L’Osservatore veneto: Numero XLIV

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Nivel 1

N° XLIV

A dì 4 luglio 1761.

Cita/Lema

Misce stultitiam consiliis brevem. Horat.

Mesci un pochetto di pazzia col giudizio.

Nivel 2

Non ci sono al mondo libri i quali riescano più fastidiosi a leggere, di quelli che dichiarano le opere altrui. Io confesso di non aver mai avuto pazienza non solo di leggerne uno intero, ma quasi quasi mi sono annoiato a leggere que’passi ne’quali io non intendeva il testo. Non è già perchè io non ammiri l’ampia erudizione de’commentatori, e parte anche l’ingegno, a vedere con quanta sottigliezza razzolano e rifrustano ogni cosa antica e moderna, per far apparire il lume dov’era buio, e talora anche perchè rabbui dov’era la luce. Ma io non posso comportare che si trattino con una continua serietà materie appartenenti talora ad una virgola, e tale altra ad una lettera dell’alfabeto. Per la qual cosa io benedirò sempre le mani a quel Matanasio, il quale per umore di scherzare o tratteggiare con garbo i commentatori, si diede con un lungo libro a dichiarare una brevissima canzonetta, di quelle che si cantano per le piazze, tanto che la fa parere da qualcosa. La quale invenzione non è però sua (e sia detto qui per passo); ma la fu trovata forse cencinquant’anni prima di lui da un ingegno italiano, di cui non mi ricorda ora il nome, ed a cui è avvenuto, come a tanti altri dei nostri, che furono i primi nelle invenzioni, onde si dà grandissima lode a’forestieri. Comecchè sia, io non ho al presente a ragionare di questo. Ritorno a’commenti, e dico che ristuccano per la molta loro serietà, aridità e meschinità i leggitori; e che tutti que’libri, i quali saranno dettati a quella somiglianza, faranno il medesimo effetto. Di qua nasce che, per quanto io posso, cerco di variare la materia dell’Osservatore, la quale in fine in fine non è altro che commento, o dichiarazione dell’animo umano. Di queste qualità di libri ce n’è oggimai più che rena o acqua. Sicchè se non si vestono le cose già dette con qualche garbo, egli è meglio starsi zitto, che pubblicare quello che si è letto e riletto mille volte. Per esempio, a leggere Luciano pare di avere tra le mani un libro nuovo, perchè ogni cosa veste di novità e di grazia; metti le sue opere in trattati di morale, in sentenze, in detti, ti accorgi che senza que’suoi Menippi, que’suoi Galli, quelle sue deità, egli non ti ha detto nè più, nè meno di quello che ti abbiano detto gli Aristotili, i Teofrasti, gli Epitteti, o altri così fatti scrittori, che sono andati per la piana, senza curarsi di dilettare, e contentandosi dell’insegnare a guisa di pedanti con la sferza nelle mani. Quando l’uomo si avvede che un altro vuol essere suo maestro, diventa sordo, e dice fra sè: Quale autorità vuole avere sopra di me costui, il quale è fatto come son io? Egli mi ha viso piuttosto di èssere ammaestrato, che da fare il maestro. Vada a predicare a’porri. Sicchè il pover uomo si stillerà il cervello senza frutto. Io non dico frutto di far migliorare le genti, che non se n’è mai veduto utile, dappoichè si scrive; ma di farle almeno leggere volentieri: che non è però picciolo stento, in un secolo principalmente in cui lo sbadigliare è una delle più squisite soavità, e l’applicazione è stimata nimica mortale della salute. I popoli orientali hanno in ciò avuto grandissimo cervello, dappoichè lasciata ogni forma ruvida d’insegnare, specialmente la morale, colorivano colla fertile immaginativa gl’insegnamenti di belle figure; e facevano spettacolo e commedia di ogni cosa, per dare azione e vita a quanto dicevano. E non solo facevano una bella elezione di favola, e davano un caldo movimento a’pensieri; ma le loro parole aveano, per così dire, corpo ed erano palpabili, sapendo benissimo che la parola debole ammorza il pensiero; e che questo acquista la sua vita sulla lingua, se essa lo sa trar fuori dell’ingegno con forza. Se io volessi dire perchè ho detto tutto ciò, nol saprei: ma quello ch’è scritto, può servire di proemio alla materia che segue.

