Non è la inglese delle nazioni
moderna quella che con meno vantaggio abbia posto suo studio nella
scienza morale, così per quanto appartiene a teorica, come per
l’applicazione de’suoi principii; ed ella nell’arte di ritrarre i
costumi e i caratteri non la cede ad alcun’altra. Ancor quivi i
poeti andarono innanzi ai prosatori. Chaucer, tenuto padre della
inglese poesia, visse al tempo di Petrarca e Boccaccio. Dodici
volumi di poesie compose principalmente di favole, ed a modo delle
novelle del famoso Italiano, nelle quali egli ritrae molto bene i
costumi del suo secolo; ma a simiglianza del suo esemplare poca
morale contiene. Al presente appena intendono il suo linguaggio
gl’Inglesi: ma non isdegnarono Dryden e Pope di ringiovanire una ed
altra delle sue vecchie favole, alle quali nè invenzione fallisce,
nè interesse.
Primo che di poetico stile dotò l’idioma inglese, fu Spenser, il
quale a Shakespeare precorse pochi anni. Dapprima egli mandò fuori
il Calendario de’Contadini, raccolta di
egloghe da certi critici inglesi comparate per la semplicità
naturale a quelle di Teocrito. E nel vero egli tien dietro alla
natura; ma talora l’appressa troppo, e i contadineschi costumi
dipinge troppo rusticamente. La fama di Spenser si levò massimamente
per la Regina delle Fate, poema cavalleresco,
nel quale imitò l’Ariosto. Furioso, e come quegli, nel cui poema risiedono moltissime
allegorie che le passioni, i vizi e le virtù qualificano, è più
morale; non però ch’egli non istia molto sotto all’immortal
Ferrarese per lo ingegno poetico; il perchè la Regina delle Fate non è il più letta che dagl’Inglesi,
laddove in tutte le lingue è trasportato l’Orlando
Furioso.
Cowley, nato nell’anno 1618 e morto nel quarantanovesimo di sua età,
si riputava il maggior degl’inglesi poeti, tranne Spenser e
Shakespeare, fino a che non godè Milton della postuma sua fama. Le
sole odi anacreontiche di lui si leggono, laddove l’epico suo poema
della Davideide non ha più memoria.
Milton, pochi anni più giovane di Cowley, diede alla inglese poesia
più ardite ale, levandola non solo all’altezza della epopeia, ma
fino ancora ad un segno di sublimità che per avventura nè poeta
antico nè moderno vi aggiunse. Quanto all’effetto morale, e non più
oltre, noi vogliamo considerare il Paradiso
perduto, e con Johnson notiamo essere tutto ideale il
soggetto del poema, nè mostra che sia fatto per l’uomo. Paradiso perduto
è di que’libri che il lettore ammira, lascia e dimentica. È più
dover che diletto la sua lettura.”
Parecchi altri inglesi poeti dietro a Milton si sono messi per
l’epico campo; ma nessun vi corse con tanto vantaggio, che di aver
luogo appo lui fosse degno. Per la qual cosa noi di que’soli che
alcuna fama acquistarono, qui parleremo. Nel suo Leonida trattò Glover uno de’più magnifici argomenti che
alla poesia possa prestare l’antica storia: tali sono i miracoli
dell’amor patrio, onde al diluvio de’Persi fecero argine i Greci.
Intende il poema ad istillare le virtù di repubblica. Nobili sono e
magnanimi i sentimenti, i caratteri con verità pennelleggiati, e lo
stile alto, preciso e gagliardo. Ma non fu Glover tanto poeta, che a
sì bel soggetto sapesse dare tanto interesse quanto ne potea capire.
È scarso d’immaginazione, nè gran fatto colpisce il contrasto
de’costumi greci e persiani, de’quali poteano sì splendide uscire e
sì differenti pitture. Glover morì nel 1785.
Ripone l’Inghilterra nel primo ordine de’suoi viventi poeti i signori
Roberto Southey e Walter Scott, ciascuno de’quali ha pubblicato in
dieci anni quattro poemi. Da prima il signor Southey produsse in
mezzo il poema di Giovanna d’Arco, composto
in sei settimane, senza badare che a dovere scrivere per la
immortalità non si vuole risparmiar tempo. Fu soggetto del secondo,
intitolato Madoc, lo scoprimento del Nuovo
Mondo successo ad un principe Gallese nel duodecimo secolo, e la
stanza che di lungo Thalaba
Distruttore, terzo poema del signor Southey, dimora una
fantastica mescolanza della mitologia de’Persi, delle invenzioni del
Koran, delle superstizioni di Europa. Similmente la Maledizione di Hehama, ultimo poema di questo
autore, è tutta edificata sulla mitologia degl’Indi, poco conosciuta
e meno dilettevole. Questi poemi nè sono ordinati nella lor tela, nè
verisimili nelle finzioni, nè punto naturali in verun forse de’loro
caratteri. Poco si briga il signor Southey di dipingere le umane
passioni; e que’sentimenti che meglio significa, toccano le cose di
famiglia, e specialmente la puerizia: il che legato ad uno
strabocchevol gusto del mirabile e del gigantesco, non che alla
smania di tutto gaiamente descrivere, lo ha fatto di puerilità
biasimare. Afferma il signor Southey, ch’egli non si propose mai di
scrivere nel genere epico, giusta la sua opinion tralignato; e
dimanda ch’uomo nol giudichi sotto le leggi di Aristotile, come se
fuor di ragione e di natura elle fossero. Si diede egli solamente a
compor poemi romantici, il cui genere pare aver qualità di mescolare
ogni stile, di accidenti inventare senza conformarli al vero ed alla
umana esperienza, e di strabocchevolmente adoperare tutte le sovrane
potenze, fate, incantatori, maghi, folletti, diavoli ec., e così
rinnovare le vecchie favole e le più irragionevoli superstizioni.
Veramente, dopo siffatte novelle
Similmente, per non apparire imitatore, il signor Scott si è dato al
genere romantico. E per certo chi senza disegno scrive e senza
regole, non può temere di somigliare ad altrui. Ma non però che a
tutti i poeti romantici sia naturale la irregolarità: che le più
volte deriva da una imitazione sì facile come biasimevole. Nel
poetico ingegno il signor Scott è più alto del suo emulo signor
Southey, e più vario, più giocondo e men disuguale. Ma tutto che
abbia meno difetti, gli è pari nell’abuso della miracolosa facilità
sua, da che egli ancora in breve tempo quattro poemi ha pubblicati,
il primo de’quali ha per titolo il Canto
dell’ultimo Bardo, ricco di descrizioni e di bellissime
dipinture dei costumi e delle usanze che nel sedicesimo secolo
tenevano i montanari di Scozia. Il secondo è Marmione, romanzo di cavalleria tratto dai tempi di Enrico
Ottavo, dove il poeta, per fuggire imitazione, invece di formare un
eroe di magnanimità e di fede, lo ha fatto barbaro e disleale. Il
terzo è la Visione di Roderico ultimo re dei Goti
in Ispagna, che la Donna del Lago, più romanzo che poema, in cui seggono le
scene e le costumanze medesime del Bardo; ma nell’universale questo
componimento alletta più che nessun altro dei signor Scott, per una
pittura di caratteri più variata e più fedele.
Pare che gl’Inglesi si accordino nel largire a lord Byron il primo posto nel Parnaso romantico; nè si può a lui rifiutare il vanto di avere ingrandito la romantica letteratura colle molte sue poesie, le quali lo han fatto venire in fama nell’Europa. Perciocchè fornito di un singolar genio, dall’estro e dalle passioni animato, sdegna le regole dell’arte, e si lascia portare da tutti gli affetti che prova e da tutti gli slanci della immaginazione: onde nelle sue poesie si ritrova per tutto non pur l’impronta del suo carattere e l’istoria della vita e delle sciagure sue, ma i pensieri, i desiderii e le passioni sue sotto mille forme diverse. Ora si finge corsaro ed or rinnegato, e tale altra volta si pone alla testa di un popolo in rivolta; ed ogni ora il leggitore intentamente lo siegue, trovandolo ogni ora originale, e veggendo gli obbietti rappresentati coi più forti e più vivaci colori. Un’altera misantropia, un superbo fastidio della vita, una inclinazione a locare gli eroi in orribili e straordinarie situazioni, questo ancora è ciò che lo divide dagli altri poeti.
Se l’unità dell’azione è qualità più essenziale in un poema che un
ordine regolare, si può per non avere scritto affine di scrivere,
e per essersi egli immerso tutto quanto nelle sue poesie,
siccome dice egli stesso: vivrà, perchè il suo
libro, come quel di Montaigne, è egli
stesso.
Se cercasi qual è l’effetto morale delle sue poesie, non è cosa
agevole a discernerlo, e spesso ancora si stimerà che elle producono
un effetto contrario. Troppo sono fuori del comun ordine e della
verisimiglianza le favole da lui inventate, da poter offerire esempi
che nella condotta della vita sieno applicabili. Studia egli e
ritragge la natura; ma vedela a traverso di un nero prisma, il quale
non porge le giuste proporzioni degli obbietti, ma gli esagera, e
lor dà sempre una tinta lugubre e bizzarra. Dipinge ognora le
impetuose passioni con
Non ci piglieremo l’incarico di dar quivi contezza dei diversi poemi
di lord Byron. È noto che giovane ancora egli ha pubblicato dieci
volumi di poesie; fecondità ordinaria a’poeti romantici, e che è per
avventura originata così dalla facilità di quel genere, come dal lor
genio. Noi faremo solo menzione di quello che per la sua qualità dee
più particolarmente allettar gl’Italiani, intitolato le Profezie di Dante. Elle sono le espressioni
del senso di dolore cui lo straniero prova alla vista di questa terra d’Allori e di Rose, come la
chiama lord Byron, tanto cangiata dopo i secoli della sua gloria. Ma
è da dolere che questo poeta, siccome quasi tutti gli stranieri che
hanno scritto dell’Italia moderna, abbiano trascurato di mostrare le
vere cagioni di questo mutamento. Il celebre istorico Sismondi è il
solo che le abbia indicate nell’ultima parte della sua Storia delle
Repubbliche italiane dell’età di mezzo.
