L’Osservatore veneto: Numero XLII

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Nivel 1

N° XLII

A dì 27 giugno 1761.

Cita/Lema

Qualis ubi oceani perfusus Lucifer unda,
Quem Venus ante alios astrorum diligit ignes,
Extulit os sacrum cœlo, tenebrasque resolvit. Virgil.

Non altrimenti la stella della mattina, cara
a Venere più d’ogni altro fuoco celeste,
trae fuori dall’oceano il sacro aspetto, del
l’acque sue molle, e, nel cielo apparendo,
sgombra le notturne tenebre.

Nivel 2

A leggere gli antichi libri che corrono per le mani degli uomini, egli vi si conosce quasi in tutti i tempi una malignità e una magra invidia che róse gli uomini contro alle femmine; e si vede ch’essi hanno voluto sempre signoreggiare, e far credere che sieno stati essi che abbiano fatto bello il mondo. Chi ha piantato di qua una città; un altro con le sue leggi avrà renduto socievole una nazione; tutte le grandi imprese furono de’maschi; e se avessero potuto nasconderlo, io credo che non avrebbero manifestato nemmeno che le femmine avessero partorito, per non farne mai menzione, e non dar loro almeno l’onore dell’avere popolato il mondo. Si vede un indizio di questa mala volontà ne’poeti, i quali di tempo in tempo hanno voluto darci ad intendere che dopo il diluvio di Deucalione gli uomini nuovi ebbero la vita da’sassi delle montagne, e che le formiche fecero quella popolazione che fu dei Mirmidoni chiamata. S’udirono mai bestialità maggiori per togliere alle donne la lode d’ogni cosa? A leggere la favola d’Orfeo, così ben colorita, con tante circostanze narrata, non si direbbe che fosse vero ch’egli soletto con la sua cètera in mano traesse fuori de’boschi gli uomini salvatichi e dispersi, e gli riducesse a vivere in compagnia? Ma le femmine di que’tempi aveano più coraggio di quelle che vivono al presente; e vedendo ch’egli volea con le sue ciance mettere novità nel paese, e farle credere da nulla, l’assalirono co’bastoni e co’sassi, e lo rimeritarono molto bene della sua baldanza. Ognuno sa la sua fine, ch’egli ne fu da loro squarciato, e la sua testa gittata in un fiume. Di che poi i poeti hanno detto un gran male di quelle femmine che meritavano mille benedizioni; perch’egli oltre alla vanità del volerle signoreggiare, avea poi anche altre taccherelle ch’io non le dico.

Metatextualidad

Convien rifrustar bene gli armadi vecchi e gli archivi chi vuole trar fuori delle tenebre la verità. I pochi libri che narrano il vero delle donne, furono sempre per invidia tenuti celati; oltre all’essere stati scritti da’loro autori con timore e sospetto, perchè andavano contro alla credenza o piuttosto invasazione universale. Volle fortuna che a questi giorni ne pervenisse alle mani uno a me, il cui autore non è nominato, ma vedesi che antichissimo è, e scritto non so prima in quale linguaggio, poi trasferito in greco, poi in latino, e finalmente in italiano; ma sì antico, che vedesi essere stato volgarizzato a un di presso a’tempi di Dante. Io non intendo d’alterarne punto lo stile, acciocchè l’antichità sua gli acquisti fede maggiore. Lascerò bensì il proemio e alquanti capitoli del principio, co’quali l’autore fa la sua introduzione a difendere le donne da tutte le menzogne che furono trovate contro a loro, e a lodare le buone qualità che sono in esse, e principalmente a dimostrare che ogni bontà e grandezza che nel mondo si vede, venne da loro; e comincerò dal capitolo terzo ch’entra nell’argomento, proseguendo fino a tanto ch’io abbia terminato a dimostrare la verità.

Nivel 3

Capitolo iii.

Come Giove mandò la bella Iddia Venere dal cielo in terra a muovere Floriana, perch’ella con sua virtude destasse lo mondo a bontade.

