Lo Spettatore italiano: Il ridicolo
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Livello 1
Il ridicolo
Citazione/Motto
Je suis né
francais; j’ai vecu cent ans, et je meurs
avec la consolation de n’avoir jamais donnè le plus
petit ridicule à la plus petite vertuIo sono nato francese; ho vissuto cento anni, e muoio
avec la consolation de n’avoir jamais donnè le plus
petit ridicule à la plus petite vertu
(Fontenelle~i).
Io sono nato francese; ho vissuto cento anni, e muoio
con questo conforto di non
aver mai posto in novelle
la più piccola virtù.
Livello 2
Il sentimento del ridicolo che l’uomo ha da natura, massime nelle
società alla perfezion pervenute, nasce dalla conoscenza e dall’amore dell’ordine. Le azioni, gli
affetti e i discorsi che nelle gravi materie all’ordine oppongonsi, risvegliano in noi
l’indegnazione e l’odio: ma tutto quello che nelle sole picciole cose l’offende, come è a dire i
modi, le usanze e i pregiudizi, eccita in noi il sentimento del ridicolo, il quale si compone e di
un lieve disprezzo inverso il suo obbietto, e di un dilettevole pensare a noi stessi. Se il ridicolo
fosse sempre bene usato, certamente sarebbe uno de’più pregevoli doni della natura. Ma in cambio di
restringersi a percuotere i lievi difetti, le stranezze e le imperfezioni, ei piglia sopra tutto di
mira le virtù e i grandi ingegni, e diviene per tal guisa il più dannoso nemico del comun bene. Esso
è l’arme principale del vizio, perchè rivolgendo ogni sua forza contro alla venerazione che si debbe
alle virtù, riduce a nulla l’amore che a quelle si porta. Anco l’invidia se ne vale come
di un poderoso strumento contro gl’ingegni, per attenuare il loro merito, e frodarli degli onori e
delle debite ricompense. La stessa calunnia è spesso meno da temersi che non è il ridicolo, stante
che quella può essere scoperta e convinta falsa, ed allor ricade sull’autor suo; laddove l’altro va
sempre impunito, e mai non vien meno. Si presume per alcuni che il ridicolo eserciti utilmente la
sua potenza anco nelle gravi materie, dacchè egli è pure un castigo del vizio; che è quanto a dire,
che la malignità qualche volta si piace di trattare esso vizio come la virtù, chiamando in aiuto il
ridicolo, a fine di torre a quello ogni reputazione: ma se il vizio viene a essere per questo più
disprezzato, si fa per altro men odioso; perchè le cose che ci debbon fare inorridire, non muovon le
risa. Se si risguarda come un mezzo dall’arte drammatica impiegato per censurare costumi e
caratteri, il ridicolo si è non meno utile che lodevole, non proponendosi mai di satireggiare le
persone viventi, e dirizzando i suoi dardi non contro un sol uomo, ma contro una particolare
condizione d’uomini, qualunque elli sieno. La commedia ne porge, a vero dire, alcuni ritratti, dei
quali, ov’essi sieno dipinti al vivo, possiamo assai facilmente trovare l’originale in noi stessi;
ma sta da noi lo schifarne la rassomiglianza, correggendo i vizi e difetti nostri. Il ridicolo,
quale si suole nelle brigate adoperare, è cagione di gravissimi inconvenienti; perciocchè se altrui
se ne vale contro le stranezze, i lievi difetti e i falli degni di scusa, esso è un
troppo rigoroso castigo per le imperfezioni che dalla umana natura non vanno divise, e che
compassione domandano, anzi che disprezzo. Quando poi ne usiamo come di un’arma per combattere i
gravi errori, i vizi odiosi e gli orribili delitti, allora si è una troppo lieve pena per cose che
indegnazione e ribrezzo risvegliano. Onde che nel primo caso egli ha troppa forza, nel secondo è
