Citation: Gasparo Gozzi (Ed.): "Numero LXI", in: L’Osservatore veneto, Vol.1\061 (1761-09-02), pp. 252-256, edited in: Ertler, Klaus-Dieter / Fuchs, Alexandra (Ed.): The "Spectators" in the international context. Digital Edition, Graz 2011- . hdl.handle.net/11471/513.20.446 [last accessed: ].


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N° LXI

A dì 2 settembre 1761.

Citation/Motto► Dicemi spesso il mio fidato speglio . . .
Non ti nasconder più.

Petr. ◀Citation/Motto

Level 2► Level 3► Letter/Letter to the editor► Non occorre, signor Osservatore mio, che vi dica il nome, nè il casato mio; ma bastivi che sono una donna. Nel mondo ho ricevuto qualche onore, e sono ancora in un’età di averne per qualche tempo, non essendo veramente giovane giovane, ma nè anche poi passata tant’oltre con gli anni, che non meriti la buona grazia di alcuno. Con tutto ciò ho deliberato di starmi parecchi mesi solitaria, e non veduta con tanta frequenza dalle genti, per moderare in me certi difetti, i quali erano coperti dal fiore della giovinezza, e che al presente, se non me gli levassi dattorno, mi farebbero gravissimo danno. Per mia buona fortuna mi sono abbattuta ad una cameriera di buon umore, partitasi a questi dì dalla casa di una saggia e buona padrona, la quale è uscita del mondo, e l’avea allevata seco da puttina tant’alta in su, onde si può dire che fossero piuttosto amiche, che l’una serva e l’altra padrona. Costei fu accostumata dalla signora sua a parlarle liberamente; ed ha sì buon garbo, che dice la verità con aria tanto graziosa, che non si può averselo a male. Questa è meco ritirata al presente; ed ella e il mio specchio sono i miei fidati consiglieri, avendole io dato licenza che mi dica il parer suo. Spero di trarne profitto. E acciocchè veggiate se io m’inganno, vi mando un ragionamento che abbiamo avuto ieri insieme. Non sarà un dialogo fra Caronte e Mercurio, nè vi entreranno gli Elisi, ma una padrona che ha nome, supponete per ora, Angiola, e [253] una serva che si chiama Teresa. Io sedeva davanti allo specchio, ella stava acconciandomi i capelli: il ragionamento fu in questa forma.

Level 4► Dialogue► Angiola. Egli è però il vero, Teresa mia, che noi altre donne perdiamo un lungo tempo allo specchio. Quando siamo innanzi a questo cristallo, pare che non sappiamo spiccarci di qua; e quando anche siamo vestite, abbigliate e abbiamo intorno quanto ci bisogna, dopo di esserci mirate ora stando a sedere, ora in piedi, ora in faccia e ora per fianco, essendo finalmente obbligate a scostarci da esso per andar via, fatti non so quanti passi, voltiamo ancora il viso, andando ad esso, quasi per dargli un addio così in lontananza, e per licenziarci con l’ultima, occhiata. Credi tu che facciamo bene o male a portare tanto affetto allo specchio?

Teresa. Come male? E egli forse male il tener conto di un amico schietto e sincero, qual è questo? Male sarebbe a non fare stima di lui, e non tenerlo caro quanto merita.

Angiola. Amico lo specchio? Anzi io voglio che tu dica che non ci è il più ladro adulatore al mondo.

Teresa. Non vi segni il cielo a colpa quello che voi avete detto. S’egli avesse lingua da poter articolare, voi vedreste la schiettezza e la bontà sua più chiara che la luce del sole. Ma il poverino non ha parole, e noi interpretiamo quello che dice a modo nostro; come si fa, di coloro che per non aver lingua parlano a cenni, sicchè spesso l’interpretazione riesce al rovescio del sentimento suo. Questo non è peccato dello specchio, ma della interpretazione.

Angiola. Lo sai tu interpretare quando parla?

Teresa. La padrona di buona memoria, con la quale io fui allogata fino a’passati giorni, era in ciò una perfetta maestra, e mi ha insegnata questa dottrina molto bene. Ma se io l’andassi insegnando altrui, ne sarei giudicata pazza, e perderei in pane. Quanto vi posso dire, è che non ci è oro al mondo che basti a pagare uno specchio, e una cameriera che intenda e spieghi quello che dice.

Angiola. Da qui in poi, se il pane mio non t’incresce, io voglio che tu interpreti mentre che io siedo allo specchio.

Teresa. Quanto è a me, non domando altra cosa che questa: e credo che tutte le cameriere abbiano, la stessa voglia. Anzi non so come non muoiano affogate, ritenendosi nel corpo per parecchi anni la verità; e se non si sfogassero talvolta a dire quel che ne sentono alle amiche, alle vicine, o nelle nuove case dov’entrano, io credo che le morrebbero di dolore. Ma un picciolo sfogo qua, un altro colà le tengono in vita.

Angiola. Io ho caro che tu stia sana, e non abbisogni di sfogarti fuori di casa; e però di’su.

