Référence bibliographique: Giovanni Ferri di S. Costante (Éd.): "Il duello", dans: Lo Spettatore italiano, Vol.3\35 (1822), pp. 145-151, édité dans: Ertler, Klaus-Dieter / Fuchs, Alexandra (Éd.): Les "Spectators" dans le contexte international. Édition numérique, Graz 2011- . hdl.handle.net/11471/513.20.807 [consulté le: ].


Niveau 1►

Il duello

Citation/Devise► Falsus honor juvat, et mendax infamia terret.

Horat.

Falso onor ama, e scorno odia mendace. ◀Citation/Devise

Niveau 2► Niveau 3► Dialogue► Voi siete per incominciare a battere la carriera militare, disse il saggio Eurizio al giovinetto Polemo. Oh! di quanti scogli ella è mai seminata! L’evitarli oh! quanto è difficile! Io nol dispero, rispose Polemo, col prender sempre mia scorta l’onore.

Eurizio

Ma qual idea vi formate voi dell’onore? Vi andate voi persuadendo ch’egli sia sempre d’accordo con la ragione e con la virtù? Ch’egli, per vendicare le nostre ingiurie private, ne consenta il pigliar arme contro i nostri simili?

Polemo

È fuori di dubbiezza l’esservi dei casi in cui l’onore comanda vendetta delle ricevute ingiurie.

Eurizio

Adunque voi stimate che i Greci e i Romani, i quali non conoscevano duello, non ben sapessero che si fosse l’onore; e che a’Goti, a’Vandali ed altre masnade di barbari riserbato fosse l’addottrinarcene. Voi vel sapete: dell’istituzione del duello non abbiamo debito che con questi popoli, la di cui ignoranza ne [146] aveva statuita una legge ch’esigeva formalità e solenne cerimonial religioso. Tutta la loro ragione civile stava nei singolari combattimenti, quando i tirannelli feudali si resero supremi arbitri della guerra; e mentre così quasi legalmente procedea questo barbarico istituto, sembrava meno ingiusto e recava meno ingiuste conseguenze. Ma poscia che il potere delle leggi civili ebbe regolar forma e stabilimento, il duello, invece di esser tolto, cominciò a infuriar tra’privati. Ciascuno si tolse da sè, per ogni qualunque lievissimo affronto, quella licenza che per addietro chieder si soleva ai parlamenti, ai vescovi ed ai re. Fin che da giustizia ebber ordine e forma i duelli, erano radi: dopo che far vietati, si moltiplicarono in infinito. Se questo barbaro istituto per lo mezzo di due illuminati secoli fino a noi trapassò, colpa è delle cittadine discordie, della maggioranza de’militari studi, dell’usanza di portar per ornamento la spada, della grande influenza del bel sesso sull’ordine socievole, e finalmente dell’ozio e della vanità, affetti naturali nei sudditi d’un despota. Onde esser convinti che nessuna parentela ha con l’onore il duello, basta il conoscerne la storia.

Polemo

Non so io vedere, come contra ragione e senza qualche grande utilità egli potesse venire in uso, ed essere sì generalmente abbracciato. Sonovi certe offese dalle quali non ci vendica la legge: or si dovrebbero pazientemente ricevere l’onte e i dispregi?

[147] Eurizio

La legge è posta per temperare le vostre passioni; e pretendereste voi ch’ella ponesse mano alle armi per servir loro? Che parlate voi di onte e di dispregi? Se vi si dà una ingiusta mentita, sarà forse men vero ciò che avrete detto? Chi vale a spregiarvi, se spregevol non siete? Che se il torto è grave, ve ne riscuote la legge; s’è lieve, la buona coscienza nol cura, la magnanimità lo perdona. Non obbliate giammai che nulla v’è da punirsi nell’ingiuria se non il torto che reca alla società. D’altronde, qual cosa è che più ripugni che il volere, per opinione d’un torto avuto, farsi uccidere, e porsi a pericolo, per desiderio di vendicarsi, di cadere inulto: o dichiarar d’avere ingiuriato altrui, e per soddisfargli svenarlo?

Polemo

Due che spontaneamente convengono di ricidere loro stessi a corpo a corpo la lor quistione, altro non fanno che usar il natural diritto che a ciascun compete di finir la sua vita.

Eurizio

E fosse anche vero che l’uomo socievole, che il cittadino possedesse il moral diritto di uccidersi, che v’ha di comune infra un duellante ed un suicida? Il duellante vuole egli la sua morte? no, vuole l’altrui: ecco la volontà che fa contro la legge, e merita pena. Quando il suicida si spoglia della vita, spogliasi d’ogni diritto, e per conseguente d’ogni dovere sociale; egli si è fatto straniero alla società. Ma il contrario avviene del duellatore; perchè egli [148] ritenendosi sotto la guardia della legge, ne rimane anche sotto il dominio.

Polemo

È il duello una ugual sorte, alla quale d’assoluta voglia noi ci mettiamo: ciascun giuocasi la vita, non altrimenti che uno arrischierebbe le sue contro le facilità d’altro giuocatore: e da questo chi con giustizia ci può distornare, chi può interdirlo?

