Référence bibliographique: Gasparo Gozzi (Éd.): "Numero LIII", dans: L’Osservatore veneto, Vol.1\053 (1761-08-05), pp. 221-224, édité dans: Ertler, Klaus-Dieter / Fuchs, Alexandra (Éd.): Les "Spectators" dans le contexte international. Édition numérique, Graz 2011- . hdl.handle.net/11471/513.20.438 [consulté le: ].


Niveau 1►

N° LIII

A dì 5 agosto 1761.

Proemio.

Citation/Devise► . . . Puer, heus cape
Lucernam, et profer huc tabulas, ut mox sciam
Quibus, et quot debeam
.

Aristoph., in Nub.

Olà, o ragazzo, piglia il lume, dammi il giornale,
che io vegga a cui e di quanto sia debitore. ◀Citation/Devise

Niveau 2► Niveau 3► Exemplum► Aristofane fu un certo umore, come chi dicesse acetoso, salato e col pepe, tutto pizzicore. Ogni cosa sua gli usciva del cervello condita con bei ghiribizzi e con garbo, piacendogli più tosto il pungere i costumi; ma non alla carlona, e come può fare ogni lingua popolare che taglia e morde per dritto e per traverso ognuno senza pensiero. Volendo egli dunque tassare la gioventù de’tempi suoi, che spendeva e spandeva senza punto curarsi dell’avvenire, introduce nella commedia sua, intitolata Le Nuvole, un vecchio, il quale aggravato da’debiti per le continue spese del figliuolo, non potendo la notte chiuder gli occhi, chiama il suo servo che gli arrechi il lume e il quaderno de’conti. Dorme nella stessa stanza il giovane saporitamente, rinvolto nelle sue coltrici; e mentre che il vecchio pieno di stizza fa sue ragioni di quanto dee dare, e trova in sul giornale un cavallo di gran prezzo, il giovine appunto sogna di far maneggiare il cavallo, e dà, ad alta voce, ordine al cozzone che lo mova, che lo raggiri, e parla di cose appartenenti a cavallerizza. ◀Exemplum ◀Niveau 3 Metatextualité► A me pare appunto, mentre che io scrivo questi fogli, di essere quel vecchiotto; perchè, non altrimenti ch’egli si facesse, vestomi talora la notte, e, tocco da qualche capriccio morale, scrivo. Oh! se io potessi in quel punto udire tutti quelli che dicono in sogno, e forse anche desti, il contrario di quello che allora mi viene alla penna, io credo veramente che la cosa sarebbe da ridere, a vedere la diversità [222] che passa fra il mio dettare e quanto pensano gli altri. Non sarebb’ella una commedia il veder uno a fantasticare e impazzare alla riversa forse di tutto il mondo? Questa è una osservazioncella che cade sopra di me, volendo anch’io aver qualche parte in questo libretto. Ma perchè il parlare di se troppo a lungo non è buona creanza, farò qui fine, e proseguirò l’usanza mia, cercando, quanto per me si potrà, di gradire al pubblico, da cui vengo con tanta grazia e così lungamente favorito. ◀Metatextualité

Discorso intorno alla utilità degli oriuoli.

