L’Osservatore veneto: Numero XXVIII
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N° XXVIII
A di 9 maggio 1761.
Citation/Devise
Quod amare velis, reperire labora.
Ovid.
Ingegnati di ritrovare donna degna
Ingegnati di ritrovare donna degna
di essere amata da te.
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Metatextualité
Ora che mi sono pentito della mia passata vita, non mi vergognerò punto, signor Osservatore, a dipingervi i miei passati disordini almeno in parte; acciocchè l’esempio mio nei vostri fogli pubblicato, possa per avventura giovare a coloro che leggeranno. Gioverà esso o no? Io nol so. Chi sa se il meditare intorno alle pazzie che feci, gioverebbe a me medesimo, se gli anni miei non avessero già oltrepassato il quarantesimo secondo dell’età mia; sicchè le vene non mi bollono nel corpo con quella furia di prima.
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Exemple
Non sono io forse ora all’assedio di Clarice? Mettomi appunto in cuore di fare sperienza di quello ch’io temo. Si studii un poco il suo carattere. Ha detto d’amarmi. Tutta prudenza, pende alla bacchettoneria; ad udirla a parlare, la mia sola compagnia è a lei grata; dov’io sono, è contenta, altrove non si può patire. Vietami tuttavia ch’io le favelli troppo liberamente d’amore; e mi tiene un freno alla lingua co’suoi continui precetti. Orsù, si vada. Eccomi fra poco nella stanza di Clarice. Pongomi a sedere, e con un ragionamento nuovo e diverso da quello degli altri giorni comincio: “Clarice, per non offendere l’animo vostro dilicato e tutto veramente gentile, io mi sono deliberato affatto di darvi una parola che tante volte m’avete fino al presente richiesta invano. Le vostre oneste e nobili espressioni m’hanno finalmente scambiato il cuore, e dicovi risolutamente che da qui in poi, trovandomi in vostra compagnia, non m’arrischierò mai più di profferire un detto che possa offendere la vostra modestia. Confortatevi. Voi m’avete insegnato ad essere un amante degno di voi, e ammaestrata la mia lingua ad essere degna degli orecchi vostri.” Credeva dapprima Clarice ch’io scherzassi; ma finalmente conoscendo alle mie affermative che io parlava in sul sodo, si mostrò del mio nuovo proponimento lietissima, e mi ringraziò con le più belle e più care parole del mondo. “Ora sì,” diceva ella, “noi saremo un paio d’amanti contenti. Oggi veramente mi pare che il mondo per me sia cambiato. Qual consolazione è la mia a vedere la vostra saviezza!” In tali ragionamenti, o somiglianti, passò un lungo tempo. Io me n’andai; ella mi ricordò la mia promessa, io gliela ratificai novamente. La visitai nel vegnente dì, e parlandole io di varie cose, parea ch’ella fosse soprappensiero. Le chiesi che avesse. Ella incominciò: “Quanto voi mi diceste ieri, io temo che sia astuzia. Conoscendo il vostro umore, non posso far a meno di non sospettare che abbiate ritrovati in altro luogo novelli allettamenti. Se questo fosse, io ne sarei la più mal contenta e la più disperata donna che in terra vivesse. Non piantate la spina della gelosia nel mio cuore. Piuttosto abbiatevi licenza di favellar meco a quel modo che voi volete: sofferirò quelle espressioni che a voi piaceranno; ma non vogliate darmi questo dolore.” “Come?” dissi io: “m’avreste voi per uomo di sì poca fede e di sì picciola forza, che non sapessi temperare l’animo mio per far cosa grata a voi? Io non uscirò più di questa casa, se voi lo mi comandate; e per quanto dura la vita mia, sarò con esso voi, nè mai più m’uscirà di bocca parola d’amore.” Parvemi alquanto rassicurata, ma non contenta. Il giorno dietro mandò per tempo a chiamarmi. V’andai pronto. La trovai con una vestetta indosso che parea a caso; ma con tutti quegli artifizi intorno che può avere la negligenza per accrescere una femminile bellezza. Appena vi entrai, ch’ella cominciò a manifestarmi con maggior passione del passato dì i suoi sospetti ch’io fossi d’altra donna innamorato; e a ritoccare ch’ella mi lasciava favellare da allora in poi a modo mio, per non provare cotanta passione. Io di nuovo mi scusai, e le giurai ch’avrei mantenuta la mia parola per sempre, e che non ne dubitasse: ella sparse qualche lagrimetta, che pareami più di dispetto, che d’altro. Io tentai di rassicurarla che per conto della fedeltà mia non avrebbe avuto a querelarsi, e ch’io sarei piuttosto uscito di vita, che mancarle della parola di tacere. Ella si levò su, e dicendomi: “Va’che tu se’un idiota,” mi volse le spalle e non mi volle mai più vedere.
