L’Osservatore veneto: Numero XL

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N° XL

A dì 20 giugno 1761.

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Lettera/Lettera al direttore

Metatestualità

Signor Osservatore.

Dalla Villa, a dì 16 giugno 1761.

Non vi diedi io forse parola che, se qua avessi trovata cosa che mi piacesse, ve l’avrei partecipata? Sono puntuale: fo l’obbligo mio, vi scrivo. Del viaggio non vi dirò nulla.

Livello 4

Racconto generale

Secondo l’usanza di questi dì fummo amichevolmente accompagnati dalla pioggia, tanto ch’io credetti, prima d’uscire del burchiello, che s’avesse a mandar fuori qualche uccellaccio per sapere se la terra era coperta d’acqua, o no; e quasi toccò la sorte a Giammatteo N., che per essere d’una carnagione piuttosto nera, e gracchiar sempre, v’era chi volea prenderlo per le lacche, e gittarlo fuori da un finestrino per corbo. Non vi tu bisogno, perchè la poca perizia del nocchiero ci fece dare nella palude in secco, e quivi stemmo un buon terzo d’ora, spaniandoci a fatica; tanto che Giammatteo venne assoluto dal volare, e io credetti che il nostro Roberto, il quale è tutto fretta e sollecitudine, morisse di rabbia, vedendo il burchiello impacciato in quel caso, e spingeva con la faccia per dare aiuto a’marinai che appuntavano il petto al remo. Nell’andare non vi fu altra novità: se non volessi dirvi che quasi tutti giocarono quasi sempre a carte; ma questo si fa sempre anche in Venezia. Giungemmo finalmente a casa, che s’erano diradate le nuvole, e vedeasi fra esse il sole or sì, or no, onde si cominciò a sperar bene, e a gridar tutti d’allegrezza, salutandolo come una cosa nuova, o almeno come si fa ad un amico il quale ritorni dal suo viaggio dopo lungo tempo. Quel giorno si passò così. L’altro fu sempre nuvoloso; onde non potendo uscir di casa per timore che ci cadesse un buon riverso di pioggia addosso, nè sapendo che farci, cominciammo a mente ad ordinare una festa da ballo a’nostri vicini villani; e fu inviato per trombetta quel nostro Giammatteo nero, ch’era stato risparmiato dal volare: il quale si portò da valentuomo nel suo ufficio; e andò per quante casipole, capanne, tuguri e tane v’erano, lontane fino ad un miglio e mezzo, invitando a uscio a uscio, con tanto disprezzo di suo corpo, che ritornò indietro col fango fino alle ciglia, il qual mezzo secco, facendo crosta a quel colore di noce, era un vedere maraviglioso. Dal nostro lato s’apparecchiò una saletta con tutta quella decenza che si poteva più degna delle persone invitate; perchè, secondo la semplicità villereccia, vi furono sbanditi non solo gli argenti, ma tutti gli altri metalli, e si raccomandò la faccenda al nostro castaldo, il quale è un zoppettino d’ingegno, che conficcò certi legni incrocicchiati nel muro che doveano servire all’illuminazione. Io non so in effetto quello che siamo noi donne. Voi udite che la cosa non era di molta importanza; e non s’avea ad aver persone da prendersi certi pensieri; e con tutto ciò io non fui contenta di comparire alla festa con una vestetta, che non era però nè vecchia nè mal fatta; ma volli acconciarmi e vestirmi, come s’io avessi aspettata la più scelta compagnia del mondo. Ma mi scuserete, s’io vi dirò che fra’nostri c’è uno ch’io avea voglia che mi vedesse con un vestito indosso, col quale non m’avea più veduta; di che s’accorse anche alcuno, e mi motteggiò all’orecchio; e io arrossii, e mi adirai anche un pochetto, bench’egli non avesse il torto. Vedete s’io vi scrivo tutto liberamente come vi promisi. Intanto venne l’ora assegnata, ed ecco a poco a poco che i nostri ballerini ne vengono, uomini e donne, in frotta, vestiti da festa quanto poteano, con certi cappellini e berrettini in capo alla sgherra i maschi, e le femmine co’capelli intrecciati di cordelline vermiglie, col mento in seno, e con gli occhi per lo più voltati alle punte de piedi, o alzati così un pochetto per lato quando voleano guardare qual cosa. Quattro de’nostri compagni cercavano le tastature degl’istrumenti; tutti gli altri di casa fecero i convenevoli, e a grandissima fatica ci riuscì di far mettere a sedere le villanelle, le quali rispondevano con un