Lo Spettatore italiano: I bisogni immaginari e la mediocrità
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Livello 1
I bisogni immaginari e la mediocrità
Citazione/Motto
Si ad naturam vives, nunquam eris pauper; si ad
opinionem, nunquam divesNon sarai povero mai, se vivi secondo natura; nè
opinionem, nunquam dives
(Senec~k.).
Non sarai povero mai, se vivi secondo natura; nè
ricco giammai, se secondo
l’opinione.
Livello 2
Socrate~kaddimandato qual de’mortali più alla felicità degli Iddii si
accostasse, rispose: Colui che ha meno bisogni. Con queste parole quel saggio senza dubbio
intendeva, non la quantità de’beni che altri possiede, ma i limiti coi quali sa li suoi desii
circonscrivere. E nel vero cotal temperanza di desii puote appareggiare il semplice abitatore d’una
botte al signor del mondo: lo che mosse Alessandro a protestarsi che s’egli stato non fosse
Alessandro, sarebbesi tolto d’esser Diogene. Nimici dell’umana felicità sono gl’immoderati disii;
perciocchè disio, bisogno e indigenza importano il simigliante. Quegli che sendo tranquillo
possessore di tutti i beni del mondo, ne immaginasse un altro da non poter essere da lui posseduto,
costui veracemente saria povero. Delle cose che sono a noi maggiormente richieste, stata ci è natura
larga dispensatrice; laddove con misura quelle ne ha dato che accrescer non possono la nostra
felicità. Così comune e il ferro, e rado e l’oro; l’uno dei quali è presto ad ogni
nostro maggior uopo, e l’altro non è buono che a risplendere, e dalla sola sua rarità procede il
gran pregio che si tiene del suo folgoreggiare. In tutte le parti della fisica vita e della morale
le necessarie cose son come il ferro, e come l’oro le superflue. Lieve è l’acquisto di ciò che ci fa
veramente mestieri, ed è ancor si lieve, che i più degli uomini fatti per la copia ciechi, e i
naturali disii cogli artificiati confondendo, hanno immaginato fittizi bisogni per potersi
distrarre. Ondechè principal cagione d’infiniti bisogni è la copia stessa. La povertà eziandio, che
sì spesso e sì sventuratamente s’incontra presso le incivilite nazioni, procede dai mutamenti che
l’opulenza produce nei costumi. Perciocchè allora soltanto natura poveri ci rende, quando il
necessario ci toglie; ma noi per usanza addimandiamo indigenza il bisogno delle cose superflue. In
cambio d’apprendere ad infrenare i suoi disii, pare che tutta sua vita l’uomo si brighi di crearsi
nuovi bisogni. Si compiange egli tuttora, è ben vero, di non bastare a procacciarsi la felicità, e
confessa ch’egli è un essere necessitoso e precario, a mille bisogni sottoposto, ai quali nè
coll’industria nè colla forza può satisfare. Ma frattanto fingendo bisogni non naturali, egli si
forma una artificiata povertà, e si rammarica mancargli assai cose, le quali eziandio conseguite non
vagliano a procurargli alcun sollazzo. Un ardente e sfrenato desire, qual che siane l’obbietto, può
ad ogni ora turbare la nostra tranquillità. Conciossiachè quello di cui abbisognare
estimiamo, ne crucia non già a misura del suo intrinseco pregio, ma di quello che noi vi apponghiamo
nell’animo nostro. Così quel Romano che piangea la morte della sua cara lampreda, provò quel grado
medesimo di cordoglio che nelle afflizioni veraci ne strappa dagli occhi le lacrime. Ogni razional
creatura dee secondo lor reale utilità estimare le cose. Poche conferir possono alla felicità, e
poche per conseguente vogliono essere da noi con ardor desiate. Quale a’nostri immaginarii bisogni
pon mente, puote i beni di questo mondo col medesimo occhio guatare, che faceva Socrate la fiera
d’Atene, e puote esclamare com’egli: Quante cose di cui non saprei che farmi! Oh avventurato colui
che, nato in mediocre fortuna, sa i fittizi bisogni interdirsi! Ma tutti lodano la mediocrità, e
niuno se ne contenta; la qual contraddizione procede nel vero dal non sapere li beni della natura e
della fortuna secondo lor giusto valore apprezzare. Perciocchè i primi che a ragione tener si
possono come i più solidi beni del mondo, inducono sul lor possessore una mano d’inconvenienti,
quando una giusta misura oltrepassano. La bellezza, ad esempio, sì disiato e invidiato dono della
natura, a quanti danni non espone quelle femmine che ne sono fornite? Di rado ella fa mischianza