Eurizio

Chi? Noi, la società, il consentimento universale, la legge che tutti i disuguali giuochi divieta. E dove è più fieramente disugual giuoco di questo? La forza, la disposizion, l’arte, e sopra ogni cosa, il valore de’combattenti, e il prezzo e l’utilità della vita che si giuoca, tutto ne induce inuguaglianza. Se un reo uccide un giusto, o uno sciocco un uom d’intelletto, non è la società che rimane perdente in questo illecito e crudel giuoco? Voi state ancora in forse se alla società appartenga il diritto di proibire e gastigare il duello. Dunque non concedete ch’ella possegga il diritto di condannar le uccisioni e i micidiali? Ma voi avete diligentemente bilanciato mai questo diritto della vita e della morte che sopra i vostri simili di sì buona fede v’arrogate? Ignorate voi forse che esso non ispetta che al corpo sociale (se pure gli spetta) e solamente in quel termine che presuppongono le leggi? In questa guisa ciascun omicida occupa la somma potestà; anzi esercita la tirannia.

Polemo

Sieno quali vi vogliate i disordini del duello, [149] è fuor di lite ch’egli presta le sue utilità. Non avvalora ei gli uomini, non li dispone addestra al mestier dell’armi? Non sostena egli la militar disciplina?

Eurizio

Muover non si potrà dubbio se i Greci, i Romani, quei maestri del mondo, sapessero che fosse valore: eglino non erano vili certamente non perciò facevansi un giuoco dello scempio de’loro concittadini. Inutili arnesi erano fra loro nella pace arco, spada e scudo. Nè gli Scipioni, i Pompei, i Cesari erano meno nobili e meno valorosi per non portar cinto un micidial ferro per Roma, o in senato, o nei templi, o nei teatri, o in casa de’loro amici. Bello contrassegno in vero di nobiltà l’andar sempre apparecchiato a spegnere un cittadino! Il duello, voi dite, alimenta il genio militare: e qual cosa più ad estinguerlo mira, di un furor intollerante d’ogni ordine, d’ogni disciplina? Nè il gran Gustavo Adolfo, nè il gran Frederigo sognaron mai che, a tener vivo il coraggio negli uffiziali e ne’soldati, dell’uso del duello fosse uopo.

Polemo

Pur, se non altro, questo mi darete, cioè, che da quell’uso si sia derivata ai moderni quella convenevolezza che tanto ornali, e quella onestà che tanto alla conversazion degli uomini si richiede.

Eurizio

Quale sconcia idea voi dareste dei moderni costumi! Dunque siam noi sì barbari, che a farci stare in officio e in cortesia tra gli amici [150] o e i cittadini sia di necessità una pistola o una spada? Nulla ne’bei giorni della Grecia e di Roma esisteva di somiglievole ai duelli; e pure nel socievol commercio regnava sopramodo l’urbanità e la cortesia. Codesta usurpata convenevolezza, per lo cui nome non si potria chiamare un sentimento che o di benevoglienza, o di vera onestà sapesse, lungi d’accrescer le dolcezze del viver civile, n’è il maggior distruggimento. Ella è appunto che ci contende il disvelare i segreti di tanti malvagi a noi cogniti, e che ci distorna dal proteggere colla nostra voce la calpestata innocenza. Quanti vili se ne vanno a testa alta, fidati che a nessuno dà il cuore di rinfacciar loro le lor turpitudini e sceleratezze! Essi sfidano il meritato dispregio per la certezza che nessuno dirà loro in sul viso quanto sieno dispregevoli. In sì fatta guisa gli uomini dabbene altro non sono che censori senza lingua, di cui non paventano la colpa e il delitto. Oh! quante male cose tra gli antichi per timore di una rigida censura non furono mandate ad esecuzione! Non doveva potere levar la fronte chi reo si sentiva, senza sbigottirsi, e nell’uscir di casa dovea dubitar molto non dal primo che in lui s’avvenisse, gli fosse detto: Io ti conosco, tu sei un ribaldo. Ma lo stesso austero Catone avrebbe egli ardito di aprire il labbro per fare arrossir alcun perverso cittadino, se al più leggiero rimprovero che far gli poteva, avesse avuto a trovarsi nella fiera necessità o di perdere la sua, o di torre la vita altrui?

La giustizia e la ragione condannano del pari [151] il duello; ma ad aver in abbominio uso sì barbaro, basta il non esser affatto privo d’ogni senso d’umanità. Allorquando si va ad afferrare l’arme micidiale, come è possibile che non dicasi fra sè: Io ho pur padre, madre, moglie, figliuoli, amici, a’quali vo io a distruggere il ben loro, la loro consolazione, il lor maggior sostegno! Che cordoglio, che disperazione fia la loro, quando dal campo della sventurata battaglia io trafitto e pallido e freddo sarò lor davanti recato! E se vinco, non sarò io stato infelice causa di pianto ai congiunti ed agli amici del mio avversario? Potrò mai rimembrar quel misero caduto sotto ai miei colpi, e non parermi vederne la desolata famiglia raddomandarmi un figlio, un marito, un padre? E come mai m’uscirà di mente il sangue del mio simile, di che m’avrò le mani imbrattate? sempre, mai sempre starammi innanzi la sanguinosa ombra: mi perseguirà nel silenzio delle notti, e nel mezzo de’più clamorosi piaceri. Non vi sarà più per me nè gioia, nè riposo. Non altrimenti che il primo omicida, io crederò di udir sempre una spaventevol voce intuonarmi: Che hai tu fatto del tuo fratello? Ah! fin d’ora lo sento, io non oserò di rispondere: L’ho immolato all’onore. ◀Dialogue ◀Niveau 3 ◀Niveau 2 ◀Niveau 1