La commedia Giovanni Ferri di S. Costante Moralische Wochenschriften Alexandra Fuchs Editor Alexandra Kolb Editor Valentina Rauter Editor Institut für Romanistik, Universität Graz 30.11.2016

o:mws-117-1079

Ferri di S. Costante, Giovanni: Lo Spettatore italiano, preceduto da un Saggio Critico sopra i Filosofi Morali e i Dipintori de’Costumi e de’Caratteri. Milano: Società Tipografica de’Classici Italiani 1822, 13-20 Lo Spettatore italiano 4 02 1822 Italien
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La commedia

Avendo Luigi XIV dimandato a Bossuet, se lecito fossead un cristiano l’andare alla commedia, quel granprelato rispose: Forti ragioni ci sono in contrario e grandi esempi in favore.

Celano

Poichè de’morali effetti della tragedia non e disdetto dubitare, più giustamente aver si può suspizione dell’utilità della commedia. E lasciando stare di parlar adesso degli antichi, fra i moderni il teatro comico si può dir che ad altro non intenda che a dilettare altrui, e secondo i più rinomati moralisti, sia egli scuola di vizi e di scostume.

Mellione

Certo la commedia fra tutti i moderni popoli, fin quasi a noi, s’ha procacciato codesto rimprovero: ma a voler darne diritta sentenza, e degli errori dell’artefice non accusar l’arte, si conviene riguardar la commedia purgata dei difetti, in che tutti gli uomini s’accordano. Quindi potrassi convenevole opinione de’suoi morali effetti fermare.

Celano

Se io mi ristringo a ricercare i modi per la commedia tenuti, e la condotta degli autori per li quali è l’arte a sua perfezion divenuta, e che ne saranno i modelli sempre, sarò stato in questa quistione rimosso e sgombro da tutta parzialità.

Mordere i vizi ed emendare i difetti è il bersaglio della commedia; e per ferire il quello usa il ridicolo: e questo, a dir della gente, è un confederato che la debil ragione chiama in suo aiuto, per meglio assicurare la sua signoria; ma è da dubitare, non il confederato occupi il reame ch’è venuto a soccorrere. Chi non sa che il ridicolo fin da’primi anni della vita è contro il senno e contro i doveri, quasi per natura, adoperato? I comici autori non l’usaron sempre in bene e in ischernire i vizi. Essi le più volte beffano e deridono la bontà e la semplicità, e spesso ancora i più reverendi diritti, e menano i malvagi a macchiare con nome di sciocchezza la purità delle oneste persone; e senza mai accender negli animi amore di virtù, insegnano di paventare quel che il secolo nomina ridicolo. Piglisi Molière, e leggasi la Scuola delle donne. Sono quelle massime che Arnolfo dà a leggere all’Agnese sicuramente nella maggior parte ammaestramenti ottimi, e da essere per ciascuna a bene di sè e del suo marito servati: ma egli corrompeli con tanta iperbole e gelosia, che possono ben essere rivolti in giuoco per ognuna che voglia essere meno modesta che pudica donna non dee. Nè da biasimare è meno il Giorgio Dandino dell’autor sopraddetto, per rispetto alla moralità; ed ebbe ragione Rousseau di ripigliarnelo.

Mellione

Rousseau è errato, per mio avviso, sopra il vero punto morale di quell’azione. L’intento di Moliere fu di pungere una spezie di debolezza e d’ingiustizia che male sta in uom già fatto e di scuro sangue, il quale facendo parentado con nobile ma disagiata casa, crede che donna di sì alto presa possa al suo marito amor portare e rispetto.

