L’Osservatore veneto: Numero XXVIII

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N° XXVIII

A di 9 maggio 1761.

Zitat/Motto

Quod amare velis, reperire labora. Ovid.

Ingegnati di ritrovare donna degna
di essere amata da te.

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Metatextualität

Ora che mi sono pentito della mia passata vita, non mi vergognerò punto, signor Osservatore, a dipingervi i miei passati disordini almeno in parte; acciocchè l’esempio mio nei vostri fogli pubblicato, possa per avventura giovare a coloro che leggeranno. Gioverà esso o no? Io nol so. Chi sa se il meditare intorno alle pazzie che feci, gioverebbe a me medesimo, se gli anni miei non avessero già oltrepassato il quarantesimo secondo dell’età mia; sicchè le vene non mi bollono nel corpo con quella furia di prima.
Un nasetto vôlto allo insù, uno con bell’armonia collocato nel mezzo della faccia, un aquillino, occhi neri, celesti, giallognoli, guance brune, bianche, vermiglie, gran bocca, mezzana o piccina, purchè fossero di donna, mi piacquero sempre ad un modo. Fino al vaiuolo mi parea che avesse il suo pregio; anzi non è difetto femminile che non venisse da me scusato, e al quale io non traessi dalla fonte rettorica qualche lode. Vero è ch’io fui grande amatore dello spirito d’esse, e così fino scopritore di quello, che lo ritrovava nella taciturnità, nella milensaggine, nell’ostinazione, nel cinguettare per diritto e per traverso, nel ridere d’ogni cosa anche fuori di proposito; ed ebbi tanta ventura, che nell’un genere o nell’altro di sì fatti spiriti ne ritrovai sempre un’abbondanza grande. In somma io sono stato il più disperato amatore di femmine che mai nascesse al mondo, fino a poco tempo fa, quando infine deliberai di prender moglie, quantunque non l’abbia presa ancora. Udite come. Io non m’era dilettato mai a’miei giorni di leggere altri libri, fuorchè da passare il tempo; e se ne vedeva uno che potesse insegnare qualche cosa, lo lanciava di qui colà con dispetto, perchè mi parea tutto quel dì d’essere soprappreso dal sonno e stordito; tanto che l’avea interpretato per mal augurio; e dovunque vedeva frontespizi di filosofia morale principalmente, mi parea che mi tremassero i polsi e le vene. Non so in qual modo, ma certo disavvedutamente, ne apersi uno un dì sopra pensiero, e lessi due sole linee, chi sa a qual facciata (chè di ciò non mi curai), la sostanza delle quali era questa, che ogni femmina ama per amore di sè medesima. Questo breve detto fu nell’intelletto mio un semenzaio di pensieri, anzi di profonde meditazioni. Vedi, diss’io, quanti anni io mi sono ingannato! Fu un tempo nella mia prima e più fresca giovinezza, quand’io non era veramente mal fornito da natura d’un aggraziato e ben composto corpo, ch’io credetti d’essere amato per queste qualità. Le coltivai quanto seppi con lo studio del sarto e del parrucchiere; e consegnai me medesimo quasi a tutte l’arti, perchè le mi facessero apparire; e con l’astuto saettare degli occhi, e col dolce favellare della bocca stimai di far cadere alla mia rete ogni donna, e che ciascheduna spasimasse del fatto mio. Rimasi di là a pochi anni assoluto erede e signore d’una grossa facoltà, e cominciai a spendere gagliardamente. Qual cuore di sasso, diceva io, potrà più contrastare (lasciate ch’io dica tutto) alla bellezza, grazia e ricchezza mia! Assedierò, assalterò, abbottonerò. S’aggiunsero in questo mezzo anche gli onori concedutimi dalla patria mia, ch’è una delle migliori d’Italia, e non molto di qua lontana. Non vedea più forza che mi si potesse opporre; non rivale che mi potesse contrastare. E con tante qualità e circostanze così favorevoli, ripeteva io fra me: Avrò a credere che tra le femmine che fecero conto del fatto mio, non ve ne sia stata una sola che non m’abbia aurato altro che per sè medesima? Potrebb’egli esser mai che tant’ire, tante paci, tanto svenire, lagrime, consolazioni, rimproveri, gelosie, dispetti, rabbie, e fino graffi e pugna, non sieno stati movimenti d’animo per amore mio? Se queste testimonianze, non bastano, che ho a cercare di più per sapere come vada questa faccenda? Egli è il vero ch’io mi sono gittato sempre in questo mare senza veruna riflessione. Se da qui in poi cominciassi a valermi del cervello, chi sa come andasse l’affare? Forse mi chiarirei di quello che è, e non sono ancora sì vecchio, che non possa essere a tempo.