Teresa. Mi atterrò prima ai generali. Egli si vorrebbe nel principio dell’età, quando una fanciulla comincia ad intendere (chè presto comincia dove si tratta di specchio), ch’ella avesse dietro a sè una buona interprete da principio, la quale le facesse comprendere che quel cristallo mostra bene e male; acciocchè l’uno si accetti e l’altro si sfugga; e così ingrosso andarla avvezzando a conoscere quello che significhi quando rappresenta una figura semplice, naturale, ben composta, un’aria umana, disinvolta; e all’incontro quando mette innanzi un corpicello! affettato, e certi vezzi che parrebbono sforzati in un ritratto, non che in corpo di carne e di ossa e che si ha a movere. Coll’andare del tempo [254] la fanciulletta si fa giovane, e cominciando a conversare con le altre, eco ch’ella prende in prestanza da una il sorridere, da un’altra la guardatura, e di qua un atto e di colà un altro, i quali essendo originali in chi gli ha, non appariscono male, ma in chi gli prende in prestanza divengono stenti. Lo specchio avvisa che sono storcimenti; ma la giovane prende l’ammonizione per incoraggiamento a proseguire, e dàlle dàlle dàlle, credendosi di migliorare, sempre peggiora, e ne acquista in fine o un sorriso che le tien sempre le labbra tirate o torte, o un guardare stralunato e da pazza, o altre sì fatte grazie. La sua mala ventura si accresce poi quando ella comincia ad avere conversazione con gli uomini. Oh! questi sì sono gli adulatori, non gli specchi. Coteste buone anime, per avere il favor suo, fanno le maraviglie del suo guardare e degli altri atteggiamenti e scorci, tanto che in fine la poverina fa il callo, e non ci è più scampo al fatto suo. Egli è vero che fino a tanto che durano gli anni verdi, quella vivacità e freschezza dell’età, il color florido della carnagione, compensa gli sgarbi in parte; ma non sempre dura la primavera. Lo specchio dice anche questo, ma non viene inteso; e qui se le cameriere volessero fare le interpretazioni, correrebbero risico non solo di essere discacciate, ma di andarne col capo spezzato. Che volete voi che dica? Lo specchio vi ammonisce ora che il vostro colore è smontato, che gli occhi vostri non hanno più quel vigore di prima, che nell’imbusto . . . chi volete che interpreti? e pure lo specchio dice tutto, è schietto e vero amico, non lusinga mai.

Angiola. E però vedi, Teresa mia, ch’io mi sono ritirata per un tempo dal mondo, appunto perchè conoscendo di avere acquistate alquante affettazioni, le quali nel fiorire dell’età mi furono comportate e lodate, io intendo con la tua compagnia e con quella dello specchio, il quale veramente comprendo ch’è vero amico, procurare di liberarmene. Ma vedi bene che tu hai ad essere interprete fedele.

Teresa. Poichè così piace a voi, io vi presterò di cuore la servitù mia.

Angiola. Or bene, incominciamo . . . ◀Dialogue ◀Level 4

Metatextuality► Signor Osservatore, così basti. I particolari non è di necessità che vengano saputi da tutto il mondo. Questo dialoghetto mi parve utile, e perciò ve ne ho fatto partecipe. Le cose universali possono giovare a’costumi, e si debbono palesare. Entrar nelle particolarità non si dee, e tanto meno quando si tratta di me medesima. Se con questa cameriera nasceranno altri ragionamenti che mi sembrino a proposito, ve gli scriverò. Addio. ◀Metatextuality ◀Letter/Letter to the editor ◀Level 3

Ritratto.

Level 3► Heteroportrait► Udii Oliviero a parlare di Ricciardo due mesi fa. Mai non fu il miglior uomo di Ricciardo. Bontà sopra ogni altra, cuore di mèle e di zucchero. Lodava Oliviero ogni detto di lui, alzava al cielo ogni fatto. Migliore era il suo parere di quello di tutti. In dottrina non avea chi l’uguagliasse. Nel reggere la sua famiglia era miracolo; nelle conversazioni, allegrezza e sapore. A poco a poco Oliviero di Ricciardo non parlò più. Appresso incominciò a biasimarlo. È maligno, ha mal cuore, non sa quello che si dica, nè che si faccia. Va per colpa sua la familia in rovina, è noia di tutti. Ricciardo da un mese in qua gli prestò danari. ◀Heteroportrait ◀Level 3

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Favola.

