Zitiervorschlag: Gasparo Gozzi (Hrsg.): "Numero LXIV", in: L’Osservatore veneto, Vol.1\064 (1761-09-12), S. 264-268, ediert in: Ertler, Klaus-Dieter / Fuchs, Alexandra (Hrsg.): Die "Spectators" im internationalen Kontext. Digitale Edition, Graz 2011- . hdl.handle.net/11471/513.20.449 [aufgerufen am: ].


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N° LXIV

A di 12 settembre 1761.

Ebene 2► Ebene 3► Ebene 4► Allgemeine Erzählung► della Geva, pensò di pregare Taddeo che, in quel modo che meglio potea, ne lo allogasse la notte. Non era Taddeo ritornato ancora a casa; ma fuggito dalla furia della moglie di Giovanni, erasi arrestato in una stalla, dove avea perduto molto tempo in compagnia del cuoco a dir male della padrona, e parte ad annaffiare la gola con una boccia di cervogia che aveano trafugata nel punto del furore. Per la qual cosa il dottore, trovata la Geva sola, si raccomandò a lei; ed ella, che sapea lui essere da Taddeo conosciuto, ne lo ricolse nella casetta sua, e fecegli onore con quella cenetta che potè, e posesi seco a mangiare, come colei che non attendeva il marito, il quale, sendo invitato altrove, le avea detto che per quella sera cenasse da sè all’ora che più le fosse piaciuto; e le avea lasciato per ciò certi quattrinucci, secondo la povertà sua, da sguazzare nell’abbondanza. Mangiando dunque il dottore con esso lei, incominciarono a ragionare della gran virtù dell’indovinare, onde a poco a poco egli domandò alla Geva di vederle la mano, ed ella gliele aperse; onde il dottore, studiate le linee, le parlò in questa forma: “Geva mia, io sono venuto in buon punto, imperocchè domani tu avrai una ventura grande: e pensa che tu non avrai più a stare in questa affumicata casettina, ma dèi entrare in uno de’più ricchi palagi di Londra, nel quale sarai corteggiata a guisa di rema. Questi poveri cenci, che tu hai indosso, saranno scambiati in ricchi e nobili vestimenti; e non solo non istarai più a filare e a sofferire le percosse del marito, ma tu avrai d’intorno staffieri e donne da poter loro [265] comandare, e cocchio da andare intorno come una signora. E vuoi tu più? che tu avrai oltre a tutto ciò uno dei più giovani e de’più ricchi e garbati mariti che ci sieno; tanto che sarai la più ricca e la più beata donna che viva. Ricordati solo, che mutando qualità di vita, tu prenda anche, per quanto puoi, le maniere nobili: sappi adattarti ai costumi loro gentili, sicchè tu non sia mai scoperta per quella povera Geva che tu sei, perchè allora ti verrebbe meno in un subito ogni tua fortuna.” Stavasi la Geva ascoltando le parole del dottore a bocca aperta, ed era tentata di non credergli; ma egli le indovinò tante delle cose passate, fino delle più segrete e note a lei sola e a Taddeo, che finalmente gli prestò fede, e le venne al cuore un’allegrezza che le mancava il fiato, e già le parea di nuotare nell’oro e nella seta, e di comandare a bacchetta ad una turba di famigli. Sbrigatosi intanto Taddeo dalla compagnia del cuoco, ritornava a casa; e giunsevi appunto in sul colmo dell’allegrezza della donna sua, la quale, come lo vide, parea quasi impazzata; e levatasi in piè gli corse incontro, e in poche e confuse parole gli raccontò che fra poco la sarebbe stata da più che una reina, e gli empiè il capo di quattrini, di vestimenti, di livree, tacendogli solamente del marito nuovo, che forse era una delle consolazioni da lei più desiderate. Taddeo mezzo fuori di sè e parte arrabbiato, perchè vedea quivi il dottor solo con la Geva, poco mancò che non la sonasse in quel punto con un buon bastone; pure ebbe pazienza; e salutato così in cagnesco l’ospite suo, domandò a lei se la era briaca, e che volessero significare tante pazzie ch’ella stava dicendo. Allora il dottore voltatosi a Taddeo, gli contò com’egli era stato discacciato dalla moglie di Giovanni, e ricoveratosi in casa sua; e che avea predetta una gran fortuna alla Geva; di che ell’era contenta, come la vedea, pregandolo insieme a contentarsi che per quella notte egli trovasse ricetto in quella casetta con esso loro, donde si sarebbe per tempissimo la mattina vegnente partito. Taddeo udendo il nome della pestifera moglie di Giovanni, entrò in tanta collera contro di quella, che dimenticatosi ogni altra cosa, e i sospetti suoi medesimi contro alla Geva e al dottore, dopo di aver detto un gran male della superbia e della caparbieria di lei, fece quell’accoglienza che potè migliore allo strologo, e gli diede alloggiamento.

