I vantaggi della vecchiezza Giovanni Ferri di S. Costante Moralische Wochenschriften Alexandra Fuchs Editor Alexandra Kolb Editor Valentina Rauter Editor Institut für Romanistik, Universität Graz 19.12.2016

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Ferri di S. Costante, Giovanni: Lo Spettatore italiano, preceduto da un Saggio Critico sopra i Filosofi Morali e i Dipintori de’Costumi e de’Caratteri. Milano: Società Tipografica de’Classici Italiani 1822, 220-224 Lo Spettatore italiano 4 34 1822 Italien
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I vantaggi della vecchiezza

O praeclarum munus aetatis, si quidem id aufert anobis quod est in adolescentia vitiosissimum! . . . . Apex autem senectutis est auctoritas. Quae sunt igitur voluptates corporis cum auctoritatis praemiis comparandae?

(Cicer.).

O bellissimo dono di questa età, posciachè ne toglie quel che nella giovinezza è viziosissimo! . . . Ma il maggior pregio della vecchiezza si è l’autorità. Quali sono dunque i piaceri del corpo da compararsi coi premii dell’autorità.

Parlasi sempre della vecchiezza, dicea Lenorio, come di una età d’affanno, d’abbandonamento e di doglia, come di una età a cui nè sollazzo, nè piacere, nè altra specie di felicità rimanesse. Ma perchè non s’ha a parlar mai dei vantaggi suoi? e perchè non si vuol pensare che natura benevola ha compartito a ciascuna età i suoi diletti? E perchè non si considera se la felicità di che godesi nella vecchiezza, sia per avventura più pregevole che qualunque altra? Per me io tengo questa opinione, e penso che ciò ch’ella perde, rimane ben compensato dai beni che acquista.

Ella sola è che soavemente gode della pace e della serenità di ragione. Senza la tranquillità dell’animo nessun piacere par buono. Quei de’giovani sono, è vero, più sensibili; ma la vita è allora come una febbre, e i diletti che se n’hanno, sono come i farnetici d’uno infermo. L’animo quando da soverchi affetti non è turbato, ha maggior agio a trar profitto dai beni che gli si presentano, e trova in sè e nel suo godimento quel piacere che le cose non hanno.

Uno de’maggiori vantaggi di che godono i vecchi, è la libertà: la quale ci sottrae alla tirannia delle passioni, e ne dimostra quanto sia bene il saper vivere senza di quelle, e quanto piacere arrechi sentire in sè tanta forza da riportarne vittoria. E se in gioventù si giudica male della vecchiezza, egli è perchè non si pensa aver la natura a ciascuna età conceduto senso ed appetito conveniente.

La vecchiezza ne libera ancora dalla tirannia dell’opinione, la quale fa sempre pensare ai giovani di vivere secondo la stima degli altri. Perlochè la nostra felicità non è cosa vera, essendo noi non a nostro, ma ad altrui senno governati. L’attemparci però ci rende a noi stessi; e questa cosa ancora non è senza dolcezza: prendiamo allora a risguardarci e riconoscere, ed in questa guisa perveniamo a sottrarci dalla illusione e dalla fortuna. Al mondo è tolta la facoltà di gabbarci, perchè già sappiamo chi sia egli e chi noi. Sono i vecchi nell’arbitrio di vivere saviamente, e di acconciamente esentarsi da quelle noie che al mondo dalla opinione procedono.

Comodo ancora della età provetta è l’esperienza; perchè dalle cose andate prendiamo argomento per le presenti, e gli stessi errori ci ammaestrano e ci tornano quell’intelletto che le prosperità rade volte ne lasciano. Ella è la parte della vita sacra alla verità ed alla conoscenza del vero merito delle cose.

Il segregarsi medesimo, che come un supplizio della vecchiezza si giudica, è un vero vantaggio: conciossiachè noi che fummo dal conversare a noi tolti, siamo per la solitudine restituiti a noi. Il vivere in faccende è un viver poco: il viver a bell’agio è vivere lungamente. Nè certamente si crederebbe che i vecchi prendano noia della solitudine alla quale sono tratti, se si pensasse che l’ordine della natura ve li conduce. I giovani cercano tutto fuori di se stessi, e per godere del bene sel cercano attorno; ma poi lo vengono trovando a poco a poco entro se stessi.

