Citazione bibliografica: Gasparo Gozzi (Ed.): "Numero XXXIV", in: L’Osservatore veneto, Vol.1\034 (1761-05-30), pp. 141-145, edito in: Ertler, Klaus-Dieter / Fuchs, Alexandra (Ed.): Gli "Spectators" nel contesto internazionale. Edizione digitale, Graz 2011- . hdl.handle.net/11471/513.20.419 [consultato il: ].


Livello 1►

N° XXXIV

A dì 30 maggio 1761.

Livello 2► Livello 3► Lettera/Lettera al direttore► Signor Osservatore

Non sarò io mai dunque degno di risposta? Egli è però un lungo tempo che vi domandai in qual forma s’avesse a dare educazione alle giovani per coltivar loro l’ingegno. Non ho veduto ancora frutto veruno del mio scrivere: ho desiderio di vedernelo. Mi risponderete voi mai intorno a questo proposito? Me n’avvedrò al presente. Può essere che lo stimolo di queste poche linee vi mova. Se sarà vero, ve ne sarò obbligato. ◀Lettera/Lettera al direttore ◀Livello 3

Citazione/Motto► Hoc sermone pavent, hoc iram, gaudia, curas,
Hoc cuncta effundunt animi secreta . . .

Juvenal, Sat. VI.

Questo è un linguaggio con cui esprimono il ti-
mor loro, l’ira, l’allegrezza, la malinconia, e,
in breve, tutt’i loro segreti pensieri. ◀Citazione/Motto

Così diceva quel valentuomo a’suoi tempi della lingua greca, tanto cara alle femmine romane, che per parere di saperla bene, facevano anche ogni cosa alla greca. Ma io vo a poco a poco confermandomi che ci sono alcuni i quali tentano di farmi parlare di quello che non vorrei, per intrigarmi in una rete da non potermi poi sciogliere quando [142] n’avessi voglia. S’egli mi vien domandato qualche cosa intorno alle donne, m’avveggo benissimo che ci cova sotto qualche trappola per fare che la mi scocchi addosso. Il chiedermi in qual forma s’abbiano ad educare le femmine, ha sotto un occulto sentimento che significa l’una delle due cose: o che non hanno educazione, o che non l’hanno buona. Nell’uno o nell’altro di questi due scogli conviene ch’io cozzi col capo, se voglio fare il maestro. Le donne se l’hanno a male, e da molte parti n’odo le querele. E c’è anche il terzo scoglio, che se taccio, chi mi fa le domande, infuria, e vuole ch’io risponda a marcia forza. Buon per me, che a questa volta io non caderò in alcuno di sì fatti pericoli.

Non solamente a’tempi nostri, ma in tutt’i secoli del mondo sono state le donne benissimo educate. E s’io volessi confermare il mio detto con lo squadernare le storie, potrei avere le migliaia d’esempi da consolidarlo. Ma perchè i passi storici non trovano quella credenza che vuole chi gli allega, dicendosi o che sono favole, o casi particolari, de’quali in ogni tempo n’è avvenuto alcuno differente dall’universalità delle cose, anderò per altra via, e starò in sui generali, acciocchè se ne tragga poi quella conclusione che dimostri la verità di quanto penso e scrivo intorno a questo argomento.

