Lo Spettatore italiano: Li semplici piaceri
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Ebene 1
Li semplici piaceri
Zitat/Motto
. . . . . . Miserere tu felicium,
Veroque fruere non superbus gaudio. Mart.~kTien miseri i felici, e non altiero
Veroque fruere non superbus gaudio. Mart.~k
Tien miseri i felici, e non altiero
Godi del piacer vero.
Ebene 2
Errano grandemente gli uomini allorchè cercano di felicità lungi da se
medesimi, e in quei piaceri che come son troppo vivi, così piccol tempo durano. Perlochè
ammaestramento più utile non può un moralista dare ad altrui, che quel di mostrare la costante
felicità esser nemica di tutti i turbolenti affetti; ma quella essere riposata per sua natura e
composta: ed i semplici e sinceri diletti non costar molto, nè trovarsi di rado; anzi soler essi da
sè ai sani spiriti farsi incontro, come quelli di che in ogni stato e condizion della vita può aver
gran copia. Quanti diletti ci erano in
pronto allora! Il cercare di essi niente ci turbava; senza alterazione ne godevamo; noia e dolor non
ci era il dovergli abbandonare. A pochi dee rimembrare di quella età, ai quali non paia
ricordarsi come del più felice tempo della sua vita. Ma non però che la benavventuranza di quegli
anni nasca dai giuochi e dalle ciance: anzi tutto allora l’essere nostro si contiene dentro i
piaceri della dimestica vita. Perciocchè tutto quello che è d’intorno a noi, lo amiamo, e ne siamo
amati; e d’altro non curiamo per più diletto avere. Come poi si comincia ad usar nel viziato modo,
tosto ci si dilegua il sapore de’piaceri semplici; e incresceci delle paterne mura per la vaghezza
di una fantastica felicità, dietro alla quale non si è guari andato, che si conosce d’avere
all’interesse e all’ambizione sagrificato l’innocenza, la pace e la libertà. Dopo i dimestici
piaceri, ad aver lieta e dolce vita niente più aiuta, che l’amicizia. Conciossiachè quello
spandimento di cuore che ella suol muovere, in tanto è più gradito a sentire, in quanto egli allevia
la tirannia che sopra noi usa il mondo con farci viver continuo come in iscenica rappresentazione.
Dolcezza non ha vita che ci si vive fuori di questa libertà preziosa; e l’anima non ha piacer che
più la contenti, se non se questo franco e aperto accomunare e mescere di pensieri e di sentimenti.
Nondimeno quanto scarso è il numero di quelli che per tempo s’argomentino di acquistare un amico! E
dove sono costoro che con sollecitudine guardino questo soavissimo consorzio, sin dalla lor puerizia
congiunto? Tosto si fugge dalla mente che da esso muoveano i nostri più cari diletti in quella età,
e però uscendo al mondo vien desiderio d’infrangerlo. Oltre le delicate affezioni
dell’anima, le quali più ch’altra cosa giovano alla felicità, vi sono pur anche talune occupazioni e
taluni genii da cui una larga vena scaturisce di piaceri semplici: tale è l’amore dello studio e
della lettura, il quale diletti siffatti nè somministra che nella varietà e nella durevolezza tutti
gli altri di gran lunga trapassano, e di dolcezza e di vivacità non sono avanzati fuor che da quelli
i quali hanno la vita e la sede nel cuore. Tempi nè luoghi ad essi non danno briga; e di essi là si
può godere, dove non si potrebbe di altro diletto. Senzachè nè sazietà seco traggono nè disgusto,
essendo immense ed infinite le cose di che si può nutricare eternalmente la vaghezza e l’ardore di
sapere. Puossi al piacere della lettura e dello studio accoppiar quello del conferire e del
conversare, ed è talvolta più vivo ancora e più caro. Perciocchè non solamente nella conversazione
si apprendono gli altrui pensamenti, ma si mettono ancora a comune i propri. E questo cosiffatto
cambio e mischianza di pensieri e di sentimenti commuovono l’anima, ed occupano più eziandio che non
suole la lettura. E dagli studi ancora dalle belle arti fontane nascono assai di purissimi piaceri e
tra sè differenti; onde è che tutti coloro cui natura al coltivamento di quelle dispose, sono
grandemente da reputarsi felici, non potendo essi meglio il loro ozio locare. E non che questi, ma
quegli pure i quali a solamente conoscere l’eccellenti opere delle belle arti, senza pure
intramettersi della imitazione di quelle, intes (sic.) sono, di giocondissimi
recreamenti sogliono godere. Ed io reputo che l’amor delle belle arti non sarebbe acceso negli umani
petti mai troppo per tempo, per la ragione che egli non pure il bene della vita promove, ma la virtù
ancora guarda e schermisce. Ed a cui le belle arti niun diletto, niuna gioia porgono, quegli nè
altezza d’ingegno ha, nè gentil sentimento: anzi le sensuali e grosse dilettazioni avanti a quelle
