Citation: Gasparo Gozzi (Ed.): "Numero LXXIX", in: L’Osservatore veneto, Vol.1\079 (1761-11-04), pp. NaN-333, edited in: Ertler, Klaus-Dieter / Fuchs, Alexandra (Ed.): The "Spectators" in the international context. Digital Edition, Graz 2011- . hdl.handle.net/11471/513.20.464 [last accessed: ].


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N° LXXIX

A dì 4 novembre 1761.

Citation/Motto► Hominum sunt ista, non temporum.

Sen., Epist.

Questi sono difetti degli uomini,
non de’tempi. ◀Citation/Motto

Level 2► Metatextuality► Comecchè io abbia più volte affermato sino a qui che ne’miei ragionamenti non ho mai in animo di offendere uomo alcuno vivente, ci sono taluni i quali vogliono a viva forza fare le interpretazioni e le chiose ad ogni mia parola e detto, e trovarvi dentro le censure, le critiche, la malignità, la maldicenza. Pare a questi tali che io stia sempre con gli occhi aperti a guardare tutti i fatti del prossimo, ad esaminare tutt’i detti suoi per commentargli a modo mio, ed empierne poscia questi fogli. Ma se costoro non avessero essi gli occhi di osso, e vedessero lume, vedrebbero che io non ci ho punto colpa, e che il male viene dagli uomini in generale, come appunto dice Seneca, e non da’tempi. Leggano essi, se pure i libri non sono loro in odio come la pestilenza, le antiche commedie e le satire, e vedranno se io mento. Quando si adirano essi meco, potrebbero per la stessa cagione avere collera contro a Terenzio, contro a Plauto, contro Orazio e Giovenale. Quante volte mordono essi i costumi, ch’egli pare che mordano quelli de’tempi nostri? e quante volte ho io udito alcuni allegare, al proposito di qualche fatto accaduto oggidì, versi di alcuno di cotesti quattro autori? Se potessimo ritornare indietro, come andiamo sempre innanzi, io sono certo che sarebbe citato alcuno dei passi miei fra’Romani, come vengono citati i loro fra noi; e vi ha una certa qualità di scrivere ch’è buono a tutt’i tempi. Io non nego ch’egli non paia che gli scrittori scrivano talvolta de’tempi loro, perchè in certe circostanze si vagliono di quello che hanno sotto agli occhi. Level 3► Exemplum► Per esempio, avranno detto gli antichi: Tale o tal cosa è avvenuta in un bagno: e io dirò, in una bottega da caffè; perchè se io dicessi in un bagno, perderei la verisimiglianza. Avranno [331] essi fatta la descrizione di una [] na con que’loro letti, dove le persone stavansi a mangiare sdraiate; io la farò, come si usa oggidì, con le genti in cerchio, poste a sedere intorno ad una tavola; altrimenti si direbbe che io fossi pazzo. ◀Exemplum ◀Level 3 Ma quando si entra nel cuore degli uomini, le usanze sono sempre quelle antiche, e da tutte quelle migliaia di anni in qua che il mondo nacque, la stirpe nostra è sempre stata quella medesima, e quelle stesse sono sempre state le fantasie, i desiderii, gli abborrimenti e i pensieri. Non ci è bestialità che non sia stata fatta; e quando io nomino Niccolò, Andrea o Giambattista, lo fo per acconciarmi alle circostanze di oggidì, e per non dire Lucio Sabino, Quinto Lutazio, e Sesto Tarquinio, i quali sarebbero nomi intarlati, e parrebbe agli uomini che leggono, di esser morti; le mie scritture si prenderebbero per un volgarizzamento fatto dal latino, e si direbbe che io ho rubacchiato da qualche scrittore romano. Per altro io ci giocherei la mia vita contro un morso di berlingozzo, che quanto io ho detto ne’passati fogli sino al presente, sì potrebbe così bene adattare a tutti gli uomini antichi, come i miei malevoli cercano di adattarlo ai presenti; e coloro che verranno, potranno benissimo adattarlo ai tempi loro.