Celano

Or non seconda egli un vizio per punire un errore? Chi è più degno di vituperio, il contadino sciocco che sposa una damigella, o la donna che si studia di far fallo al marito? Da queste cose dimostre nella commedia son più tocchi e mossi quei che le possono commettere, che quei che se ne possono correggere. Il ridicolo quasi sempre esagerato ch’ella adopera, e la simiglianza delle sue dipinture col vero, per quelli solamente è sentita e trovata, ai quali vien ella lodando i difetti, e le passioni scusando. Moliere fa odiare e schernire Arpagone, per mordere l’avarizia de’vecchi usurieri, che ’l mondo abborre, e che per loro disonesto risparmio odiati son dai figliuoli. Ma queste commedie nè son vedute in iscena, nè lette nei libri dagli avari e dagli usurieri; e li giovani frattanto apparano a scambiar l’antivedimento e la parsimonia con avarizia ed ingordezza, e giudicar virtù il dissipamento e la prodigalità.

Sempre vide e notò Rousseau, che la vecchiezza è quasi in atto assai sconcio e spiacevole posta in iscena. E, nel vero, vi si sono veduti i vecchi, dallo schiavo di Terenzio sino al valletto di Moliere e di Regnard, esser presi a trastullo ed a gabbo per li maliziosi aggiratori: ed è mestier che a danno e sciagura del mondo riesca questo piacere di vilipendere e di beffare l’età del senno e dell’autorità.

La maggior briga della commedia fanno i servi, e sempre il più dell’azione è opera loro, e annodano e disciolgono essi la cosa. Or qual savio padre e dabbene sofferirà che in compagnia de’suoi fanti tutto giorno dimorino in camera i suoi figliuoli? Converrà ben ch’ei tema, non sozzi e villani modi s’appicchino a’figli, non abbian essi a costumarsi agl’inganni ed alle bugie. Ed è un condurli in così fatta conversazione il menarli alla commedia, ove più pestiferi e dannosi i famigli sono, quanto più ingegno e più malizia, oltre il loro usitato vivere, essi hanno. Non solamente ai servi della commedia manca il merito della verità, ma s’aggiunge il difetto di far in su gli occhi propri vile e laida una classe di persone, dalle quali il benesser delle case sommamente depende.

Mellione

Non è vero che la commedia appresentando le male persone, appaghisi in solamente deriderle; ella lor pone incontro le buone, e per tal contrapponimento molto più viene a giovare.

Celano

Rispondevi Rousseau, che i buoni nella commedia parlano, e i tristi operano; e se qual cosa avvi di ben avventurato, avviene al vizio, laddove alla virtù rade volte è retribuito onore e bene. Eccovi in generale lo spirito delle commedie di carattere; questo è il loro morale effetto. Simigliante biasimo è da dare alle commedie dette d’intrigo, non fatte per alcun utile, nelle quali più dispoticamente che in altre signoreggia amore. È dei rimproveri che converrebbe fare alla commedia, l’uno è del porre sempre amor nella scena.

Mellione

L’amore tesse senza dubbio tutto il nodo della commedia; ma egli va sempre a sciorsi in nozze: or che male è da dirgliene?

Celano

Sono naturalmente di pessim’esempio ai giovani i maritaggi della commedia, come quelli che non procedono da provate affezioni, da consigliate e virtuose scelte: che anzi son questi i sponsalizi di che essa ciancia e ride. E quelli che tiene per buoni e felici, derivano da un subitano innamoramento, da una conoscenza d’un sol dì, o da alcun casuale incontro; e il contrasto, e i rammarichii che i parenti e i tutori ne fanno, sono sempre messi in ridicolo e avuti in dispregio; e pigliasi in giuoco l’età, la saviezza, l’esperienza, e quanto a’costumati giovani s’apparterrebbe avere in reverenza. Siedevi e domina l’oltracotanza, la falsità e la ribalderia; e gli spettatori v’applaudono. E solo nello scioglimento dell’azione, quando ella ha finito d’interessare, si fanno alcune parole di moralità, le quali o intese non sono, o se persona vi presta orecchio, il fa, a vedere quanto insulsa e plebea sia quella morale animavversione. Onde che è due volte dileggiata e calpesta la virtù, e quando parla e quando tace.