Ai predetti due poeti non mancano imitatori fra quei tanti ingannati
dalla novità, dall’esagerazione e dal falso fuoco. Se non che nella
sua Geltrude da Wyomin, annoverata fra i
poemi romantici, il signor Tommaso Cambell non si è lasciato
abbarbagliare ai matti lampi del nuovo stile; ed a quello dei
classici inglesi si è tenuto stretto, seguendo natura per modo, che
se alcuna volta l’arte apparisce, non è mai l’affettazione di
quella, e neppure della
Assai presso gl’Inglesi è coltivata la poesia eroicomica, ovvero
l’epopeia scherzevole, come essi la chiamano, di cui senza
contraddizione il miglior poema è il Riccio
rapito di Pope. Ma qual che sia la sua bellezza, nè si può
al Leggío di Boileau preporre, nè pareggiare,
come certi critici inglesi hanno fatto. Cede a questo il poema di
Pope non che per lo poetico stile, ma per l’invenzione ancora, e per
la dipintura dei costumi e dei caratteri. Dopo aver formato in due
canti il suo poema, corse alla fantasia di Pope che fosse da
cacciarvi entro il maraviglioso; e immaginò le favole de’Cabalisti,
i Silfi, i Gnomi e tutti i popoli aerei; salvo che queste
meraviglie, le quali non appartengono alla sustanza del soggetto,
nessuna Opera vi fanno di piacere nè di allettamento. Se pogniamo
mente ai caratteri, che vogliono dire il Barone e Belinda, e la
contegnosa Clarissa e Talestri, e il cavalier Penna, e Ariel silfo,
e Umbriel gnomo? Il poeta non dice nemmeno chi fossero Belinda e il
Barone, e quali attinenze avessero tra loro. A nessuno de’suoi
personaggi è data una figura drammatica. Certo le allegorie sono
ingegnose, e più quella della Melancolia, cioè della Dea dei Vapori.
Ma in paragone di quella della Mollezza, Leggío inframmessa, son fredde.
Similmente la battaglia delle aste contro i fiori e dei cori contro
i quadri, ovvero la strana contesa degli uomini e delle femmine, la
quale fa fine al poema, ed ove Belinda con un fumo di tabacco e con
un ago di testa abbatte il Barone, non sono possibili a compararsi
agli artificiosi ed acuti e satirici combattimenti dei cantori e dei
canonici del Leggío, che tutti i libri della
bottega di Barbin si gittano in capo. Gli esseri o naturali o
immaginati che impiega Boileau, sono di necessità tutti e ne
conseguono effetti grandissimi. La censura dei costumi, sempre
dipinti al vivo, diviene per un suo delicato scherzare più mordace.
Laddove altro non dà Pope se non se una censura molto comunale
contro gli zerbini e le civette; e la sua maniera di motteggiare, la
quale consiste nell’approssimare un grande ad un piccolo oggetto, è
frigida, e più quando è replicata De La Harpe, Oeuvres diverses, tom.4..
Da un amico di Pope, Gay, fu composto sul Ventaglio un poema, nè senza leggiadria, nè senza piacevolezza; salvo che poco diletto porge al lettore una finzione mitologica dilungata in tre canti. I costumi e i caratteri che vi ritrae, sono l’immagine delle moderne conversazioni che bizzarria condisce e ridicolezza.
Quasi general giudizio dei critici inglesi pone dopo il Riccio Rapito l’Arte della Danza di Jenyns,
poema più morale che didattico, come quello che appresenta
dilettevoli pitture, caratteri
Come nelle altre nazioni, così fra gl’Inglesi l’arte drammatica ha
giovato alla dipintura dei costumi e dei caratteri; e si può bene
affermare che la libertà di che godono, porse agio ai drammatici
autori di trattare vie più soggetti, e quelli con più spazio
disviluppare. Indi è certamente che le passioni di lor tragedie sono
animate d’un fuoco che generalmente non arde presso gli altri
popoli; e nelle commedie loro sentesi quell’humour, cioè quella tempra di gaiezza satirica che le fa
singolari. Ma questa libertà trapassata in licenza due danni ha
causati, i quali rendono da qualche lato il loro teatro da meno che
l’antico e il francese. Il primo sta nel disprezzo delle regole, per
cui spesse volte confondono l’un genere con l’altro, e scemano il
verisimile; il secondo è una sfrenatezza che li conduce a guastar la
convenienza e l’onestà, e che la pittura dei costumi e dei
caratteri, la quale d’altra parte è fedele, fa viziosa.
Cinque autori a se stessi coetanei son per gli Inglesi tenuti padri
del lor teatro, e questi sono Beaumont, Fletcher, Shakespeare, B.
Johnson e Massinger. A volere rigidamente giudicare, nè tragedie, nè
commedie sono i drammi di questi scrittori, ma componimenti d’una
specie particolare, formati di persone serie e comiche, e di casi
aspri e piacevoli. Shakespeare tutto che maggior d’ingegno che gli
emuli suoi, pur non porse loro esempio di sè, anzi ne fu minore in
genere per la conoscenza dell’arte. Si
Shakespeare è il poeta della natura, che porge al lettore uno
specchio fedele dei caratteri e dei costumi. E nota che non sono
espressi i suoi caratteri dalle usanze de’luoghi, nè dagli atti
particolari di certe abitudini o mestieri, nè dagli accidenti di
transitorie opinioni, o di mode fuggitive: ma sono attinti dal fondo
della umana natura, di quella, dico, che in tutti i tempi e in tutti
i luoghi d’uno stesso aspetto appresentasi. Nè operano nè parlano i
suoi attori che per lo incitamento dì queste universali passioni che
toccano tutti i cuori, e il movimento di tutto l’ordine del mondo
morale ritengono. Per la qual cosa negli scritti di altri poeti più
fiate un carattere è un individuo, quando in quelli di Shakespeare è
le più volte una specie. Similmente gli altri poeti drammatici non
sanno allettare ed attrarre altrui se non caricando i caratteri,
facendo eccedere i vizi e le virtù, e fare e dire per modo ai loro
attori che mai così non fecero nè dissero gli uomini; onde chi li
vede in teatro, non li ravvisa nel mondo. Le più lontane cose
Shakespeare avvicina, e semplici rende le più mirabili; e scolpisce
Biasimo a Shakespeare fu dato dell’essersi più brigato di dilettare
che d’ammaestrare, di avere per la convenienza tradita la virtù, e
di aver scritto senza proponimento morale.
D’una rampogna che non ha men fondamento è rimorso Shakespeare, cioè
di essere detrattore della più bella metà del genere umano. Non
Beaumont e Fletcher, i quali faticarono tanto insieme, che quello che
a ciascun s’appartenga non si discerne, composero drammi misti, come
fece Shakespeare, in cui molto signoreggia la parte comica. Molta
fantasia e belle scene s’incontrano nei loro componimenti; ma
traboccano
Più regolare di Shakespeare ne’suoi componimenti è B. Johnson; nè
scarso è di drammatico ingegno; e per la vera è gagliarda dipintura
delle passioni e dei caratteri piacerà sempre. Dottissimo era, e
grande intenditor degli antichi classici, da sè le più volte anche
troppo servilmente imitati. E questa è la ragione perch’egli ha una
sembianza artificiata e pedantesca che lo allettamento diminuisce
delle sue composizioni. Di B. Johnson due tragedie vanno a torno, la
Caduta di Seiano e la Congiura di Catilina; nelle quali si commenda la verità
della storia, la gravità dello stile e la gagliardia del sentimento.
Le migliori sue commedie sono l’Alchimista,
Ciascuno a suo modo ed il Furbo, ch’egli italicamente ha intitolato il
Volpone.
Ai quattro scrittori drammatici onde abbiamo tatto di sopra menzione, non cede punto Filippo Massinger; e quanto durerà la lettura e la lode delle Opere di Shakespeare, tanto le sue fian lungi dall’obblivione. Sicuramente della invenzione, del bello stile, della forza satirica e comica e della conoscenza degli uomini è egli da lodare; se non che troppo oltre ha sospinta la libertà della lingua. E per avventura i suoi componimenti sono meno regolari che quelli de’suoi contemporanei, e la trama n’è talora sì difettosa che par se ne muti l’azione.
inspirato (così lo appellano alcuni critici
inglesi, perchè partorì que’fortunati ingegni i quali tutto alla
natura e niente sembran all’arte dovere), è chi ripone anche
Giovanni Ford, più irregolare e minor di loro nel genere comico, non
ostante che abbia scene degne di Shakespeare. È più che in altro
eccellente nel rilevare i caratteri e i costumi della giovinezza e
delle donne.
Il terzo seggio nello inglese Parnaso generalmente concedesi a
Dryden, che scrisse ancora per teatro ventisette Opere. Nè di vita,
nè di vigore, nè di moto le sue tragedie abbisognano; ma patono
grande sconvenevolezza di linguaggio e di carattere. L’Antonio e Cleopatra, il Don
Sebastiano e l’Aurengzeb sono le sue
commedie, e la più parte così sfrenate e colme di tanto scandolo,
che dopo la prima rappresentazione furono vietate. Dryden s’accorse
da se stesso di non avere grande ingegno drammatico; e Johnson dice
che ciò che ha di passione e di comico, non par gli venisse da
natura, ma dagli altri poeti; e che questo se non gli accade sempre
come ad un copiatore, gl’incontra almeno come ad uno imitatore.
Faticò Dryden alcune volte con Nathaniel Lee, e specialmente nella
tragedia del Duca di Guisa. Di questo ultimo
la tragedia migliore è Teodosio, ovvero La forza di Amore, ed ha molte scene
affettuose e calde; ma la tela è da romanzo, e la passione
esagerata.
Molto da più che Dryden è Otway, e forse dopo Shakespeare il miglior
Tragico inglese. Morì Orfano e Venezia
salvata sono le migliori sue tragedie. Aveva tragico
l’ingegno; e ritrasse le passioni con la forza e col linguaggio lor
proprio: nè altro autore è più vivo, nè più commovente, nè di
maggior effetto in teatro. Ma non v’ha, secondo che Blair dice,
verun autore tragico che sia meno morale di lui. Perciocchè, invece
di concetti forti e magnanimi, egli spira le più volte un alito di
licenza, e per entro gli accidenti più tragici adduce laidezze e
pensieri disonesti.
