Référence bibliographique: Gasparo Gozzi (Éd.): "Numero XLIII", dans: L’Osservatore veneto, Vol.1\043 (1761-07-01), pp. 178-181, édité dans: Ertler, Klaus-Dieter / Fuchs, Alexandra (Éd.): Les "Spectators" dans le contexte international. Édition numérique, Graz 2011- . hdl.handle.net/11471/513.20.428 [consulté le: ].


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N° XLIII

A dì 1o luglio 1761.

Citation/Devise► Tercentos pernicissimos juvenes ex suis quisque
copiis perducite ad me, qui per calles et pene
invias rupes domi pecora agere consueverint
.

Q. Curt., lib. VII.

Ognuno di voi dalla squadra sua faccia qui ve-
nire a me trecento velocissimi giovani, i quali
per difficili sentieri e rupi, dove appena si va,
solevano a casa loro guidar le pecore. ◀Citation/Devise

Niveau 2► Quando gli uomini hanno congiunto ad un ingegno acuto un animo dilicato e gentile, si può dire che sieno in ogni cosa compiuti. Ci sono alcuni che per lo più vanno col primo fino alle stelle, e il secondo l’hanno sì zotico, ruvido e bestiale, che appena si può durare nella compagnia loro. Altri all’incontro sono di pasta così dolce che ogni lor detto è uno zucchero; ma hanno così poco cervello, che quel medesimo è a praticare con esso loro, che a starsi continuo con istatue o caprette. E se sono dabbene, puoi dire che non possono esser altro. A questo proposito mi hanno tratto due considerazioni che io ho fatte leggendo ieri in Quinto Curzio i fatti di Alessandro: perchè se io ho da dire il vero del fatto mio, quando leggo vo sempre fantasticando e rugumando le cose, per procurare che mi rimanga qualche utilità, e non lasciare tutto l’ufficio del leggere agli occhi o alla lingua. Niveau 3► Exemplum► Il primo luogo che mi venne a caso alle mani, fu dov’egli si era posto in fantasia di far isbucare un certo Arimaze da una rupe così alta, dirotta e scoscesa, che appena vi sarebbero saliti gli uccelli. Prima di tentare l’assalto, mandò dicendo a cotesto Arimaze, che gli si arrendesse. Costui a cui parea di essere sicuro costassù, oltre alle altre villanie che mandò dicendo al re, chiuse il suo dire con queste parole: Avrebbe anche l’ale Alessandro Il re deliberò di fargli vedere che fra i Macedoni suoi vi avea chi avrebbe saputo anche volare; onde col suo [179] perspicacissimo ingegno trovò subito trecento giovani attissimi al fatto. E, come nelle preallegate parole si è detto, non elesse a caso; ma trascorrendo con la capacità sua intellettiva tutto l’esercito, fece venire a sè trecento giovani, di quelli che erano avvezzi ad aggrapparsi su per li più alti cucuzzoli de’monti, e a pascer le pecore. Ed ecco l’acume dell’ingegno nell’elezione; il quale non meno si mostrò acuto nello stimolargli con queste parole alla salita: “Giovani e compagni miei (pensi ognuno che bel modo fu questo a gonfiare pecorai colle prime parole); Giovani e compagni miei, co’quali prima di ora ho superate fortificazioni invincibili di città, trapassai altissime sommità di monti da perpetue nevi coperte, negli stretti passi penetrai della Cilicia, e comportai non istanco la gran forza de’freddi indiani. Io ho date prove di me a voi, voi a me di voi. Questa pietra, che qui vi vedete dinanzi, ha un solo passo, lo tengono i barbari, ogni altra parte di essa è trascurata. Sentinelle non vi si tengono, fuorchè dalla parte che guarda il nostro campo. Vi troverete la strada, se con acut’occhio spierete qualche sentieruzzo che guidi alla cima. Natura non ha fatto cosa tant’alta al mondo, che forza di virtù non vi possa giungere; tutti gli altri ne disperarono, noi ne facemmo sperienza; ed ecco che l’Asia è nostra. Andate a quella cima; e quando vi siete, datemene il segno con panni bianchi. Io moverò il campo, e svierò i nemici da voi. Chi primo vi giungerà, ne avrà per merito dieci talenti, uno meno il secondo, e con questa misura sino a dieci serbasi il pregio. Son certo che voi più la voglia che la liberalità mia avete a cuore.” L’ascoltarono, dice lo scrittore, con animi così accesi, che già parea loro di essere in sulla cima. E nel vero egli fu un modo ingegnosissimo di favellare a pastori di pecore, i quali si dovettero credere eroi; e tuttavia il suono de’danari fu il suggello della persuasiva, senza che se ne avvedessero. La cosa gli riuscì come volle. ◀Exemplum ◀Niveau 3