Utile grande è da riputare pure della vecchiaia l’autorità e la reverenza che l’età verde e la matura gli porta, laddove per vizio o vergogna non se ne renda indegna. Lo instillare, altrui questi liberi sensi, lo essere reputato, e richiesto e usato a consigli, è sì dolce appagamento e sì degno orgoglio, che è da preferirsi a tutti i piaceri dei giovani. Nè reverenza solamente di sè mettono in altrui i vecchi, ma benevolenza altresì ed affezione. Mostratemi ove sia ben nato giovine, il quale essendo egli amico d’alcun vecchio, non gli si senta più affettuoso e più sollecito che non suole a verun altro di sua condizione e della sua età. Se quello gioisce, egli nol vede senza commovimento; ed ogni sorriso ch’egli apre, gliel manda al cuore. Il nostro rispetto pei vecchi è opera di natura, e però non è mai diviso dall’amore. È questo un sentimento che anche i popoli meno civili provano ed esaltano: e come il nome di padre secondo l’opinion loro, suona il titolo più nobile e più amorevole, essi non s’avvengono mai in alcun vecchio a cui non lo diano. E perchè lodevol cosa è l’obbedire a quelli, essi estimano ed hanno per sagro comandamento ogni lor piccola voglia, e disagiano sè per adagiar la vecchiezza. Se in tal modo e con una sorte di religione i popoli Negri onorano i loro antichi, perchè osiam noi dispregiarli?

Fonte viva di piaceri è in vecchiezza il ripensamento dei bene spesi anni, e la coscienza di aver ragione al rispetto ed alla obbedienza de’nostri simili, ragione fondata non sul nostro bisogno, ma sul merito nostro, nè sulla presente fievolezza nostra, ma su le bene operate cose nel tempo passato del nostro vigore. La vecchiezza dell’uomo virtuoso, a dispetto della mancanza dei sensi, non è mai rincrescevole: la dolcezza del bene operato non gli può mai mancare. Quantunque non abbia più le forze della gioventù, non si duole però d’averla spesa malamente; il pensier lieto di averla in bene operar consumata gli è soavissimo guiderdone. In questa guisa la realtà del nostro benessere presente assicura la durazione del benesser nostro futuro.

Il vecchio va sempre riandando colla memoria tutti gli accidenti de’giorni suoi; e i diversi stati e le parecchie fortune del tempo che più non torna, formano per esso un fonte perenne di piaceri e delizie. Perciocchè gli studi seguitati nella giovinezza riescono a diletto ed onor dell’età senile; e gli anni in lecito traffico esercitati, e la comodità e l’abbondanza presente lo rallegrano oltremodo: che se egli sia stato per avventura più gagliardo, ed avrà dimostro il valor suo a difension della patria, l’animo suo militare si raffrena, ma non cade. Gli è cara e dilettevole la ricordanza del tempo passato sott’arme, ed in cospetto degli amici e de’congiunti si compiace di recitare i pericoli corsi, i sostenuti disagi e le vittorie alle quali ha partecipato. Ne godono gli ascoltatori, e non solamente entrano nell’allegrezza di lui, ma, per l’affetto che gli portano, la moltiplicano. E quindi la buona moglie, sbigottita alla crudel novella, piange sulle sue ferite; quinci i suoi figliuoli, malgrado che ad udirlo s’impauriscano, pur lo dimandano che voglia ricominciare.

Ultimamente una vena di dilettevoli cose, la quale ai vecchi non vien mai manco, è la sua famiglia e i suoi figliuoli virtuosamente per loro allevati e di loro solleciti. Cicerone, il quale trattò dei beni della vecchiezza, dà molto da meravigliare che di quelli che da questo capo derivano non abbia discorso. Nè si potrebbe di tal silenzio dar ragione che coll’affermare ch’egli intanto non avesse di ciò voluto far motto, perchè avrà avuto ribrezzo di ritoccar certe piaghe, esso che sebbene ottimo padre, nondimeno infelice era stato. Chi può vedere senza gaudio e reverenza un vecchio onorabile in mezzo a’suoi buoni e bennati figli, nei quali gli pare rivivere, e che egli ama sopra ogni sua felicità e più che la propria vita? Il celibe, ridotto alla vecchiezza, prova tutto l’amaro del suo abbandonamento: e per debolezza o per malattia convenendogli di rinchiudersi in casa, s’accorge che a niuno cale di lui, e invano aspetta che altri il venga a confortare e tenergli compagnia. Ma ad un vecchio dicaduto e bisognevole è gran refrigerio e consolazione la sollecitudine, la tenerezza e l’aspetto solo de’suoi figli, veggendosi così aiutato nel suo bisogno e nella sua debolezza dalle mani di quelli che ama.