Le parole che ho dette qui sopra servano di prefazione a questo quarto volumetto, ch’io di tempo in tempo anderò pubblicando, come gli altri tre, e ringraziando quelle persone che si compiacciono delle mie favole, sogni, racconti, dialoghi, dicerie e d’altro, procurerò di seguir l’opera in quel modo ch’io creda che possa esser più grato. ◀Metatextuality ◀Level 2

Citation/Motto► . . . Ridentem dicere verum
Quid velat?

Horat., Sat., I.

Chi ti vieta che ridendo non possa
dire la verità? ◀Citation/Motto

Level 2► Poesia è un immenso mare, nel quale si può andar con vari venti da infiniti lati; e talora scopritori di viaggi nuovi ci sono, che possono condurre questa maravigliosa navigazione a terre e porti non più veduti. Tante cose si sono vedute nei passati tempi ne’teatri, ch’egli pareva oggimai che non se ne potesse vedere altre. Tragedie, commedie, pastorali, tragicommedie, drammi, intermezzi, farse e altri spettacoli aveano già fatto disperare gl’ingegni di potere inventare altro. La favola del Corvo, della quale ho a lungo favellato in uno de’passati fogli, ha cominciato ad aprire una nuova via, ed a chiamare gl’intelletti anche a quella parte. So che alcuni ci sono i quali si affaticano per imitarla, e sono certo che vi faranno buona riuscita, essendo essi capaci di ogni cosa, e arricchiti di tutte le grazie da Apollo; e se vi si metteranno, come suol dirsi, con l’arco dell’osso, vedremo in breve aggiunto agli altri questo genere di poesia, non meno degli altri grazioso e gentile. Dissi alquante mie riflessioni intorno alla passione che nella soprallegata favola alletta e tiene attaccati a sè gli orecchi degli uditori: ora aggiungerò alcune altre meditazioni che potrebbero sempre più migliorare e far crescere non solo la bellezza, ma la utilità di tali argomenti. Un significato intrinseco e velato dall’allegoria potrebbe per avventura ridurre alla sua perfezione un tal genere di rappresentazioni. Quelle [332] maraviglie, quelle impossibilità di tramutazioni, conterrebbero un diletto di più, se in esse fosse lasciato il campo a quella malizietta fine fine, che naturalmente ha in sè l’uomo, d’interpretarvi qualche cosa; sicchè egli potesse gloriarsi che l’accortezza sua vi ha dentro anch’essa una parte. So io bene che questo modo ha in sè molte gravi difficoltà, e che non è cosa agevole, quanto altri pensa, il rendere l’argomento sì chiaro alla udienza, ch’essa se ne avvegga, e tenerlo dall’altro lato sì occulto, che il velo dell’allegoria non ne rimanga in alcuna parte squarciato. Ma che non fa l’ingegno umano? Che non possono le forze di un penetrativo intelletto, quando egli voglia affaticarsi? E quanta bellezza e grazia non avrebbero in sè rappresentazioni, nelle quali, per così dire, parlassero anche le cose che per natura son mutole, e significassero qualche cosa intorno al costume? Il Corvo ne ha già dato in parte l’esempio. Le colombe che avvisano il principe della calamità che gli sta sopra il capo, non esprimono forse che all’uomo prudente parlano fino le cose che non hanno senso, e ch’egli prende gl’indizi di quello che gli dee accadere da ogni menoma circostanza?

Io non so se il dragone che viene per divorare il re la prima notte ch’egli si corica a letto con la moglie, volesse significare qualche cosa contro alle insofferibili spese che inghiottono le facoltà de’mariti quando prendono donna, e non oserei di affermarlo; ma a un di presso mi pare che vi sia qualche significato somigliante.

Sopra tutto però è notabile la tramutazione del principe in istatua; il quale, perseguitato dal negromante, è condotto a tale necessità, che non può dichiarare la sua innocenza, se in sasso non si tramuta. Nobile e grande allegoria quivi è contenuta; che dimostra ogni pericolo doversi dispregiare, anzi ogni gravissimo danno, per palesare la sua innocenza agli occhi del mondo, e temere l’ignominia più che altra cosa. Il poco che io dico, ha già aperto l’adito a proseguire; e non solo possono avere gli scrittori alle mani quelle favole che narransi dalle vecchierelle a’fanciulli, ma tutte le antiche ancora, cioè quelle delle quali la mitologia ci ammaestra, ed hanno già per sè stesse e naturalmente il senso loro coperto.