Alle tragedie di Otway perfettamente si contrappongono quelle di
Rowe, come di colui che di alte e morali sentenze le ha piene, e
muove amore alla virtù. Che se questo autor tragico non trae fuori
con molta forza nè di profondo le passioni, e poche volte induce
terrore e compassione; pure serva regola e misura ne’suoi
componimenti, non è scarso di commozione, ed il suo stile è sempre
naturale, leggiadro e poetico: per la qual cosa a lui più che a
Otway sta bene il soprannome di Racine
inglese. La Calisto, ovvero la Bella Penitente, e Giovanna
Shore, sono le più grandi Opere di Rowe.
Quantunque più nominanza abbia Congreve per le sue commedie, pure
scrisse una tragedia, la Sposa in lutto, ove
sono di belle situazioni e scene molto eloquenti, e singolarmente i
due primi atti sono maravigliosi. Questo componimento mostra assai
bene che Congreve aveva ingegno per entrambi i generi drammatici,
non ostante che nel tragico spesso egli non sia naturale, nè
semplice.
Catone, tragedia del
celebrato Addisson, è tenuta e commendata nel teatro inglese per la
più regolare. Ma che vai questa regolarità in un componimento la cui
tela è soverchiamente nodosa, ed ove è poco moto, e le secondarie
passioni, vuote d’interesse, infreddano eziandio quello dell’azion
principale? Catone; e sì nei sentimenti di virtù e di
amor della patria, dei quali è sparsa, nella morale forma dei
pensieri che la nobilitano, e sì ancora nello stile sempre alto,
ornato e semplice.
Le predette tragedie del teatro inglese, dopo Shakespeare e suoi
coetanei sin verso l’uscita del secolo diciassettesimo, son le
migliori. Nè le commedie fatte entro lo stesso tempo son già da
meno; salvo se dir non si volesse, aver quasi tutte il vizio di
ritrarre i malvagi costumi in guisa che n’è scandalo: il perchè non
che esse producano un effetto morale, passano i termini della
convenevolezza e della onesta. Nel detto tempo i più grandi autori
comici furono Cibber, Vanburgh, Congreve, Farquhar, Steele eo.,
de’quali il primo scrisse ventisei drammi, che sebbene parti d’un
ingegno comico negligente e il Marito
provocato, ne rimasero. Quella, eccettuata una scena, anzi
dissoluta che no, mostra un fine morale assai notabile. Questa, che
fu da lui composta in compagnia di Vanbrugh, è senza questione l’una
delle più buone commedie del teatro inglese, non ostante che
l’intrigo sia doppio: ma naturali sono i caratteri, comiche le
situazioni, e pieno il dialogo di sale e di gaiezza. E perciocchè
onesta e costumata abbastanza è la censura dei vizi e dei ridicoli,
maraviglia è che due scrittori tanto sfrenati abbiano una volta
potuto fra i moralisti introdursi.
John Vanbrugh di quel medesimo ingegno comico fece mostra nelle due
migliori sue composizioni, che sono la Moglie
provocata e i Recidivi, come che
tratto tratto egli rompa le leggi della convenevolezza e della
modestia.
Originale scrittore, il quale nella sostanza de’suoi componimenti,
come anche nel dialogo, non imita persona, si è Congreve. I suoi
caratteri sono sollazzevoli, ma poco naturali alcuna fiata; e i suoi
dialoghi, tuttochè salsi e vivaci assai, spesso sono troppo composti
e troppo artificiali, nè somigliano la conversazione di gente
eziandio dotta e letterata. Disse Johnson: Furbo, la Scuola
del Mondo, l’Amor per Amore; e nota
che quest’ultima più che l’altre contiene la dipintura fedele ed
onesta dei costumi.
Men corretto e men forbito di Congreve è Farquhar, se si dee come uno
scrittor considerare; ma più forza comica, ed un più liscio e più
naturale andamento e più buon’aria possiede. Sventura fu che non
abbia egli con più modestia scritto. Le sue migliori commedie sono
gli Stratagemmi d’un Zerbino e l’Ufficiale arruolatore.
Gay, nell’Opera dei Pitocchi, fa sembiante di
volere alla licenza dei Comici suoi coetanei fare una mala aggiunta,
quando non che malvagi costumi, ma colpe e misfatti mise sulla
scena. Conciossiachè nel suo dramma il principale personaggio fosse
un ladro di strada, il quale non faceva altro mestiere, e per
l’ingegno, e per l’ardire, e per la generosità, e per le altre buone
sue doti si rendeva un uomo degno d’imitazione. Per la qual cosa
furono parecchi giovani che caduti in prigione per ruberie sopra la
strada commesse, si vestirono il carattere di Macheat, nè altrimenti
si governarono che questo eroe dell’Opera dei Pitocchi: e Fielding, ufficiale di polizia, non pur sulla
sua fede affermava che qualunque volta si rappresentava questo
dramma, tanto cresceano gli assassini; ma richiese ancora che la
rappresentazione si dovesse interdire.
Steele, più noto assai come autor principale Spettatore, più commedie scrisse, le quali
non sono state dal teatro rimosse. Sono esse nel genere del dramma
misto, e rispetto alla morale non meritano riprensione.
La sfrenatezza dei comici scrittori onde abbiamo finora trattato, più che altrove, è notabile nel modo con che i caratteri delle donne disegnano, perciocchè non introducono mai queste se non sono di cattiva vita e scostumatissime, ovvero spigolistre sotto una ridicola affettazione. Laonde saria da far quistione, se a que’tempi si conoscessero donne amabili e virtuose. Vero è che contro questa licenza di teatro presero le armi i moralisti; ma nessuno ne riuscì meglio di Collier, il quale con una scrittura vigorosa ed ardente fece vedere che il teatro, dovendo essere la scuola de’buoni costumi, se trascorre in licenza, divien dannoso e micidiale alla società. Gli risposero Congreve e Vanburgh, assottigliandosi per giustificar se stessi e quei della lor gara; ma provocaronsi una replica siffatta che li strinse a tacere. Tanto di vita ebbe Collier, quanto potè vedere il cominciamento della riformazione del teatro.
Fu perseverato nell’ultimo secolo a dovere il teatro inglese
correggere, non che per quanto all’arte, ma per quanto ancora
s’appartiene al fine morale. Conciofossechè sanamente poi
s’intendesse che se il non servar regola porge all’autor drammatico
più modi e più vie per movere affetti dolci e terribili, da ciò non
può venir così continuata illusione e così compiuta, come dalle
grandi Opere del teatro greco e francese suole procedere. Il famoso
Young compose Vendetta, come che patisca difetto di
patetico e d’interesse, fa fede d’uno ingegno drammatico. Disse
Johnson: Tancredi e Sigismondo; perciocchè questa tragedia, tra per
lo andamento e i caratteri, e per li sentimenti vince di tanto la
Sofonisba e lo Agamennone, che fra le più buone inglesi risiede. Per
simile si dà lode al Barbarossa e all’Atlestano di Brown, all’Irene di Johnson, al Gustavo Vasa
di Brooke e al Carattaco di Mason. Poche
tragedie sufficienti ad accender amor della patria e della libertà
sono da comparare a queste ultime due. Dopo le tragedie di Rowe, il
Douglas di Home è tenuta la migliore che
sul teatro inglese apparisse: salvo che alcun pregio le toglie
l’aver molto preso dalla Merope del Maffei, e
l’aver imitato anche l’Alzira di Voltaire. Le
altre tragedie di Home assai son da meno che il Douglas. Tenne appresso Voltaire sullo stesso argomento
Murphy nel suo Orfano della China, sebbene
con altro ordine; se non che venne a lui meglio fatto di riprendere
che non di pareggiare quel gran poeta. Non pertanto la sua Donzella Greca torna spesse fiate sul teatro
inglese, e non è mai che non porga diletto.
Giuocatore
di Moore e la Carmelita di Cumberland, drammi
pieni di commozione, d’interesse e di moralità, come qualunque altro
nella schiera delle tragedie. Entro la prima gli effetti della
sventurata passione del giuoco sono per maniera descritti, che
gagliardamente feriscono gli animi.
Ancor più dame inglesi seppero entrare nello stuolo de’tragici
autori: ma qui farem solamente menzione della signora Anna More e di
madama Baillie. Quella molte tragedie scrisse, delle quali una sola,
nominata Percy, fu posta in sulla scena e ne
riuscì bene; la quale tutto che sia imitazione di Gabriella de’Vergi di Du Belloy, vince pure l’originale.
Questa poi si avvisò di fare un corso di drammatica morale,
trattando in ciascun suo componimento una passione; ma non si volle
alle teatrali unità sottomettere, per dare ai suoi temi tutti quegli
scioglimenti che si convengono. La tragedia del Monteforte, ovvero
l’Odio, quella del conte Alfred, ovvero
l’Amore, quella di Ethwald, ovvero l’Ambizione, fecero lei sedere fra i più buoni
autori drammatici.
Se il comico teatro inglese fu riformato, ne dee sapere grado,
secondo Hume e Chesterfield, principalmente all’esempio di modestia
e di moralità del teatro francese. Molto ancora a ciò diede opera il
nuovo genere di commedia sentimentale, dove più nelle sentenze che
nell’azione scontrasi la moralità. Non sì però che nell’antico
genere molti autori non s’illustrassero con la variata dipintura dei
costumi; e fra costoro siede il famoso volgarizzatore di Giovanna, da lui stesso chiamato romanzo
drammatico. Ma la maggior Opera di sì mostruoso genere è lo Spettro del Castello di Lewis, già famoso
autore del romanzo intitolato il Monaco. Il
dramma è degno del romanzo.
Se vi ha alcun genere di poesia che gl’Inglesi debbano esercitar
lodevolmente, questo è la satira; conciossiachè oltre quella tanta
libertà di scrivere di qualunque soggetto, hanno il vantaggio di una
lingua ricca, la quale agevola la dipintura eziandio delle più
minute cose, mentre che i suoi vocaboli, i quali per lo più sono
monosillabi, consentono loro di stringere nel verso i sensi e di
aguzzare il taglio della satira. Vi si provò per primo Donne, l’uno
dei padri dell’inglese poesia, il cui stile è invecchiato, ma si
ebbe il suo valore, dachè Pope non isdegnò di tornare il linguaggio
antichissimo di lui a giovinezza. Più alto volo diede alla satira
Dryden, che con Ruckingham compose da prima in versi un Saggio sulla
satira, nel quale ogni precetto diventa un esempio; e poi scrisse
altri componimenti satirici, ai quali nessun altro nell’inglese
idioma andò di sopra; se non che lo allettamento e il fine loro,
perciocchè investivano o le persone o la politica del loro tempo, è
distrutto. Butler lasciò scritte nove satire, ma non così note; come
il suo poema satirico d’Hudibras, il quale,
come si sa bene, imita con bizzarria il Don
Chisciotte; e Butler si avvisò di poter render ridicoli i
capi delle
Il conte di Rochester, uno de’più cari a Carlo II, due satire, l’una
contro l’uomo, imitando quella di Boileau, e l’altra contro il
matrimonio, scrisse con molta forza di locuzione e con un caldo di
fantasia che di un gran poeta fanno argomento; salvo che
generalmente sono così scostumate, come fu l’autor loro. Il poema
satirico di Rochester sopra il Niente è
reputato la sua più grande Opera, nè merita la riprensione delle sue
satire.
