato il cuore a fuggire che le passioni non gli facessero inganno? Ahimè! voi, poscia che dalla paterna magione vi siete rimosso, dissoluta vita e piena de’falsi diletti aveste. Nè prima vi vennero parendo men che chiari li sagri principii, onde eravate persuaso, che si cominciassero a guastare e perdere i vostri costumi. Provando solamente i vostri novelli maestri di farvi per lo vizio divenir brutale, si sono ingegnati di farvi credere che il destin dell’uomo non è punto diverso a quel della bestia. Ecco arte somma che usan costoro a spargere le dottrine che il rimanente degli uomini o non conosce o abborre.

V’hanno detto i maestri che di tutto ciò che è, prima cagione non sia un supremo Essere; amando essi meglio attribuire al caso o ad una cieca necessità il nascimento della natura. Ma ponetevi mente attorno: investigamenti e faticose speculazioni non bisognano a comprendere che hacci una intelligenza sovrana. Per tutta la creazione vestigia voi ravviserete della sua grandezza, del suo potere, della sapienza sua. Fatevi meco a contemplare l’aspetto [301] della natura, quell’esterior padiglione della magnificenza divina, e gli elementi innanzi a tutto consideriamo. Chi ha il globo sospeso della terra? Chi le fondamenta ne pose? Dentro di lui chi ha chiuso quanto di più prezioso ci è? Come è questo, che le sue viscere più si fendono e più fruttificano? Dopo tanti secoli che ogni cosa è di là proceduta, come avviene che non è ella rimasa esausta e consunta? A riguardar la superficie della terra, chi non discerne la creatrice onnipotenza nell’infinite cose e differenti, ond’è il suo adornamento e la ricchezza? Quivi sono cupi vallami ove fresche crescono l’erbe da pascere le mandrie; là campi smisurati con copia di biade inestimabile. Dall’altra parte, a modo di anfiteatro, surgono i colli, e di fruttiferi alberi hanno corona: più oltre montagne altissime levano la gelata cima sino sopra i nuvoli; e delle fiumane che indi derivano, si formano le diverse riviere le quali ovunque fecondità producono e letizia. Ora di tal varietà nasce, che la campagna è parimente dilettevolissima a vedere, ed opportuna a soddisfare ai molti bisogni dell’uomo.

Appresso guatate questo liquido elemento e chiaro e trasparente, cioè l’acqua, la quale d’una parte discende e corre e fugge via, e d’altra prende forma di tutti li circustanti corpi senza alcuna averne in se stessa. Chi sia stato colui che curò di trar fuori questa figura sì convenevole di parti, e sì giusto ordine di moto, acciocchè fluida l’acqua fosse e sottile e penetrevole, e di ogni sodezza priva, ma nondimeno forte a portare, e impetuosa a [302] strascinare grevissime masse? Se quest’acqua, nonostante che ella sia tanto fluida, e di tanto peso, come ascende sopra noi, e chi la fa molto tempo con sospesa dimorare? Vedete voi queste nuvole che come sull’ale de’venti trasvolando vanno? Se in grosse colonne di acqua a guisa di torrenti dirupati di subito venissero a terra, non annegherebbero con la lor caduta e sterminerebbero ogni cosa? Qual mano le ritiene in aria, e non le lascia se non se a goccia a goccia cascare, come se distillata uscisse da qualche annaffiatoio? Chi fa che in parti calde, le quali non hanno mai pioggia, tanto siano le notturne rugiade, che bastino al difetto di quella? e che in altre regioni, siccome è lungo il Nilo e lungo il Gange, l’ordinato ringorgare de’fiumi in certe stagioni bagna e letifica i campi? Questi savi argomenti chi ha trovati di fertili rendere tutte le terre?

Riguardate or questo Oceano locato nel mezzo del mondo, non altrimenti che se partire il dovesse eternamente, laddove è egli posto e ricetto a tutti i popoli, ai quali, senza fatiche ed affanni e rischi strabocchevoli, licito non sarebbe da un emispero all’altro per terra arrivare. Questo cammino, in che mai non si scorge orma, è cagione perchè il vecchio mondo, a traverso di tanti abissi, porga mano al novello, e questo accomodi il vecchio de’suoi beni e de’suoi tesori. Grande fenomeno potete voi adesso notare di questo elemento. Chi fa il mare ritrarre, e poi con tanta regola rallargare? Più o meno che questa fluida mole un poco si movesse, tutta la natura sarebbe [303] turbata. Adunque immensi corpi chi ha saputo misurare, chi temperare con tanta provvidenza? Qual dito fu che le stabili sponde al mar circoscrisse, da dovere per lui essere tutto il tempo de’secoli osservate, come se detto gli avesse: Qua li tuoi fiotti orgogliosi verrai a frangere?