Nivel 4

Utopía

Figliuola mia, prudenza, sapienza, e ogni scienza s’acquista da buono maestro: e però sempre si debbono eleggere li migliori e li più savi. Tu vedi ch’io ho fatto bello il mondo, e risplendente di sole e di stelle il cielo. Ho sulla terra fatto verzicare alberi ed erbe, e fiori spandere odore. Di molti belli fiumi, come cristallo l’ho adorna. Sono nati uomo e femmina; e di molte cose ho la terra arricchita. Máncavi lo fiore de’belli costumi. Da ora in poi io ho eletta la bella Floriana, perchè sia la prima a spargere la buona semente de’modi onesti che dee usare il mondo. Salvatichezza nuoce allo cuore dell’uomo e lo rode come tarlo le vestimenta. Egli ha di sua natura duro cuore e aspro agl’insegnamenti. Più morbido l’ha la femmina; e più atta la troverai a quanto le vorrai insegnare. Va’dunque a Floriana, e sì le dirai ch’ella dee le tenebre sgombrare dal mondo, e a modo di scintillante stella del mattino discacciare l’ombre della notte. Ora va’, mia figliuola, e farai il mio comandamento. Venere chinò il capo, e al tutto si diede ad ubbidire a quanto il padre le avea comandato.

Capitolo iv.

Come Venere andò a Floriana: e della bellezza di Floriana.

Nivel 4

Utopía

E allora Venere chiamò a sè uno Zefiro, e sì gli disse: “Fa’che tu mi porti dov’è Floriana; imperocchè io ho a fare grande comandamento di Giove.” E lo Zefiro le rispose ch’ella era signora di sua volontade. E incontanente s’adattò l’alie alle spalle, e prese la bella iddia Venere tra le braccia; e sì cominciò soavemente a calare alla volta del mondo. In poco d’ora furono al piede d’una montagna dov’era la grotta della bella Floriana, e quivi lo Zefiro posò suo carco, e s’involò di là, che occhio non l’avrebbe veduto per la sua prestezza. Ora dirò della condizione di Floriana. Era costei grande e diritta sopra sè, e avea andatura di reina; i suoi capelli pareano oro, e avea ne’begli occhi mistura di grazia e vigore. Lo aspetto suo fece invidia a Venere, e le sue parole erano quasi armonia di cantare, e piene di senno. L’Iddia la salutò; ed ella si mosse incontro a lei, maravigliandosi di vedere donna che non avea per lo innanzi conosciuta. A cui Venere disse: “A grandi cose fosti eletta da Giove: e tu se’colei a cui è commesso dì mettere ordine allo zotico mondo, il quale non ha fiore di belli costumi. Tu vedi che ogni uomo e femmina fa che vuole; e neuno ha guida nel fare sue opere, ma pare quasi traportato dal caso. Uno bene ci è, che gli uomini sono per amore inclinati ad amare le femmine; e se queste incominceranno a ricevere in sè bontade e grazia, sì vedrai ch’eglino faranno il medesimo per esser cari a quelle, e il mondo rifiorirà per loro cagione. Io sono l’iddia Venere, a cui ha commessa Giove questa imbasceria. Floriana, tu hai udito. Ora vieni, ch’io t’abbracci.” E Venere abbracciò Floriana, e alitò in lei un leggierissimo fiato che avea odore celeste, e lasciolla.

Capitolo v.

Come Floriana, partitasi dalla sua grotta, salì in sulla montagna del Parnaso; e quello che le avvenne.

Nivel 4

Utopía

Dappoichè Floriana ebbe ricevuto l’alito di Venere, parve che le si aprissino gli occhi; e vide che nel mondo non v’avea cosa buona. Disse tra sè: “Di che potrò io ammaestrare le genti, s’io non ammaestrerò prima me medesima, e non saprò quello ch’io abbia fare?” E vennele a memoria che non lontana dì là era la montagna di Parnaso, la quale avea udita più volte a dispregiare agli uomini, perchè sulla sommità di quella s’insegnava dottrina; e disse fra sè: “Buona dee essere quella montagna, dappoichè gli uomini ne dicono male.” E così diceva, perchè Floriana avea acuto ingegno. E partitasi dal luogo dov’ell’era, andò alla montagna di Parnaso, e in poco d’ora giunse alle sue falde, e cominciò a salire. Trovò che la natura della montagna era tale, che il salire da principio era grandissima fatica, ma nello andare sempre più s’alleggerivano le ginocchia. E da ogni lato udiva dolcissimi canti di rosignuoli, e vedea rivoletti d’acqua scorrere; onde dicea: “Bello è lo stare sopra la montagna di Parnaso.” E andando ancora allo insù, vedea sotto di sè tutto lo mondo, e ogni uomo, che pareano insieme azzuffarsi e cozzare l’un contro all’altro, sicchè parea non sapessino quello che faceano a guisa di ciechi; onde esclamava: “Bene ha bisogno il mondo di guida.” Così andando le pervenne agli orecchi un dolcissimo suono di strumenti, e a poco a poco scoperse il divino Apollo e le sacre Muse. Alla veduta delle quali non potè fare a meno che non gridasse: “Oh santa compagnia! Vedi come ognuno qui s’intrattiene in nobili intrattenimenti!” E allora si rivolsero a lei le divine Muse e Apollo, e conobbero ch’ell’era Floriana, quella che avea stabilita Giove a spargere fiori di bel costume nello mondo; e graziosamente accolsono fra loro Floriana, e feciono a lei vedere tutte loro divine arti, e gliene insegnarono in breve. Perchè gl’Iddii, che sanno le cose con buon fondamento, brevemente le possono insegnare, e Floriana avea grande ingegno.