Nivel 3

Relato general

È antichissima fama che in una grotta vicina alla città di Tiro abitasse da lungo tempo innanzi una femmina, la quale coll’uscire di rado fuori di là, e lasciandosi vedere quelle poche volte che liscia, vestita a caso, scapigliata e di mal umore, avea acquistata fama di sottilissima strologa; e si dicea che ella comprendesse quello che dovea avvenire, come se fosse stato presente. Questa sua foggia di vivere facea sì, che a lei concorrevano molte genti da tutte le parti, e le arrecavano chi danari e chi robe; tanto che di povera e mendica che la era prima, avea accumulata una gran massa di ricchezze; e quivi si stava tirando l’aiuolo or a questo ora a quello con le sue predizioni, ch’erano da lei proferite con tanta oscurità, che non potea mai avvenire il contrario di quanto ella detto avea; perchè tutte le parole doppieggiavano, e le si poteano intendere per molti versi. In fine costei, tra per l’avarizia che le rodeva il cuore, e la malinconia continua dello starsi in quella solitudine, chè l’una cosa e l’altra può essere, la divenne pazza affatto; e sbucata della tana in cui era stata sempre, la cominciò a correre per le strade a guisa di una cagna arrabbiata, e a minacciare molte disgrazie agli uomini e alle donne del suo paese; ma sopra tutto la dimostrava anche così pazza un grande odio contro agli uomini di lettere, i quali non aveano mai prestato fede a’suoi indovinelli, e a quel gran lingueggiare di tutte le cose, che avea fatto con questo e con quello, parte astutamente, e parte senza sapere quello che si dicesse. Ma sia come si vuole, ella avea sempre dietro a sè un gran codazzo di genti, le quali spasimavano del fatto suo; e alcuno vi ebbe che andava scrivendo le sue parole. Di ciò avvenne che fino al giorno di oggi è rimaso uno squarcio de’suoi indovinelli, il quale pervenutomi alle mani, vien da me qui pubblicato.

Nivel 4

Utopía

“E io mi stava nella mia grotta, da me detta mio palagio, perchè non avea altra casa da abitarvi dentro; ed era la mia statura alta un braccio, giuntovi di sotto gli zoccoli, e il pantano sotto le suole appastato. Le grinze della mia pelle erano il mio vestimento, e gli occhi miei erano alla terra rivolti, e diceva: Questa è la madre mia; e altro non sapea. Quando un’altissima voce, a guisa di fragore di tuono, sgridò: Alza gli occhi da quella terra, alla quale stanno rivolti, e sorgano i tuoi pensieri. Sarà tempo, che invisibile mano ti trarrà fuori della grotta, che da te è detta tuo palagio, perchè non hai altra casa da abitarvi dentro. Ma chi è degno di uscire dalle viscere de’monti, se egli non ha prima fornito il suo intelletto? Dee crescere la tua statura. Ma come può darsi ciò senza cibo? Vienne. Ed io allora quasi assordata al fracasso di quell’altissima voce, mi gettai a terra, e dissi: O voce, fa’ciò che vuoi. Emi sentii prendere pegli orecchi, quasi da tanaglie che voltino e rivoltino rovente ferro sopra l’incude, e allora esclamai: Ubbidienti sono gli orecchi miei anche a forza minore. E la voce di tuono mi disse: Occhi, naso, bocca e orecchi formano immagine di uomo; e tuttavia non credere che uomo sia dovunque vedi tali indizi. Questi è l’uomo di fuori. Di dentro è cosa migliore, s’egli sa coltivarsi. Voi non siete tutti ventre, nè nati solamente per consumare il grano dei campi. E quando queste parole ebbe dette, vidimi gittate ai piedi un libro, il quale mi si aperse da sè; e la voce mi disse: Leggi; e mi parea che a pena sapessi compitare, non che intendere gli altissimi sensi del libro. Allora la voce mi confortava, e dicea: Buono è il tuo cuore e veridico, dappoichè ti confondi dinanzi alla dottrina; nè con petto gonfiato di vanagloria ti vanti di sapere quel che non sai. Crescerà la tua statura come le cime delle querce sulla sommità dei monti. Ma prima dèi alzarti con le dita le palpebre, e non lasciare che sonno vi entri; e tua saporita bevanda sarà l’acqua de’fiumi che scorrono per la terra. Non ti ricordare il ventre. Diménticati che tu sia viva. Non ti spaventi orribile voce che ti chiamerà col nome di ossa sotterrate e fuori del mondo; non ti lusinghi piacevole canzone che zufolerà agli orecchi tuoi, invitandoti alla morbidezza. Sieno a guisa di chiovi gli occhi tuoi in questo libro conficcati. Trascorri lunghe stagioni in questa grotta, e uscirai quando sia tempo. Tutte le fiere dei deserti faranno ruggiti intorno alla bocca della tua spelonca. Non si arriccino i tuoi capelli per timore, nè prenda alterazione la pelle delle tue braccia. Allora la voce tacque, e più non l’udii. O popoli della terra, io ubbidii al comando della voce, e non ispiccai gli occhi mai più dal libro. Con le dita per parecchi anni mi rasciugai la fronte, e poco sonno e breve mi aggravò le palpebre, lo udiva d’intorno a me rumore di carra e di cavalli. Penetrava dentro alla spelonca mia armonia di liuti e di pifferi. Udiva risonar di fuori tutta l’aria di canzoni e di genti che festeggiavano. Solitaria abitatrice della spelonca, diceva fra me: Mi commise la voce che a guisa di chiovi fossero gli occhi miei in questo libro conficcati. E sapea che molti erano di fuori, intorno a’quali intonavano voci di lodatori, e dicevano: O figliuoli delle divine Muse, passa la dolcezza del vostro canto l’armonia delle sfere, e incoronati saranno i vostri capi del verde alloro; nè per tutto ciò io spiccava mai gli occhi dal libro. O popoli della terra, non è al mondo cosa sì diffìcile a comprendersi quanto il libro lasciatomi, dal quale non ispiccai gli occhi giammai. E quando io fui giunta al fine, ritornò la voce di nuovo, e disse: Esci fuori della grotta, che tu se’già cresciuta, e di’a’popoli quello ch’è, e quello che sarà, dappoichè tu hai letto il libro in cui tutte le cose del mondo sono contenute. Uscii allora fuori della mia spelonca, e incominciai a dire quello ch’io avea letto di esso libro. Allora si concitarono contro di me molti uomini, i quali aveano a sdegno che donna vivuta lungo tempo in una grotta avesse animo di salire anch’essa fino al cospetto delle divine Muse, e di chiedere a loro nobili invenzioni, per significare alle genti quello ch’è, e quello che dee essere: ma rimasero quai monimenti senza nome, nel mezzo dei deserti.”