Quello acutissimo intelletto avea anche da natura dilicato cuore e sensitivo ad ogni passione altrui. Testimonio me ne fa Sisigambi madre di Dario, quando la fu da Alessandro lasciata in Susa. Egli è vero che potrei addurre molti altri esempi; ma in tutti si potrebbe dire che vi entrasse un poco di vanità o di amore di sè medesimo. In quello che io dirò, non è altro che pura bontà di cuore. Niveau 4► Exemplum► Avea egli ricevute molte belle drapperie e scarlatti di Macedonia in dono, e con essi anche i lavoratori di quelle. Mandò ogni cosa a donare a Sisigambi, facendole dire che se quelle vesti le piacessero, potea averne da indi in poi agevolmente, quand’ella avesse avvezzate le sue nipoti a quelle fatture. A Sisigambi vennero le lagrime in sugli occhi, poichè le donne persiane tenevano per cosa vilissima il lavorare in lane. Ne fu arrecata la nuova al re. Parvegli cosa degna di scusa e conforto, onde andato a lei, le disse: “Madre mia, nel vestito che io porto indosso, tu vedi non solo un dono delle sorelle mie, ma un lavoro di quelle. I costumi nostri mi fecero sbagliare. Non istimare ingiuria la mia ignoranza. Spero di aver fino a qui a bastanza rispettato quanto seppi ch’era tuo costume. [180] So essere appresso di voi colpa, se figliuolo siede innanzi alla madre, s’ella non gliene concede. Quante volte venni a visitarti, sai che stetti in piedi fino a tanto che mi fu da te fatto cenno che io sedessi. Più volte ti volesti gittare a’miei piedi per venerarmi, io non volli. Ti do quello stesso titolo che alla mia carissima madre Olimpiade è dovuto.” ◀Exemplum ◀Niveau 4 Io non crederei che un vincitore quale Alessandro potesse mai parlare con maggior dolcezza e bontà di cuore per cosa che in fine non era una massiccia offesa.

Osservazione.

Metatextualité► Dappoichè io ebbi letto e scritto intorno alla mia lezione quelle poche linee dell’ingegno e della bontà di Alessandro, entrai in un’altra fantasia, cioè a pensare se egli sia meglio avere ingegno e dilicato animo, o non avere nè l’uno nè l’altro. E certamente credo che passi il corso dell’umana vita colui più quieto, il quale si prende le cose come le vengono, di un altro il quale si voglia impacciare in antivedenze, in fare ripari ad ogni cosa, in cercare avanzamenti, e principalmente darsi brighe per altrui, acciocchè gli avvenga come al topo nato e allevato in una cesta. ◀Metatextualité

Niveau 3►

Favola.

