Citazione bibliografica: Giovanni Ferri di S. Costante (Ed.): "L’abuso delle parole", in: Lo Spettatore italiano, Vol.4\13 (1822), pp. 96-101, edito in: Ertler, Klaus-Dieter / Fuchs, Alexandra (Ed.): Gli "Spectators" nel contesto internazionale. Edizione digitale, Graz 2011- . hdl.handle.net/11471/513.20.877 [consultato il: ].


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L’abuso delle parole

Citazione/Motto► Cagione inesausta di errori si e l’abuso delle parole:
perciocchè non v’ha errore il quale, se fosse chia-
ramente esposto, non si estinguesse da sè

(Genovesi). ◀Citazione/Motto

Livello 2► Dal male usar le parole nascono errori, dissensioni e miserie senza fine; il che spesse volte procede da imperfezion d’idioma, il quale non ha segni chiari e precisi da distinguer bene i pensieri; e spesse volte anche procede da non vero sapere che vuole manifestar la realtà delle cose per termini privi di senso. Ma quest’abuso o da ignoranza o da false dottrine ingenerato è per avventura più raro, e, quel ch’è più, meno funesto di quello che da malignità, da interesse e da ambizione proviene. E quanti vocaboli a procacciar odio alle fazioni, alle sette ed alle opinioni non si sono ritrovati? i quali dati a coloro che a perseguitar si prendevano, hanno continuati i rancori, concitate le vendette, ed acceso per sino il fuoco delle guerre più micidiali. Di simil fatta sono i nomi dei Guelfi e dei Ghibellini, dei Molinisti e dei Giansenisti, degli Aristocratici e dei Democratici. E siccome gli uomini poco usano la ragione, e si lasciano trarre alla prima impressione d’un nome odioso, è bastato applicarlo ad una cosa, perchè senza altra considerazione fusse quella dai più abborrita.

Livello 3► Exemplum► Non credo ci sia vocabolo più nocevolmente [97] adoperato che quello di libertà, nè che abbia mai fatto maggiori illusioni. Il popolo d’Atene, così rigido custode della sua libertà, se si vuole guardare addentro, è stato schiavo d’un piccolo numero d’ambiziosi chiamati demagoghi che si facean gioco del popolo sovrano; e non ha meno esempi di tirannide la storia ateniese, che qualunque altra dispotica monarchia. Il popolo romano si lasciò parimenti ingannare a questa voce, e si credette di ritener la libertà, quando negò a Cesare il nome di re, e gli concedette la signoria sotto il nome d’imperadore. ◀Exemplum ◀Livello 3

Livello 3► Exemplum► Non men orribile abuso si è fatto della parola uguaglianza; per cui non si son gli uomini già limitati a dir che ciascuno ha egual ragione alla proprietà de’suoi beni ed al patrocinio delle leggi; ma sono andati oltre, dicendo che dovean esser tutti eguali negli officii, come se il fossero pur nell’ingegno; e volevano eguaglianza anche negli averi, quasi fosse questa possibile. I seguaci di questo partito si possono assomigliare a quel tiranno il quale, per via d’acerbissimo tormento, pareggiava ad una misura tutte le persone. ◀Exemplum ◀Livello 3

Livello 3► Exemplum► Grande strazio ancora s’è fatto della parola onore, il quale alla prima non in altro è stato creduto consistere che nella virtù, e l’uomo d’onore non aver distinzione dall’uomo dabbene. Or vedete uso che di questa voce s’è fatto! Debiti d’onore si son detti quelli che al giuoco si fanno; e purchè si sieno pagati, si è tenuto uomo d’onore chi ha defraudati gli operai [98] della mercede. Così si è chiamato punto d’onore una sconcia presunzione, un falso sentimento, pel quale l’uomo, per poco che si creda leso, si fa lecito d’ammazzare l’amico, senza credere che n’abbia danno la fama d’onore. Clitone è un servil cortigiano, seconda i più neri partiti, distorna le più buone imprese, si adopera in tutti i maneggi: ma intanto splende nel mondo, tiene desco imbandito, e muta arredi di mese in mese: egli è uomo d’onore; almeno se’l crede, e bene spesso ode dirselo all’orecchio. ◀Exemplum ◀Livello 3