Ma il dottore che non dormiva, anzi pensava a tutto suo potere di dar qualche gastigo alla moglie di Giovanni per farnela ravvedere della mal osservata ospitalità, e dall’altro canto beneficare la Geva della grata accoglienza che fatta gli avea, prima che spuntasse il giorno si levò, e andato in un luogo solitario, gittò l’arte sua, costringendo non so quali spiriti a fare una súbita mutazione della moglie di Giovanni e della Geva. Il tempo si rabbuiò, fu un grandissimo fracasso di tuoni e folgori, che parea che ardesse il cielo, e infine la cosa andò per modo che la moglie di Giovanni trasformata in Geva quanto alla faccia, ma quanto all’animo rimasa quella di prima, venne traportata dormendo in casa e sul letticello, o piuttosto canile di Taddeo; e la Geva all’incontro, con l’effige della moglie di Giovanni, fu anche essa dormendo trasferita al palagio di Giovanni, e quivi riposta in un morbido ed ampio letto e in una stanza reale.

Erasi già levato Taddeo, parte risvegliato dal romore del mal tempo, [266] e parte stimolato dal bisogno di lavorare; onde aperto il finestrino della sua stanza, si acconciò dinanzi alla sua picciola panca a terminare certe pianelle; e non volle per allora destar colei che credeva la Geva, parendole che la sera avesse troppo bevuto, e che la dovesse smaltire la cervogia. Per la qual cosa, presa in mano la lesina e gli spaghi, incominciò a traforare e a tirare, e di quando in quando a picchiar col martello sulle suole e sulla cucitura per fare un buon lavoro; e per ricrearsi da sè a sè, cantava una canzonetta; tanto che il rumore destò la creduta Geva. Costei non ancora ben desta, e non sospettando punto di non essere nella stanza sua propria, incominciò con gli occhi ancora chiusi a gridare e a dire: “Che maladizione è questa? che romore? quale insolenza? Chi ha questo ardimento di cantare a tale ora così da vicino alla camera mia e di svegliarmi? E questo il rispetto che si ha alle dame? ma non sia più io, se non fo spezzar il capo e le braccia a quest’asino che raglia allo spuntare del dì, e se non gli fo mozzare gli orecchi.” – “Buono,” disse Taddeo ridendo, “costei crede di esser già divenuta quella che le predisse lo strolago, e farnetica; andiamo avanti;” e così detto, canta. La donna apre gli occhi, e vede Taddeo; chiama infuriata a nome quanti servi avea; nessun risponde. Dà un’occhiata alla camera, vede un bugigattolo da topi; un’altra alle lenzuola, le trova di capecchio; e non sapendo che cosa ciò fosse, piena di meraviglia e di furia, comincia a svillaneggiare Taddeo, dicendo che forse di accordo con Giovanni le avea tesa quella trama per mortificarla, ma ch’ella era dama, e non se ne curava punto, perchè tosto si sarebbe vendicata del marito, e avrebbe fatto andare il calzolaio sulle forche. Taddeo, arrabbiato a questo nome di forche, perdette la pazienza, e chiamandola pazza, briaca e peggio, incominciò a minacciarla, che se la non si levava tosto, avrebbe dato di mano ad un bastone, e tentato di guarirla dalla pazzia per quel verso. Ella gli rispondea malamente, tanto che Taddeo fu sforzato di assalirla con le pugna; ed ella non sapendo che altro farsi, tacque pel suo meglio, e piena di maraviglia e di rabbia si pose indosso la gonnelletta e la gamurra della Geva, e si pose disperata a sedere sopra una sedia zoppa impagliata. Taddeo non volea che la stesse in ozio: ella tornava a borbottare. Egli le presenta la conocchia; ella la gitta a terra; Taddeo ripicchia, dicendo: “Che credi tu? che le predizioni di uno strologo ti abbiano fatta diventare reina, di una trista femminetta che tu eri iersera e che tu se’stata in vita tua, nata per istentare finchè sei viva? Fila tosto, o io ti farò vedere chi tu sei, e qual reame sia il tuo, reina di cenci, ch’io non so a che mi tenga che non ti dia oggimai tante busse, che tu vegga una volta che si ha ad ubbidire a chi porta i calzoni. Fila, che maladetta sia tu, e non mi far perdere la pazienza.” Queste ultime parole furono dette da Taddeo con due occhiacci così stralunati e con tale vociaccia, che la nuova Geva, tremando a verga a verga tra per la paura e per la stizza di dentro, si diede a filare come sapea, perchè il mestiere era per lei disusato, o forse non l’avea mai tocco in sua vita.