Poscia che l’acque abbiam considerate, vegniamo a cercare per quest’elemento molto più ampio, cioè l’aere, la quale è pura e sottile e diafana, tanto che i raggi delle stelle infinito spazio lontane, tutta penetrandola, in un istante discendono ad allumar gli occhi nostri. Quest’aere che noi spiriamo, per chi fu sì acconciamente purificato? Chi opera che nè troppo s’assottigli nè troppo s’ingrossi, e chi la condiziona ad esser nutrimento e vita degli esseri animati? In questo gran corpo fluido qual invisibil forza suscita le tempeste e reprime sì subitamente? Quelle del mare altro non fanno che seguitar queste. Di qual arca è tratto il tesoro de’venti i quali purgano l’aere, e le ferventi stagioni rinfrescano, e i crudi verni intiepidano, ed in piccolissima ora fanno al cielo cangiare aspetto? In su i vanni di questi spiriti volano le nuvole dall’un punto all’altro dell’orizzonte: signoreggiano alcuni in particulari pelaghi a certe stagioni, e determinato tempo vi traggono, in fin che altri succedono, come in ufficio stabilito, per opportuno rendere e misurato il navigare.

Chi in tutta la natura ha infuso quest’altro elemento, forte e lieve e virtuoso tanto, che d’ogni viva cosa par che anima sia e sostegno? [304] Per entro le stelle pare ardere il fuoco, ed indi a tutti i circustanti obbietti risplendere. Alberga similmente egli nelle interiora della terra, e zolfo e bitume laggiù e fonduti metalli pasce, li quali ad ora ad ora vomicati dai cacumi de’monti, con l’arsione e ’l sterminamento delle soggiacenti pianure levano quivi poggi nuovi e montagne. Questo istesso fuoco nelle vene della pietra soavemente dimora, là onde ad ogni suo uso l’uomo il trae fuori, a domare i metalli durissimi, ed a nudrire la fiamma che tiene a lui la vece del sole. Avvisarono gli antichi, ammirando il fuoco, che celestial tesoro egli fosse, stato per l’uomo furato agl’Iddii; e popolo ebbevi il quale a modo di alcun Nume la adorò.

Innalzate omai le ciglia, e l’immensità guardate del cielo, in cui con tanto ordine e maestà si rivolgono in giro sopra noi quei gran corpi di lume, coi quali appena è la terra un visibile punto. Oh magnificenza! Al sole chi ha detto: Pártiti dal nulla, e sii ministro del giorno? Chi alla luna: Nasci, e lampada sii della notte? Vita e nome chi diede a tante stelle quante adornano con grandissimo splendore il firmamento, le quali sono immensi altri soli, ordinate ciascuna ad un suo nuovo mondo a cui fanno lume? Chi l’artefice fu, il quale abbia con la sua onnipotenza saputo queste meraviglie operare, a cui la superbia dell’abbarbagliata ragione vien meno e cade? Potrebbe altri se non il sommo Creatore averli fatti? E per se stessi sarebbero potuti forse dal sen del caso e del nulla emergere? Ed esser vi può sì [305] empio uomo tra noi e sì disperato, che a ciò che non si trova l’onnipotenza attribuisca, per quella di niegare a colui il quale essenzialmente è, e tutto fece?

Tutti i popoli, eziandio de’più materiali e più selvatichi, hanno intesa la lingua dei cieli, i quali fermò Dio sopra il nostro capo, acciocchè a guisa di santi banditori, mai non cessassero di gridare all’universo la divina grandezza. Il silenzio loro maestoso favella l’idioma di tutti gli uomini e di tutte le nazioni: ed ovunque sostiene abitanti la terra, intendesi la voce loro. Vadane uomo nelle più nascose estremità del mondo e nelle più abbandonate; luogo non è sì sconosciuto al rimanente de’mortali, ove non riluca e non si senta questa onnipotenza, la quale ci soprasta, e fa di sè chiarissima mostra dagli splendienti globi ch’empiono ed abbellano il firmamento. Ecco il primo libro da Dio agli uomini manifestato, perchè vi leggessero chi egli fosse; ed ivi studiarono incontanente quello che egli volea lor discuoprire dell’infinita sua perfezione: per questa grande cagione, sorpresi di maraviglia, e di una divota paura confusi, s’atterrarono a venerare il Fabbro onnipotente1 . ◀Racconto generale ◀Livello 3 ◀Livello 2 ◀Livello 1

1V. Fenelon, de l’Existence de Dieu, etc.; Massillon, Paraphrases des Pseaumes.