Mellione

Non ostanti le riprensioni che alla commedia voi fate, dovrete con meco in questo accordarvi, ch’ella molto utilmente trafigge le ridicole persone: e se vi cadesse mai nell’animo di volerlo negare, la storia de’costumi vi farebbe avveduto quanto il teatro abbia giovato a correggerle. Se non è ella stata sempre fortunata nel dar battaglia a’vizi, non si dee per questo reputare inutile; sì veramente che saggia e santa morale ella insegni. Concedo, senza paura di contaminare in veruna cosa il nome di Moliere, lui esser caduto negli errori de’suoi maestri e de’suoi tempi, nè essere stato sì avveduto che si affrenasse dalla intemperata libertà che possedeva il teatro: ma sarà forza concorrere tutti in una sentenza, cioè, che le sue commedie di carattere son la scuola del mondo. E se di sì bel titolo si può gloriar la commedia, grado ne sappia a lui, il quale non solamente ha ritratti al vivo i costumi, ma l’animo degli uomini. Non ci ha altro autore che tanto induca a ridere, e tanto a pensare: e più s’intende, e più gli si vuol bene; e più si contempla, e più fa maraviglia. E non è senza ragione ch’ei sia stimato principe de’morali filosofi. So che Rousseau, maggior dicitore per paradossi che per verità, ripigliò Moliere, d’avere nel Mysantrope schernita e derisa e svillaneggiata la virtù: ma; a dispetto de’sofismi di sì ampio scrittore, confessano tutti, quella opera prestare uno de’maggiori ammaestramenti che dalla morale si possano avere: conciossia che indi deducasi anche il senno e la virtù stessa aver uopo di modo e di mezzo, di là dal quale o è nulla, o mala cosa. Ora è ben somma gloria del poetico filosofo recar cotanto addottrinamento in commedia, in nessuna parte l’onore debito a’buoni diminuendo. In niente altro apparisce il valor della virtù, e l’ingegno di Moliere, meglio che in quest’opera, la quale muove a ridere i veri difetti, e fa essere tuttavia in autorità la virtù.

Venne il teatro, appresso Moliere e suoi coetanei, non solamente in Francia, ma in Inghilterra e negli altri nobili popoli a Europa, purgandosi; nè avere forbite le antiche commedie bastando, se n’è ritrovata una nuova specie, conforme similmente alla natura, e da essere meritamente per la ragione approvata. Pietosa è la sua parte, e per l’Inghilterra ha nome sentimentale: e, per quello che ad alcuni critici ne pare, non fu ella del tutto nascosa agli antichi. Tenere e moventi cose scrissero Menandro e Terenzio, Egli non è lieve trattare per natural modo delle umane stoltizie, e non toccare ad ora ad ora di que’fieri accidenti possibili a nascere, e di quei pensieri che di necessità indi si traggono. Nè ragion consente che questo nuovo genere s’abbia a torre via, eziandio se stato fosse agli antichi sconosciuto; poichè di molti altri non furono appo i Greci e Romani, ed in sommo pregio tra noi sono: perchè dunque in breve spazio si dee ristringer l’arte, se limiti non conosce natura?

Celano

Non sarà ch’io biasimi codesto genere, come nemico allo intento che dee prender la commedia, e come usurpator d’un nome, da cui occupare la gravità de’suoi consigli e de’suoi intravvenimenti il deggia rimuovere: ma non ch’io taccia che le commedie di sentimento per questo errino fuor d’argomento, perchè fanno troppo antivedere il fine a cui sono ordinate; le quali, comechè spesso molto ammoniscano, sono ancora molto più noiose e sazievoli. Spiacemi forte ancora di quello che contro l’ordine di natura si fanno licito certi autori, comico e pietoso mischiando insieme. Opera naturale è ch’uom ride e piange, secondo l’affezion del cuor che lo muove; ma ridere e piangere in un punto, è fuor di nostra condizione. Il passar di salto dal piacere al dolore, e dal dolore al piacere, conturba l’anima, e in lei produce moti ingrati è talor violenti. Può alcuna volta la commedia muovere a compassione con qualche dolente scena, la quale tratta dall’intrinseco della materia, e maestrevolmente condotta, non pur non vi si disdice; ma senza molestar lo spirito, commuove il cuore. In un argomento però pietoso io non so se il gusto e la ragione e la natura concedano l’entrata alla comica: volli dire che vietano e schivano l’eterno contrasto di gravità e di scherzo, di riso e di pianto; il che tanto vale, quanto tenere l’un piè nel socco e l’altro nel coturno, ovvero di due eccellenze fare un mostro.