Niveau 4► Fabel► Egli fu già un tempo quello ch’io dirò. Era una grandissima cesta in un granaio, non so come statavi dimenticata, nella quale vi avea una grande abbondanza di cose da mangiare. Solevano in essa abitare non so quai sorci, i quali senza punto curarsi di altro, nè mai uscire di là, si godevano di quel bene che aveano innanzi. Avvenne finalmente che uno ne nacque tra essi, il quale essendo più che gli altri di vigoroso animo e di perspicace intelletto, veduto fuori per certe fessure che vi avea oltre alla cesta altro mondo, deliberò fra sè di non tenersi fra que’ristretti confini rinchiuso, e di tentare una più alta fortuna. Presa dunque una nobile risoluzione, uscì un giorno fuori di quella cesta, donde non erano mai usciti i maggiori di lui; e veramente gli parve bella cosa il poter ispaziare a suo modo in maggiore ampiezza. Ma a poco a poco incominciò ad avere un travaglio che non avea provato nella sua prima casetta; imperciocchè comparando sè medesimo ad altri animali vezzeggiati dagli uomini, o maggiori di sè, veniva roso da un tarlo continuo d’invidia, e avrebbe voluto uguagliarsi ora a questo, ora a quello. Studiava col suo sottilissimo ingegno mille arzigogoli e ghiribizzi, i quali gli riuscivano sempre a vôto, tanto che a poco a poco cominciò a dimagrare; e talvolta fu ch’egli avrebbe desiderato di ritornare alla cesta sua, ma non gli dava il cuore di abbandonare certe sue pazze e mal fondate speranze. Pur finalmente un giorno, per non morire disperato, deliberò di ritornare al suo primo albergo. Ma per colmo delle calamità si abbattè ad una gatta, la quale più astuta di lui l’avea più volte spiato, e finalmente gli pose la branca addosso, e non lo lasciò arrivare alla male abbandonata cesta. E non altrimenti che al topo avvenne al mal consigliato luccio. ◀Fabel ◀Niveau 4 ◀Niveau 3

Niveau 3►

Favola.

Niveau 4► Fabel► Nuotava per le rapide acque della Piave un luccio di sterminata grandezza, a cui parendo troppo ristretto confine quello delle due rive [181] che di qua e di là arrestano le acque del fiume, voglioso di assecondare il suo grande animo, pensava come potesse trovarsi maggiore spazio da farvi le sue prede. Avvenne per sua mala ventura che crebbero un giorno le acque a cagione di un vento che le rispingeva indietro dal mare, onde venne all’insù nuotando un cefalo, il quale per caso abbattutosi in lui, gli narrò la gran maraviglia del mare, e quanto esso era largo e atto a farvi ricchissime prede. Allettato il luccio dalla speranza di corseggiare in un luogo sì ampio, e dispregiata l’antica abitazione, nuotò verso la volta del porto. Ma non sì tosto vi giunse, che quello fu l’ultimo punto della sua vita; perchè fattoglisi incontro un pesce molto maggiore e più gagliardo di lui, se lo cacciò tra que’suoi molti filari di acutissimi denti, e ne fece un saporito boccone. ◀Fabel ◀Niveau 4 ◀Niveau 3

Oh le son favole! Egli è il vero. Ma, se in iscambio di topi e di lucci io volessi mettere o Ambrogi o Piergiovanni o altro, egli si vedrebbe che alcuni, essendo usciti per altezza di ingegno fuori delle ceste o de’rigagnoli per correre e nuotare in più largo spazio, non hanno mai avuto un bene al mondo. E se io volessi anche considerare come ci ha fatti natura, potrei quasi provare che siamo nati più per istarci quieti, che per darci pensieri. Ma io non voglio per ora sottilizzare. Basta ch’io veggo per lo più gli uomini spensierati con buona cera, e di miglior voglia che gli altri; tanto ch’io non so come io mi sia ostinato a voler dimagrare e a perdere il fiato a leggere e a scrivere continuamente. Ma che? Il costume veste la natura e la vuole a suo modo. Pazienza!

Niveau 3► Lettre/Lettre au directeur► Metatextualité► Signor Osservatore.