colla virtù, e prepara lunghi rammarichi, sendo verissimo ciò che per una famosa donna fu detto, che
poco tempo ci ha per essere belle, e molto per non esserlo più. Sanità, forza, e ottimo
temperamento di persona son necessarie per certo a godere i beni della vita e adempierne gli
officii; ma frattanto questi vantaggi stessi, oveche giudicar se ne possa dalle apparenti lor
conseguenze, sono spesse fiate nocevoli a coloro a cui più largamente furono conceduti. La fidanza
che altri pone in sua forza, trascinalo nella negligenza, nella irregolarità e negli eccessi, e
sovente non fa che abbreviarne la vita, o conducelo a gemer lungo tempo nella debolezza e nel
dolore. Le qualità dell’ingegno sono per se stesse sempre gran beni. Ma incontra egli di farne
generalmente buon uso? e quando oltrepassanti siano, non ne espongono anzi a mille danni? Degli
uomini di gran fama pochi ci ha che tra i felici sieno annoverati. I più conseguito hanno dopo lor
morte la gloria che a tutto posero innanzi; e mentre che vissero, fur giuoca dell’invidia,
dell’ignoranza e dei pregiudizi. Schifiamo di non far capitale dei grandi ingegni, li quali
eziandio, se funesti sono ai loro possessori, recano spesse fiate molto vantaggio alla società; ma
consideriamo che minor male è non aver grande ingegno, che non adoperarlo in bene, e che egli quasi
sempre ha un’influenza contraria alla felicità della vita. Di tutti i vantaggi che sopra gli altri
ci pongono, non è pur uno che più infiammi gli sforzi e i disii nostri, come le ricchezze. Sempre ci
sta dinanzi agli occhi il male della povertà, male di tanti sollicitudini apportatore e di tante
pene, che ogni uomo a suo potere d’evitarlo s’ingegna; lo che finalmente allora si
consegue, quando alla mediocrità, riparatrice del bisogno, si perviene. Ma appena ha l’uomo ottenuto
questo agio temperato, subito muta pensiero sulla povertà, misurando con altra stadera i suoi
bisogni. Il destro ch’egli ha di adempiere i suoi desii, ne fa rampollare degli altri; e per tal
guisa coll’andare del tempo i bisogni a dismisura moltiplicano. Egli diventa ingordo e insaziabile,
perciocchè non pon mente che a quelli veraci agevole è satisfare, e il danno prevenire dello esservi
esposti; che sendo infinite le richieste della vanità e dall’ambizione, uopo è ultimamente mettersi
al niego; e che il tener fronte a quelle è men faticoso, quando adusate non le abbiamo a farle
contente. Se attentamente si risguardi il possessore di grandi facoltà, si scorgerà non esser tale
la sua condizione, che per acquistarle uopo sia porre a rischio il riposo e la virtù. Perciocchè
tutto il vantaggio che ha una grande opulenza sopra uno stato mediocre, è di porgerci più agio per
tener dietro ai nostri capricci, più privilegi per nutricare l’ignoranza, più diritti alla vile
adulazione, più falsi piaceri, i quali ognor seguita il rimorso. Il vero mezzo di sapere se
l’oggetto de’nostri desii meriti le nostre cure, è di considerare prima la felicità di chi lo ha
posseduto. Spesso colla brama di ben meritare degli altri si scusa la cupidità delle ricchezze; ma
cotesto desiderio non si misura coi mezzi a noi porti dalla fortuna, sembrando anzi ch’egli si scemi
secondo che i mezzi si accrescono. Chiamasi felicità l’aver ciò che l’uomo desia, ma è
felicità maggiore il non desiare più oltre di quel che si ha. Chi non intende all’arte di esser
felice con poco, fia sempre infelice. Ragione ci detta che non si vuol misurare il bene cogli
oggetti di cui altri gode, ma con quelli di cui sa fare a meno. Non ha uomo il necessario, ovechè
non possa fare a meno del soperchio. Grande ventura non accresce punto la felicità, avvegnachè come
sterili e indifferenti si faccian le cose di cui altri una volta godè. “Sono sventurati i pitocchi,
dice un filosofo, perchè son sempre pitocchi; e i re similmente, perchè sempre son re.” Le mezzane
condizioni da cui altri esce più agevolmente, offrono piaceri al di sopra e al di sotto di quelle.
Elle allargano eziandio le cognizioni di coloro che in esse si trovano, porgendo l’agio di conoscere
più pregiudizi e di paragonare più gradi di stati; e questa si è la principal cagione per cui nelle
condizioni di mezzo ha più felici uomini e più sensati.