La commedia Avendo Luigi XIV dimandato a Bossuet, se lecito fossead un cristiano l’andare alla commedia, quel granprelato rispose: Forti ragioni ci sono in contrario e grandi esempi in favore. Celano~k Poichè de’morali effetti della tragedia non e disdetto dubitare, più giustamente aver si può suspizione dell’utilità della commedia. E lasciando stare di parlar adesso degli antichi, fra i moderni il teatro comico si può dir che ad altro non intenda che a dilettare altrui, e secondo i più rinomati moralisti, sia egli scuola di vizi e di scostume. Mellione~k Certo la commedia fra tutti i moderni popoli, fin quasi a noi, s’ha procacciato codesto rimprovero: ma a voler darne diritta sentenza, e degli errori dell’artefice non accusar l’arte, si conviene riguardar la commedia purgata dei difetti, in che tutti gli uomini s’accordano. Quindi potrassi convenevole opinione de’suoi morali effetti fermare. Celano~k Se io mi ristringo a ricercare i modi per la commedia tenuti, e la condotta degli autori per li quali è l’arte a sua perfezion divenuta, e che ne saranno i modelli sempre, sarò stato in questa quistione rimosso e sgombro da tutta parzialità. Mordere i vizi ed emendare i difetti è il bersaglio della commedia; e per ferire il quello usa il ridicolo: e questo, a dir della gente, è un confederato che la debil ragione chiama in suo aiuto, per meglio assicurare la sua signoria; ma è da dubitare, non il confederato occupi il reame ch’è venuto a soccorrere. Chi non sa che il ridicolo fin da’primi anni della vita è contro il senno e contro i doveri, quasi per natura, adoperato? I comici autori non l’usaron sempre in bene e in ischernire i vizi. Essi le più volte beffano e deridono la bontà e la semplicità, e spesso ancora i più reverendi diritti, e menano i malvagi a macchiare con nome di sciocchezza la purità delle oneste persone; e senza mai accender negli animi amore di virtù, insegnano di paventare quel che il secolo nomina ridicolo. Piglisi Molière, e leggasi la Scuola delle donne~i. Sono quelle massime che Arnolfo dà a leggere all’Agnese sicuramente nella maggior parte ammaestramenti ottimi, e da essere per ciascuna a bene di sè e del suo marito servati: ma egli corrompeli con tanta iperbole e gelosia, che possono ben essere rivolti in giuoco per ognuna che voglia essere meno modesta che pudica donna non dee. Nè da biasimare è meno il Giorgio Dandino dell’autor sopraddetto, per rispetto alla moralità; ed ebbe ragione Rousseau di ripigliarnelo. Mellione~k Rousseau è errato, per mio avviso, sopra il vero punto morale di quell’azione. L’intento di Moliere fu di pungere una spezie di debolezza e d’ingiustizia che male sta in uom già fatto e di scuro sangue, il quale facendo parentado con nobile ma disagiata casa, crede che donna di sì alto presa possa al suo marito amor portare e rispetto. Celano~k Or non seconda egli un vizio per punire un errore? Chi è più degno di vituperio, il contadino sciocco che sposa una damigella, o la donna che si studia di far fallo al marito? Da queste cose dimostre nella commedia son più tocchi e mossi quei che le possono commettere, che quei che se ne possono correggere. Il ridicolo quasi sempre esagerato ch’ella adopera, e la simiglianza delle sue dipinture col vero, per quelli solamente è sentita e trovata, ai quali vien ella lodando i difetti, e le passioni scusando. Moliere fa odiare e schernire Arpagone, per mordere l’avarizia de’vecchi usurieri, che ’l mondo abborre, e che per loro disonesto risparmio odiati son dai figliuoli. Ma queste commedie nè son vedute in iscena, nè lette nei libri dagli avari e dagli usurieri; e li giovani frattanto apparano a scambiar l’antivedimento e la parsimonia con avarizia ed ingordezza, e giudicar virtù