ghigno a tutte le ceremonie, e stavano salde come pilastri, sicchè ci convenne prenderle alle braccia ciascuna, e ripiegarle quasi a forza, chi volle che sedessero. Quello che mi fece maravigliare in quest’atto, si fu che ognuna in tal dibattimento alzò gli occhi ad alcuno de’suoi compagnoni, e ciascheduno d’essi guardò chi guardava lui; e v’era un risolino senza parole dall’una parte e dall’altra, tanto che ad un tratto in quell’ingenuità si scoperse il cuore di tutti. E più si manifestò, quando datosi negli strumenti, corse ognuno senza altri rispetti ad abbrancare quella che guardato l’avea poco prima, e si cominciò a fare una danza che andava alle stelle. Oh! che gagliarde ginocchia! io non ho potuto far a meno di non meditare che genti allevate nelle fatiche e tra gli stenti, pasciute male, hanno così vivi muscoli e nervi, quando noi che viviamo nella bambagia, standoci a sedere, dormendo quanto gli occhi ne vogliono, appena abbiamo fiato da camminare; e non dico noi donne solo no, ma i maschi ancora. E poi quell’allegrezza quando l’abbiamo noi nelle nostre feste? Che non sì tosto cominciarono i ballerini a riscaldarsi, egli si vide a brillare negli occhi di tutti una vivacità ed un vigore che veniva sin dal fondo delle viscere. Vorrei che aveste veduto il gambettare e gli scambietti; ma più che ogni altra cosa que’cenni co’quali fanno all’amore, e che servono loro, cred’io, in iscambio di polizze e d’espressioni cordiali. Io n’ho veduti a parlare con un gombito, con una spalla, con le calcagna; e bisogna bene ch’io non sia cotanto rozza in coteste baie, dappoichè la prima volta che udii questo linguaggio, intesi benissimo quello che voleano significare; e quello che più mi piace, è breve, conciso, e contiene in poco molta sostanza. Vennesi a’rinfreschi. Immaginate che non vi furono nè liquori ardenti, nè cose gelate, nè vi s’usarono chicchere o bicchierini da rosignuoli. Ognuno succiò quanto seppe, e furono cotanto gentili che accompagnarono un brindisi con le riverenze. Mentre che i ballerini erano occupati in altro, mi venne voglia di fare un minuetto. Non mia gran maraviglia vidi che, mentre io danzava, non vi fu chi mi curasse punto, se non che diedero un’occhiata a me, ed una al compagno che danzava meco, e poi guardandosi fra loro sottecchi sorridevano, perchè quella serietà non dovea piacer loro, e meno quello starsi lontani l’uno dall’altro; e udii scoppiare due o tre in un certo riso maligno, vedendo con quante cirimonie vanno l’uomo e la donna al darsi la mano; e quanti passi s’hanno a fare prima di giungervi, e con quanta armonia s’allunga il braccio prima di toccare due dita. Oh! importava bene che si facessero tanti convenevoli per così piccola faccenda! disse uno a mezza voce, e io l’adocchiai, che fece anch’egli l’atto del braccio, e diede di che sghignazzare alla brigata. Ci parve tempo di non isturbare altro l’allegrezza loro con le nostre danze; e si rinnovò la furia, che durò quasi fino al giorno. Ognuno andò alle sue case più rubicondo e di buona voglia che prima, balzando per le strade e ridendo, senza un pensiero al mondo. Volete voi ch’io v’aggiunga una riflessione che non aspettereste mai? Non mi stimate una fraschetta, nè una civetta. È un pensiero filosofico, qual si conviene ad una donna. Non vi dico ch’io sia bella; ma sono stata altre volte alle feste, e venni guardata e corteggiata da molti giovani che quivi erano, e preferita a molte altre. In verità che fra le villane io era uno de’migliori visi che vi fossero; e oltre a ciò, i miei capelli erano benissimo acconci, i vestiti galanti, e ogni ornamento molto più grazioso che quello delle contadine. E tuttavia non vi fu uno di que’giovanetti villani che mi guardasse appena. Io non avea già voglia di ciò; ma lungo tempo sono andata fantasticando per trovarne la ragione, e non mi dà l’animo ancora di ritrovarnela.
Sia qual si voglia, non mi darò altra briga.

Metatestualità

Se altro accaderà di nuovo, avrete mie lettere; se non accaderà, tacerò con la scrittura, ma con l’animo sarò sempre vostra affez. amica R. L.

Citazione/Motto

Suave, mari magno, turbantibus æquora ventis
E terra magnum alterius spectare laborem. Lucr.