ponendo, fa manifesto il suo cuore essere inasprito e corrotto. Per lo intendimento delle belle arti
diventa altri più apprensivo e più sensitivo della bellezza della natura, la quale è certo
abbondantissima origine di semplici ed immacolati piaceri. Pascesi la nostra giovinezza del
campestre ragguardamento, per modo che da esso si trae materia delle prime nostre canzoni, e per
entro i sollazzi e le pompe della città sospiriamo l’abbandonata campagna. Oltre a ciò, il cangiar
d’aspetto che la natura fa nei mutamenti delle successive stagioni, piaceri ne presta che mai non
vengono meno. Or quali festeggiamenti da pareggiar sarebbero al piacer di continuo leggere l’immenso
libro della natura, nel quale a ciascun passo ci si appresentano mirabili cose che meritamente ci
mettono di sè cura e vaghezza? I piaceri dello intelletto intanto sono superiori a quelli dei sensi,
in quanto per godere dei bramati oggetti uopo non è di possederli: conciossiachè l’uomo che
contemplativamente la bellezza ammira della natura, è idealmente signor di quello che essa gli para
dinanzi. E per conseguente egli dei poggi, de’valloncelli, delle riviere, delle foreste
e de’giardini piglia maggior piacere, perciocchè nulla mistura gliel turba, che non fa il vero
posseditore di quelli. Tutte le sue dilettazioni gli fa maggiori il sentimento della bontà infinita,
onde gli son poste; nè sollecitudine mai lo stringe di dovere quella possession conservare, di che
non può mai essere spogliato. Ben può egli dire: Che dee calere a me dei doni che tu mi vuoi
niegare, o fortuna? Quei della natura non mi puoi tu torre, nè la veduta involarmi de’cieli, nè
contendere ch’io mi vada per le ridenti praterie e li fruttiferi colli diportando, e respirando il
sincero aere e salutevole, che mi ravviva tutto quanto e ricrea. Infinite son le cagioni de’piaceri
che hanno gli animi di questa felice disposizione dotati. Ma conferisce ad ingenerare cosiffatto
diletto sopra tutto la simpatia, quel principio che tanto può in su la natura dell’uomo. Ella fa sì
che la tranquillità de’campi, e la riposata vista di ogni lor parte sensibilmente acquetano il
tumulto delle passioni, rasserenano lo spirito e suscitano i temperati affetti e soavi. Chi ha sì
indurato il cuore, che udendo al tornar di primavera i novelli canti degli uccelletti non sia
commosso? Chi senza alcuna gioia nè riconoscenza sentire in sè, può riguardare i giovinetti animali
per lo ritemperato cielo e lo rinverdito pascolo rigogliosi tra sè a giuoco combattere? Veramente in
ogni parte della vita l’amore de’semplici piaceri è via sicurissima a poter pervenire
alla felicità, ma nella vecchiezza più che mai. Conciossiachè l’uomo nella fiorita e poderosa età
traggo suo piacere dalle ordinarie occupazioni della vita: ma non così in vecchiezza; perocchè
allora troppo è faticoso all’uomo stanco l’adoperare; per la qual cosa in questo tempo i dolci
sollazzi e sani ci si richieggono, e quelli che a sè possano la nostra mente rivocare, senza voler
troppo farla attendere, nè continuamente. Quanto è beato colui che acquistato e fino a quest’età
ritenuto ha il gusto de’semplici piaceri!
Metatextualität
E se volete accertarvi che la natura ci abbia posti in
mezzo di cose tutte sufficienti a porgerne i facili piaceri e schietti, tornatevi alla memoria il
bene avventuroso tempo della puerizia e della nuova adolescenza.
Ebene 3
Exemplum
Ad Alcante non è punto gravoso a confessare che di cosiffatti piaceri
egli non si è mai dilettato. “Sempre insulsi paruti mi sono, dice egli; nè contro la noia m’hanno
dato mai veruno alleggiamento.” Alcante, siccome colui che fra le divizie è nato, pompa dimanda
ne’suoi diletti. Delle dolcezze ond’è natura larga ad ogni uomo, niente egli gusta, non gli capendo
nell’animo che le veraci siano quelle che coi volgari insieme s’abbiano a prendere. Il che addiviene
ad Alcante, perchè dall’incominciante sua giovinezza è andato per quei piaceri più vivi, li quali
corrompendo il gusto non ci lasciano esser saporiti i più semplici. L’animo non guasto può fare che
i comunali diletti gli aggradiscano, non altrimenti che faccia la sanità buoni parere i grossi cibi:
ma poscia che al goder del lusso è della lussuria l’uom s’è avvezzato, e perduta ha l’innocenza
de’costumi, privo rimane del senso de’semplici piaceri, i quali noia solamente gli partoriscono e
fastidio. Piaceri che non abbiano lor radice nella virtù, hanno simiglianza di alcun
fioretto dal materno stelo troncato, il quale per poco durar può ridente e dilettevole, ma in brieve
andare langue appassito e si muore.