Cita bibliográfica: Gasparo Gozzi (Ed.): "Numero XCV", en: L’Osservatore veneto, Vol.1\095 (1761-12-30), pp. 398-401, editado en: Ertler, Klaus-Dieter / Fuchs, Alexandra (Ed.): Los "Spectators" en el contexto internacional. Edición digital, Graz 2011- . hdl.handle.net/11471/513.20.480 [consultado el: ].


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N° XCV

A dì 30 dicembre 1761.

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Dialogo XI.

Ulisse e Polite.

Nivel 4► Diálogo► Utopía► Ulisse. Fino a tanto che da Circe mi venga apparecchiata qualche novella maraviglia, mi viene ora in mente d’aver mal fatto, non avendo ancora ragionato con alcuno de’miei compagni: dappoichè di porci sono ritornati uomini, quali erano prima. N’avrei forse ritratto qualche cognizione non di minor sostanza di quelle ch’io abbia fino a qui ricavate dalle bestie, con le quali ho favellato. A tempo veggo di qua Polite. Io m’intratterrò seco lui, dappoichè la fortuna me l’avvia a questa volta. Polite, Polite. Perchè vai tu con quelle ciglia aggrottate, e a capo basso? Tu sei in pensieri. Io avrei caro d’intendere quello che ti si aggira pel cervello.

Polite. Che ne so io? Confusione e nebbia. Non intendo più me medesimo.

Ulisse. Ti sarebbe forse rimaso nell’animo qualche rimasuglio di quell’animale in cui fosti tramutato?

Polite. Potrebb’essere: e forse più di quello che tu pensi.

Ulisse. E che sì, ch’io l’indovino? Tu hai ora vergogna di te medesimo, che lasciandoti allettare a un’apparenza di dolcezza, cadesti in tanta viltà, che fosti vestito di setole. Non t’importi ciò, no. Dappoichè tu sei ritornato uomo, qual eri prima, consolati. Il tuo passato infortunio ti gioverà a guardarti da qui in poi da tali avventure. Non ha mai l’animo gagliardo quell’uomo il quale non ha fatto sperienza di molti avversi casi.

Polite. Oh! come sei tu lungi dalla verità, Ulisse, se tu pensi ch’io mi dolga d’essere stato nel porcile! La mia malinconia e il pensiero viene da altro.

Ulisse. Da che dunque? Per quanto io vada fantasticando con la mente, non veggo che tu abbia altre cagioni che d’allegrezza.

Polite. Tu hai bel dire, che sei stato sempre uomo, e non fosti mai porco! Se tu avessi provata una volta la dolcezza di quella vita, non diresti mai che io dovessi esser lieto, per essermi spogliato di quella setolosa cotenna.

Ulisse. Ahi! sciagurato! Sono queste parole che dovessero mai uscire dalla bocca d’un uomo? Ben so ora che tu meriti di stare ad imbrodolarti nelle pozzanghere, poichè hai l’animo così vile. Ma non ti dolere, no: e giacchè tu hai tanta voglia d’essere porco, sappi che la faccia umana, e la morbida pelle che ti ricopre, non ti toglie l’essere quello che brami. Tu sei qual fosti poco prima. I sentimenti, secondo che sono, fanno essere altrui uomo, o animale.

Polite. Tu non mi sembri già ora quel saggio Ulisse che fosti sempre; poichè a guisa di donnicciuola stridi incontanente, udendo un’opinione contraria alla tua. Ragioni vogliono essere pro e contra, per istabilire chi abbia la verità dal suo lato. Parla tu, e parlerò io; e in tal guisa vedremo chi merita d’essere biasimato o lodato.

[399] Ulisse. O pazzo! io non avrei mai creduto che anche un porco credesse d’aver le sue ragioni contro agli uomini. Io avrò caro, se non altro, d’intendere quali sieno! e però, se tu ti degni di favellare ad un uomo, favella; e vedremo quello che saprai dire.

Polite. Ti ricordi tu prima tutte le cose che abbiamo vedute negli anni trascorsi?

Ulisse. Ben sai che sì. Noi fummo dieci anni intorno alla città di Troia ad assediarla, l’abbiamo abbattuta e ridotta in cenere. Da quel tempo in poi andiamo vagando per diversi mari, traportati dall’ira degli Dei, desiderando e sperando di pervenire un giorno alla patria nostra.

Polite. E s’io fossi stato sempre porco, avrei io sofferite tante fatiche? Tu non sai, Ulisse, quanta sia la felicità di quella vita. Odila, io ti prego; e son certo che ti gitterai inginocchioni dinanzi a Circe, perch’ella ti tramuti in quella fortunatissima bestia.

Ulisse. Di’ su, sbrigati, perch’io muoio di curiosità di sentire cotesti tuoi sogni, o piuttosto pazzie e vaneggiamenti d’un ammalato.