È dolce cosa standosi in terra, mentre che nel
l’enfiato mare i venti conturbano l’onde,
guardare l’altrui agitazione.

Chi non acquista da sè con la riflessione un poco di tranquillità d’animo, non ha mai un bene. Ho veduti alcuni a temere e a dolersi non solo di cose presenti, ma cotanto ingegnosi, che ingrandiscono colla fantasia tutto quello che dee essere di qua ad un mese, o di qua a due, o più là ancora; a starsi in perpetua malinconia di quello che non è, e che non sarà forse mai. Il tempo passato mi pare che sia la regola migliore per governarsi nell’avvenire. Tutte le calamità avvenute sono più certe di quelle che debbono succedere, e tuttavia le sono trascorse, e tu se’vivo e sano, e le ti servono oggidì d’argomento per intrattenere altrui ragionando, e forse per ridere. Così avverrà parimente dell’altre che t’avranno ad accadere ancora.

Livello 3

Esempio

Io mi sarò, per esempio, levato stamattina sano, gagliardo, e non ho un segno d’infermità; e tuttavia, s’io non saprò custodirmi contro gli assalti del mio cervello, in iscambio di consolarmi del mio stato buono, andrò fantasticando che potrei ammalarmi; e s’io odo a dire: Il tale ha la febbre; o: La mal’aria di questi dì fa infreddare; mi porrò le dita al polso, sotto il mantello, o tossirò due o tre volte per isperimentare se il polmone avrà già presa l’aria maligna. Pericola una barca in mare, e mi vien detto. Mi querelo incontanente della mala fortuna, come s’io fossi in alto mare in burrasca; non per compassione di coloro che si saranno annegati, ma perchè, quantunque io non anderò mai di qua in Istria, mi par d’esser anche soggetto alle burrasche, anzi mi sembra d’esservi in mezzo.
Come può aver mai bene un uomo così fatto, a cui par d’essere per tutto il mondo, quando col corpo suo tien tanto luogo di qui colà, che le disgrazie appena sanno dove trovarlo? A questi dì sono stati molti mali tempi. Ho udite genti, che non hanno un palmo di solco, a querelarsi delle tempeste, e a far descrizione di campagne inondate come se tutto il danno fosse tocco a loro. Due spanne di ventre che tu hai a riempire per un anno, non meritano tante lamentazioni. Di qua a parecchi anni racconterai a’tuoi figliuoli questa novella del 1761, come già udisti raccontare quella del gran ghiaccio del 1709, e come racconti tu medesimo quella di non molti anni fa, che agghiacciarono le lagune. Non ti pare un bel che oggi a dire: Qua dove ora scorrono le barchette, viaggiavano le carra e gli uomini con le robe e altre maraviglie? queste rimangono, e il freddo nè il ghiaccio non sono più. Se scoppia un tuono dalle nuvole, ho veduto a turarsi gli orecchi, come se ogni cosa dovesse esser folgore; e, quel ch’è peggio, impallidire, borbottare, tremare. S’io empiessi con le membra mie dieci o dodici miglia di terreno, vorrei tremare a nervo a nervo. Più ragionevole sarebbe a dubitare che fra le migliaia di cammini, uno te ne cadesse addosso mentre che vai, o una finestra, o una stanga, o altro. Se tu se’a tavola, non mangi boccone che, non l’abbi studiato prima, e non abbi sospettato che sia di calida o di fredda qualità, e nocivo al tuo stomaco. Non vedi tu che, secondo i giorni, oggi smaltisci le più dure carni, e quasi il ferro, come lo struzzolo, e domani t’aggrava un pan bollito? Perchè vuoi tu dunque fantasticare, che dentro non ti vedi, e se ti vedessi, non sapresti quello che ti giova o nuoce, come poco lo sanno coloro che hanno studiato pel corso di tutta la vita le più minute parti del corpo umano? Chiudi usci, finestre, fessure, perchè temi la forza dell’aria. Anche questa fa gli effetti suoi, secondo che ti trovi disposto. Un tramontáno crudele, che soffia a piena bocca e ti dà nel capo, non ti fa verun male un giorno; e un ventolino impregnato d’odor di fiori, che ti tocca il mantello appena, ti farà, un altro, andare a letto, e sfidare da’medici. In breve, se l’uomo non s’avvezza a godersi onestamente di quel poco di bene che ha al presente, e avrà sempre il capo pieno di sospetti, d’angosce e di paure di quello che non è ancora, o di quello che probabilmente non offenderà lui, io non so ricordargli altro rimedio, fuor quello di sotterrarsi.