A considerare che cosa sia educazione, pare a me che la non sia altro, fuor che una certa dottrina di pensieri e di costumi simili fra tutti, e indirizzati a condurre gli animi a far compagnia insieme. Dove meglio sarà coltivata questa dottrina, e maggiore sarà la somiglianza de’costumi, quivi sarà più stretta confederazione e compagnia più agevole e meglio congiunta. Vediamo che a parte a parte è verificata la cosa da me asserita. I buoni costumano volentieri co’buoni, i tristi co’tristi, i malinconici co’loro uguali, gli allegri con chi a loro somiglia. S’egli si potesse fare anche in modo che tutti gli uomini fossino d’un umore, io credo che la generazione umana diverrebbe come un pastume; tanto saremmo appiccati l’uno all’altro Ma perchè l’educazione è una dottrina la quale piuttosto acconcia di fuori che di dentro, nè per essa gli umori si cambiano, ma si costringono, stiamo insieme il meglio che possiamo, aiutandoci con certe poche apparenze esteriori, dove ci manca la sostanza di dentro. Posto questo principio, che l’educazione sia guidata al fine del fare compagnia insieme, si debbono notare due altri fini particolari della società, cioè quello a cui mirano gli uomini, e quello a cui mirano le femmine. La condizione di signoreggiare in ogni cosa in cui si trovano gli uomini, fa ch’essi possano nelle faccende del mondo mirare a qual fine essi vogliono; per modo che verrà un tempo in cui saranno tutti rivolti alla gloria dell’arme: un altro in cui tutti si daranno a cogliere l’onore delle lettere; in un secolo tutti saranno buoni massai e conservatori delle loro famiglie o altro, per non andare in lungo. All’incontro alle femmine, secondo lo stato loro che ha dipendenza dall’altrui, non rimane altro fine a cui mirare, fuorchè quello di rendersi grate a’maschi, e di piacer loro, per aver con essi pace, buona confederazione e compagnia amichevole. In ciò mostrano esse veramente molto più acuto ingegno de’maschi; perchè laddove essi, per essere allevati secondo la consuetudine del secolo in cui vivono, abbisognano di maestri, di sferza, d’ammonizioni continue e di precetti che non hanno mai termine, ad esse basta l’aprire gli occhi, e dare un’occhiata alla congregazione de’maschi, per cono-[143]scere in qual forma si debbono guidare; e so dire che non escono della vera via. Appena hanno cominciato a sciogliere la lingua, che, senza altre lungheríe di dottrine, sanno in qual forma s’abbiano a contenere in ogni cosa, e acquistano appunto tutti que’pensieri, e si vestono di tutte quelle consuetudini che somigliano a quelle degli uomini de’loro tempi, con tanta puntualità e squisitezza, che in tutte l’età del mondo sono state per sì fatta perfezione quasi un incantesimo de’maschi, a’quali non è paruto mai di vivere, se non hanno avuta la compagnia delle donne. Per la qual cosa ardisco d’affermare che le donne sieno state sempre benissimo educate, e che, quanto a sè, le abbiano inviolabilmente mantenuto l’ordine della società con la similitudine de’pensieri e delle costumanze, secondo che correvano. Io non posso finire di maravigliarmi a vedere come da sè medesime giungono a tanta conoscenza, e lo studio che pongono nel cogliere appunto le usanze che stringono il concerto della società. E perchè le sanno che gli uomini sono mutabili, e hanno per isperienza provato che in brevissimo tempo scambiano umore, stanno talvolta fra due, e con una certa sospensione che pare che dicano: Stiamo a vedere qual piega dovremo prendere. Di qua nasce che uscirà loro talvolta un No che avrà dentro due e forse tre significati: o un che ne comprenderà altrettanti; o faranno un cenno che potrà essere interpretato in più modi; solamente perchè le studiano prima di comprender bene il pensiero de’maschi, e adattarsi poi a loro con sicurezza e con garbo maggiore. Egli è dunque da lasciare il pensiero dell’educazione a loro medesime, che la sapranno in ogni occasione acconciar puntualmente a’costumi de’tempi in cui viveranno; e non guasteranno mai quel consorzio in cui vivono. E se paresse mai ch’esse non fossero bene educate, non ci sia chi incolpi loro; ma rivolga le sue querele agli uomini che danno, come dire, le mosse, e sono l’esempio in cui mira la porzione più dilicata del genere umano. In un tempo in cui noi ci dessimo del tutto ad attendere alle faccende domestiche, io son certo che le ritornerebbero alle usanze antiche del custodire la famiglia. Se il diavol o la nimica fortuna facesse mai che tutti gli uomini si dessero a voler sapere e addottrinarsi, noi vedremmo che le farebbero anch’esse quel medesimo; da che ci guardi il cielo più che da ogni altra usanza di secolo. Oh! non sono forse state quell’età in cui gli uomini facevano professione d’amare una sola donna; portavano in sullo scudo e in sull’armi quell’insegna che l’innamorata avea dato loro; combattevano invocando il nome di lei; le arrecavano a casa, in cambio di nastri e veli, le brigate de’prigioni? Io non potrei dire a mezzo i begli atti di costanza e di fedeltà che si leggono delle donne in quei tempi. Non andavano anch’esse a cavallo per le boscaglie, non correvano mille pericoli? Oh! le son favole e romanzi. Lo concedo: ma gli scrittori procurano anche nelle invenzioni e ne’trovati loro di fantasticar cose che piacciano a que’tempi in cui dettano; e non potrebbero piacere, se non si conformassero a’costumi de’quali è andazzo mentre che scrivono. Se non vi furono tante cose, quanto se ne leggono, almeno si può affermare che la costanza fosse alla moda, e che le femmine cercassero di rendersi in essa somiglianti agli uomini che l’usavano. Io non voglio giudicare se oggidì sieno perseveranti o no nell’amore; ma dirò che, se lo sono, questo è indizio che gli uomini scambiano difficilmente d’affezione: e se non lo sono, è indizio del contrario, e procede dal principio di non volere sconciare la so-[144]cietà. Perchè conoscono che sarebbe un tedio e fastidio de’maggiori del mondo il voler tenere i maschi alla catena, in un secolo in cui avessero la consuetudine di svolazzare qua e colà come le farfalle. Onde non è egli meglio prendere la stessa abitudine? S’ha a dire che le sono seccaggini? che la gelosia è una cecità che guasta i sangui? che il piangere e il querelarsi non sono segni d’affetto, ma di pazzia e di mal umore? Che avrebbero a fare altro in tal caso, fuorchè vestirsi delle stesse costumanze dei maschi, e, secondo quella rigorosa dipendenza alla quale vennero obbligate dalla fortuna, mostrare l’ubbidienza loro, e contentarsi di quella educazione che arrecano i tempi, conservando i legami e la quiete della società colla mutabilità, come gli uomini? In breve, io dico che non è punto da affaticarsi in questa materia, e da lasciare l’educazione delle femmine nelle loro mani, poichè non si sono mai ingannate, e non s’inganneranno giammai.