Level 4► Fabel► Narrasi che Mercurio conducesse un tempo quattro Ombre a quella riva ch’io nominai in alcuno de’passati fogli. Era l’una di esse una giovinetta fanciulla, uscita del mondo in sul fiore degli anni suoi; l’altra un padre di famiglia, la terza un nobile e celebrato uomo di guerra, e la quarta uno scrittore di versi. Mentre che andavano in compagnia guidati dalla verga di Mercurio, ragionavano, come fa chi viaggia anche quassù, insieme de’fatti loro. “Oimè!” diceva la giovinetta, “ben è stata crudele la mia fortuna, e di gravissimo dolore sarò io stata cagione, partendomi dal mondo, ad un giovine che cordialmente mi amava. Certamente il meschinello morrà di dolore; dappoichè io l’ho udito tante volte con soave ed affettuosa voce affermarmi di cuore che senza di me non avrebbe potuto più vivere un momento. Mai non vidi tanto amore, l’un dì più che l’altro cresceva, nè altro avea in animo mai fuorchè ad ogni suo potere cercare di farmi cosa grata. Ma s’egli non muore d’angoscia, io sono certa di vivere almeno sempre nella memoria di lui.”

“Quanto è a me,” diceva l’ombra del padre, “io ho lasciati costassù molti cari e bene allevati figliuoli in compagnia di mia moglie, i quali mi amavano tutti quanto gli occhi loro propri. Oh quante dolorose lagrime mi par di vedere sin di qua, e quanto lungo sarà il rincrescimento che avranno della perdita mia! Ah meschini! io non posso altro fare per voi. Diavi il cielo consolazione e conforto.”

“E chi siete voi,” disse allora l’ombra del guerriero? “Siete voi forse da mettere a comparazione di me, famoso e solenne per infinite battaglie? Le strida e il compianto dei popoli e le voci della città sono al presente la mia orazione in morte; nè perirà mai il nome mio sulla terra, il quale di età in età sarà ripetuto da’posteri in tutte le parti del mondo.”

“Chi potrà vivere più di me? e qual nome si vanterà di essere immortale come il mio?” prese a dire l’orgoglioso poeta. “Achille in Omero ed Enea in Virgilio non saranno mai tanto celebrati sulla terra, quanto que’nomi che vennero ne’miei versi cantati, i quali verranno in ogni luogo imparati a memoria, letti e detti in ogni luogo; ed io ne andrò con essi vincitore de’secoli, glorioso e chiaro. Chi sa qual è al presente l’oscuro dolore del mondo per la perdita mia?”

“Fanciulla, padre, guerriero e poeta, Ombre mie, voi prendete tutte un granchio,” disse Mercurio. “Imperocchè tu hai a sapere, garbata giovane, che l’amante tuo si è già confortato, e dice ad un’altra quelle melate parole che diceva a te quando eri in vita. E tu, o padre, sappi che i figliuoli tuoi riveggono molto bene le scritture e i conti per far le divisioni fra loro delle tue lasciate facoltà; la madre si è fatta in un litigio avversaria loro; e di te non si parla, come non fossi mai stato tra’vivi. Ognuno pensa alla parte sua.

“E tu, o nobilissimo guerriero, hai a sapere che già è stato eletto colui che a te è succeduto, la cui fama volando intorno l’ha sopra di te sollevato. E tu, o scrittore di versi, il quale credi che le opere tue sieno lette e rilette dagli uomini, e che vadano per le mani di tutti con [256] gravissimo compianto al tuo uscire del mondo, apri gli occhi e vedi.” Apparve allora agli occhi dell’infelice poeta un miserando spettacolo ch’egli non avrebbe creduto mai; imperocchè vide le sue scritture, ch’egli stimava essere onor suo e de’librai che pubblicate le aveano, parte qua e parte colà lacerate per varie botteghe in tonache e mantelletti di caviale e di aringhe. ◀Fabel ◀Level 4 ◀Level 3

L’Osservatore.

Metatextuality► Sarò io però mai stanco di empiere di favole, di allegorie e di dialoghi gli orecchi del mondo? Così dico a me medesimo talvolta, e mi rinfaccio questa mia usanza di ghiribizzare in morale. Ma dall’altro lato mi rispondo: Non sarebbe egli forse quel medesimo se intitolassi gli scritti miei, Trattati, Dissertazioni, Lettere, o altro? Ogni libro è una continuazione di righe. Che importa ch’esse sieno legate in favole, in allegorie, o in altri generi di scritture? Io non ho potuto mai avvezzarmi al pensiero di dettare un libro. Mi pare che l’uomo non abbia a durare sempre di una voglia. Come si può egli dare che uno scrittore non si stanchi mai in parecchi anni di proseguir sempre in un’opera sola, sempre di un tuono e alla distesa? Non è maraviglia poi se per lo più la riesce pezzata. Io ci giocherei che a leggere s’indovinerebbe, qui l’autore avea sonno, qui fame, qua gelosia, colà mala voglia; qui avrebbe terminato volentieri, se non si fosse obbligato col pubblico o col libraio di far più tomi. In somma in più lati si vede ch’egli ha tirato la materia coi denti. Può anche essere che lo stesso sia del fatto mio; ma le cose son brevi: se oggi non sono di voglia, lo sarò domani. Quasi in ogni facciata cambio argomento; se questo non quadra, darà nell’umore quell’altro. Che ha che fare al presente questa ciancia? L’è uno squarcio come gli altri. ◀Metatextuality ◀Level 2 ◀Level 1