Citazione bibliografica: Giovanni Ferri di S. Costante (Ed.): "Il can delle tombe", in: Lo Spettatore italiano, Vol.3\83 (1822), pp. 353-356, edito in: Ertler, Klaus-Dieter / Fuchs, Alexandra (Ed.): Gli "Spectators" nel contesto internazionale. Edizione digitale, Graz 2011- . hdl.handle.net/11471/513.20.855 [consultato il: ].


Livello 1►

Il can delle tombe

Citazione/Motto► Quis famulus amantior domini? Quis fidelior comes?
Quis custos incorruptior? Quis excubitor vigilan-
tior? Quis denique ultor et vindex constantior?

(Colum.)

Qual servo avrebbe più di lui amato il suo signore?
Chi saria stato più leal compagno? chi più incorrotto
custode? chi più vegghievole guardiano? chi difendi-
tore e vendicator più costante? ◀Citazione/Motto

Livello 2► Livello 3► Racconto generale► In Londra, ancor non è molti anni, viveva fra le tombe un essere sensibile ed infelice. Questo imitatore d’Arveo1 era un fedelissimo cane, il quale, per la morte del suo signore, rimaso senza modo dolente, non lo volle eziandio dopo l’estrema partita abbandonare. Tal sagrificio che di sè egli fece, testimoniarono coloro che vicin del cimiterio di S. Clavio dimorarono; e per li giornali che di questa pietosa storia ogni particolarità raccontarono, ne fu tutta la metropoli ammaestrata.

Quest’animale adunque, esempio e specchio de’veri amici, mai dal suo signore, quanto perseverò la infermità che a lungo andare l’uccise, non si fu disgiunto: e poi si vide il morto corpo ricuoprire nella bara, ed egli, lamentandosi a gran cordoglio, tennegli appresso fino [354] alla casa ch’è ultima a tutti. Compiute l’esequie e gli altri funerali officii, egli non che se ne ritornasse con la gente che lo allettava, anzi dentro il rotto di un monimento tutto scosso e crepato, che era di costa al luogo del suo signore, riparò e si stette. Questo nascondiglio, il quale appena il capea, fu il suo albergo, dove egli fuggendo l’usanza sì di quei di sua specie, e sì degli uomini, come in una sepolcral solitudine, pernottava e soggiornava, mai non se ne uscendo, salvo se forti bisogni della natura nol costringessero. Della diurna luce tanto a sè concedeva, quanto bastava a dover fare il tristo viaggio di là ad una prossima casa, dove ricogliendo di quelle cose che gittate gli erano a mangiare, faceva apertamente accorgere le persone che egli prendesse cibo per solamente aver vita a dolersi.

La bestiuola al suo signore fedele, non altrimenti che se egli ancora fosse tra’vivi, non più d’alcuno essere amica, anzi che cangiato avesse affetto, sarebbe stata martire della sua fedeltà. Perocchè nè benivoglienza che gli fosse mostrata, nè inviti a vita migliore che gli fosser fatti, nè liberal mano che un mantenimento, onde tant’uopo aveva, gli profferisse, furono da tanto, che egli ne invaghisse, e si recasse a mettere in oblío sola un’ora la cagione del suo dolore. Viveva egli non ad altro, che a guardia delle amate ceneri del suo benefattore: e da questo ufficio, che egli aveva assunto, nè diletti nè lusinghe ebbero mai virtù di rimuoverlo. Sì tosto come provveduto aveva sobriamente alle opportunità della natura, vie più che [355] di passò (perchè pareva increscergli del tempo sì male speso) tornava al suo amato diposito, e si risotterrava. Appresso tre o quattro dì che così era dimorato, egli si dimostrava per anche, tua tutto mesto e vinto, cogli occhi incavati, col pelo irto, portando tutti i segnali di lutto e di prigionia. Sembrava egli non sentire il beneficio dell’aria fresca e pura, come del dolce caldo del sole. Quella festa, quell’allegrezza che commove e intenerisce e trasporta il più gli altri cani, quando da lunga e grave soggezione liberati sono, in esso non fu mai vista. Tenne egli sempre una maniera, e quella sempre afflitta e compassionevole. Ora questa cattività e questo viver solingo egli a sua scelta sostenea: e nel suo passaggio dalla sua dolente casa a quella ov’egli aveva del pane, se alcuno della sua specie gli veniva incontrato, egli sì selvaticamente trapassava oltre, come se quelli non fossero stati de’suoi. Coi vivi in somma pareva avere ogni dimestichezza disusata, per usarla solamente co’morti. ◀Racconto generale ◀Livello 3

Ben dieci anni fra gli avelli visse questo fido animale: ed avendo ultimamente molto indugiato, più che non soleva, a farsi rivedere, si andò cercandolo nel suo ricovero, e sopra il sasso che la polvere del suo signor copriva, fu trovato morto. Io mi credeva che gli avanzi di questo fedele amico fossero stati sepolti presso allo stesso luogo dove riposava colui ch’egli amò tanto: m’immaginava di dover alcun monimento trovare, il quale ricordo fosse di così alto sagrificio, che tanto esempio da imitare [356] aveva dato alla gente; ma pare si avesse paura non al ricetto de’morti onta fosse fatta, se un essere d’ordine inferiore tra le create cose vi si fosse ricevuto; non rimembrando spesse volte gli uomini per la stessa divina Sapienza alla scuola degli animali essere rimandati. ◀Livello 2 ◀Livello 1

1Autore delle Meditazioni sulle Tombe.