L’Osservatore veneto: Numero LXXVI

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Nível 1

N° LXXVI

A dì 24 ottobre 1761.

Citação/Lema

E quando un segue il libero costume
Di sfogarsi scrivendo, o di cantare,
Lo minaccia di far buttare in fiume.

Berni.

Nível 2

Metatextualidade

Si aggirò per Venezia ne’passati giorni una novelletta di due pittori. A proposito di quella, non so donde, mi pervenne alle mani un foglio accompagnato da una ista di pubblicarlo. Stetti fra il sì e il no per qualche tempo. Pure finalmente, avendolo bene esaminato, e conoscendo ch’esso non contiene altra intenzione fuor che quella di mettere in luce la verità, che dee essere amata da ogni uomo onesto sopra ogni cosa, consento a chi lo scrisse, e lo mando allo stampatore. È di necessità accordarsi a chi brama che sia saputo il vero.

Nível 3

Carta/Carta ao editor

Metatextualidade

Al Signor N. N., a Milano. La vostra lettera del dì 13 del corrente è stata qui pubblicata colle stampe.
Bella cosa avete fatta nel vero a piantare una carota così solenne, perchè la fosse poi messa alla luce! Dove avete voi la coscienza? Perchè scrivete voi le cose al contrario di quel che sono? Quale ingegno è il vostro che si diletta, non so per qual capriccio, di mascherare la verità, e di scrivere a’vostri corrispondenti quello che non è e non è stato mai? Non mi sono io forse partito da Milano a questi giorni? Io so pure com’è stata la faccenda de’due pittori, l’uno de’quali è a me noto quanto sono io a me medesimo, e dell’altro ne ho quella cognizione che mi fu data dalla città di Milano tutta intera.

Nível 4

Narração geral

Pensate quello che mi parve quando giunsi in Venezia, mi spogliai il vestito da viaggio, mi mascherai, andai ad una bottega da caffè, trovai che vi si leggeva in un foglio la lettera vostra ad alta voce, e udii un bugione così fatto. Non potei ritenermi, e sapendo come la cosa è in effetto, mosso da un certo amore alla verità, esclamai: Oh va’, e di’poi che si abbia a credere una storia un minuto di ora dopo che la è accaduta, o quando la è uscita un quarto di miglio fuori di quel paese ove nacque! Tale esclamazione, uscitami dalla bocca involontariamente, fece invogliare alcuni circostanti di sapere chi io fossi: il botteghiere mi conosceva; disse loro all’orecchio ch’io era Milanese, tutti mi si fecero intorno e cominciarono a domandarmi le particolarità della storia de’pittori; io presi il foglio in mano, e dissi a questo modo:

