levanti fatti delle età trapassate. Ella è, in certo
modo, una viva istoria, facile ad essere intesa da
chiunque ha sensi e anima
(
arte drammatica,
Come può esser questo che voi dite, s’ella intende ad emendare altrui dilettando? Non so io altro miglior ingegno vi sia, che quello il quale ne fa trarre vantaggio dal ridere stesso. Il teatro è la scuola de’costumi.
Direste meglio, quella delle passioni e de’vizi.
Oh! Paradosso! Ma sperate voi meglio di
Non vado appresso gli esagerati giudizi di quel facondo scrittore, e non voglio già proscrivere quest’arte; perciocchè veggio essere naturale agli uomini il coglier diletto dagli spettacoli, come ne fanno testimonianza le feste, i torneamenti, le cerimonie religiose, sempre e in tutti luoghi usate. Ma penso che malagevole cosa sia trovare utilità nella drammatica, se ne riguarderemo gli effetti morali.
Io pero penso in contrario; perchè scuola di virtù mi sembra la tragedia vera e la vera commedia: e non veggo dai libri morali al buon teatro altra differenza, se non che questo ammaestra per via d’azione, e diletta e piace con la dolcezza di quell’arte che è detta la favella degli Iddii.
Sia pure che la drammatica al morale ammaestramento riguardi, il che non riesce sempre nel fatto; ponete mente ai mezzi ch’ella tiene ad aggiungervi, e potrete da questi dirittamente de’suoi effetti giudiciare. Questi mezzi nella tragedia son le passioni: ma, come che il padre della critica drammatica affermi che in tragedia si ammendano le passioni per mezzo di muoverle, estimo io che sì fatto mezzo non piaccia ai moralisti; perchè generare e rappresentar passioni è di troppo rischio, e pestilenzioso ne sarebbe l’esempio.
Adunque, per vostro avviso, il procacciare abborrimento al vizio saria vana cosa; ed io la trovo assai buona e bella, se quello mostrisi nell’aspetto più abbominevole. E vi parrà da dir male anche dell’usanza di
A’fanciulli spartani veniva in grande obbrobrio la ubbriachezza, dopo viste le condizioni e i reggimenti degli ubbriachi. Ma se un vizio che sia per sè alquanto rincrescevole e sozzo si scuopre in persona di alto stato e degna di stima, quale dovrà essere l’effetto di questo spettacolo? Nei paesi dove il senatore, il capitano, il principe ad ora ad ora s’inebbriano, se ne può avere una giusta idea. Troppo è arrendevole a questi esempi la gioventù, alla quale sono essi appresentati; ed io avviso che similmente avvenga della tragedia. Perciocchè le scene che in modi eroici, ed ornati di tutta la magnificenza de’versi e di tutto il lume dell’eloquenza, mostrano le passioni e li vizi, accostumando gli animi a quella immagine, impediscono loro di concepir quell’odio contro i delitti che questi generano veramente, quando sono nella naturale forma mostrati.
I Greci, che furono i trovatori della drammatica, e a perfezione la ridussero, non mirarono mai al segno morale; e per questo
Noi, nel voler i Greci imitare, abbiamo il nostro teatro delle loro visioni, dei loro oracoli, dei loro giuramenti, del loro fato servilmente riempiuto; ed abbiamo lasciato indietro ciò che era il meglio imitare, cioè il loro intendimento politico. Quelle vecchie favole, quelle rancide storie che nulla hanno a fare co’
Nè io pur comprendo, come parecchi moderni, anche de’rinomati, per introdurre l’amore, hanno guaste le bellezze degli antichi argomenti: ma questo è peccato degli artisti e non dell’arte; che li danna.