Metatextualidad

E qui manca il manoscritto, e io non so quello che la vecchia dicesse più oltre; dalle cui parole, comecchè la stona dica che la fosse pazza, si può però trarre questo frutto, che dal passare la giovinezza nelle fatiche e negli studi nasce la cognizione e il poter comparire nel mondo onoratamente.

Nivel 3

Carta/Carta al director

Metatextualidad

All’Osservatore. Sono stato ammalato ne’passati dì. Voi non mi conoscete, e poco vi dovrebbe importare se io fossi anche morto. Ma vi scrivo quello che fu di me, acciocchè partecipiate una cosa al pubblico, la quale non gli sarà discara. Vengono talvolta incolpati i medici di non aver fatto buone osservazioni in una malattia, perchè invitati alletto di una persona inferma dello stesso male della prima, la cura non riesce. Io credo che talvolta si possano accusare di questo difetto gl’infermi; udite la cagione.

Nivel 4

Relato general

Il medico mio è un acutissimo osservatore de’più menomi indizi in un corpo, e di tutti gli effetti che fanno le medicine. Mentre ch’io fui a letto, chè vi stetti da forse dodici giorni, egli venne con molta assiduità a visitarmi. Ogni giorno mi ordinò due medicine. Dalla prima in fuori, non ne presi altre; ed egli trovandomi sempre migliorato, andava magnificando il benefizio della medicina ch’io avea presa quel giorno, benchè la fosse ancora alla bottega dello speziale! Questo polso, diceva egli, non è più così teso e duro: ecco l’effetto prodotto dalla ricetta. Io lo noterò, perchè da queste osservazioni nasce la perizia nell’arte. La testa è liberata da quella spranghetta che la legava: ecco la bontà della medicina di oggi. Domani ne prenderete una che vi farà svanire il dolore dei lombi. Io non la prendea, e il dolore dei lombi era svanito. Egli, che non sapea ogni cosa, notava che dopo il tale rimedio i lombi si erano liberati dal dolore. In fine io uscii di letto sano più per virtù di natura, che di altro; ed egli venne stamattina a leggermi la storia della mia infermità, e le sicure prove di que’rimedi ch’io non avea presi.
Dal che conchiusi ch’egli non avea il torto; e che quando si vede che una medicina non fa in una infermità l’effetto sperato dal medico, convien dire che la sperienza di essa sia stata fatta in persone le quali, come ho fatto io, dessero ad intendere al medico di averla presa: poichè altrimenti sarebbe impossibile che le medicine andassero vote di effetto così spesso.

Metatextualidad

Non più. State sano. Addio.