Non fu molto poeta il celebrato Swift; pur s’attentò di scriver versi
satirici; ma conoscendo l’ingegno suo, si diede alla satira
famigliare, nella quale gli venne fatto di ritenere quella
ammirabile semplicità di stile onde egli è illustre sopra tutti
gl’inglesi scrittori; nè pertanto di meno abbonda di spirito, di
sale, e vi mostra pur quel suo proprio conio originale. Egregia
sopra tutte le sue composizioni satiriche è quella sulla sua morte,
la quale si fonda su questo concetto di La Rochefoucault:
Dunciade, poema
satirico, e come quello che alla vendetta è consecrato, vacuo di
ogni fine morale.
Il notissimo Young scrisse satire le quali non sono, come le sue Notti, ingombre di malinconia nè di
sconforto. E perciocchè egli è sempre originale, così non somiglia a
se stesso nelle sue diverse Opere, come sempre si dissimiglia da
tutti gli altri. La forma delle sue satire tiene il mezzo fra Orazio
e Giovenale. I suoi caratteri sono con giudizio scelti e con forza,
ma delicatamente pennelleggiati. Aguzze ha le punte delle sentenze,
e saettan forte i suoi distici epigrammatici.
Johnson, sì spesso per noi citato come critico, formò due satire che
bastarono a dargli luogo fra i primi Satirici inglesi, e queste
furono Londra e i Voti,
l’una tratta dalla terza e l’altra dalla decima satira di
Giovenale: nelle quali dipinge i costumi, batte i vizi e i ridicoli,
senza assalir mai persona; il perchè la satira non ebbe mai più
nobil fine nè più perfetto adempimento. Ma Paolo Whithead non si
consigliò di tener modo e misura, come Johnson saviamente fece: chè
la sua satira dei Costumi investì quei di più
alta sfera nella Corte, e concitò processi e persecuzioni. Altre
ancora ne scrisse, le quali salgono fino allo stil di quelle di
Pope, e forse con più caldo e con più vigoría. Egli compose pure
delle Pistole, tenute in molto pregio. L’autore del poema sul Ballo,
Jenyns, fece due satire molto salse e motteggevoli, intitolate il
Galante e la Civetta,
nelle quali prende a scherno questi ridicoli, che presumono di
essere oracoli ed esempi del più alto e del più bel vivere. Fra i
poeti satirici si può accogliere ancora il dottor Brown, che compose
un pregevol saggio sopra la satira, e lo distinse in tre parti: la
prima delle quali tratta del fine della utilità della satira;
Pochi Satirici si fecero così cari e graziosi al popolo, come
Churchill, le cui satire per lo più sono intorno le cose politiche.
Questi si avvisò di poter i soggetti presi dalle circostanze
convertire in componimenti che allettamento avessero e durabilità,
fidandosi dell’ingegno onde egli era acceso; ma riconosciuta ancora
per vera questa sua dote, oggimai delle Opere sue non si legge, se
non se la Rosciade, gravida di censure sopra
i costumi delle compagnie teatrali. Appresso la Rosciade i migliori poemi di satira sono la Baviade e la Meviade
di Giffort, e la Nuova Guida di Bath di
Anstey: il primo de’quali riprende il mal gusto e lo spirito di
affettazione, e di mostrarsi esquisito, onde alcuni poeti del suo
tempo erano compresi: ed il secondo morde coloro che il genere
romanzesco e l’uso delle macchine cominciarono nel teatro. Nè
solamente sanno di sale, e graziosi sono e piacevoli questi poemi,
ma recano ancora in sè molta immaginazione ed uno stile eccellente.
La Nuova Guida di Bath assai dilicatamente e
con acume batte i costumi e la vita di coloro che usano i luoghi ove
per la sanità delle acque, e molto più per diporto e per piaceri, si
accoglie moltitudine. Felicissime allusioni ai classici autori, una
ironia sottile e bella, e molte artificiose e verisimili dipinture
in quel poema risiedono. Scrisse Anstey secondamente il Ballo d’Elezione, il quale come la forma è la
sostanza, così la forza e il pregio Anatomia del Prete.
Il poema morale fu tanto per gl’Inglesi coltivato, quanto la satira.
L’uno in questa specie dei più reputati è quello di Riccard
Blackmore chiamato la Creazione, ovvero le
Prove dell’Esistenza di Dio. Larghissimo è il disegno, ottimo
l’ordine e felice la esecuzione. Conciossiachè Blackmore sappia
annodare in versi ragionamenti poetici: e se non fosse che da prima
quattro poemi epici pubblicò nei quali era disordinatamente scorso
in una incredibile facilità, egli sarebbe ancora più celebrato.
Prior, che con le poesie leggiere acquistò molto grido, fu d’avviso
di fondare più saldamente il suo nome con un gran poema, e scrisse
il Salomone, cioè l’umana Sapienza. Ma
quantunque il poema in molti tratti sia bello, perciocchè esso non
alletta altrui, pochi leggitori incontra. Fra’più alti poemi morali
e filosofici è tenuto il Saggio sull’Uomo di
Pope; il quale si può chiamare, anzichè un poema, una sequenza di
quattro Pistole, le quali si appiccano insieme e fanno vista di
aspettare alcuna giunta. Non sono senza quistione i principii di
Pope, e l’ottimismo è una mera presupposizione. Ma non però che
quell’Opera non sia delle più magnifiche nell’inglese idioma,
perciocchè filosofia vi usa la lingua della più bella poesia. Pope
vi ha singolarmente impresso il conio del suo stile, il quale
consiste in un rapido andar di pensieri, gli uni incalzati sugli
altri, senza confondersi insieme, e in una avventurosa gagliardia di
locuzioni, le quali mai non cascano nella soverchia ornatura e nelle
forme gonfiate.
Notti di Young, disse Johnson,
non è l’ordine, ma la dovizia; le immagini sono nuove, alte le
considerazioni, vivissime le allusioni. Ma non commette ognor bene
le cose, ed egli presto trasvola e quasi sempre ha un suono. Ardito
è lo stile e pittorico, ma spesso ruvido, oscuro, e talora men che
dilettevole.”
Tra gl’Inglesi, pochi poemi son tanto letti, quanto la Scelta, ovvero i Voti
di Pomfret, che per aver gran fama non ebbe mestier di altro. Come
dolce vi è la morale, così piani sono i versi. Due poeti, Shenstone
e Lowth, lodevolmente trattarono la Scelta di
Ercole, cioè l’Alcide al Bivio, dei quali l’uno ha più
dolcezza e leggiadria, l’altro più fuoco e più vigore: e l’uno
dipinge meglio i vezzi e l’esca del piacere; l’altro il reame della
virtù. Savage, nominato il poeta della sventura, dipinse se stesso,
e n’ebbe spirazione dai propri casi, ne’suoi due poemi del Vagabondo e del Bastardo, i quali sono mirabili per la viva e forte
dipintura della natura, e per una manifesta Viandante e il
Villagio deserto di Goldsmith, il primo
de’quali, se fede è da prestare a Johnson, è il più buon poema che
dietro a Pope sia venuto in luce; e forse che il Villaggio deserto vale ancor più, perciocchè vi soggiorna
quella soave morale e quel pietoso interesse che fanno risplendere
l’autore del Curato di Wakefield. Thompson,
il pittore della natura, diffuse per entro le sue Stagioni alcuni tratti di morale che aiutarono la riuscita
dell’Opera, siccome sono le Lodi del Maritaggio, la Dipintura delle
umane Miserie, ec. Il suo poema allegorico, chiamato il Palagio della Indolenza, è un tema
propriamente morale. A questa più che all’altre Opere sue pose cura
e fatica, e la condusse secondo la maniera di Spencer; ma soverchiò
l’esemplare. Sotto il titolo di Visioni il
dottor Cotton scrisse in versi più discorsi sovra i soggetti più
importanti in morale, ed ordinolli al diletto ed all’ammaestramento
della giovinezza; nè altro ne fece che sollazzevoli ed artificiose
allegorie. Ancora Gilberto West si argomentò di fare alla giovinezza
utilità con due poemi sulla Educazione e
sull’Abuso dei Viaggi; i quali se non fosse ch’egli li
scrisse nello stil disusato di Spencer, porgerebbero assai più
diletto. Il poema di Pratt sulla Simpatia è
dei migliori che l’ultimo secolo vedesse, perchè ivi alla
immaginazione è giunto il sentimento; e pochi altri con tanta brama
sono letti, e meno ancora ad istillare in altrui l’amor della
umanità sono acconci.
Piaceri
della Immaginazione trattò bellissima materia, la quale in
se stessa raccoglie ciò che può esser piacevole e maraviglioso; se
non che l’autore non la seppe in un determinato ordine
circonscrivere. Nondimeno, quantunque i suoi versi non siano così
precisi, ne forti, hanno il pregio della poesia dello stile.
Cantarono poi Rogers i Piaceri della Memoria,
e Merry le Pene di quella; l’uno mostrando le
più gradite scene degli avventurosi punti della vita, la cui
ricordazione produce dilettevoli affetti; l’altro fermando lo
sguardo sovra quelle aspre e dolorose avventure che lasciano una
amara e noiosa rimembranza. Ambidue ebbero poetico ingegno, che fra
i poeti dell’ultimo secolo loro assicura uno splendido luogo.
Piaceri assai più grandi, che della memoria, e sono quei della Speranza, furono cantati da Tommaso Cambell,
il cui poema non ha ordine, ma pitture molto immaginative, sempre
spirando l’ardore dei più generosi sentimenti.