vuoto d’effetto. Che se pongasi mente alle cagioni onde son mossi coloro che dispensano il ridicolo,
meglio ancora si vedrà quanto questi vantati censori de’costumi sien dannosi e funesti. Vanno essi
aggirandosi per le brigate armati sempre di un prisma che rappresenta gli obbietti non solamente
tutti coloriti in negro, ma eziandio con fattezze false e brutte al possibile. Guardando in questo
fantastico vetro, non ci ha virtù che in vizio non sia trasformata. È desso che dà alla prudenza la
sembianza dell’avarizia, al coraggio quella della ferocia, alla pietà quella dell’ipocrisia. Massime
la modestia, di cui si è proprio il rendere più graziose le virtù, trovasi alle male arti del
ridicolo più esposta, giacchè questi all’opposto procura di oscurarne lo splendore. Così disfigurate
le perfezioni nostre per opera del ridicolo, contribuiscono elle pure a renderci infelici e
spregevoli ad un tempo. Dicesi che la verità non può diventare obbietto del ridicolo, e che per
conseguente non le può nuocere. Non dee senza fallo la verità, semplice e nuda come ella è, temer le
arme del ridicolo; ma può ella, come le altre cose tutte, essere disfigurata e
travestita; e questo appunto si e ciò che il ridicolo imprende a fare. Quando esso nell’esecuzione
di sì trista opera pone molto artificio, qual meraviglia che la moltitudine non riconoscendola si
rida della difformità di lei? Il più saggio e il più virtuoso degli uomini,
conciossiachè l’ingannata turba lo condannò non per quel ch’egli era di fatto, ma per quel
che appariva di essere negl’infami libelli del comico. L’invidia mescè la cicuta, il fanatismo gli
porse l’avvelenata tazza; ma il ridicolo fu il vero carnefice di quel divino filosofo. Per mala
ventura ha esso più potere sulle anime oneste e gentili che sulle viziose. Tra queste si dà, si
riceve a vicenda, e a vicenda si ride. Sono affatto indegni di scusa quegli uomini, molto virtuosi
per altro, i quali si dimostrano estremamente sensitivi del ridicolo, e vivono in continua tema di
essere offesi da quello. Debbono essi porgere l’esempio di farlo ire a vuoto, non già respingendolo
con forza, ma ricevendolo con disprezzo ed a sangue freddo, e talvolta eziandio con graziosa
maniera. Simiglia il ridicolo, al dire di un moralista, le frecce de’Messicani, le quali trapassano
il ferro, e si smorzano urtando nelle armature di lana1. Il ridicolo è sopra tutto il flagello degli uomini di mondo, i
quali, in grazia della paura ch’essi hanno di quello, mettono in non cale la sincerità, il buon
senso, l’amicizia e la fortuna eziandio. Cosiffatta paura impedisce il volo della nostra fantasia,
ci spegne in cuore ogni generoso affetto, e fa sì che tutti quanti sembran formati sopra una
medesima stampa. Essa ne induce a tener per buona la più falsa massima che sia al mondo: cioè “Che
si vuol essere come son tutti.” La qual massima, pareggiando gli uomini d’ingegno agli sciocchi, non
è favorevole che a questi ultimi. Il paese ove il ridicolo esercitava la sua maggior potenza, era il
più abbondevole di persone ridicole. E da che procedea questo? Vi erano forse alcune ridicolosità di
moda, e che tenean luogo d’illustri qualità? Così può pensarsi, considerando che la fatuità, il buon
tuono, come si dice, la falsa amabilità erano l’obbietto dell’emulazione della gente di mondo, e
assicuravano una certa riputazione e un certo successo.
Livello 3
Esempio
Socrate, fu vittima dell’arte odiosa di render ridicolo quanto v’ha di
più venerando. Aristofane fu quegli che, mostrandolo con ridicoli modi e spregevoli, il fe’ mettere
in ceppi, e poi trarre alla morte;
1Duclos, Consider. sur les Mœurs, chap. VIII.