Citazione bibliografica: Gasparo Gozzi (Ed.): "Numero LX", in: L’Osservatore veneto, Vol.1\060 (1761-08-29), pp. 248-252, edito in: Ertler, Klaus-Dieter / Fuchs, Alexandra (Ed.): Gli "Spectators" nel contesto internazionale. Edizione digitale, Graz 2011- . hdl.handle.net/11471/513.20.445 [consultato il: ].


Livello 1►

N° LX

A dì 29 agosto 1761.

Livello 2► Livello 3► Lettera/Lettera al direttore► Metatestualità►

Il Pittore de’ ritratti all’Osservatore.

Quello che sia stato facendo in tutto il corso del tempo in cui non mi avete veduto, ve lo scrissi nella passata lettera. Voi mi stimolate continuamente perchè io vi mandi ritratti, e ritratti suonano tutte le vostre lettere. Ma io non sono un pittore che dipinga ogni uomo che mi venga innanzi. Nella moltitudine delle genti non è ognuno da essere dipinto. E siccome nella faccia ci sono alcuni leggiermente lineati e con una carnagione che somiglia a tante altre, così anche intrinsecamente ci sono uomini che paiono le migliaia un medesimo, per modo che la pittura non ne riceve onore. Due grandi occhi, un nasaccio massiccio, certe gote rilevate, mascelloni sperticati, carnagione viva e gagliarda, sono fattezze che meritano di venire imitate col pennello, e danno vita a chi le dipinge. Le altre riescono immagini fra il sì e il no; tanto che chi guarda, dice: Sì, è, no, non è; e non se ne cava [249] mai una lode di cuore, nè un’affermativa certa che vi sia vera somiglianza. Io non so come si facciano que’pittori che hanno l’ardimento di rifrangere certi visi, che non hanno di viso altro che il nome. La fronte che non ha lo spazio di un dito da’capelli al principio dell’arco interno delle ciglia, le ciglia formate da quindici o sedici peluzzi che a pena si veggono, un naso pentitosi di esser naso in sul nascere, e che a pena si lascia vedere fra due guance, le quali paiono coperte di quella teletta che fa il pangrattato posto a bollire, un bocchino con due labbra sottili, orlate di un color pallido, un mento che comincia e poi s’incammina subito al collo, non sono cose da ritratti, perche non si vede nè l’originale nè il quadro. Credetemi, non è facile, quanto altri crede, il trovare una figura maschia e poderosa che metta entusiasmo nell’anima del pittore e l’invogli a dipingere di vena. Quanto è a me, io sono così fatto. Facendo io quest’arte per puro diletto, non prendo mai il pennello in mano, se non veggo cosa che mi stimoli la fantasia, e se le fattezze non sono tali che riescano nette e visibili agli occhi di’ogni uomo. Oh! ci saranno alcuni che mi chiameranno infingardo. Dicano che vogliono. In conscienza io so quello che sono, e quando anche non fo ritratti, vi so dire che non sto senza opera, nè con le mani alla cintola; non essendo in fine la mia professione quella del pittore. Egli è bene il vero che in tutto quello che io fo, entra forse un certo che del pittoresco, essendo questo il mio umore; ma non sempre bazzico fra le tele e i colori. Pover uomo! Voi sarete forse annoiato dalla mia lettera ch’è troppo lunga. Questa è la magagna dello scrivere; che il corrispondente lontano non può dir basta, e gli conviene stare alla discrezione dello scrittore. Ma dall’altro lato è peggiore il parlare, perchè la civiltà richiede che si ascolti, e una lettera si può leggerla fino al mezzo e meno, e riporla. Non altro. Vi saluto, e poichè così desiderate, eccovi un lavoro de’miei. ◀Metatestualità

Ritratto.

Livello 4► Eteroritratto► Bell’uomo è Salvestro; ma figura senza intelletto. Quando si presenta, trae gli occhi de’circostanti a sè, e non altro. Ogni cosa si vanta di saper fare, nulla gli riesce. Comincia a parlare, chiede silenzio, invita’all’attenzione, dice sciocchezze. Se fa il piacevole e narra, ride prima di raccontare, ride a mezzo, e dopo; non vi ha chi rida. Vuol parlare in sul grave? acconcia per modo i suoi pensieri e la favella, che in fine non sa quello che abbia detto. Annoia le donne, e crede di averle poste in pensiero del fatto suo. Se ridono di sue balordaggini e gli scherzano intorno per beffarlo, dice che l’invitano ad amore. Salvestro si è ammogliato. Garbata e di spirito è la moglie. Con lui si accorda per obbligo, non per affetto. Il marito nei primi giorni del suo maritaggio ha condotto a visitarla Roberto, giovine grazioso e d’ingegno. Palesò a Roberto in presenza della moglie vari segreti, che spiacquero a lei. Salvestro lo fece per vanità e dimostrare ch’era amato. Parve alla moglie in suo cuore di essere accusata appresso a quel garbato giovine di mal gusto. Affidò a Roberto nella seconda visitazione il suo pensiero, ed egli la ringraziò, e le si offerì per vero amico. Non si spicca mai la moglie di Salvestro dall’amicissimo Roberto, nè questi da lei. Oh fortunato me! esclama spesso Salvestro. Chi sta meglio di me in moglie e in amico? ◀Eteroritratto ◀Livello 4 ◀Lettera/Lettera al direttore ◀Livello 3