I vantaggi della vecchiezza O praeclarum munus aetatis, si quidem id aufert anobis quod est in adolescentia vitiosissimum! . . . . Apex autem senectutis est auctoritas. Quae sunt igitur voluptates corporis cum auctoritatis praemiis comparandae? (Cicer~k.). O bellissimo dono di questa età, posciachè ne toglie quel che nella giovinezza è viziosissimo! . . . Ma il maggior pregio della vecchiezza si è l’autorità. Quali sono dunque i piaceri del corpo da compararsi coi premii dell’autorità. Parlasi sempre della vecchiezza, dicea Lenorio, come di una età d’affanno, d’abbandonamento e di doglia, come di una età a cui nè sollazzo, nè piacere, nè altra specie di felicità rimanesse. Ma perchè non s’ha a parlar mai dei vantaggi suoi? e perchè non si vuol pensare che natura benevola ha compartito a ciascuna età i suoi diletti? E perchè non si considera se la felicità di che godesi nella vecchiezza, sia per avventura più pregevole che qualunque altra? Per me io tengo questa opinione, e penso che ciò ch’ella perde, rimane ben compensato dai beni che acquista. Ella sola è che soavemente gode della pace e della serenità di ragione. Senza la tranquillità dell’animo nessun piacere par buono. Quei de’giovani sono, è vero, più sensibili; ma la vita è allora come una febbre, e i diletti che se n’hanno, sono come i farnetici d’uno infermo. L’animo quando da soverchi affetti non è turbato, ha maggior agio a trar profitto dai beni che gli si presentano, e trova in sè e nel suo godimento quel piacere che le cose non hanno. Uno de’maggiori vantaggi di che godono i vecchi, è la libertà: la quale ci sottrae alla tirannia delle passioni, e ne dimostra quanto sia bene il saper vivere senza di quelle, e quanto piacere arrechi sentire in sè tanta forza da riportarne vittoria. E se in gioventù si giudica male della vecchiezza, egli è perchè non si pensa aver la natura a ciascuna età conceduto senso ed appetito conveniente. La vecchiezza ne libera ancora dalla tirannia dell’opinione, la quale fa sempre pensare ai giovani di vivere secondo la stima degli altri. Perlochè la nostra felicità non è cosa vera, essendo noi non a nostro, ma ad altrui senno governati. L’attemparci però ci rende a noi stessi; e questa cosa ancora non è senza dolcezza: prendiamo allora a risguardarci e riconoscere, ed in questa guisa perveniamo a sottrarci dalla illusione e dalla fortuna. Al mondo è tolta la facoltà di gabbarci, perchè già sappiamo chi sia egli e chi noi. Sono i vecchi nell’arbitrio di vivere saviamente, e di acconciamente esentarsi da quelle noie che al mondo dalla opinione procedono. Comodo ancora della età provetta è l’esperienza; perchè dalle cose andate prendiamo argomento per le presenti, e gli stessi errori ci ammaestrano e ci tornano quell’intelletto che le prosperità rade volte ne lasciano. Ella è la parte della vita sacra alla verità ed alla conoscenza del vero merito delle cose. Il segregarsi medesimo, che come un supplizio della vecchiezza si giudica, è un vero vantaggio: conciossiachè noi che fummo dal conversare a noi tolti, siamo per la solitudine restituiti a noi. Il vivere in faccende è un viver poco: il viver a bell’agio è vivere lungamente. Nè certamente si crederebbe che i vecchi prendano noia della solitudine alla quale sono tratti, se si pensasse che l’ordine della natura ve li conduce. I giovani cercano tutto fuori di se stessi, e per godere del bene sel cercano attorno; ma poi lo vengono trovando a poco a poco entro se stessi. Utile grande è da riputare pure della vecchiaia l’autorità e la reverenza che l’età verde e la matura gli porta, laddove per vizio o vergogna non se ne renda indegna. Lo instillare, altrui questi liberi sensi, lo essere reputato, e richiesto e usato a consigli, è sì dolce appagamento e sì degno orgoglio, che è da preferirsi a tutti i piaceri dei giovani. Nè reverenza solamente di sè mettono in altrui i vecchi, ma benevolenza altresì ed affezione. Mostratemi