Mentre che queste cose nella casa di Taddeo si facevano, la Geva dall’altro lato nel palagio di Giovanni si destò anch’ella, e cominciò a borbottare fra’denti: “Oh che bello e dolce sogno ho io fatto stanotte! Egli mi parea che fossi traportata fuori di questo mondo, e posta in un letto di rose e di viole col più bel marito a lato che fosse veduto mai (nota, per onestà dell’istoria, che Giovanni, sdegnato la sera per [267] li mali portamenti della moglie, era andato a dormire in un’altra stanza). Ma dove son io?” proseguiva la Geva. “Non vi ha giardino di primavera che uguagli lo spettacolo ch’io veggo. Sono io in un letto? Al certo queste lenzuola sono di raso. Non vi ha tela di lino così morbida. Io sogno; non vorrei più destarmi. Sta’a vedere ch’io son morta, e sono in un altro mondo.” Così dicendo dunque la Geva, senza punto sapere che si facesse, pose la mano al cordone della campanella, e per caso tirò; onde una cameriera, temendo, secondo la usanza, di avere un gran rabbuffo dalla maladetta padrona, entrò sulle punte de’piedi e si presentò al letto, che quasi non ardiva di fiatare. La Geva, vedutala così ben vestita, le diede un dolcissimo saluto, di che la cameriera uscì quasi fuori di sè per l’allegrezza, e le domandò qual vestito volea quella mattina. La Geva impacciata, ricordandosi che l’indovino le avea detto che stesse in contegni da signora, non sapendo che chiedere, le disse che la volea quel medesimo dell’altro giorno; e la fu abbigliata a suo modo, con tanta maraviglia, che non sapea dove si fosse. Bello fu ch’entrò un’altra cameriera a dire alla prima che il cioccolatte per la signora era pronto; e la Geva studiando pure fra sè che cosa fosse cioccolatte, e confermandosi che fosse qualche abbigliamento, la disse: “E bene, mettetemelo.” Ma poichè la intese ch’era versato nella chicchera, e ch’era cosa da bere, la ripigliò: “Io volli dire che me lo metteste là sulla tavola, che lo berrò fra poco.” Le due cameriere sparsero per tutta la famiglia che la loro padrona non si conoscea più, che la era divenuta un agnolo, tanto che tutti i domestici la vollero vedere: e dove prima fuggivano da lei come dal fuoco, parea che ognuno non sapesse più spiccarsi da lei, e si faceva un’allegrezza per tutta la casa come se le nozze si fossero fatte in quel giorno.