[250]  Citazione/Motto► . . . Brevis esse labaro,
Obscurus fio.

Horat., de Art. poet.

Mi affatico per esser breve, divengo oscuro. ◀Citazione/Motto

Livello 3► Eteroritratto► Fu trattata un tempo una quistione, qual di due antichi scrittori sia il più breve nella sua storia, Sallustio o Tacito. Tuttaddue scrivono con vigoria, nervo; ristretti, saporiti. Ogni cosa brilla in quelle loro parole, tutto è midollo e sostanza. Con tutto ciò fu deliberato che Tacito in brevità vincesse l’altro. La brevità di Sallustio, dissero i dotti che ne diedero sentenza, sta nel parlare, quella di Tacito nello stile e nella materia. Il primo ha certi proemi, certe digressioni, quanto allo stile stringate, ma tirate nell’opera co’denti. All’incontro lo scrittore degli Annali e delle Istorie tronca ogni superfluità nella materia: sempre è brusco, sempre conciso nell’argomento e nello scrivere; e si vede ch’egli ha fatto professione di accorciare ogni cosa coll’intelletto e con la penna. ◀Eteroritratto ◀Livello 3 Metatestualità► Questa è la brevità da imitarsi per qualunque uomo voglia seguire quella via; e questa è quella ch’io raccomando a quella persona che mi ha scritto, perchè io gliene dica il mio parere.

Ora vi aggiungerò anche alquante altre ciance, delle quali egli farà poi quell’uso che gli piace. ◀Metatestualità Due cose sono principalmente necessarie a colui che voglia stringare quanto può gli scritti suoi. L’una intendere e conoscere profondamente tutte le circostanze della materia trattata da lui, perchè quando l’ha bene innanzi alla mente, tutto quello che gli si presenterà di slegato e di forestiere, lo vedrà subito, e lo scaccerà da sè come inutile. Non iscrive mai lungamente se non colui il quale non sa di che scrivere. E ricordomi di aver letta una lettera, non so ora di cui, che cominciava in questa forma: “Amico mio caro, voi mi avrete questa volta per iscusato, se vi riuscirò lungo nello scrivervi, perchè vi scrivo senza aver materia;” ch’era quanto dire: Egli mi conviene seguir la penna, e andar a caccia di pensieri, e prendere quelli che verranno. In secondo luogo si ha ad acquistare un sicuro possedimento di quella lingua in cui si scrive, acciocchè ogni pensiero si presenti con adattati vocaboli, per non abbisognare di lunghi giri a spiegarsi. Questa impresa richiede una pazienza grande e una minuta e continua osservazione; fatica necessaria, ma disprezzata da molti i quali, non avendola per infingardaggine curata mai, atterriscono tutti col dire ch’essa è inutile, e col farsi beffe di chi vi ha perduto dentro gli occhi. Io non allegherò gli scritti di alcuno, acciocchè non paia ch’io favelli per maldicenza: ma parlerò in generale di molte scritture che si veggono oggidì, date fuori per dettate in italiano: nè in esse noterò però altri difetti, fuor che quello della lunghezza eterna; quando gli autori di esse si credono di essere stati brevissimi. Biasimano cotesti tali il periodeggiare con armonia, qual nemico mortale dell’esser breve. Io vorrei però sapere, se sia più lungo un periodo di una facciata intera, diviso in più membri, in ognuno de’quali si contenga qualche pensiero, o una filza di singhiozzi ch’empiano la stessa facciata, e [251] che nella fine non se ne cavi nullo. E più lungo chi sa e può variare il suo stile in ogni genere di argomenti, trovare vocaboli atti a spiegare capricci, azioni, passioni e quanto si trova nell’umana natura, o chi con un dizionario di dugento voci intraprende di descrivere questo mondo e l’altro? È più lungo chi può con diversi tuoni diversificare prosa e versi, o chi suona sempre la stessa campana? Quanto è a me, sono di opinione che il poter diversificare i tuoni e le parole nello scrivere, se non giova alla brevità, almeno non lascia sentire il tedio di quella lunghezza che nasce dal toccar sempre una corda sola.