Le commedie di Aristofane potrebbero in ciò servire di guida a que’poeti che prendessero a trattare argomenti allegorici. Non è già che egli si valesse di argomenti allegorici tratti dalle ricevute favole delle antiche deità. Fabbricavasi con la sua invenzione un capriccio, e quello adattava a diverse circostanze del suo paese, e allegoricamente censurava i costumi degli Ateniesi. Ma dico che l’orditura da lui adoperata potrebbe somministrare un buon ordine alle nuove favole, e avviare gl’ingegni per questo verso.

Level 3► Citation/Motto► Vos exemplaria græca
Nocturna versate manu, versate diurna?
◀Citation/Motto ◀Level 3

Quei capacissimi ingegni hanno tentato ogni cosa, e sono di ogni cosa maestri.

Io so bene che parrà forse strano a taluni che io solleciti con queste mie ciance gl’intelletti ad allontanarsi dalla via di una imitazione naturale nelle rappresentazioni de’teatri. Ma lo stimolare a novità non [333] significa che si abbiano ad abbandonare le strade battute e comuni. Nella poesia, come in tutte le altre cose che furono ritrovate per diletto, la varietà è quella che piace; e se altro bene non facessero i trovati nuovi, sempre daranno campo e agio che torni a germogliare la voglia de’vecchi; i quali tenuti, per così dire, per alcun tempo in casa, e non lasciati andar per le vie continuamente, sono poi avidamente ricevuti e come nuovi apprezzati. Chi mi chiedesse perchè io abbia fatto sì lungo favellare sopra ciò, credo che non gliene saprei addurre la ragione. Sarà stato un desiderio di vedere sempre più coltivata l’arte poetica, da me non abborrita mai, lo confesso; una voglia che nel teatro fioriscano le novità; una brama di cianciare all’aria. Che so io?

Level 3► Letter/Letter to the editor► Metatextuality► Al Signor N. N. ◀Metatextuality

Non signore, non sono in questo autunno uscito mai di :Venezia, e l’ho caro. Se avete veduto le continue piogge che hanno allagata la terra, e se vi siete immaginate le pozzanghere e gli abissi della campagna, potete anche immaginare donde nasca che io abbia caro di non essermi partito di qua. Ad ogni modo mi ritrovo ancora vivo all’entrare che qui fanno le altre genti, le quali non hanno a contarmi altri spassi, se non che o si sono quasi annegate o affogate nel fango. E quelli che si sono meglio sollazzati, mi dicono che rinchiusi in una casa hanno giocato a carte tutto il dì e quasi tutta la notte, o hanno mangiato e dormito sempre. Io all’incontro narro loro più cose che non le sapeano ancora, accadute qua, e mi vendico del non essermi partito col dipingere loro i passatempi avuti in Venezia; e sopra tutto fo loro spiccare con eloquenza, che non mi sono infangato mai e non ho corso pericolo di rompermi il collo in poste, standomi alla discrezione di cavalli, che infine sono bestie, e di vetturali ubbriachi che spesso sono più bestie di quelli. Il solo dispiacere che ho avuto, è stato quello di non poter venire a vedervi, come vi avea promesso: ma in iscambio vi ho avuto sempre in mente, e non mi sono mai partito da voi. Quando io vi accerto che l’animo mio è stato con voi, che vi dee importare del corpo? Io non sono di que’corpi che vi possono piacere. Se fossi femmina, o brutta o bella che mi fossi, non direi così. Se passato il verno, la primavera sarà bella, ridente e lucida da tutt’i lati, sì che io non possa avere un menomo sospetto di pioggia o di pantani, attendetemi: altrimenti se non venite voi, avrete sempre l’anima mia, e non altro. State sano, e credetemi che sono tutto vostro

A. Z. ◀Letter/Letter to the editor ◀Level 3

L’Osservatore.

Metatextuality► Io non so perchè fui pregato di pubblicare questa lettera. Ad ogni modo, non penso più oltre. Servo ad un amico mio che ciò mi domanda; e spero che per riguardo dell’amicizia i cortesi leggitori non ne saranno scontenti. Non è gran male ch’io abbia riservata una faccia di questi fogli ad un amico. ◀Metatextuality ◀Level 2 ◀Level 1