il dissipamento e la prodigalità. Sempre vide e notò Rousseau, che la vecchiezza è quasi in atto assai sconcio e spiacevole posta in iscena. E, nel vero, vi si sono veduti i vecchi, dallo schiavo di Terenzio sino al valletto di Moliere e di Regnard, esser presi a trastullo ed a gabbo per li maliziosi aggiratori: ed è mestier che a danno e sciagura del mondo riesca questo piacere di vilipendere e di beffare l’età del senno e dell’autorità. La maggior briga della commedia fanno i servi, e sempre il più dell’azione è opera loro, e annodano e disciolgono essi la cosa. Or qual savio padre e dabbene sofferirà che in compagnia de’suoi fanti tutto giorno dimorino in camera i suoi figliuoli? Converrà ben ch’ei tema, non sozzi e villani modi s’appicchino a’figli, non abbian essi a costumarsi agl’inganni ed alle bugie. Ed è un condurli in così fatta conversazione il menarli alla commedia, ove più pestiferi e dannosi i famigli sono, quanto più ingegno e più malizia, oltre il loro usitato vivere, essi hanno. Non solamente ai servi della commedia manca il merito della verità, ma s’aggiunge il difetto di far in su gli occhi propri vile e laida una classe di persone, dalle quali il benesser delle case sommamente depende. Mellione~k Non è vero che la commedia appresentando le male persone, appaghisi in solamente deriderle; ella lor pone incontro le buone, e per tal contrapponimento molto più viene a giovare. Celano~k Rispondevi Rousseau, che i buoni nella commedia parlano, e i tristi operano; e se qual cosa avvi di ben avventurato, avviene al vizio, laddove alla virtù rade volte è retribuito onore e bene. Eccovi in generale lo spirito delle commedie di carattere; questo è il loro morale effetto. Simigliante biasimo è da dare alle commedie dette d’intrigo, non fatte per alcun utile, nelle quali più dispoticamente che in altre signoreggia amore. È dei rimproveri che converrebbe fare alla commedia, l’uno è del porre sempre amor nella scena. Mellione~k L’amore tesse senza dubbio tutto il nodo della commedia; ma egli va sempre a sciorsi in nozze: or che male è da dirgliene? Celano~k Sono naturalmente di pessim’esempio ai giovani i maritaggi della commedia, come quelli che non procedono da provate affezioni, da consigliate e virtuose scelte: che anzi son questi i sponsalizi di che essa ciancia e ride. E quelli che tiene per buoni e felici, derivano da un subitano innamoramento, da una conoscenza d’un sol dì, o da alcun casuale incontro; e il contrasto, e i rammarichii che i parenti e i tutori ne fanno, sono sempre messi in ridicolo e avuti in dispregio; e pigliasi in giuoco l’età, la saviezza, l’esperienza, e quanto a’costumati giovani s’apparterrebbe avere in reverenza. Siedevi e domina l’oltracotanza, la falsità e la ribalderia; e gli spettatori v’applaudono. E solo nello scioglimento dell’azione, quando ella ha finito d’interessare, si fanno alcune parole di moralità, le quali o intese non sono, o se persona vi presta orecchio, il fa, a vedere quanto insulsa e plebea sia quella morale animavversione. Onde che è due volte dileggiata e calpesta la virtù, e quando parla e quando tace. Mellione~k Non ostanti le riprensioni che alla commedia voi fate, dovrete con meco in questo accordarvi, ch’ella molto utilmente trafigge le ridicole persone: e se vi cadesse mai nell’animo di volerlo negare, la storia de’costumi vi farebbe avveduto quanto il teatro abbia giovato a correggerle. Se non è ella stata sempre fortunata nel dar battaglia a’vizi, non si dee per questo reputare inutile; sì veramente che saggia e santa morale ella insegni. Concedo, senza paura di contaminare in veruna cosa il nome di Moliere, lui esser caduto negli errori de’suoi maestri e de’suoi tempi, nè essere stato sì