Desidero da voi la spiegazione di una cosa che per quanto io abbia fatto opera di filosofare per poter intenderla, sono sempre stato a quel medesimo di non poterla indovinare. Eccovi l’enimma. ◀Metatextualité Io conosco, per esempio, dieci o dodici persone, ed altrettante ne conoscono gli amici miei, che riescono loro dello stesso conio, come a me i miei dieci o dodici; sicchè vedete che il male è quasi generale. Quattro di queste, per esempio, saranno state e sono le più avare della terra, altre due le più superbe del mondo, le altre le più imprudenti che mai nascessero. Si saranno forse cento volte sentiti rinfacciare queste loro magagne; dovrebbero saperle forse per qualche interno rimordimento di coscienza. Niente vale. Se io intavolo seco loro un discorso intorno alla generosità e ad altre virtù contrarie ai vizi loro, io mi sento tosto sonar negli orecchi mille bei paroloni e mille vantamenti del loro merito. Non cedono ad Alessandro in grandezza di animo, nè ad Ilarione o Socrate in umiltà e in prudenza; e non sarà un’ora che in faccia a me avranno fatto pompa de’loro difetti, più chiari del sole. Metatextualité► Vi prego dunque dirmi come ci scordiamo così facilmente de’nostri pensieri e delle nostre parole. Scusate dell’incomodo, e sono vostro buon amico

N. N. ◀Metatextualité ◀Lettre/Lettre au directeur ◀Niveau 3

Critica del foglio presente.

Metatextualité► Rileggendo quello che ho scritto fino a qui mi è venuto in cuore d’immaginarmi ch’io non sia più io, ma un altro quegli che scrisse, ed io il leggitore. Da principio durai qualche fatica a ritrovarvi difetti, per quell’amore che porta ognuno a sè medesimo, del quale io non sapeva spogliarmi affatto. E mi è convenuto prima di fingere che avessi un altro nome, appresso che fossi divenuto bassotto e grasso, e finalmente che avessi un’altra faccia affatto diversa dalla mia; tanto che, a forza di un’immaginazione poetica, pervenni a dimenticarmi di me, e a leggere il foglio con intenzione di censurarlo. Le osservazioni intorno ad Alessandro possono passare; perchè egli è vero che fu uomo d’ingegno e di cuor nobile e sensitivo, ma non mi pare che vadano così di buon passo le osservazioni che ne vengono dopo. In primo luogo quel variar pensiero non mi garba. Parea che dopo quanto si è detto di Alessandro, si dovesse conchiudere che sia una bella cosa l’avere acuto ingegno e buon cuore; e la conclusione è quasi diversa, ragionandosi intorno alla calamità di chi ha l’uno e l’altro. Oltre a ciò, questo secondo argomento non è trattato pienamente. Le due favole, del Topo nella cesta e del Luccio nella Piave, mostrano piuttosto l’avidità del cuore e la boria, che l’ingegno; e della disgrazia dell’aver buon cuore non si parla punto; ond’ecco la materia strozzata e lasciata a mezzo. Ti ho io colto in sul fatto? Ti ho io fatto vedere che son uomo da censurarti, bell’umore? Che ti credevi tu, che io te l’avessi a risparmiare? Ben ti sta. Quante volte ti se’tu voluto occultare a me, e non lasciarmi vedere le tue magagne? Ora non ti è giovato. Sai tu che tu scrivi pubblicamente? Sai tu che dèi andar col calzar del piombo, e procurare ad ogni tuo potere di essere corretto, diligente, giudizioso? Rispetta quell’universale a cui tu scrivi, e non creder mai che i difetti delle tue scritture non sieno intesi e veduti. Se tu sei l’Osservatore, comincia a far l’ufficio da te medesimo. Tanto diletto presi nel dir male del fatto mio, ch’io credo non avrei finito mai più; se non che, mentre io era più caldo, mi tornò in mente che l’essermi mascherato era finzione, e ch’era pure io quegli che avea scritto, ond’ebbi compassione di me; e poco mancò che non mi volessi difendere: e già avea cominciato ad aprir la bocca, quando mi venne in mente che le censure e le difese non hanno mai fine, onde stabilii di tacere, e di stampare questo breve capriccio. ◀Metatextualité ◀Niveau 2 ◀Niveau 1