ove sia ben nato giovine, il quale essendo egli amico d’alcun vecchio, non gli si senta più affettuoso e più sollecito che non suole a verun altro di sua condizione e della sua età. Se quello gioisce, egli nol vede senza commovimento; ed ogni sorriso ch’egli apre, gliel manda al cuore. Il nostro rispetto pei vecchi è opera di natura, e però non è mai diviso dall’amore. È questo un sentimento che anche i popoli meno civili provano ed esaltano: e come il nome di padre secondo l’opinion loro, suona il titolo più nobile e più amorevole, essi non s’avvengono mai in alcun vecchio a cui non lo diano. E perchè lodevol cosa è l’obbedire a quelli, essi estimano ed hanno per sagro comandamento ogni lor piccola voglia, e disagiano sè per adagiar la vecchiezza. Se in tal modo e con una sorte di religione i popoli Negri onorano i loro antichi, perchè osiam noi dispregiarli? Fonte viva di piaceri è in vecchiezza il ripensamento dei bene spesi anni, e la coscienza di aver ragione al rispetto ed alla obbedienza de’nostri simili, ragione fondata non sul nostro bisogno, ma sul merito nostro, nè sulla presente fievolezza nostra, ma su le bene operate cose nel tempo passato del nostro vigore. La vecchiezza dell’uomo virtuoso, a dispetto della mancanza dei sensi, non è mai rincrescevole: la dolcezza del bene operato non gli può mai mancare. Quantunque non abbia più le forze della gioventù, non si duole però d’averla spesa malamente; il pensier lieto di averla in bene operar consumata gli è soavissimo guiderdone. In questa guisa la realtà del nostro benessere presente assicura la durazione del benesser nostro futuro. Il vecchio va sempre riandando colla memoria tutti gli accidenti de’giorni suoi; e i diversi stati e le parecchie fortune del tempo che più non torna, formano per esso un fonte perenne di piaceri e delizie. Perciocchè gli studi seguitati nella giovinezza riescono a diletto ed onor dell’età senile; e gli anni in lecito traffico esercitati, e la comodità e l’abbondanza presente lo rallegrano oltremodo: che se egli sia stato per avventura più gagliardo, ed avrà dimostro il valor suo a difension della patria, l’animo suo militare si raffrena, ma non cade. Gli è cara e dilettevole la ricordanza del tempo passato sott’arme, ed in cospetto degli amici e de’congiunti si compiace di recitare i pericoli corsi, i sostenuti disagi e le vittorie alle quali ha partecipato. Ne godono gli ascoltatori, e non solamente entrano nell’allegrezza di lui, ma, per l’affetto che gli portano, la moltiplicano. E quindi la buona moglie, sbigottita alla crudel novella, piange sulle sue ferite; quinci i suoi figliuoli, malgrado che ad udirlo s’impauriscano, pur lo dimandano che voglia ricominciare. Ultimamente una vena di dilettevoli cose, la quale ai vecchi non vien mai manco, è la sua famiglia e i suoi figliuoli virtuosamente per loro allevati e di loro solleciti. Cicerone, il quale trattò dei beni della vecchiezza, dà molto da meravigliare che di quelli che da questo capo derivano non abbia discorso. Nè si potrebbe di tal silenzio dar ragione che coll’affermare ch’egli intanto non avesse di ciò voluto far motto, perchè avrà avuto ribrezzo di ritoccar certe piaghe, esso che sebbene ottimo padre, nondimeno infelice era stato. Chi può vedere senza gaudio e reverenza un vecchio onorabile in mezzo a’suoi buoni e bennati figli, nei quali gli pare rivivere, e che egli ama sopra ogni sua felicità e più che la propria vita? Il celibe, ridotto alla vecchiezza, prova tutto l’amaro del suo abbandonamento: e per debolezza o per malattia convenendogli di rinchiudersi in casa, s’accorge che a niuno cale di lui, e invano aspetta che altri il venga a confortare e tenergli compagnia. Ma ad un vecchio dicaduto e bisognevole è gran refrigerio e consolazione la sollecitudine, la tenerezza e l’aspetto solo de’suoi figli, veggendosi così aiutato nel suo bisogno e nella sua debolezza dalle mani di quelli che ama.