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Exemplum

Non sono io forse ora all’assedio di Clarice? Mettomi appunto in cuore di fare sperienza di quello ch’io temo. Si studii un poco il suo carattere. Ha detto d’amarmi. Tutta prudenza, pende alla bacchettoneria; ad udirla a parlare, la mia sola compagnia è a lei grata; dov’io sono, è contenta, altrove non si può patire. Vietami tuttavia ch’io le favelli troppo liberamente d’amore; e mi tiene un freno alla lingua co’suoi continui precetti. Orsù, si vada. Eccomi fra poco nella stanza di Clarice. Pongomi a sedere, e con un ragionamento nuovo e diverso da quello degli altri giorni comincio: “Clarice, per non offendere l’animo vostro dilicato e tutto veramente gentile, io mi sono deliberato affatto di darvi una parola che tante volte m’avete fino al presente richiesta invano. Le vostre oneste e nobili espressioni m’hanno finalmente scambiato il cuore, e dicovi risolutamente che da qui in poi, trovandomi in vostra compagnia, non m’arrischierò mai più di profferire un detto che possa offendere la vostra modestia. Confortatevi. Voi m’avete insegnato ad essere un amante degno di voi, e ammaestrata la mia lingua ad essere degna degli orecchi vostri.” Credeva dapprima Clarice ch’io scherzassi; ma finalmente conoscendo alle mie affermative che io parlava in sul sodo, si mostrò del mio nuovo proponimento lietissima, e mi ringraziò con le più belle e più care parole del mondo. “Ora sì,” diceva ella, “noi saremo un paio d’amanti contenti. Oggi veramente mi pare che il mondo per me sia cambiato. Qual consolazione è la mia a vedere la vostra saviezza!” In tali ragionamenti, o somiglianti, passò un lungo tempo. Io me n’andai; ella mi ricordò la mia promessa, io gliela ratificai novamente. La visitai nel vegnente dì, e parlandole io di varie cose, parea ch’ella fosse soprappensiero. Le chiesi che avesse. Ella incominciò: “Quanto voi mi diceste ieri, io temo che sia astuzia. Conoscendo il vostro umore, non posso far a meno di non sospettare che abbiate ritrovati in altro luogo novelli allettamenti. Se questo fosse, io ne sarei la più mal contenta e la più disperata donna che in terra vivesse. Non piantate la spina della gelosia nel mio cuore. Piuttosto abbiatevi licenza di favellar meco a quel modo che voi volete: sofferirò quelle espressioni che a voi piaceranno; ma non vogliate darmi questo dolore.” “Come?” dissi io: “m’avreste voi per uomo di sì poca fede e di sì picciola forza, che non sapessi temperare l’animo mio per far cosa grata a voi? Io non uscirò più di questa casa, se voi lo mi comandate; e per quanto dura la vita mia, sarò con esso voi, nè mai più m’uscirà di bocca parola d’amore.” Parvemi alquanto rassicurata, ma non contenta. Il giorno dietro mandò per tempo a chiamarmi. V’andai pronto. La trovai con una vestetta indosso che parea a caso; ma con tutti quegli artifizi intorno che può avere la negligenza per accrescere una femminile bellezza. Appena vi entrai, ch’ella cominciò a manifestarmi con maggior passione del passato dì i suoi sospetti ch’io fossi d’altra donna innamorato; e a ritoccare ch’ella mi lasciava favellare da allora in poi a modo mio, per non provare cotanta passione. Io di nuovo mi scusai, e le giurai ch’avrei mantenuta la mia parola per sempre, e che non ne dubitasse: ella sparse qualche lagrimetta, che pareami più di dispetto, che d’altro. Io tentai di rassicurarla che per conto della fedeltà mia non avrebbe avuto a querelarsi, e ch’io sarei piuttosto uscito di vita, che mancarle della parola di tacere. Ella si levò su, e dicendomi: “Va’che tu se’un idiota,” mi volse le spalle e non mi volle mai più vedere. Io me ne consolai subito, dicendo fra me: Ecco il frutto della mia meditazione. Clarice nel più astuto ed occulto modo del mondo m’amava per sè solamente.