Polite. Sappi dunque che non sì tosto mi furono coperte le membra di quella dura cotenna, che sentii in un subito addensarmisi anche il cervello, e turarsi la memoria per modo che tutte le passate cose quindi fuggirono, come se mai non avessi veduto nulla. Non mi sovvenne più punto di tanti pericoli ch’io avea passati; i quali ora ritornandomi in mente, mi fanno ancora raccapricciare di paura, come se mi trovassi al caso; e Troia e le battaglie, e ogni cosa era divenuta per me una nebbia portata via da’venti. I lunghi viaggi che fatti abbiamo, e gl’infiniti rischi d’affogarci tra l’onde, e d’essere divorati da’mostri, non m’empievano più di sospetto di que’mali che mi poteano dopo accadere, d’essere una volta o l’altra trangugiato dal mare, o divenir pastura de’Ciclopi o delle Sirene. Un attimo, un punto solo di tempo mi stava dinanzi agli occhi, essendo io appunto nel mezzo del passato e di quello che dee avvenire. Pensava solo a mettere il grifo nel truogo per succiarmi la broda, e frangere co’denti le ghiande, delle quali pasciutomi, non mi curava più d’altro; anzi mi stendeva sul terreno quando a dormire, e quando con gli occhi aperti, senza pensiero veruno. Nella quale vita io avea già preso grandissimo ristoro, e tale che la pelle mia avea cominciato a risplendere, e diveniva quartato e sì grasso, ch’era una bellezza il fatto mio. Di che io m’avveggo benissimo che i continui pensieri sono quelli che, tenendoci in attività e movimento, ci vanno a poco a poco logorando il temperamento, e ci fanno per lo più i visi gialli, e intagliati, che paiono di legno, e ci conducono a più presta vecchiezza di quella che naturalmente ci coglierebbe se noi stessimo spensierati, e prendendo il mondo qual viene d’ora in ora; senza curarci delle avventure che sono passate, o di quelle che ci debbono accadere.

Ulisse. S’io credessi in effetto che le mie parole e ragioni non potessero farti cambiar pensiero, egli mi dorrebbe assai d’avere impetrato dalla dottissima Circe, ch’ella al primo aspetto umano ti ritornasse. Come? è però egli possibile che un uomo ragioni in così fatta guisa, e creda di ragionar bene? Quasi quasi te lo vorrei comportare se fossi solo nel mondo, e che quanto vedi intorno a te, fosse a te solo dalla [400] mano di Giove qui conceduto; o se tutti gli altri uomini fossero per modo slegati da te, che tu non dovessi curarti di loro nè molto nè poco. Ma sai tu, che tu hai ad essi una grandissima obbligazione? e non solo a coloro che teco vivono al presente, ma molto più a quelli che verranno dietro di te?

Polite. Oh! questo è quello ch’io vorrei vedere, che avessi anche obbligo a coloro ch’io non conosco, e non saprò forse chi sieno giammai.