avveduto che si affrenasse dalla intemperata libertà che possedeva il teatro: ma sarà forza concorrere tutti in una sentenza, cioè, che le sue commedie di carattere son la scuola del mondo. E se di sì bel titolo si può gloriar la commedia, grado ne sappia a lui, il quale non solamente ha ritratti al vivo i costumi, ma l’animo degli uomini. Non ci ha altro autore che tanto induca a ridere, e tanto a pensare: e più s’intende, e più gli si vuol bene; e più si contempla, e più fa maraviglia. E non è senza ragione ch’ei sia stimato principe de’morali filosofi. So che Rousseau, maggior dicitore per paradossi che per verità, ripigliò Moliere, d’avere nel Mysantrope~i schernita e derisa e svillaneggiata la virtù: ma; a dispetto de’sofismi di sì ampio scrittore, confessano tutti, quella opera prestare uno de’maggiori ammaestramenti che dalla morale si possano avere: conciossia che indi deducasi anche il senno e la virtù stessa aver uopo di modo e di mezzo, di là dal quale o è nulla, o mala cosa. Ora è ben somma gloria del poetico filosofo recar cotanto addottrinamento in commedia, in nessuna parte l’onore debito a’buoni diminuendo. In niente altro apparisce il valor della virtù, e l’ingegno di Moliere, meglio che in quest’opera, la quale muove a ridere i veri difetti, e fa essere tuttavia in autorità la virtù. Venne il teatro, appresso Moliere e suoi coetanei, non solamente in Francia, ma in Inghilterra e negli altri nobili popoli a Europa, purgandosi; nè avere forbite le antiche commedie bastando, se n’è ritrovata una nuova specie, conforme similmente alla natura, e da essere meritamente per la ragione approvata. Pietosa è la sua parte, e per l’Inghilterra ha nome sentimentale: e, per quello che ad alcuni critici ne pare, non fu ella del tutto nascosa agli antichi. Tenere e moventi cose scrissero Menandro e Terenzio, Egli non è lieve trattare per natural modo delle umane stoltizie, e non toccare ad ora ad ora di que’fieri accidenti possibili a nascere, e di quei pensieri che di necessità indi si traggono. Nè ragion consente che questo nuovo genere s’abbia a torre via, eziandio se stato fosse agli antichi sconosciuto; poichè di molti altri non furono appo i Greci e Romani, ed in sommo pregio tra noi sono: perchè dunque in breve spazio si dee ristringer l’arte, se limiti non conosce natura? Celano~k Non sarà ch’io biasimi codesto genere, come nemico allo intento che dee prender la commedia, e come usurpator d’un nome, da cui occupare la gravità de’suoi consigli e de’suoi intravvenimenti il deggia rimuovere: ma non ch’io taccia che le commedie di sentimento per questo errino fuor d’argomento, perchè fanno troppo antivedere il fine a cui sono ordinate; le quali, comechè spesso molto ammoniscano, sono ancora molto più noiose e sazievoli. Spiacemi forte ancora di quello che contro l’ordine di natura si fanno licito certi autori, comico e pietoso mischiando insieme. Opera naturale è ch’uom ride e piange, secondo l’affezion del cuor che lo muove; ma ridere e piangere in un punto, è fuor di nostra condizione. Il passar di salto dal piacere al dolore, e dal dolore al piacere, conturba l’anima, e in lei produce moti ingrati è talor violenti. Può alcuna volta la commedia muovere a compassione con qualche dolente scena, la quale tratta dall’intrinseco della materia, e maestrevolmente condotta, non pur non vi si disdice; ma senza molestar lo spirito, commuove il cuore. In un argomento però pietoso io non so se il gusto e la ragione e la natura concedano l’entrata alla comica: volli dire che vietano e schivano l’eterno contrasto di gravità e di scherzo, di riso e di pianto; il che tanto vale, quanto tenere l’un piè nel socco e l’altro nel coturno, ovvero di due eccellenze fare un mostro.