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Exemplo

Vedete voi, signori miei, questo primo pittore, di cui dà notizia il foglio, come di un uomo che con le opere sue moltissime e di ogni sorte si è fatto non poco credito in tutta l’Italia e fuori dell’Italia ancora; ch’è affollato dalle faccende, che ha nelle cose sue un non so che di vivo, di dilettevole e di naturale, che riesce bello agli occhi delle persone ancora meno intendenti, ec? Sappiate che questo è uno de’più capricciosi intelletti che adoperassero mai pennello: ed è il piacere di Milano per un suo nuovo e non più udito capriccio. Chi pon freno a’cervelli, o dà lor legge? Ha egli veramente, come riferisce il foglio, infinite faccende, perchè da mattina a sera, con una fretta che mai la maggiore, si sta sempre a ricopiare non so quali lavandaie, o teste di Oloferne, o Alessandri Magni da dozzina e da buon mercato, che sono poi trasferiti per le fiere ora di Bolzano e ora di Sinigaglia e in altri luoghi. E dipinge anche orciuoli, piattelli e cartapecore da cembali, che quando hanno intorno la sonagliera, fra il romore di quella e certi colori appiccàtivi, grossi un dito, talvolta alla prima occhiata pare che abbiano qualche vistosità; ma non vi fu mai alcuno che abbia potuto intendere quello che sia dipinto, se vi sia visi di uomini o bestie o altro. Tutte queste cose vengono, come dissi, trasportate per le fiere a balle, a sacca, in cassoni e in ceste, per modo che quanto all’abbondanza non si potrebbe dir nulla: e non vi ha chi si opponga, perchè ogni altro pittore a petto a lui è una gocciola di pioggia a comparazione del diluvio universale. Ma quello che fa maravigliare, si è che venendo le sue pitture trasferite qua e colà, e condotte di paese in paese, e spesso riportate indietro senza averle sballate, mette tutti questi viaggi in conto di suo concetto; e comecchè egli sappia che non vengono da’forestieri accettate nè spesso nè volentieri, a lui basta che le siano andate attorno, per affermare il credito ch’egli si è fatto fuori dell’Italia ancora, e per tenersi, nella sua immaginativa, vivo, dilettevole e natural pittore; ed è così entrato in tal fantasia, che non è mai stato possibile di fargli credere il contrario; e chi gli cavasse questa dal cervello, gli rimarrebbe poco altro. Ma questo sarebbe un passatempo, se non fossero molti anni che a dispetto di mare e di vento non si fosse anche ostinato a volere che la sua maniera di dipingere sia la più bella e la più corretta scuola del mondo; che i Tiziani, i Tintoretti, i Paoli siano a petto a lui pennelli da imbiancatori; e finalmente non si fosse dato a svillaneggiare tutti gli eccellenti pittori antichi e i buoni moderni dell’antica scuola; non so se perchè in effetto così la intenda, o per fare come la volpe della favola, che avea perduta la coda, e consigliava nell’assemblea a tutte le altre volpi il tagliarsela per non parere essa sola scodata. Spiacque un tal procedere ad un egregio maestro dell’arte, il quale, come qui vedete, è nella lettera di Milano nominato alla lombarda Spegazzino copista. Spegazzino copista! Signori miei, questo è uno de’più periti, naturali e corretti pittori che sieno stati da parecchi anni in qua. Fino dalla prima età sua si è applicato ad un ottimo genere di pittura, ad uno studio di natura indefesso, ad una perfetta imitazione di quella, ad un colorito che ha tutta la squisitezza antica e la moderna vivacità, e che dà un’anima di vita e galanteria a quanto gli esce del pennello. Questi, oltre allo studio suo, ha anche sempre avuto l’agio di esaminare le sue invenzioni, di condurle a fine con diligenza, e di correggere a modo suo come colui ch’esercitò la professione per diletto, e ha fatto i quadri suoi non comandato, ma stimolato dalla sua libera fantasia, avendo tanto dalla fortuna, che può attendere alla pittura, senza cercare, nè voler guadagno da quella. Pochi sono i quadri che fino a qui gli sono usciti delle mani, è vero; ma questi pochi non sono andati per le fiere, anzi sono cari ne’gabinetti degl’intendenti; nè mai gli sono usciti di casa, se non gli mandò in dono a questo o a quello degli amici suoi; di che ho per testimonianza tutta la città: onde vedete se la lettera di Milano ha il torto, dove afferma ch’egli è invidioso dell’altro pittore perchè non guadagna in capo all’anno due bagattini. Ma per tornare al primo proposito, spiacque al valente maestro che l’altro col dispregiare gli antichi valenti pittori, e co’vantamenti continui delle opere sue, tentasse di abbattere i buoni, e di guastare la scuola di un’arte che ha in sè tanta nobiltà e grandezza. Come, diceva egli fra sè più volte, pieno di un’affettuosa passione, una scuola da’nostri maggiori per tanti secoli e con tanto sudore così ben fondata, che fa onore alla nostra Italia e alla patria nostra, verrà ora desolata dalle parole di questo nuovo pittore? Non saranno più esemplari della gioventù tanti mastri pezzi di opere che ci furono lasciati? Oh! che importa? Importa. Perchè le buone arti bene esercitate ingentiliscono i costumi, introducono nell’anima una certa misura e armonia che l’assuefà al pensare rettamente; e se non la rendono in effetto migliore quanto alla virtù, almeno la dispongono ad una certa compostezza e ad un certo ordine che più facilmente alla virtù può adattarsi. Le stravaganze nelle arti liberali sono quelle prime ch’entrano nel cervello della gioventù, la quale, suggendo quel primo latte torbido e tristo, non è possibile a dirsi quanto divenga poi male atta, torcendosi in quel principio, a ricevere una educazione regolata ed onesta. Più volte fu così udito a dire; ma perchè le parole giovano poco quando non si viene a’fatti, inventò un giorno un suo quadro allegorico, in cui dipinse sotto il velo di certe figurette gioconde una fraterna ammonizione al pittore dell’abbondanza; il quale in iscambio di riceverla per quella ch’ella era, andò dicendo in ogni luogo che la era una satira, e montò sulle furie talmente, che pieno di mal talento, presa una sua tela davanti, vi dipinse dentro la sua rabbia, e fu così da quella traportato, che gli parea di avervi delineato e dipinto il pittore suo avversario. Vi fu per quella volta chi lo pose in calma; e se voi sapeste il modo, so che ne ridereste; ma in una pubblica bottega non si può narrare ogni cosa; solo vi dirò che un uomo di ottimo cuore, cordiale e generoso, senza saputa del pittore corretto, con un atto da suo pari, gli tolse quella furia del capo, e liberamente nel mandò in pace. Ma che dico nel mandò in pace? Non dipinse mai dopo nè tela, nè orciuolo, nè piattello, nè carta da cembalo, in cui non dipingesse in un cantuccio qualche cane che abbaiasse contro al buon pittore, o qualche rospo che tentasse di avvelenarlo con la bava. Mai non cessò nelle conversazioni, nelle botteghe o nelle piazze di lingueggiare e dir male de’fatti suoi; tanto che al pittore corretto venne finalmente voglia di ridere del suo avversario, massime avendo egli notato che, oltre a’tentativi che faceva di offendere lui, avea più volte ne’suoi piattelli e cembali attaccati anche gli amici suoi più intrinsechi, e non tralasciava mai di malmenargli, attaccargli e stuzzicargli, checchè dica la lettera, che nessuno possa dire di avere ricevuta da lui la menoma offesa. Per la qual cosa dunque il buon pittore, immaginatosi vivamente la effigie del suo avversario, la espresse in varie forme gioviali e grottesche, condite da un certo garbo particolare del suo pennello, sicchè n’è riuscita un’opera non solo somigliante, ma piena di tanto vezzo e di tale galanteria, che venendo sposta agli occhi del pubblico, vi fu un gran concorso a vederla, e ne rimase ogni veditore appagato. Quando l’avversario intese che il quadro era stato posto fuori, prese un ottimo spediente in apparenza, che fu quello di non curarsene; e ben doveano gli amici suoi veri mantenere in lui questa opinione; ma in sostanza di tempo in tempo, non veduto, andava a dargli un’occhiata, e non potea far a meno di non mostrare il conceputo dispetto, il quale fu benissimo conosciuto da’notomisti del cuore umano; perchè dopo lo stabilimento fatto da lui di non parlarne, non poteva tacerne mai. E quel che fu peggio, in iscambio di tentare di abbattere l’avversario suo con qualche bella invenzione, o difendersi con prove e con argomenti che mostrassero quanta sia la sua sapienza nella pittura, di nuovo cominciò a dirne male senza una prova al mondo, e a riconfermare la sua capacità, secondo l’usato, con le sue lodi e col vituperare altrui senza misurare le parole. E tanto andò oltre riscaldandosi la fantasia, che incominciò a vaneggiare siffattamente, che immaginò ne’vaneggiamenti suoi di avere esposto un quadro novello approvato da tutti (cosa che non avvenne mai ancora), e che per doglia l’emolo suo si rompesse il capo in una muraglia, e morisse di rabbia. In fine tanto entrò in questo farnetico, che gli pare di avere l’ombra dell’emolo suo sempre a’fianchi, e a guisa di Oreste, va passeggiando e parlando in questa forma:

Nível 6

Fammi di bronzo il petto, filosofica forza. Ma no, va la mia nave a poggia ed or ad orza. Scoppi da’nembi pure la folgore ed il tuono, Sarò sempre quel desso; ma non so dove sono. Donde vieni, Ombra iniqua, con la sferza crudele? Perchè tazza mi porgi colma d’amaro fele? Vanne; odo il fischio eterno dell’anguifere suore; Tutto è ripieno il mondo di tenebre e d’errore. Ma filosofo sono: vengami incontra Averno, Sarò sempre costante, e tremerò in eterno.
In tal guisa imperversando, egli teme da ogni lato le apparizioni del buon pittore da lui creduto morto, e questi quieto, vivo e sano, mangia e bee del suo, ride di tali fantasie, e si gode la gloria de’suoi onorati sudori.
Questa, signori miei, è la vera storia de’due pittori, alterata nel foglio che qui si leggeva. Nè io so per qual capriccio sia stata di colà scritta in altra forma. Ma io vi prometto di ragguagliare a chi l’ha scritta a quel modo il caso che mi è qui accaduto. Anzi me ne vado subito a stendere il fatto in una lettera. Addio, miei signori.
E voi, signor mio di Milano, se mai più scrivete novelle, regolatevi, perchè le vanno a stampa, e se avessi palesato il nome vostro, ne sareste stimato un parabolano. Vi raccomando da qui avanti la verità. E se siete amico del pittore assalito con l’ultimo quadro, difendetelo onoratamente e con que’modi che dee usare un uomo dabbene, o tacete. Il cielo vi apra gli occhi, e vi faccia conoscere il vero ed amarlo. Non altro.

Metatextualidade

Vi saluto. Di Venezia . . .