Vorrei anche segnare a chi mi domanda, quali sieno quegli autori, fra gl’Italiani, che più meritano di essere osservati, per impinguare la mente di modi migliori da spiegarsi, e in qual forma si debbano fare sopra ciascheduno di essi le osservazioni per giungere alla desiderata brevità. Metatestualità► Ma questa sarebbe cosa da scuola, e ha in sè una certa aridità che non conviene a’presenti fogli. Anzi temo di averne detto troppo. ◀Metatestualità

Livello 3►

Sogno.

Tra gli altri insegnamenti che dà Plutarco all’uomo perch’egli possa comprendere s’egli faccia avanzamento nella virtù, gli ricorda che stia, attento a quello che sogna dormendo. Io mi sono avveduto che in scambio di avanzarmi in essa, ne ho qualche scapito. Chi mi avesse detto due dì fa: Quale stima fai tu di te? avrei chinati gli occhi a terra, e con un atto di modestia avrei detto: Nessuna; e forse mi sarebbe sembrato di parlar di cuore e di essere vôto di amor proprio. Avrei detto una solennissima bugía. Un sogno mi ha fatto comprendere il mio difetto, ed è questo.

Livello 4► Traum► Pareami che, abbattuto dalla trista fortuna, era pervenuto ad una città da me non conosciuta, e che andando per le vie non sapea che farmi per acquistar di che vivere. Se non che udendo gli abitatori di quella a parlare in un linguaggio che era da me inteso, presi una subita speranza, non so in che fondata, di poter fuggire le mie calamità, e forse forse di arricchire in breve tempo. Trattomi da me solo in disparte, cominciai a pensare a qual partito dovessi appigliarmi, e frugandomi ad un tempo nelle tasche, mi trovai in un involto di carta, non so quanti caratteri di uno stampatore. Io non so come ne’sogni si legano insieme le fantasie l’una con l’altra; ma in quel punto mi cadde in animo che quelli potessero essere il soccorso mio; e divisigli in parecchie cartucce, ebbi, non so come, una cassettina dove gli riposi; e presa quella sotto il braccio, me ne andai alla piazza, e salito sopra un palco, incominciai a ragionare in tal forma.

O terrazzani e forestieri e quanti qui siete, accorrete intorno a me, ch’io sono qui mandato da Fortuna, e sono, chè ben posso così chiamarmi, un elemento per consolazione di voi e delle vostre famiglie. Io non vi offerisco già, come l’altra turba de’miei pari, segreti i quali giovino al corpo, no, ma cose nuove, e disusate maraviglie, inspiratemi dal divino Apollo per utilità degli animi e degl’intelletti di tutti coloro i quali mi presteranno fede. Rinchiudono queste poche cartucce una virtù mirabile, contenuta in certe drogherie, le quali, adoperate da ducento e trent’anni in qua in circa, non hanno mai scoperto la qualità che aveano ad altra persona fuor che a me, grazie che a pochi il ciel largo destina. Queste, manipolate dalla virtù mia, hanno facoltà [252] di ricreare gli oppressi spiriti, d’introdurre nelle umane menti quell’intelligenza che non hanno, di scacciare la goffa ignoranza dalle case, di far eterna al mondo la memoria degli uomini, e vincere la caligine de’secoli che l’uno sopra l’altro si montano. Per queste io sono in tutti i più remoti cantucci dell’universo renduto solenne e celebrato; e tanto palese agli uomini indiani, quanto a coloro che vivono in casa mia. Venite, venite, non consumate il tempo in vano. Non solo in queste cartucce contiensi l’immortalità mia, ma quella di coloro ancora i quali ne acquisteranno; e chiunque le dispregiasse, o non curasse la buona ventura presente, piangerà pentito la sua trascuraggine. Con tali e somiglianti altre parole indussi alcuni pochi a gittarmi il moccichino, tanto che per quel giorno mi parve di avere tocco il cielo col dito. Ma salito il vegnente dì nello stesso luogo, presi il mio proemio da un’altra fonte, ed esclamai: Oh infelici, se non vi spacciate di comperare! Le migliaia di cartucce da me ieri vendute in questo luogo, e richiestemi da una calca di popolo all’uscio, appena mi lasciano di che supplire al bisogno di alcuni. Non siate tardi. Siete voi ciechi? E qui cominciai a dire un bene maraviglioso del secreto mio e di me medesimo ancora; ◀Traum ◀Livello 4se non che il sonno si ruppe, e non ne trassi altro bene, fuor quello ch’io mi avvidi che l’amor proprio ha posto in me profondissime radici; e ch’io starò molto bene attento per poterne guarire, o almeno per procurare di tenerlo, quanto più posso, celato. ◀Livello 3 ◀Livello 2 ◀Livello 1