Io non so fra me medesimo immaginare quello che farebbe il mondo oggidì, se gli uomini avessero prestato fede alle dicerie degli antichi filosofi. Mi par di vedere che a guisa di un larghissimo velo, malinconia si sarebbe stesa sopra tutta la faccia della terra; e che ogni uomo, prima di fare un passo, sarebbe rimaso col piede più volte in aria a dire fra sè: Fo io bene o male a metterlo in terra? lo debbo io mettere qui o colà? è questo il tempo di posarlo o no? che debbo io fare? In ogni cosa mettevano gli scrupoli, in tutto voleano il senno e l’antivedenza. Niveau 3► Utopie► Allegorie► Ma il cielo pietoso dell’umana generazione, vedendo che il soverchio pensare alle cose anticipatamente ci avrebbe consumati, mandò al mondo una setta novella di uomini a far fronte a quella importuna genía che con le sue rigorosità guastava la quiete de’viventi. Furono questi gli oriuolai, cotanto privilegiati dal cielo, ch’ebbero ingegno di chiudere 24 ore in una cassettina di argento, di oro o di altro metallo, e dividerle anche in minuti, secondi e quasi attimi, riducendo la cosa ad un modo che ognuno può avere a posta sua nella tasca un giorno e una notte: cosa che, quanti furono Zenoni, Crati e Crateti, non avrebbero indovinata giammai. Prima che al mondo fossero oriuoli, non sapendosi quanto durasse il tempo, ognuno si affannava a pensare in lungo, e volea comprendere con la mente un anno, due anni, dieci, venti e più, e prevedere quello che potesse essere di là ad un secolo. Dappoichè si è introdotta questa benedizione, gli uomini non si rompono più il capo con tante antivedenze; ma trovandosi minuzzato e squartato il tempo in molti squarci e pezzuoli, si sono avvezzi a non mandare i pensieri più là che mezza giornata, e quale un’ora, qual mezza, o qual meno ancora, se così vogliono. Di qua nasce che non sono le genti più ripiene di mille inquietudini, nè cotanto affaccendate com’erano una volta; perchè minor faccenda e minor travaglio ha colui nel capo il quale antivede mezz’ora o un minuto le cose, di un altro il quale avrà in testa quelle di uno o di più anni. Quando uno avea, per esempio, un figliuolo maschio, non sì tosto gli era nato, che pensava in qual forma dovesse allevarlo, qual condizione di vita gli dovesse eleggere, dubitava della riuscita che fosse per fargli, e mille altri pensieri; perchè non vedendo il tempo a poco a poco, avea la vita del figliuolo suo tutta ad un tratto nel cervello. Oggidì che siamo beneficati dagli oriuoli, se il figliuolo dà mezz’ora di consolazione, il padre è contento; e se gli dà un’altra mezz’ora di sconforto, quello tosto finisce, e comincia la terza, la quale, sia a quel modo [223] che vuole, darà in breve luogo alla quartale si muteranno le cose; e quando anche non si mutassero, che fa ciò? non avendosi a sperare o a temere più che mezz’ora? Un altro vantaggio abbiamo ricevuto, che non è meno notabile. Tempo fu che le faccende di amore andavano con indicibile lentezza. Uomini e donne, avendo in animo tutti un lungo tempo, non si affrettavano punto. Stavano chiuse le femmine in casa, e poco erano vedute da’maschi. Incominciavano questi a dimostrare l’affetto loro con mille lungherie che non aveano mai fine. Serenate, cantate, giuochi, feste, le quali non erano subito gradite dalla femmina, che facea: un atto di grandissimo favore se in capo a tre anni lasciava ‘vedere una guancia, o il più il più un risolino dalla finestra. Cominciavano per vie studiate e mirabili a correr le lettere; e prima che nascesse fra loro una conchiusione, io credo che si vedesse già qualche grinza nella pelle dell’uno o dell’altro. Dappoichè si guarda negli oriuoli, non si ha più quella sofferenza. Le feste e le serenate sono andate a spasso, non si usano più finestre, non lungágnole di polizze; si accorcia tutto, tutto si abbrevia, un’occhiata o al più due spacciano tutto quello che appena era una volta spacciato da mille aggiramenti e invenzioni. Un’altra contentezza abbiamo oggidì, che i nostri antichi non la poteano avere. Eglino doveano essere insaziabili del possedere tesori, perchè non vedeano mai il termine del tempo loro, e aveano in capo che, come suol dirsi, il terreno mancasse loro sotto i piedi. Quindi era che ciascheduno cercava di acquistare il più che potea, di arricchire la sua famiglia di rendite e fondi, e in ogni cosa cercava di vantaggiarsi con la parsimonia, col pensare a’fatti suoi, e in tutti quei modi co’quali può l’umano cervello acquistare. Gli oriuoli ci hanno tolto dal cuore questo travaglio. Quando uno ha danari in tasca che gli bastino quattordici ore, non computandovi quelle del dormire, perchè in sogno non si spende, che gli occorre di più? E se non vuole averne per quattordici ore, può anche dividere il tempo in più minute parti, e cercare di provvedersi per una o per due, che in un giorno saranno a sufficienza. Non è dunque punto da maravigliarsi, se dopo questa benedetta invenzione degli oriuoli, gli uomini vivono più spensierati, più quieti; se non si vede gran movimento nella gente; se non ci sono quelle antivedenze che faceano un tempo disperare. Per la qual cosa io stabilisco che i veri filosofi che hanno illuminato il mondo, sieno gli oriuoli. ◀Allegorie ◀Utopie ◀Niveau 3