L’Inghilterra nella schiera dei migliori poeti ripone William Cowper,
di cui non ha guari pianse la morte. Questi non ebbe quel genio che
inventa, nè quell’arte che dispone ed accorda con diritto giudizio
fra loro le membra di un’Opera: ma non pertanto è copioso, variato,
ed alletta. Imperciocchè nessun poeta, tranne Thompson, studiò con
più sollecitudine la natura, nè con più fedeltà la ritrasse, di quel
che abbia egli fatto. Quasi sempre tratta morali argomenti, e
adornali dei fregi della immaginazione e del sentimento. I piccoli
suoi poemi Ragionamenti di Tavola, l’Avanzamento
dell’Errore, la Verità, la Speranza, la Carità,
la Conversazione, il Ritiro, ec., fanno vedere una varietà di stile assai
grande. Avviene che talora vi si brama più leggiadria di locuzioni e
più immagini; ma l’autore sa generalmente alla materia che tratta
assettare il suo stile. Principalmente col poema intitolato, The Task Cowper, si fece sede fra i più
gridati dei poeti inglesi, perciocchè trattò temi assai variati; e
piace, ammaestra e si procaccia perdono de’suoi difetti
d’ordine.
Dell’apologo ancora, che tanto è a dire quanto della poesia più dirittamente alla morale consegrata, si brigarono gl’Inglesi. Gay s’ebbe fra i loro favolatori il primo scanno, perocchè con un giulivo ingegno, con uno stil vivace, ed un verseggiare soave e dilettevole, scrisse un volume di favole le quali sono diventate classiche. Non pertanto esso con La Fontaine non sostiene paragone, perchè non seppe a quel modo servare la loro natura e i loro costumi agli animali; il perchè le colui favole sono tanti piccoli drammi. Vero è che il fine morale delle favole di Gay sempre è lodevole, ed ingegnosi sono generalmente i suoi suggetti.
Alcuni critici a Gay preposero Giovanni Moore, autore di molte favole
accolte insieme ad uso delle donne; e nel vero egli è meno festevole
del primo, men vivo ha lo stile e meno leggiero; ma reca in sè più
piacevolezza e più soavità, e oltre a questo i suoi temi sono con
più accorgimento scelti, più ingegnosi ancora e più pungenti. Ma,
siccome Gay, fallò egli pure per
Langhorne compose le Favole di Flora, colle
quali diede atti e favella ai soli fiori, attribuendo loro ad un
tempo la natura e i costumi che generalmente sono loro appropriati;
ma comechè utile sia il moral fine, poco ingegnosi sono i suoi
soggetti. In una raccolta sono state messe le favole di molti
autori, ciascun de’quali da sè ne compose poche; ma ve ne sono molte
di gran pregio e massimamente quelle di Wilkie, di Merrick e di
Somerville.
Principe degli inglesi moralisti prosatori si dee riputare
quell’illustre filosofo che primiero aperse la via di ricoverare le
scienze e promuoverle; tutto che quella dei costumi non fu la
scienza cui Bacone gran movimento giungesse. Perocchè intese egli
principalmente alle facoltà dell’intelletto, e poco addentro ricercò
l’ordine delle nostre passioni. I Saggi suoi di morale e di politica
compongono una raccolta di considerazioni dislegate, quasi sempre
giuste e profonde, generalmente dal cupo attinte del suo ingegno, ma
talora carpite dal Machiavelli e da Montaigne, de’quali aveva egli
lungo tempo studiati i libri. Tra gl’investigatori sottili ed
avveduti dei nostri difetti e delle nostre follie,
Grande ingegno e sottilità discorre nei pensieri di Bacone, i quali
si ergono per una forma acuta e concisa; se non che hanno per
ventura quella gravità e quell’altezza che autorevole fanno e
imperiosa la morale, e manifestano il magnanimo intento dell’autore
di rendere agli uomini utilità. Egli generalmente discuopre loro i
difetti di lor natura; nè però si fatica di deprimerli, come fece La
Rochefoucault, ma non gli innalza gran fatto, perchè non va troppo
alto egli stesso. La qual cosa è provata così bene per la vita di
Bacone, come dimostrata per li suoi scritti: perocchè la parte del
cortigiano oscurò la grandezza del filosofo; ed allegasi qui la
sentenza che ei diede sull’amicizia:
Hobbes, fornito, come Bacone, d’ingegno investigativo, nella sua giovinezza si meravigliò che la filosofia insegnata per le scuole così poco si confacesse alla general natura ed alle condizioni degli uomini. Il perchè si assottigliò di trovare il vero, ma troppe fiate incappò negli errori. Imperciocchè egli pose che gli uomini non sono da natura disposti alla società, ma alla discordia ed alla guerra; e negando per tal modo il diritto di natura, afferma che la sola forza dà dritto; e così egli reca un’autorità senza confini ai re, presumendo che il voler loro deggia costituire la religione, il giusto e l’ingiusto, ec. Fu chi si provò di scolpare Hobbes col notare ch’egli scrisse di morale e di politica nei tempi di turbolenza e di scelleratezza, da cui dopo la morte dello sventurato Carlo I fu tribolata l’Inghilterra.
Pare che Cudworth volesse confutare i principii di Hobbes, quando edificò la morale sopra regole di eterne ed immutabili convenienze, le quali egli presuppone essere anteriori all’uomo, nè punto nè poco da lui dipendere. Meglio ancora Cumberland riprovò la errata e pericolosa dottrina di Hobbes col suo Trattato filosofico di Legge naturale, il quale ai moralisti, per più precisamente determinare i principii di moralità, porse molta aita.
Locke fece veder il primo la morale capire dimostrazione, non
altrimenti che la geometria e la scienza de’numeri. Egli, come
Montaigne, Educazione e del Governo Civile, Locke mise in pratica con
infinita utilità i principii del suo libro sull’Umano Intelletto;
che tanto è a dire, quanto che diede perfezione a quelle scienze le
quali più che le altre intendono a dilatar la ragione e a crescere
la felicità degli uomini.
Ebbe poi Locke un discepolo che non fu suo seguace, il celebre
Shaftesbury, il quale sulla morale seminò qualche nuova verità; ma
più da poeta dipinse l’uomo, che non lo esaminò da filosofo, e quasi
lo considerò sempre nel suo stato più bello. Ma come Platone, avendo
di sua natura molta immaginazione e molto ingegno, pompeggiò con
queste due doti soverchiamente nella sua filosofia, sicchè non è
possibile che altri lo seguiti perchè egli sia da lui persuaso e
convinto, ma solo perchè si lascia a lui strascinare per forza
d’illusione. Non è questo il filosofo delle persone di maturo e
composto spirito, ma della giovinezza avida di apprezzare ed amare
altrui. Coloro che furono per lui sedotti, hanno eziandio, dopo
essere disingannati, verso lui quel rispetto che egli merita per lo
suo schietto amore della virtù e
Scrittor di paradossi Mandeville, fu primo a dar battaglia a
Shaftesbury, incolpandolo di fondar sua dottrina sovra principii
fantastici. Ma non si avvide che egli stesso travalicava in un
eccesso contrario, perciocchè non volle riconoscere gli elementi
della ragione, nè quei del sentimento; e disdisse che fra il bene e
il male surge una differenza immutabile. Così fatta è la dottrina
del suo famoso libro la Favola delle Api, nel
quale si travaglia di provare che si convertono in bene della
società i vizi particolari. S’argomentarono alcuni critici di scusar
Mandeville, affermando che questo ingegnoso scrittore aveva proposto
di mostrare la impossibilità di accordare le virtù sociali con la
strabocchevole passione verso le ricchezze e il lusso, che sono nati
per distruggerle.
Hutchinson volle schermire i principii di Shaftesbury nelle sue Ricerche sul fondamento delle idee che noi
abbiamo della bellezza e della virtù, con le quali egli spiegò
questi principii con maggior ordine e chiarezza, e senza modificarli
li confermò. Indi il famoso Pope adornò di tutte le dovizie poetiche
alcune idee di Shaftesbury, Ricerche su i
principii della Morale, fondò questa sul sentimento, senza
disgiungerla dai lumi di ragione. Venne poi Ferguson con gli Elementi di Morale, e il famoso Smith con la
Teoria dei Sentimenti morali; ed ambedue,
modificando i pensieri di Shaftesbury, gli abbracciarono; ed è
consolante il pensare con quelli che la giustizia e la bontà non
solo non siano puri esseri morali, figli dell’intelletto, ma vere
affezioni dell’anima rischiarata dalla ragione.
Mentre che molti inglesi moralisti si brigano di rivocare a sistema i
principii morali, altri raccolgono insieme le verità minute e
particolari che debbono a quella scienza dar corpo e fortuna. E fra
questi ultimi siede più alto lo Spettatore,
che più volte è stato comparato a La Bruyere: e comechè sia meno di
questo abbondevole di sottili considerazioni e di belle pitture, pur
se ne va più diritto agli elementi della morale filosofia. Perchè
non altro egli è se non se un libro di educazione, ordinato al fine
di spargere e fare amare alla sua nazione quelle verità che al suo
bisogno più si confanno. Chè se lo Spettatore
ci mostra un poco meno di La Bruyere ciò che noi siamo, senza dubbio
ci addita meglio di quello ciò che noi dobbiamo essere. È il vero
che generalmente lo Spettatore dipinge
inglesi costumi, e spesso perseguita quelle follie e quei ridicoli
che più non ci si vedono: il perchè molti suoi capitoli hanno
perduto, eziandio per gli stessi Inglesi, il lor sale e
l’allettamento. Anzi quantunque
Ben si conosce avere lo Spettatore il suo
grande effetto principalmente dal celebrato Addisson, i cui Saggi
sono notabilmente più degli altri commendevoli. Perciocchè non solo
fra i moralisti, ma fra gli scrittori ancora è sua la prima sede;
chè come la sua morale sempre è rivestita di sapienza e di utilità,
così lo stil suo continuamente discorre ornato, semplice, lucido e
chiaro. E se per avventura negli altri suoi scritti non si sente
quella forza, nè si vede quella brevità che in ciò lo possano
rendere un esemplare ad altrui, senza dubbio ne’suoi Saggi non si
bramano gran fatto queste doti, ed agli argomenti per lui trattati
non si richiedeano. Poco alta e poco profonda è la sua filosofia; ma
sempre i suoi pensieri si accostano verso la pratica. Solo
discernesi nelle sue Opere essere posposta la sensibilità ad ogni
magnanimo movimento, non ostante l’amore della religione e della
virtù ch’egli ne istilla. Per le quali cose il pregio onde sopra gli
altri è chiaro Addisson, si riduce ad una leggiera piacevolezza, ad
una dilicata ironia, ed all’ingegno di dipingere i caratteri e i
costumi con vivi e naturali colori. E forse che la cosa che più
faccia onore all’ingegno di Addisson, è il carattere di sir Roger di
Coverly, che spesso egli pone in azione, come se lo avesse pensato
per dare ai Spettatore avrebbero potuto più variarsi, e che due terzi
dell’Opera hanno la forma epistolare. Si partorì lo Spettatore molte imitazioni, alcune delle
quali vanno a paro a paro con l’originale. Il Mondo (The World), di cui
principale autore fu John Moore, rinserra moltissimi articoli di
questa gioconda morale che il mondo pulito ancor tollera ed alcune
fiate esso usa. Le cose più pungenti e state più giovevoli al buon
effetto dell’Opera uscirono di penna al famoso Chesterfield, il
quale ad una ingegnosa e gentil piacevolezza giugne uno stil facile
ed elegante, siccome ad un alto conoscimento degli uomini accoppia
l’ingegno di ben dipingere i costumi e i caratteri. Nè fra i
moralisti gli saria tolto un bel luogo, se non fosse che nei
consigli e negli ammaestramenti da sè dati al suo figlio s’avvisa di
formar l’uomo anzi amabile che virtuoso, e troppe volte pone questa
amabilità nel seguitar le stranezze e i vizi che vanno attorno.