Metatextualität

Pazienza: ad altre sperienze.
Mi diedi a far pratica con una giovane di diciassette anni in circa, veramente bellissima, ed aggraziata quanto altra donzella. Per non tirare in lungo la narrazione, la giovinetta mi mostrò grandissimo affetto, e in breve tempo incominciò ad insinuarmi ch’io parlassi a’suoi per isposarla. Oh! così tosto? diss’io fra me. A poco a poco entrava ella in ragionamenti di mie facoltà, di mie rendite; e quanto più io gliene dicea, più di giorno in giorno infocavasi a dirmi che non tirassi più in lungo, ch’ella m’accertava che m’avea donato il suo cuore, e che le parea di non poter veder quell’ora in cui potesse essermi compagna. Ma fattole io capitare certe false novelle agli orecchi, che non era cotanto ricco, quanto ella credea, quel gran fuoco di prima infreddò, nè mi trovai più quel ben veduto ed accolto ch’era poc’anzi. Pensate ch’io mi tolsi di là, e conobbi che l’amore di Lucinda, che così si chiamava, era rivolto a procurare uno stato migliore a lei, e non alla mia persona. Un nuovo ufficio datomi nella mia città mi rese intanto più celebrato e più chiaro. Entrai in un’amorosa briga con Arsinoe, la quale sopra ogni cosa mi raccomandò la segretezza. Le serbai la fede, e non dissi mai nulla dell’amor mio all’aria, non che ad uomo che vivesse. Ma perchè voleva ella quasi a forza ch’io fossi veduto in sua compagnia per tutte le piazze e a’pubblici spettacoli? Perchè mi parlava pubblicamente con gran domestichezza all’orecchio, voleva ch’io le stessi appresso a sedere, e m’usava fra tutti gli altri attenzioni che parlavano più che le lingue? In breve tempo si cominciò a cianciare del fatto nostro in ogni luogo. Io sbigottito gliele palesai, e le dissi che non v’era oggimai altro rimedio, fuorchè quello del non ritrovarsi insieme così spesso, e principalmente di non lasciarsi vedere in compagnia da tutti. Arsinoe se ne sdegnò. Io cominciai a meditare donde potesse nascere il suo sdegno, e conobbi a vari segni ch’ella avea caro intrinsecamente che si vedesse ch’ella signoreggiava a bacchetta un uomo ben voluto da molte altre donne, ricco e onorato nel suo paese. Cominciai a ritrarmi, dicendo di non voler offender l’onor suo in presenza degli uomini. In breve, il cuor suo s’agghiacciò, e ne venni licenziato.

Metatextualität

Perchè mi distenderò io più in parole? Molte altre sperienze io feci, delle quali non vi narrerò le particolarità; ma la conclusione fu ch’io trovai in molte altre femmine di vari caratteri quel medesimo umore;
onde finalmente mi sono risoluto a chiedere Lucinda per moglie; la quale se riuscirà buona e dabbene, passerò qualche ora della mia vita piacevole e tranquilla; e quand’ella mi riuscisse una bestiuola, m’eserciterò nella sofferenza.

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A Fronimo Salvatico, l’Osservatore Di tempo in tempo bramo alcune poche linee di vostra mano. Vi ricordate voi che l’ultima volta che mi scriveste, la polizza vostra conteneva non so che di vostra salute non salda affatto. Oh! mi stimate voi così poco obbligato alla gentilezza vostra e sì poco grato alle cortesie ricevute da voi, ch’io non debba aver desiderio di sapere come state? S’io non posso aver qualche cosa di vostro da arricchire i miei fogli, pazienza; ma non mi lasciate privo di notizie intorno al mio Fronimo. Mi raccomando a voi, e accertandovi d’una vera cordialità e stima, dovunque siate, pregovi dal cielo buona salute.

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Brief/Leserbrief

Metatextualität

All’Osservatore, Giambattista Pasquali. Ho molti libri. Vorrei che ciò fosse saputo dal pubblico. Si può o non si può mettergli ne’vostri fogli? A voce o in iscritto n’attendo risposta. Sono tutto vostro.

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Metatextualität

Signor Pasquali. Crederei che si potesse. I frontespizi sono una bella erudizione a’nostri dì. Pochi ne segnerò tuttavia. Voi vedete che una parte dell’ultima facciata de’miei fogli è quasi sempre d’una figurina coperta. Non posso sì scrivere col compasso che l’ultima riga della stampa tocchi il margine della carta ogni volta. Scrivere di più non debbo perchè la materia cominciata in un foglio entrerebbe nell’altro, e le interruzioni di vari giorni in mezzo sono una mala cosa. Possibile che non riesca più grato l’informarsi d’alquanti nuovi libri belli e buoni, quali sono i vostri (e li sceglieremo) che il mirare una figura? Mandatemi quelli che più piacciono a voi; e m’avrete sempre al vostro comando, accertandovi che sono vostro buon amico L’Osservatore.