L’uomo onesto non è diverso dall’uomo d’onore; e dice La Bruyere: Chiaro s’intende che la persona dabbene è un’onesta persona: ma vaga cosa è a pensare come non ogni onesta persona sia dabbene; perciocchè onesto è quello che non assassina per le vie pubbliche, non ammazza e non ha vizi che turbino la società. Livello 3► Exemplum► Lo sciaurato Fuiello da necessità costretto, in una parte la più remota della città, rapì o domandò la borsa ad uno che passava: costui è un disonesto uomo; il carnefice l’ha provato. Scuromanno, uomo avventuroso nel broglio, arricchito a spese e danno dello Stato, abita un superbo palagio, ed ha ussero, livree e tenute; egli gode della pubblica miseria, avendo edificata la sua casa su la ruina di cinquecento famiglie: nondimeno egli è un onest’uomo, poichè egli è ricco e che vive ancora. ◀Exemplum ◀Livello 3

Livello 3► Exemplum► Buona pezza è che si dice esser usato il nome d’amico, e raro il sentimento; e quando Aristotele disse: Amici, non ci sono più amici, [99] volle dare ad intendere che questa parola era passata in abuso. Alcuni conoscenti, persone cioè che in realtà tra loro non si conoscono, si chiamano amici. Alcuni vincoli, inclinazioni cioè passeggere da cui niuna parte resta vincolata, si chiamano amicizie. Per questo vituperevole abuso di parole si dà il nome di amici a certi che sono tra loro conformi o in alcun capriccio, o in alcun momentaneo interesse, o anche in alcun vizio che li pone nella consuetudine di spesso vedersi. Se per molto tempo hanno usato in una casa, ed in una brigata che vi si rauna, prendono il nome d’amici familiari. Questi pretesi amici, appagati di un mutuo riguardo in apparenza, non solamente non si portano alcun amor sincero, ma spesso sono i primi a sparlar dell’amico, a divulgarne i difetti e a dileggiarlo presso la gente. ◀Exemplum ◀Livello 3

Livello 3► Exemplum► Una parola ancora quasi in tutti i linguaggi accompagna quella dall’amicizia, come un’espressione di cordiale intrinsechezza, e questa si è il tu, di che fassi oggidì grande abuso. Non è da dir male di quelli che insieme vissero nella fanciullezza, se l’usano; e quest’uso li fa scusati, sè poi un nome adoperato soltanto per vecchio costume non fosse più segno di cordialità. Anco se accade che l’adoprino due vecchi, nasce in noi pensier di amorevolezza, e ci piace veder quei due che, malgrado il processo di tant’anni, si rispondono ancora con quella buona armonia che fece la loro delizia nell’età giovanile. Il tu non è peravventura disdicevole in bocca de’fanciulli che ricorrono [100] ai genitori, perchè questa allora pare una favella dettata dalla natura; ma non dee però stare che nella prima fanciullezza. E non si dee troppo indugiare a far loro comprendere che questa sorta d’affetto che devesi agli autori de’nostri giorni, seco porta unito il rispetto ed una maniera di culto che da’nostri maggiori è stata ottimamente detta pietà filiale. Un padre per modo d’indulgenza può venire a questa libertà di parlare; ma io avviso che non si convenga andar più oltre. E se ce ne serviamo quando si volge il ragionamento all’Onnipotente, interviene perchè il modo meno usato ad esprimerci è quello che si dee adoperare verso l’Ente che trascende le nostre fisiche ed intellettuali potenze. Forse poi dall’ampliazione di questo modo è surta l’usanza di liberamente indirizzare il sermone a nobili e ragguardevoli personaggi.

Il tu nel nostro conversare sente del ruvido, che all’amore ed alla tenerezza s’appartiene rammorbidire, per cui egli sta bene solamente tra gl’innamorati e gli sposi. Qual è colui che profferendolo la prima volta verso una donna, non s’avvisi di esercitare un atto possessorio? e qual è colui che udendolo dalla bocca di lei verso di sè profferire, non lo accetti come un invito ai più teneri sentimenti? Ma con tutto che egli sia un vocabolo stabilito a significare benivolenza ed amore fra due anime bene unite, pure è adoperato talvolta a mostrare dispregio; e m’incresce di ascoltar continuamente padroni che n’assordano le orecchie de’famigli; laddove [101] un ben inteso orgoglio li dovria muovere ad aver riguardo a coloro che la sorte ha posto sotto la loro dependenza; e l’affettazione di umiliar chi ci serve, è un dubitare non quelli abbiano a tenerci superiori che per padronanza. x ◀Livello 3 ◀Livello 2 ◀Livello 1