Nondimeno per entro la copiosa raccolta delle Lettere a suo Figlio
scelte furono le più conformate alla sana morale; nè senza diletto e
utilità è siffatta scelta.
Il Conoscitore, pubblicato per Colman e
Johnson, mostra una fedel dipintura della società e una censura dei
costumi pungente, ma non velenosa. Nei Saggi di Colman si ravvisa
quella drammatica forma e quell’ingegno di
Non ebbe compagni il rinomato Johnson a scrivere il Rambler, ossia il Vagabondo,
apprezzato per una delle migliori Opere dell’inglese idioma, la
quale ancorchè non abbia quella semplice leggiadria, nè quella
ironia dilicata, nè quella graziosa gaiezza di Addisson, ha pure una
forza, una brevità ed una nobiltà, la qual forse sì altamente non
toccò mai ad altro inglese scrittore. Oltre a ciò, la morale sua non
è essa già volgare, ma levasi ai generali principii, i quali per
avventura egli spiega talvolta in una forma troppo sottile e
profonda. Nè scarso è il Rambler di
allegorie, nè di finzioni, parto di una ardente e copiosa fantasia.
Un altro giornale di morale reputato alcuna cosa minore del Rambler, pubblicò Johnson col titolo di Idler, cioè il Pigro,
nel quale se meno acuta è la filosofia, e men sublime e meno
eloquente lo stile, pure si veggono assai più dipinture e di
caratteri e di costumi.
All’Avventuriere, che in parte lavorò Johnson,
e principalmente scrisse Hawkesworth, gran lode provenne, quando
uscì alla luce, e fu più generale del Rambler
stesso. Meno seriosi sono i suoi morali articoli; ed i critici
muovono da
Ancora del vantato Goldsmith venner fuori più Saggi, prima in varie raccolte periodiche, e dopo in quella di tutte le Opere sue: e buon saria stato che più altri n’avesse scritti, i quali poteano la fama del medesimo Addisson per avventura eclissare. Perciocchè questi avanza lui di quella ingegnosa piacevolezza e gentile; ma Goldsmith non gli cede in fatto di stile e d’immaginazione, e lo soverchia d’interesse e di sensibilità.
Non parea, dopo queste avventurose imitazioni dello Spettatore, così leggier cosa aver grido in tal genere,
quando si produssero in mezzo il Mirror e il
Lounger, cioè lo Specchio e il Pigro, i
quali ebbero gran plauso. L’autore principale ne fu Mackenzie, già
di alta fama per lo suo romanzo dell’Uomo
sensibile. Certo queste Opere tennero i loro lieti successi
singolarmente da quegli articoli materiati di compassione e di
sentimento, e da quelli altresì che di una delicata e gioconda
piacevolezza sono rivestiti. Perciocchè il racconto della Morte di La Roche, il quale intende a
convertire con la sola forza del sentimento un uomo che nega Dio, è
uno de’più commoventi che legger si possano; e le Lettere poste a
nome di Homespun pareggiano le più belle cose
che Addisson e Chesterfield abbiano scritto in fatto di scherzo.
Cotali Saggi di un genere tanto diverso sono del signor
Mackenzie.
Saggi
morali e letterarii di Vicesimo Knox, e similmente le sue
Sere d’Inverno, ovvero le Vigilie sopra i Costumi e la Letteratura,
sono fra le eccellenti Opere di questa specie; perocchè quanto
dilettano altrui, tanto ammaestrano; e contengono di molti ingegnosi
concetti e considerazioni di sottil giudizio e di savia critica.
Schietto e ornato è il suo stile, se non che talora disuguale per
voler imitare quello di Johnson. Fece Cumberland sotto il nome
dell’Osservatore una Raccolta di Saggi
morali e critici, la quale tra le migliori Opere delle così fatte
potrebbe annoverarsi, se non l’avesse egli impregnata di cose
storiche e di altri articoli di piccolo affare. Il dottor Aikin di
certe sue Lettere d’un Padre a suo Figlio
fece come un supplimento alle lezioni che si convengono ad una
educazione veramente liberale, e per tal guisa pose in gran luce
quelle verità che più dispongono l’uomo ad esser utile e felice: il
perchè Aikin fra i viventi scrittori ha molto grido. Scrisse Godwin
sotto il titolo dell’Investigatore
considerazioni sopra i costumi, sforzandosi di mostrare la
falsità di alcuni Looker-on, ossia il Riguardante di
William Roberts è l’ultima Opera che prodotta in forma di giornale
acquistasse gran voce. E veramente dopo Addisson le stravaganze e
gli errori del secolo non furono mai coll’armi dell’ingegno e della
ragione più felicemente assaliti. Roberts non combatte con minor
vantaggio il mal gusto che il mal costume; e le sue censure urbane e
gentili richiamano i principii dei grandi maestri: ma nondimeno è
stato biasimato di amplificar troppo i soggetti suoi, e di esser
alcuna volta nel suo stile un poco ricercato.
Ma noi passeremmo i termini che questo Saggio debbono circonscrivere,
se con una disamina eziandio breve volessimo toccare tutte le Opere
morali che fama si procacciarono; per conseguente qui non faremo che
accennar le principali. Il dottor Collier, che con tanto frutto
scrisse contro la licenza teatrale, compilò molti Saggi di morale, i
quali furono più volte stampati: conciossiachè nè sodezza e copia di
pensieri, nè brevità e chiarezza di stile vi manchi. I Consigli di un Padre alla sua Figlia del
marchese d’Hallifax, quantunque riputati, sono da meno che l’Opera
sul medesimo tema composta dalla marchesa di Lambert. Giusti sono i
concetti, ma comunali: egli Economia della Vita
umana, cavata da un manoscritto indiano, ec., porse un
piccolo estratto di morale, e seguì lo stile orientale per vestire
di nuove e vivaci immagini i suoi precetti: nè per essere animose ed
ardite le sue figure, sono turgide o false. Molti imitatori ebbe
Dodsley, come tutti coloro che recaron fuori qualche sembianza di
novità; ma non però che alcun di questi l’abbia adeguato. Hume alle
sue Ricerche sui principii della Morale volle
accoppiare alcuni Saggi morali, in cui non che l’ingegno e la
profondità, ma spesse volte i concetti singolari di sì celebrato
scrittore si riconoscono. Nondimeno lo scetticismo di che
generalmente è pregno qualunque suo scritto, non è così visibile
ne’suoi Saggi morali.
Sono con lode ricordati fra gl’inglesi moralisti molti maestri delle
Università, le quali si possono assai di ciò gloriare. Quella di
Edimburgo commenda fra’suoi lettori John Bruce, Adam Ferguson e
Dugald Stewart, i quali apprezzate Opere di morale scrissero. A
Ferguson non fuggì mai dallo sguardo nelle sue teorie qual è l’uomo
mostrato nella storia, e Stewart esamina i principii della morale
con quel profondo giudizio e con quella chiarezza che all’autore
della Filosofia dello spirito umano
acconciamente rispondono. L’Università di Aberdeen in Iscozia può
contrapporre a quella di Saggio sull’Istoria del Genere Umano; ed
ancora James Beattie che scrisse Elementi della scienza morale, ove
il valor dello stile non si disgiunge da quello dei concetti.
Similmente Beattie per lo suo poema del Menestrel gran fama acquistò fra i poeti. All’Università
di Cambridge piacque di abbracciar l’Opera di uno de’suoi maestri,
William Paley, come un libro di esame; e i suoi principii della
morale e politica filosofia godono di quest’onore non altrimenti che
le Opere di Newton e di Locke. Questi principii della morale sono
per lui tratti dalla religione e dalla ragione, e con molta
chiarezza e brevità al presente stato sociale assettati. Qual che
sia il merito del trattato di Paley, sicuramente poche cose nuove in
sè chiude. In questa parte si potrebbe forse a questo porre innanzi
il Trattato filosofico delle Passioni scritto
per Tommaso Cogan, e le Ricerche sui principii
della Filosofia morale scritte da Tommaso Gisborne; il
quale dopo esser penetrato al midollo della teoria di tale scienza,
ne additò la pratica in due opere molto apprezzate, l’una intitolata
Investigazione sui doveri dell’Uomo nell’alta
e mezzana condizione della società, e l’altra nominata Investigazione sui doveri delle Donne.
Vestir di bellezza la morale per via di finzioni fu fatica di molti
scrittori inglesi, fra’quali primo è Filippo Sidney, uno di
quegl’illustri onde sfolgorò il regno di Elisabetta, il quale non
pur dall’ingegno, ma dalla virtù trasse la Arcadia, romanzo che fu traslatato in tutte
le lingue, e che i precetti di politica e di morale vuole per via di
esempi rendere sensibili. I dettati e le sentenze di che seminata è
quest’Opera, sono raccolte insieme sotto il titolo di Aforismi di
sir Filippo Sidney.