Io avviso, con molti critici filosofi, che i sentimenti i quali inspira oggi il teatro, anzi che ammendare, fomentino il mal costume ed pregiudizi dei popoli. E questa è la cagione per cui nelle greche tragedie non regnava altro che la politica e la religione, senza che mai v’avesse luogo l’amore. Ora che i tempi hanno cangiato i costumi, questo cangiamento ha dovuto necessariamente operare un’alterazione nella drammatica. Poscia che la cavalleria ha dato tanto imperio alle donne nella società, ed ha sparso in tutto il gusto e lo spirito della galanteria, era pure ragione che se ne fornisse anche il teatro. L’amore è la passione predominante nelle nostre tragedie; e quei valentuomini
È di scendere al cuore la strada più sicura.
Or vorrei sapere che cosa guadagnerà la morale da simili spettacoli che un’infinita potenza d’amore ci rappresentano. Ed è pur facile a vedere, come accade, che quando questa passione è più perfetta e più notabile, allora appunto un dramma che tutto il bene della vita ripone in un amor fortunato, fa più che mai contro alla virtù. Egli quei difetti e quel corrompimento accresce, a cui li moralisti, additandoci altri principii ed altre felicità di più bella e più sublime natura, s’ingegnano di porre riparo e freno. Questa tirannica signoria che amore tiene in tutte le tragedie nostre, affoga tutte le virtù e tutti i doveri; innanzi ad essa spariscono i diritti di ragione, di giustizia ed umanità, per modo che il Re non conosce più i suoi sudditi, il capitano i compagni, i cittadini la patria; e i padri e i figli non rammentano gli oggetti della più natural carità, se non per adoperarli al trionfo del loro amore.
Non niego che troppo dispoticamente signoreggia amore nelle nostre tragedie; ma non per questo è da esigliarnelo, quando egli non reca più essenziale difetto in una tragedia che in un poema epico. Sì largamente si spazia questa passione, che, quali che se ne sieno gli esempi greci, natural cosa è ch’ella più spesso che le altre si senta in teatro; ma è mestieri che sia veramente tragica, e paia una debolezza guerreggiata dalla coscienza: bisogna che l’amore o abbia infelice e malvagio fine, a mostrare quanto pericoloso sia; o dalla virtù sia trionfato, a mostrare ch’egli non è insuperabile; e questo è ciò che in molte tragedie si riscontra.
Avrete già inteso quello che dell’effetto dei malvagi caratteri, dall’autor tragico per forza nobilitati, io mi pensi. Egli, diminuendone l’orrore che debbono in noi risvegliare, e degni di compassione rendendoli, a noi li ravvicina: il che non addiviene di quell’eroiche virtù che ai vizi si contrappongono; perchè egli le pone troppo lungi da noi, per cui ci sembrano malagevoli ad usare tanto, che esse, quantunque accendano la fantasia e vincano l’animo, si veggono in troppa lontananza dal comun sentire e dalla nostra pratica; ed allora, come possono influire sopra il nostro modo di vivere? Ed anzi mi par si debba temere che colui che alle tragedie ed al commovente linguaggio della pieta, della magnanimità o dell’amore si sia avvezzo, non veggendovi veruna cosa al
Se la vostra critica fosse giusta, dovrebbesi sbandire la drammatica; ma io mi avviso di dimostrarvi che almeno è esagerata. Negherete voi primieramente che oggi vi sono tragedie dalle nazionali e moderne storie cavate? Chi ben conosce l’
Il felice successo della scelleratezza ci suole far concepire più orrore contro i trionfi, e perciò non sono essi contrari agli effetti morali: anzi noi veggendo patir la virtù e goder il vizio, siamo più accesi all’amor di quella ed all’odio di questo, che veggendo l’una e l’altro, secondo che meritano, guiderdonati. Disse
Per colpa dei pregiudizi che ci fanno servilmente tener dietro agli antichi, e per gl’impedimenti che ad andare innanzi si scontrano negli ordini dei nostri governi, ancora la tragedia non è di tutta quella utilità di che potrebbe essere. Ma oggi, la mercè delle aumentate cognizioni, avremo vere tragedie da essere intese per ogni grado di cittadini, che insegneranno ed istilleranno l’amore della virtù, e non li soli eroi, ma gli uomini ancora appresenteranno.
Quando io a così fatte qualità riconoscerò la tragedia, allora io la chiamerò scuola di costumi e di virtù.