Citazione/Motto► Virginibus, puerisque canto.

Horat

La mia canzone e indirizzata alle fanciulle e a’giovanetti. ◀Citazione/Motto

Metatestualità► Si lagnano alcuni, e non a torto forse, ch’io ne’fogli miei tratti di cosette troppo leggiere, e d’una sostanza che non ha gran midollo nè forza. Ma se vogliono considerare cotesti tali a quale intenzione rivolgo i miei ragionamenti, spero certamente che cambieranno opinione; e non richiederanno ch’io vada, più su di quello ch’io vo, nè vorranno che alcune facciate, che debbono servire due volte la settimana per passare qualche poco di tempo, trattino troppo gravi argomenti. Non mancano agli stomachi gagliardi vivande più possenti e più difficili allo smaltire. Ma il comune non è tutto di struzzoli, e ogni stomaco non può soffrire il ferro. Non hanno fatto disutile fatica coloro i quali hanno poste insieme le lettere dell’alfabeto, nè quelli che scrissero le prime regole grammaticali. Per questi usciolini s’entra negli spaziosi campi delle scienze; e da questi gradini si comincia a salire alle sommità più erte e più nobili. Faccia conto chi legge, che l’opera mia non sia altro che l’aprire un sentieruzzo per entrare in luoghi più ampi e maggiori. Tento con queste coselline, nelle quali però io spargo non poche verità intorno al costume e alle lettere, di fare a un dipresso l’ufficio della balia, la quale, con un latte sano e dato a tempo, comincia a formare le prime membroline d’un fanciullo, e con certe parole vezzeggiative gl’insegna a sciogliere la lingua, finchè lo può consegnare a’cuochi e a’maestri. Io sono almeno certo di ciò, che i miei sogni, le favole, e l’altre finzioni con le quali m’ingegno di vestire i miei pensieri, potranno più giovare a’giovinetti, delle cose che vengono raccontate loro dalle, vecchierelle, sotto la custodia delle quali vengono lasciati, e forse d’alcuni libri che si danno loro nelle mani perchè passino il tempo. Questa è la mia volontà, dalla quale io non intendo, esercitandola, d’acquistare nome di scrittore, o veruno onore di dottrina. Potrebbe essere ch’io m’ingannassi, e m’andasse vôto il pensiero di far giovamento. Ma son io certo almeno che non farò danno veruno. E sa Iddio che s’io sapessi in quale altra forma adoperarmi meglio ad utilità de’miei somiglianti, sì lo farei; ma dappoichè da’miei primi anni io [145] mi sono dedicato a questi benedetti leggere e scrivere, e osservare gli andamenti umani ne’ viaggi da me fatti, procuro quanto posso di rivolgere a benefizio altrui questi pochi capitali che in lungo tempo ho acquistati. M’abbiano dunque per iscusato coloro che vorrebbero cose maggiori, e mi lascino in pace proseguire nella mia prima intenzione. Verrà forse un giorno, che s’io non gli renderò appagati del tutto in quello che desiderano, mostrerò loro in parte che mi sono affaticato per soddisfargli. Oh! quando avverrà? Non lo so. Sono io forse indovino, che debba sapere quello che dee essere? Quello ch’io posso affermare, si è ch’io non vivo in ozio; e che quel poco tempo che mi avanza, lo passo coltivando gli orti delle sagre Muse, alle quali fui dalla mia prima giovinezza inclinato; e potrebb’essere che queste un giorno traessero il mio nome fuori delle tenebre, e facessero sì che non rimanesse ignoto affatto. Ma del tempo in cui sarà condotta a fine l’opera mia lunga, di grandissima fatica, da me molti anni fa cominciata, e sempre dalla travagliosa fortuna combattuta, io non potrei nulla affermare. Oltre di che, egli potrebbe anch’essere molto bene che prima venissi tolto via dalla terra, e non potessi condurre a termine la mia intenzione. Allora che s’avrebbe a dire altro? ◀Metatestualità ◀Livello 2 ◀Livello 1