Meno gravi finzioni che quelle di Sidney, ma non meno savie e più
ingegnose, mise fuori il famoso Swift che scrisse i Viaggi di Gulliver, maravigliosi e
dilettevoli. Vi muove egli un’acuta e gentil satira sopra i costumi,
le usanze e gli statuti del suo paese. Dote propria di Swift, tanto
in prosa quanto in versi, è lo scherzare con molto ingegno e
naturalezza. Più volte è stato messo a paro col famoso Rabelais; ma
se non ha la gaiezza di quello, egli ne ha buon cambio di
sottigliezza, di ragione, di scelta e di buon gusto, di che il
Curato di Meudon abbisogna.
Fu composto altro Viaggio immaginario, con merito di essere originale
niente meno che quello di Gulliver, ma
fornito di maggiore allettamento; e questo è il Robinson Crusoè di Foè, la cui lettura fu per primiera dal
famoso Rousseau al suo alunno ingiunta. Robinson, rimaso solo
soletto nella sua isola, dove non capitava persona che di alcuna
cosa lo sovvenisse, nè avendo strumento di verun’arte, è pur
costretto a dover campar sua vita e trovar ciò che gli è di
necessità nel deserto:
Il celebrato Pope, insieme co’suoi amici Swift e Arbuthnot, divisò un
critico e moral romanzo per far censura dei costumi e delle false
opinioni: e questo era la Vita di
Martino Scriblero, della quale si legge
solamente la prima parte che scrisse Pope, e che fa desiderare il
compimento di un’Opera dove il sale e lo spirito dei romanzi
filosofici di Voltaire, quantunque men naturale e men giocondo, si
assapora molto.
Senza quistione può uno scrittore valer molto e distar molto dai
grandi ingegni che il proprio secolo illustrarono; e di questi fu
Littleton a rispetto di Montesquieu. Compilò le Nuove Lettere Persiane, non altrimenti che come un
continuamento di quelle che scrisse quel chiaro Francese, e le formò
di una illuminata censura artificiosa e pungente sopra i costumi, le
leggi e gli statuti de’suoi paesi; nè lasciò di versarvi i principii
di una giusta morale e di una savia politica. Con miglior successo
ebbe gara Littleton ne’suoi Dialoghi de’Morti
con Fontenelle, non dico per lo ingegno, ma pel
Tutto ciò che i moralisti più reputati ridussero a principii nei loro
trattati, Richardson li mise in azione ne’suoi romanzi: il perchè
mentre è de’maggiori dipintori del cuore umano, è pure de’migliori
maestri di morale. E nel vero, la sua Pamela,
la cui sostanza è semplicissima, è un romanzo pieno di allettamento
e d’interesse: salvo che a passo troppo lento giungesi ad uno
scioglimento che, essendo antiveduto, scema l’interesse della
favola. Più ravviluppato è il Grandisson,
dove gli episodi trapassano la sostanza. Quello di Clementina commuove e piace più di qualunque altro. Clarissa è di maggior valore del Grandisson e di maggior effetto. Ma le ultime
parti avanzano di pregio oltremisura le prime; chè la virtù non ebbe
mai carattere più bello di Clarissa, ne mai
più dignitosa fu l’innocenza nè più pietosa l’avversità. E se
infinito bene agli uomini è l’esser certi e sicuri che a dover esser
felici niente è più buono, quanto il servire l’umana generazione;
egli non ha pur dimostrata, ma posta sotto i sensi questa verità; e
Meraviglia pare a molti la copia di Richardson, e la varietà
de’personaggi e dei caratteri, ciascun de’quali concepisce i suoi
pensieri, e parla il proprio linguaggio, secondo le sue circostanze,
l’utilità sua e le, sue passioni; ed è bella cosa a vedere una
moltitudine di particolarità e di minuti oggetti, i quali quanto
sono a immaginar malagevoli, tanto sono a descriver faticosi, ma
molto aiutano l’illusione, ed a certi colpi dei grandi avvenimenti
apparecchiano l’anima. È il vero che un’arte necessaria ad uno
scrittore o non fu conosciuta, o fu da Richardson disdegnata, cioè
di sapere interrompere e misuratamente adoperare la descrizione
delle minute cose. E come si dee poter commendare una quantità di
personaggi i quali o son del tutto inutili, o non porgono piacere?
Che vale che siano dipinti con variati e naturali colori, se lo
introdurli scema lo allettamento dei personaggi principali? Nè si
vuol negare che ad un romanzo molto aggirato e molto disteso è
mestieri gran tempo per preparare e disviluppare l’azione; ma non
che sia di necessità spendere la metà dell’Opera in tal fatto.
Qualunque parte del primo volume apra il lettore di Clarissa, sempre trovasi nel punto di prima,
rivedendo la stessa gente che opera e parla le medesime cose; il
perchè molti l’accorciano col non leggerla. Ed ebber torto coloro
che ripresero il famoso critico La Harpe di aver troppa rigidezza
usata con Richardson, perocchè gli stessi Inglesi hanno confessati i
Corso di Belle Lettere ne giudica, e
massimamente Cumberland nel suo Osservatore,
che dà la ragione alle critiche di La Harpe. Sono tali i difetti di
questo grande scrittore, che al presente è più apprezzato che letto,
eziandio nell’Inghilterra.
A maggior dritto si può rimproverare la Harpe di avere lodato
stemperatamente il merito di Fielding. Ma non perchè Tom-Jones non è, come vuol questo critico, il
primo romanzo del mondo, perde luogo nella prima schiera. Tutto
l’ordigno dell’Opera è fabbricato sopra un concetto che più grande e
più bello esser non potrebbe; ed una altissima lezione di morale
contiene. I due maggiori personaggi dimoranti in sulla scena fan
sempre vista di aver l’uno il torto e l’altro la ragione, e poi si
conducono a tale, che il primo è dabbene, l’altro è un malvagio
uomo. Di così fatta contesa è conserta la storia della società. Veri
ed attrattivi sono i caratteri; nè già per dovizia di parole, ma per
varietà di azione sono dipinti. Oltre a questi, vi s’incontrano
assai pitture comiche che, senza intiepidire l’interesse, sollazzano
il lettore. Ancora è ben ordita la principal tela, come quella che
traversando i casi delle digressioni, mai non si asconde all’altrui
sguardo: lo scioglimento è pure molto ben sospeso e terminato. Per
la qual cosa il Tom-Jones è uno de’libri
meglio composti della lingua inglese, e tanto più da pregiare,
quanto, come ognun sa, non sempre hanno gl’Inglesi l’arte pari
all’ingegno.
Amelia, pieno, come Tom-Jones, di vere e allettatrici pitture dei caratteri.
Ma Giuseppe Andrews, perchè troppo si avvolge
fra gl’inglesi costumi, non può molto piacere agli stranieri: ed a
questo romanzo più che ad altro pose mente Blair, quando disse che a
Fielding procaccia splendore il suo Humour;
ma questo, come che originale, non è sempre dilicato e perfetto
quanto si richiede. Poi l’istoria di Jonatam
Wid il Grande par men che degna di Fielding; perocchè altro
non porge che la vita di un famoso ladrone, scritta con uno stil
ricco e splendido; ed assomiglia continuo ad Alessandro e Cesare il
suo grande eroe che nel capestro chiude la gloriosa sua vita.
L’autore del Tristam Shandy e del Viaggio sentimentale, tuttochè non aggiunga
al pregio dei due scrittori sopra toccati, pure non è meno originale
di loro. Dachè nessun moralista con più calda affezione di Sterne
raccomanda ad altrui la benevola dottrina d’una universale
filantropia: nè fu mai scrittore che con più forza risvegliasse lo
spirito di compassione negli animi. Ma singolarmente lo fa
risplendere quell’artificio di dare sostanza e interesse ai fatti
più semplici, e di produrre per questo mirabili effetti, come pure
di far vedere dentro al cuore umano moltissimi movimenti così fugaci
che talora non si possono apprendere, e s’involano alla vista dei
comuni investigatori. Tutto questo è il merito che tanto nome a
Sterne acquistò. Chi in fatto di stile scherzevole lui comparasse a
Cervantes, a Le Humour essere una buffoneria verso la
natural gaiezza e pungente di quegli scrittori. Caricati e ridicoli
quasi sempre sono i caratteri del suo Shandy,
e stravaganti i suoi ragionamenti senza essere comici. A tali
difetti uno studiato disordine s’aggiunge, il quale si forza di
rompere tutte le regole che il buon giudicio impone;
un’impenetrabile oscurità, certe disoneste allusioni, e sotto un
trasparente velo molte figure licenziose. Nè è da negare che si
vilifica la religione e la virtù per colui che a laidezze e
buffonerie le accompagna; ed a Sterne va questo rimprovero
meritamente alcuna volta. Nondimeno alcuni rigidi critici, i quali
pongono che le sue Opere fecero malvagio effetto sopra i costumi,
non si recano alla memoria che gli fu conceduta una gloria superiore
all’ingegno, quella di accender nei petti l’amor dell’umanità.
Sterne ebbe innumerabili imitatori: or come si potè pensare ad imitare uno scrittore il quale alla più parte dei lettori non per altro piace, che perchè sempre par che sogni e mai non pensi? Come non si sono essi accorti che imitar le cose di capriccio non è minor fatica che le sublimi? Perocchè quelle e queste hanno natura di libertà e di franchezza, che tutti gli sforzi vince della imitazione, la quale da se stessa è serva, nè può mai ricoprir questo vizio che per tutto la segue.
Quelli che maggior grido levarono fra i tanti scrittori di cose di
sentimento, furono Mackenzie, Pratt e Keate. Il primo è noto
singolarmente pel suo romanzo intitolato l’Uomo
sensibile, che in fatto di sentimento è
stimato uno degli esemplari. Vi effigiò un personaggio che ubbidisce
costantemente ad ogni tocco del suo senso morale, e che da quello
tutti i piaceri e tutte le pene di sua vita conosce. Poscia scrisse
l’Uomo di mondo, dipingendovi uno che ad
ogni vizio si lascia trascorrere, e sparge la disavventura dattorno,
e cercando sempre la felicità, senza mai voler seguire il suo senso
morale, fa sventurato se stesso. Per siffatto modo Mackenzie ridusse
a pratica il divisamento di Shafstesbury, e de’suoi seguaci Utcheson
e Smith. Ancora in un terzo romanzo egli compilò Giulia di Roubigné che molto alletta, quantunque gran
fatto non tengono del verisimile le sue incidenze.
