Lo Spettatore italiano: Le carceri

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Le carceri

Zitat/Motto

. . . . . cruciatus, vincla, tenebras
Dilato mucrone parat. Proh! saevior ense
Parcendi rabies, concessaque vita dolori!
Mors adeo ne parum est?

Claud. in Ruf.

Tormenti, ceppi e tenebre apparecchia
Producendo il morir. Oh della pena
Più rio perdon cui rabbia elice! Oh vita
Al duol concessa! Or è sì poco morte!

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Chi non ha mai provato i mali della prigionia, non sa quanto sieno gravi e penosi; perocchè le più vive descrizioni in una imperfetta maniera soltanto ne rappresentano la noia e gli affanni onde un prigioniere trapassa nella solitudine i suoi dì. Ciascun nascente mattino che l’uomo libero richiama ad un piacevole consorzio, o ad utili occupazioni, risveglia quest’infelice ad una inerte esistenza ed all’amara considerazione de’suoi guai. Egli ardentemente desidera di rivedere l’aspetto di quelli che ama, e di udire il dolce suono della voce de’suoi simili. Ma lasso! niun piacere, niuna consolazione si appressa alla solinga sua dimora. Vittima di una fallace speranza e di una espettazione vana, egli vedendo le ombre notturne far ritorno, lacrime versa nel silenzio, e stanco dal suo tristo meditare, ultimamente cade in un breve sonno, da cui non si riscuote che per vie maggiormente sentire le sue disavventure. In fra tutti i mali che la vita travagliano dell’uomo, i più deplorabili sono forse quelli della prigionia; nè comparare a questi si possono i corporali patimenti, i quali se sono estremi, non tarda guari la morte a terminarli: senza che il morbo, coll’infievolire l’umana complessione, ammorta i sensi e rattempra quei dolori, la cui vista eccita terrore e pietà. Così i mali quasi tutti hanno in sè un naturale rimedio che di alleviarli e guarirli ha possanza; e quando nullo ve ne fosse, quella compassione stessa che la natura desta in chiunque vede le disgrazie del suo simile, scende qual salutifero balsamo sulle piaghe dello sventurato. Ma il solitario prigioniero manca di tutto ciò che potrebbe recargli qualche conforto; e chiuso in tenebroso carcere, lungi dallo sguardo di ognuno, egli è morto alla società, e vivo solo agli affanni della vita. Oh quanto s’ingannano a partito coloro che, avvisando di essere clementi e umani, la pena di morte commutano in una perpetua prigionia! La vita senza fallo vuol dalla legge essere tenuta siccome il dono più sacro dal Creatore largito ai mortali: ma è questo l’unico forse da essere rispettato pel legislatore filosofo? Colui soltanto che serra in petto un’anima vile, nè si vergogna di strascinarsi ai piedi or una or altra catena, colui ha ragione di estimare che per lo sciagurato in angusta carcere ristretto, ricoperto d’obbrobrio e di miseria, sia un bene la vita. Si compiangono i malvagi cui natura coll’aspra disciplina de’suoi mali castiga, e si procura di menomarne i patimenti, e di liberarli dal dolore: la quale pietà perchè i teneri cuori non deono poter sentire ancora per quegli sventurati i cui delitti hanno provocato il rigore delle leggi? Non basta adunque l’averli essi colla perdita della libertà espiati, se la severa giustizia non vi aggiunge altri tormenti? Se quelle triste mura ove la umana libertà fra’ceppi è racchiusa, per subita ruina cadessero, e per la prima volta ponessero alla luce del giorno gli sciagurati che ivi si stanno gemendo, chi mai compreso non si sentirebbe da orrore e pietà? A cui sofferirebbe il cuore di rimirare i suoi simili, forse più infelici che rei, transfigurati nel volto, illividiti dalle catene, da pochi cenci mal ricoperti, ammorbati da un aere spirante quasi il velenoso lezzo de’misfatti, e nutricati a stento di alcuno vil cibo che vale a prolungar loro in un colla vita i tormenti? E come chiuder l’orecchio ai gemiti della miseria derelitta, ai lamenti dell’innocenza non conosciuta, alle grida della disperazione che invoca la morte, come solo termine de’suoi patimenti? No, il vasto teatro delle umane sciagure non presenta uno spettacolo più commovente di questo, e più proprio a richiamarci ai sacri doveri dell’umanità. Visitando appunto questi alberghi del dolore, il benefico Howard s’infiammò di quell’entusiasmo di filantropia che fece il suo nome immortale; e chiunque non ha il cuore disumanato dal vizio, prova gli stessi sentimenti, e desidera di asciugare le lagrime dei miseri incarcerati, e di spezzare, od alleggerire almeno le loro catene.

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Allgemeine Erzählung

Ho io visitato parecchi di quei recinti destinati al delitto, i quali racchiudono, oimè! sì spesso l’innocenza: ed ora infra gli altri mi si para dinanzi il monte S. Michele, quello strabocchevole scoglio che nella baia d’Avranches s’innalza, ove erano un tempo i rei di Stato confinati. Aggirandomi io per quel teatro di regie vendette, fui in una torre condotto, nel cui mezzo aveva una gabbia, e là entro fremendo n’addai colla mia scorta. Quante vittime, dissi tra me, i cui nomi e le cui sventure sono nell’obblio, hanno pianto in questa orribil prigione. Quanti delitti ha il dispotismo commessi, che sepolti nel silenzio e nelle tenebre di questa rocca sono rimasi sconosciuti! In sul cadere dell’ultimo secolo, mi disse la guida, fu in questa gabbia ristretto uno sgraziato gazzettiere olandese che aveva ardito parlare di madama Maintenon e di Luigi XIV, come ne parla la storia. Il più vile tradimento, sotto colore d’amistà, strascinollo nella Fiandra Francese; ma non sì tosto ebbe egli posto il piè fuori dell’Olanda, che fu per ordine espresso del Re arrestato, e in S. Michele tradotto, ove questa carcere è stata per 23 anni la sua dimora e il suo supplizio. Oh! quanto affanno allora mi strinse il cuore! Pareami avere dintorno affollate tutte le vittime della tirannia; parevami ascoltarne i lamenti, e udirle gridare: Vendetta! vendetta! Pieno di sdegno e di compassione abbandonai frettolosamente quel luogo funesto; e la mia immaginazione da tanti orrori soprappresa avvisossi di vedere le torri e i merli di quel castello agitarsi e crollare, come complici delle crudeltà in quell’odioso recinto commesse.