Ma la vera consolazione e maggiore di tutte le altre fu veramente quando Giovanni intendendo da tutti i domestici suoi la gran mutazione che si era fatta nell’animo di sua moglie, andò alla stanza di lei per visitarla e vedere così gran maraviglia. Stavasi appunto la Geva in grandissima curiosità di vedere, fra le altre fortune a lei dall’indovino predette, anche il novello marito, quando le fu annunziato da uno dei servi, che veniva. Io vi so dire che alla poverina batteva il cuore come ad una tortorella, e più le battè ancora quando la vide un sì bello e garbato giovane che le comparve dinanzi. La non sapea più che dire, nè che fare. In un tratto diventò pallida, vermiglia e di più colori. Giovanni si rallegrò seco lei di avere udita da tutta la sua famiglia che la era così amorevole e buona. Ella all’incontro protestò che gli sarebbe stata ubbidiente in ogni cosa, gli baciò la mano, e gli si pose in ginocchioni dinanzi. Lagrimava Giovanni di tenerezza, e uscivano le lagrime dagli occhi di tutti i circostanti, quando, la creduta Geva, non potendo più comportare la furia e le percosse di Taddeo, si fuggì da lui, e avviatasi correndo alla casa di Giovanni, la entrò appunto in quel momento in cui si facevano tante congratulazioni. La prima che fra tutti vide, fu la Geva, e uscì quasi di sè per lo stupore a vedere che la era ella medesima, e che tutti la corteggiavano come padrona; ma mentre che ella attonita non sapeva aprir bocca, e che tutti le domandavano: “Che vuol dir, Geva? che buon vento ti ha qui guidata?” eccoti che Taddeo entra; di che la vera Geva temendo di essere battuta da lui, si tirò spaventata due passi indietro. Taddeo chiedendo perdono a Giovanni e a colei ch’era creduta moglie di lui, [268] raccontò loro che la sua Geva era divenuta pazza per le parole di uno strolago, e ch’ella si credea gran signora, anzi stimavasi di essere moglie di Giovanni, e che gli era fuggita. Giovanni lo pregò che avesse buona cura di lei, e la trattasse caritativamente, perchè ella ancora ne sarebbe forse potuta guarire, e Taddeo diceva che non avea altro rimedio che il bastone. Stavano confuse le due femmine e non sapeano che dirsi, nè che fare, quando il dottore, o strolago, o negromante che vogliamo chiamarlo, entrò, e alla presenza di Giovanni chiedendogli perdono del suo ardimento, dichiarò qual fosse stata l’opera sua, e che tutto avea fatto per gastigare la moglie e farla de’suoi falli ravvedere, minacciandola che l’avrebbe scambiata in peggio che nella Geva, se non avesse mutato tenore di vita; e dall’altro canto testificando che avea così bene colto il punto dell’operazione, che Taddeo si era all’ora della tramutazione levato di letto, e Giovanni era stato quella notte in un’altra stanza. La creduta Geva cominciò allora a piangere dirottamente, e a chiedere perdono della passata superbia a Giovanni, e la Geva daddovero avrebbe volentieri tratti gli occhi di capo allo strolago che gli avea procacciata tanta felicità per così breve tempo. Il dottore co’suoi incantesimi restituì la propria immagine all’una e all’altra delle donne; e Giovanni fece un dono di cinquecento scudi a Taddeo, il quale divenne con essi un ricchissimo calzolaio, e da indi in poi, non avendo più la povertà che gli pungesse il cuore e il cervello, amò affettuosamente la Geva e lasciò stare il bastone. ◀Allgemeine Erzählung ◀Ebene 4 ◀Ebene 3 ◀Ebene 2 ◀Ebene 1