A Pratt cadde nell’animo di dover tenere appresso a Sterne,
pigliandone non che la confusione e la bizzarria, ma pur l’oscurità,
quando compose la sua prima Opera intitolata Viaggi pel Cuore. Quindi sentendo le forze proprie del suo
ingegno, si diede a scriver molte Opere, nelle quali dispiegò
fertile immaginazione, gran commozione di sentimento, e l’acume e
l’arte di vedere e ritrarre costumi e caratteri. Le Opinioni liberali e la Vita
di Benigno sono più che il Tristam
Shandy rigogliosi di concetti, di variate dipinture e di
filosofia. Nell’Alunno del Piacere Pratt
diede atto e vita ai principii di che Chesterfield ammaestrava il
suo figlio, per più farne sentire e vedere alla gente i pericoli; il
che gli saria venuto fatto, se non avesse troppo moltiplicato le
dipinture seduttrici del vizio, le quali a contrario Alunno della Verità. L’Emma
Corbelt, che è dei romanzi più compassionevoli nell’idioma
inglese, fa vedere gli orrori della guerra civile. Il Villaggio di Shenstone intende a dimostrare
la impossibilità di ordinare una società Utopiana, quale fu
immaginata da Tommaso Moro, e poi dal poeta Shenstone. Di Pratt
leggonsi altresì i Segreti di Famiglia e i
suoi viaggi dinominati Glanures, cioè
Spigolature in Olanda ed in Inghilterra. Per le quali Opere egli è
diventato illustre fra gl’inglesi scrittori, e saria della prima
schiera se più si fosse saputo temperare, e miglior gusto avesse
seguíto.
Keate è men copioso di Pratt, ma meno ancora difettoso. Gli Abbozzi in sulla Natura furono per lui
scritti con molte dipinture piene d’immaginazione, di verità e
d’interesse. Egli dipinge le passioni, senza entrare in una fredda
analisi; e il suo stile mentre è schietto e naturale, se ne va
preciso ancora ed elegante; il perchè non altrimenti che Pratt egli
merita luogo fra i dipintori della natura umana.
L’autore del Rambler, il celebre Johnson, fece
altresì un romanzo sotto il titolo di Rasselas, principe di Abissinia; e quello empì di lezioni
morali e sublimi, le quali si confanno tanto ai principi quanto ai
privati, ed hanno belle, ingegnose ed allettatrici finzioni, tutte
vestite d’uno stil sempre breve, nobile e vivo.
Quantunque volte Johnson s’abbatteva in Goldsmith, tante gli diceva:
Compitemi il Vicario. Aveva per ventura
questo chiaro critico udito lettura dei quattro primi capitoli del
Vicario
di Wakefield, e però a fornir l’Opera il
confortava. Un padre di famiglia leale e dabbene, semplice nel suo
spirito, posto a tenzone con l’infortunio, non sotto altro schermo
che della sua coscienza e della sua virtù; discorrente sopra i suoi
falli e sopra il suo coraggio, sempre d’un modo schietto ed aperto;
balestrato fino all’estremo abisso della sciagura; ferito in tutte
le parti che più care gli sono, tornato poscia di subito ad esser
felice, e ritrovando finalmente in tutte le cose che tribolato
l’avevano, materia di consolazione: questa è la pittura che mostra
Goldsmith nel suo Vicario. Laonde la
sommessione e bonarietà dell’onesto prete, le sue semplici ed alte
considerazioni, le sue note alcune volte epigrammatiche, ma non
affettate mai, incantano e legano il lettore. Così fatta Opera giova
all’animo, afforza il coraggio, riaccende la spenta speranza, e
consola eziandio la disperazione. Boezio nella sua Consolazione della Filosofia favella allo spirito, ma il
buon Vicario ragiona al cuore, e così diviene
l’amico dei miseri, e il libro degli afflitti, non già come un
romanzo, ma come il miglior trattato di morale.
In mezzo ai romanzieri che caratteri e costumi dipinsero, gl’Inglesi
concedono scanno a Smolett, autore del Roderick
Random, del Pellegrino Pickle e del
Conte Fathom, nei quali assai pitture
molto naturali si veggono; ma si vorria vedere più scelta e più modo
nelle piccole descrizioni, ed anche un maggior interesse, non dico
quello che non si trova eziandio nel Don
Chisciotte, nè nel Gilblas, Arundel e meglio ancora nell’Enrico. Una imitazione del Gilblas, nè
punto da dispregiare, sono le Avventure di Ugo
Trevor scritte per Holcroft: Ma Godwin nelle Avventure di Caleb William e nel S. Leone ebbe sembiante di volersi un nuovo
cammino dischiudere: perocchè aveva veduto la invidia, la curiosità,
l’ambizione, la vendetta e la cupidigia delle ricchezze empiere la
vita dell’uomo; e nel loro scioglimento ammaestrare molto più
utilmente che non fanno le brighe e gli avvolgimenti di amore. Gli
effetti di queste passioni egli dipinge, e il guasto della società
disasconde.
I poemi del signor Walter Scott, i quali, a vero dire, sono romanzi
poetici, avevano già indotto opinione che, quando egli si fosse
posto a scriver romanzi in prosa, l’avria fatto con grandissimo
incontro: la quale credenza s’è poi vista ben fondata, perciocchè
oggidì egli è de’primi romanzieri come de’primi poeti inglesi
viventi. Il genere di romanzo per lui agli altri preposto, cioè a
dire l’isterico, è stato ognor dalla sana critica risguardato pel
più difettoso, attesi i gravi inconvenienti, i quali dalla
mescolanza delle finzioni colla storia rampollano. Ma questo
scrittore ha saputo schifarli in parte; conciossiachè, ove nei
romanzi introduce attori di cui la storia conserva la ricordanza,
egli avvedutamente elegge coloro di Ivanhoe il signor Scott ne fa vedere
Riccardo cuor di Lione; ma senza
pigliarsi briga del reame, è solo inteso ancora alla vita degli
erranti cavalieri. La reina Elisabetta è uno de’personaggi del
castello di Kenilworth, ma ella non n’è l’eroina. L’autore la pone
non sulla pubblica scena, ma in mezzo a feste e nell’interno della
sua Corte. In tutti i suoi romanzi il signor Scott si trasporta in
qualche straordinaria epoca dell’istoria, ne studia il carattere
dominante, s’investe delle passioni che travagliavano allora la
società, e con ammiranda fedeltà ne ritragge i costumi. Tu non leggi
il racconto di azioni, ma vedi nelle sue Opere un popolo al quale il
suo pennello dà vita, e tra cui avvisi di dimorare; perciocchè egli
te lo fa così bene conoscere, che meno conosci forse i tuoi
contemporanei.
Natural cosa è che nei tanti romanzi dalle dame inglesi composti,
amore sia sempre l’argomento principale. Non pertanto nelle Opere di
tale specie abbonda una gran varietà, come si vedrebbe se i brevi
confini di questo Saggio permettessero di recarne particolari e
minute notizie. I tre romanzi della signora Burney
La Emmelina, ovvero l’Orfana del Castello, la
Solitaria del Lago, la Celestina guardano un onorato luogo a madama Carlotta
Smith fra le donne romanziere, e nella ornata semplicità dello
stile, e nella viva e natural dipintura di costumi e di caratteri;
ma non deve portare invidia ad alcuno. Madama Inchbald si procacciò
fama coi romanzi intitolati, il primo Semplice
Storia, e il secondo l’Arte e la
Natura, nei quali le incidenze, quantunque siano
semplicissime, producono di belli e nuovi incontri, e veri ed
ingegnosi scioglimenti attinti dalla natura, penetrevoli senza
essere sottili e dilicati senza essere preziosi. Ai movimenti più
segreti del cuore umano che madama Smith sa scegliere e colorare, si
vede che ella molto bene lo conosce.
I Figli della Badia, che scrisse madama Maria
Roche, possono a lato dei romanzi della signora Burney dimorare,
come quelli che porgendo dilettevoli pitture, scene allettatrici e
Tom-Jones, ad Evelira, a Sterne e a madama Radclif tenuto dietro.
Quest’ultima, come a tutti è noto, usò molto il meraviglioso ne’suoi
romanzi, che sono i Misteri di Udolfo, la Foresta, l’Italiano,
ovvero il Confessionale dei vari Penitenti,
ec.; le quali Opere ebbero molto incontro: di che singolarmente
debbono saper grado ad una fertile immaginazione, all’arte di
attrarre la mente e il cuore, e all’ingegno di ornatamente scrivere.
Questi pregi lor procurarono innumerabili imitatori; ma perciocchè
non avevano tutte le doti del loro esemplare, produssero fastidio di
un genere in cui si vuol sostenere l’interesse coi soli colpi del
terrore, nè ad altro moral fine s’intende se non se ad altrui
persuadere non doversi avvelenare nè assassinar la gente, per la
ragione che tosto o tardi il maleficio si scuopre.
L’Anna ovvero l’Erede
Galbese, e la Rosa ovvero la Fanciulla mendica alluogano madama Benet fra
le più valenti romanziere: dachè nelle Opere sue si scorge molto
ingegno nel ritrarre i caratteri e i costumi; grande interesse non
pur nelle cose principali, ma nelle secondarie; belle e ricche
incidenze, nuovi e piacevoli incontri, e fresche e dilettevoli
dipinture. È ben tessuta generalmente la favola; se non che le cose
non son tutte preparate nè spiegate bene.
Ancora con le dame che impiegarono finzioni ad abbellir la morale, si
può contare madama Dinarba, continuando il Rasselas, la cui lettura agli stessi ammiratori di Johnson
porse diletto; madama Opie, autrice di un romanzo assai
compassionevole intitolato il Padre e la
Figlia; madama Lennox, la quale compose il Don Chisciotte Femmina; madama Chiara Reeve,
che produsse la Scuola delle Vedove e i Velci Baroni Inglesi; e finalmente miss
Edgeworth, componitrice di novelle e romanzi morali, e di alcune
Opere sopra la educazione in gran pregio tenute. Generalmente ciò
che distingue i romanzi compilati dalle donne è un ardente amore
della virtù, un dilicato riguardo di modestia, una continua cura di
far alle femmine tutta la lor dignità sentire; e similmente l’arte
di ritrarre le piccole cose come se tali non fossero, e di cogliere
le più gentili dilicate differenze del sentimento, e di adoperare
quella inestimabile sensibilità, fuor della quale non vige alcun
ingegno, e che può talvolta a tutte le altre doti supplire.