Capitolo vi.

Come Floriana~ discese dalla Montagna di Parnaso, e ritornò alla sua grotta, dove elesse Margillina, e Diantea perchè fossino sue discepole, e l’aiutassero a spargere di bei costumi nel mondo.

Nivel 4

Utopía

“I’ti dico addio, o monte pieno d’ogni virtù,” dicea Floriana; “e dico addio a te, Apollo, e a voi, Muse: egli mi conviene di qua discendere, a fare quello che m’ingiunse Giove:” e così detto, scese dalla montagna e ritornò alla sua grotta. Tenne tuttavia segreto a ogni gente il viaggio che fatto avea, e tutte le dottrine che avea imparate, facendo le viste fra l’altre femmine d’essere quella medesima ch’era prima. Imperocchè dove ognuno fa lo contrario di quello che tu fai, l’acconciarsi in quello che tu puoi ad usanza comune, è sapienza. Ma ella pensò bene d’allargare la scienza sua a poco a poco, ch’altri non se n’avvedesse; e prese questo modo. Erano quivi due fanciulle, l’una Margillina, e l’altra Diantea nominata. Floriana disse fra sè: “S’io le fo mie discepole, bene me ne avverrà, dappoichè in esse è ogni capacità e boutade d’animo e d’intelletto.” E non prendea inganno. Che se mai furono verginelle di nobile ingegno, le furono desse: e aveano da natura tanta modestia, ch’era una consolazione a vederle. Per la qual cosa venne in cuore alla sapiente Floriana di riporre il loro ogni virtù, acciocchè a guisa di vaselli ne la portassero intorno a farla conoscere al mondo. Sicchè chiamatele a sè, significò a loro la sua intenzione, e quelle ebbe ubbidienti a sua volontà; e incominciò a far loro comprendere che dalla dignità delle donne dovea aver principio la bellezza dell’universo. A poco a poco diede loro tutti quegli ammaestramenti ch’ella avea ricevuti in sulla montagna di Parnaso; ond’esse cresceano di giorno in giorno in nobiltà di virtude, e in non molti anni si fecero compiute in bel parlare e in gentili opere. E quando Floriana conobbe ch’egli era oggimai giunto il tempo che Margillina e Diantea spargessero i fiori di bel costume fra le genti, sì le fece vedere; e a tutti parevano maraviglia. Tanto che vennero prese per esempio dall’altre femmine; e a poco a poco si sparsero fra tutte, le belle costumanze e gentili, per modo che gli uomini, per piacere alle femmine, convenne che anch’essi facessero il medesimo; e così fu fatto bello e accostumato il mondo dalle femmine.

L’Osservatore.

Metatextualidad

Vaglia questo squarcio di manuscritto quasi per proemio di quanto dirò un giorno per rispondere a quella persona che mi domanda ch’io le dica il mio parere intorno all’imparare poesia dalle donne. Questa gentilissima arte è certamente degna più d’ogni altra d’entrare ne’delicati seni delle donne, le quali co’loro fini pensieri le darebbero molta grazia. Io non voglio per ora far menzione delle antiche, nè delle moderne, che l’hanno coltivata con molta lode; ma dico bene che se le fossero a questo studio inclinate, n’avverrebbe almeno, quando anche non volessero esse comporre, che l’arte sarebbe coltivata meglio dagli uomini, e riuscirebbe più grata. Ma ho già detto che per ora non ne voglio trattare; e mi riserbo ad un altro foglio. Intanto proseguite ad essere mio buon amico, ch’io sarò vostro. Addio.