Io me ne consolai subito, dicendo fra me: Ecco il frutto della mia meditazione. Clarice nel più astuto ed occulto modo del mondo m’amava per sè solamente. Mi diedi a far pratica con una giovane di diciassette anni in circa, veramente bellissima, ed aggraziata quanto altra donzella. Per non tirare in lungo la narrazione, la giovinetta mi mostrò grandissimo affetto, e in breve tempo incominciò ad insinuarmi ch’io parlassi a’suoi per isposarla. Oh! così tosto? diss’io fra me. A poco a poco entrava ella in ragionamenti di mie facoltà, di mie rendite; e quanto più io gliene dicea, più di giorno in giorno infocavasi a dirmi che non tirassi più in lungo, ch’ella m’accertava che m’avea donato il suo cuore, e che le parea di non poter veder quell’ora in cui potesse essermi compagna. Ma fattole io capitare certe false novelle agli orecchi, che non era cotanto ricco, quanto ella credea, quel gran fuoco di prima infreddò, nè mi trovai più quel ben veduto ed accolto ch’era poc’anzi. Pensate ch’io mi tolsi di là, e conobbi che l’amore di Lucinda, che così si chiamava, era rivolto a procurare uno stato migliore a lei, e non alla mia persona. Un nuovo ufficio datomi nella mia città mi rese intanto più celebrato e più chiaro. Entrai in un’amorosa briga con Arsinoe, la quale sopra ogni cosa mi raccomandò la segretezza. Le serbai la fede, e non dissi mai nulla dell’amor mio all’aria, non che ad uomo che vivesse. Ma perchè voleva ella quasi a forza ch’io fossi veduto in sua compagnia per tutte le piazze e a’pubblici spettacoli? Perchè mi parlava pubblicamente con gran domestichezza all’orecchio, voleva ch’io le stessi appresso a sedere, e m’usava fra tutti gli altri attenzioni che parlavano più che le lingue? In breve tempo si cominciò a cianciare del fatto nostro in ogni luogo. Io sbigottito gliele palesai, e le dissi che non v’era oggimai altro rimedio, fuorchè quello del non ritrovarsi insieme così spesso, e principalmente di non lasciarsi vedere in compagnia da tutti. Arsinoe se ne sdegnò. Io cominciai a meditare donde potesse nascere il suo sdegno, e conobbi a vari segni ch’ella avea caro intrinsecamente che si vedesse ch’ella signoreggiava a bacchetta un uomo ben voluto da molte altre donne, ricco e onorato nel suo paese. Cominciai a ritrarmi, dicendo di non voler offender l’onor suo in presenza degli uomini. In breve, il cuor suo s’agghiacciò, e ne venni licenziato.
Metatextualité
Pazienza: ad altre sperienze.
Metatextualité
Perchè mi distenderò io più in parole? Molte altre sperienze io feci, delle quali non vi narrerò le particolarità; ma la conclusione fu ch’io trovai in molte altre femmine di vari caratteri quel medesimo umore;
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A Fronimo Salvatico, l’Osservatore
Di tempo in tempo bramo alcune poche linee di vostra mano. Vi ricordate voi che l’ultima volta che mi scriveste, la polizza vostra conteneva non so che di vostra salute non salda affatto. Oh! mi stimate voi così poco obbligato alla gentilezza vostra e sì poco grato alle cortesie ricevute da voi, ch’io non debba aver desiderio di sapere come state? S’io non posso aver qualche cosa di vostro da arricchire i miei fogli, pazienza; ma non mi lasciate privo di notizie intorno al mio Fronimo. Mi raccomando a voi, e accertandovi d’una vera cordialità e stima, dovunque siate, pregovi dal cielo buona salute.
Niveau 3
Lettre/Lettre au directeur
Metatextualité
All’Osservatore, Giambattista Pasquali.
Ho molti libri. Vorrei che ciò fosse saputo dal pubblico. Si può o non si può mettergli ne’vostri fogli? A voce o in iscritto n’attendo risposta. Sono tutto vostro.
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Metatextualité
Signor Pasquali.
Crederei che si potesse. I frontespizi sono una bella erudizione a’nostri dì. Pochi ne segnerò tuttavia. Voi vedete che una parte dell’ultima facciata de’miei fogli è quasi sempre d’una figurina coperta. Non posso sì scrivere col compasso che l’ultima riga della stampa tocchi il margine della carta ogni volta. Scrivere di più non debbo perchè la materia cominciata in un foglio entrerebbe nell’altro, e le interruzioni di vari giorni in mezzo sono una mala cosa. Possibile che non riesca più grato l’informarsi d’alquanti nuovi libri belli e buoni, quali sono i vostri (e li sceglieremo) che il mirare una figura? Mandatemi quelli che più piacciono a voi; e m’avrete sempre al vostro comando, accertandovi che sono vostro buon amico
L’Osservatore.