Ulisse. Adagio. Io non ti dirò già una opinione che sia mia; ma una cosa che solea dire Chirone, quel sì rinomato maestro d’Achille: la qual cosa mi fu spesso dal suo discepolo raccontata più volte, e la quale lo inanimò cotanto, ch’egli preferì il morir giovane e glorioso al vivere lungamente ozioso ed inonorato. Sappi, diceva il sapiente maestro al suo nobilissimo scolare, che dalle mani dell’onnipossente Giove, da cui tu traggi l’origine, è uscito questo mondo, e ch’egli non poche volte lo si sta vagheggiando dalla sua celeste abitazione. Egli regola di lassù il corso delle rilucenti sfere, le quali sotto alla sua mano s’aggirano, e arrecano questa varietà di stagioni che tu vedi. Egli ha disteso l’ampio mare, innalzati gli altissimi monti fino alle nuvole, e da’quelli fa uscire l’acque che riempiono il letto a’tortuosi fiumi, avendo in questi ed in molti altri modi provveduto alla bellezza naturale di questo soggiorno terreno. Ma poich’egli ebbe così fatto ogni cosa, la diede nelle mani degli uomini, raccomandando a quelli che a tutto loro potere l’abbellissero dinanzi agli occhi suoi, promettendo ad ognuno pel fine delle loro fatiche la vaghezza degli Elisi, ed un nome immortale a chi maggiore opera vi facesse degli altri. S’affaticarono que’primi abitatori della terra; e sudando le fronti, l’apersero in molti solchi, traendo di quella non solo il proprio lor vitto, ma apparecchiandolo a tutti quelli che dopo di loro aveano a venire: ed arrischiandosi altri ad aprire col corso de’veloci legni il profondo mare, fecero nuove comunicazioni fra lontani e vicini; onde s’acuirono di qua e di là gl’ingegni, e gli uni provvidero alle bisogne degli altri, stabilendo fra le diverse nazioni amistà e fratellanza: tanto che si fece una società universale. Così fatti uomini procreandone di nuovi, insegnarono l’arti loro a quelli che vennero dopo: e se tu, o Polite, che ti godi queste bellezze del mondo pervenute a te da coloro i quali furono avanti di te, desideri solamente un ozio ed un’infingardaggine che duri quanto è la tua vita, non mirando più là che gli anni tuoi, in due modi fai ingiustamente: il primo non ricordandoti de’tuoi passati, i quali s’affaticarono per dare a te quello che possiedi, e il secondo ponendo in dimenticanza i tuoi discendenti, ai quali se’obbligato a far del bene, e a dar loro quella gloria e quell’onore che ricevesti quasi in deposito da coloro che furono prima di te, e che non ti conoscevano, come tua non conosci quegli uomini che dietro a te verranno. Io so bene che, secondo il tuo parere, se tu fossi stato Agamennone o Menelao, non avresti condotte tante genti all’assedio di Troia, dicendo che tu avresti piuttosto voluto sedere ad una mensa col bicchiere in mano, che vendicare il torto ricevuto da Paride nella rapita Elena. Ma non vedi tu [401] quanto onore ha ricevuto nel mondo la Grecia tutta da così bene eseguita impresa? e quanto da’Greci sia stato accresciuto quel nome e quella fama che fu loro lasciata da’loro maggiori? Come? non sono oggidì famose Sparta e Argo, le quali, se non m’inganno, dietro a questo fatto diverranno sempre più celebrate e più chiare? Quanta gloria fu acquistata da Achille ad un picciolo scoglio e ad un branco di gente che furono con esso lui a quella guerra? E credi tu forse, se di tanto mi saranno benigni gli Iddii ch’io ritorni alla mia piccioletta Itaca, ch’io stesso non abbia delle mie fatiche a trarre onoratissimo nome, e a lasciarlo a Telemaco e a’miei discendenti? Così fatta dee essere la natura degli uomini, e a questo fine ci fu dato da Giove l’intelletto, il quale tenendosi imbrigliato nel continuo ozio e nell’amore de’diletti, come tu avresti voglia di fare, non lascia di sè opera degna, nè acquista però quella quiete che crede: essendo infine infine uguale la fatica del voler vivere ozioso a quella dell’essere vigilante ed attivo; salvo che nella prima gl’impacci sono diversi dall’ultima, e che in iscambio di lode se ne trae biasimo, o almeno obblivione.

Polite. Che importa a me dell’obblivione, purch’io viva a modo mio, e a seconda di que’capricci che mi s’aggirano pel cervello?

Ulisse. Odi; io te lo vorrei comportare, quando la tua età fosse durevole, o potesse resistere nel fiore della robustezza: ma credi tu che gli anni sieno sempre quei medesimi? Quando ti sopraggiungerà la decadenza della tua età, egli ti rimarrà pieno il cervello delle frascherie giovanili, perchè quello si pensa che s’è accumulato nell’intelletto con le prime meditazioni; e non solamente ti mancheranno le forze, ma farai ridere del fatto tuo tutti quelli che ti conosceranno; della quale ignominia non si può dare al mondo la peggiore, nè la più disonorata. E poi, eredi tu, quando anche tu vivessi a modo tuo, che ti potesse durare quell’ozio che desideri? Il vincolo con cui sei a tutti gli altri legato, ti darebbe sempre cagione di pensiero. Imperciocchè il corso della vita d’uno non dipende da lui solo; ma tutti coloro che gli sono intorno, lo muovono, sicchè la maggior parte de’suoi pensieri deriva dagli altri. E se tu ti mettessi in cuore di non affezionarti mai ad alcuno, nè di curarti del prossimo tuo, ti troverai obbligato o ad usare una continua maschera di dissimulazione per poter vivere cogli altri, acquistando il biasimo della falsità; o dovrai viver solo come gli orsi nelle montagne, ed essere bestemmiato da tutti. Sicchè, Polite mio, non c’è al mondo la più felice vita, che quella del darsi da sè a molti onorati pensieri, i quali giovino altrui, e mettere il suo diletto nel far del bene, che può durare in ogni età, e anche dopo la vita.

Polite. In breve, quai piaceri dunque vorresti tu ch’io eleggessi?

Ulisse. L’elezione sta nel tuo umore. In generale ti dico che tu cerchi fra essi quelli che non accrescono molto i desiderii, e che possono essere di tuo profitto e d’altrui, e che finalmente rendano il tuo nome degno di lode. Ma sopra tutto scordati d’essere stato nel porcile, e non te ne ricordar mai per altro, che per temere quel punto che t’avea renduto animale. ◀Utopía ◀Diálogo ◀Nivel 4 ◀Nivel 3 ◀Nivel 2 ◀Nivel 1