Niveau 3►

Le Pere.

Favola.

Niveau 4► Fabel► Narrano le antiche cronache ch’egli fu già in Portogallo un uomo dabbene, il quale avea un suo unico figliuolo da lui caramente amato; e vedendo ch’egli era di animo semplice e inclinato al ben fare, stavagli sempre con gli occhi addosso, temendo che non gli fosse guasto da’corrotti costumi di molti altri. Di che spesso gli tenea lunghi ragionamenti, e gli diceva che si guardasse molto bene dalle male compagnie; e gli facea in quella tenerella età comprendere chi facea male, e perchè facea male. Il fanciullo udia le paterne ammonizioni; ma pure una volta gli disse: “Di che volete voi temere? Io son certo che non [224] mi si appiccherà mai addosso vizio veruno, e spero che avverrà il contrario, ch’essi ad esempio di me diverranno virtuosi.” Il buon padre conoscendo che le parole non faceano quel frutto ch’egli avrebbe voluto, pensò di ricorrere all’arte; ed empiuta una cestellina delle più belle e più vistose pere che si trovassero, gliene fece un presente. Ma riconosciuto a certi piccioli segnali che alcune poche di esse erano vicine a guastarsi, quelle mescolò con le buone. Il fanciullo si rallegrò, e come si fa in quell’età, volendo egli vedere quante e quali fossero le sue ricchezze, mentre che le novera e mira, esclama: “O padre, che avete voi fatto? A che avete voi mescolate queste che hanno magagna con le sane?” – “Non pensar, figliuol mio, a ciò,” risposegli il padre; “queste pere sono di tal natura, che le sane appiccano la salute loro alle triste.” – “Voi vedrete,” ripigliò il fanciullo, “che sarà fra pochi giorni il contrario.” Sì, sarà, non sarà; il padre lo prega che le lasci per vederne la sperienza. Il figliuolo, benchè a dispetto, se ne contenta. La cestellina si chiude in una cassa, il padre prende le chiavi. Il putto gli era di tempo in tempo intorno perchè riaprisse; il padre indugiava. Finalmente gli disse: “Questo è il dì, ecco le chiavi.” Appena potea il fanciullo attendere che la si voltasse nella toppa. Ma appena fu la cestellina aperta, che non vede più pere, le quali erano tutte coperte di muffa e guaste. “Oh! nol diss’io,” grida egli, “che così sarebbe stato? Non è forse avvenuto quello ch’io dissi? Padre mio, voi l’avete voluto.” – “Non è questa cosa che ti debba dare tanto dolore,” rispose il padre baciandolo affettuosamente. “Ma tu ti lagni ch’io non abbia voluto credere a te delle pere. E tu qual fede prestavi a me, quand’io ti dicea che la compagnia de’tristi guasta i buoni? Credi tu che io non possa compensarti di queste poche pere che hai perdute? Ma io non so chi potesse compensar me, quando tu mi fossi guasto e contaminato.” ◀Fabel ◀Niveau 4 ◀Niveau 3 ◀Niveau 2 ◀Niveau 1