Zitiervorschlag: Gasparo Gozzi (Hrsg.): "Numero XXI", in: L’Osservatore veneto, Vol.1\021 (1761-04-15), S. 89-93, ediert in: Ertler, Klaus-Dieter / Fuchs, Alexandra (Hrsg.): Die "Spectators" im internationalen Kontext. Digitale Edition, Graz 2011- . hdl.handle.net/11471/513.20.406 [aufgerufen am: ].


Ebene 1►

N° XXI

A dì 15 aprile 1761.

Zitat/Motto► Velut ægri somnia, vanæ
Fingentur species
.

Horat.

Chimorizzano cose somiglianti
a’sogni degl’infermi. ◀Zitat/Motto

Ebene 2► Metatextualität► Non è al mondo persona che non ami le cose sue, come oro e gioielli; e non istimi più il suo sputo, che l’altrui migliori sentenze. Noi siamo così bestiali, quando si tratta di noi medesimi, che vogliamo che sieno approvate fino le nostre pazzie, e diventiamo nemici sfidati e mortali di chi non ne tiene quel conto che noi medesimi vorremmo. Ebene 3► Exemplum► Io ho veduto più volte nella culla un fanciullino nato allora, che parea un granchiolino, lungo una spanna, col nasetto rincagnato, e con tutte le fattezze di una sconciatura; e tuttavia la madre, perchè l’avea partorito, e la balia, perchè dovea allattarlo, scoprendolo da capo, come una maraviglia, diceano a circostanti: “Si può vedere il più bell’agnolo? Parv’egli che sia molto ben grandicello?” E così dicendo gli fioccano sopra mille parolette inzuccherate che mostrano tutte quanto tengono conto di quella inestimabile ricchezza ch’è uscita del ventre all’una, e che dee succiare il capezzolo all’altra. E tuttavia la civiltà di chi è quivi d’intorno, richiede che quel bertuccino venga commendato; altrimenti se ne acquisterebbe una nimicizia mortale. ◀Exemplum ◀Ebene 3 Anche i libri sono parti degli uomini; e questi non sono meno innamorati di quanto esce loro dell’ingegno, di quello che sieno innamorate le femmine de’parti loro. Comecchè dal giorno in cui fu ritrovata la stampa fino al presente, ci sieno infinite migliaia di libri, e tanti, che i secoli interi non basterebbero più a sapere quali sieno, non che a leggerne i soli frontespizi, ogni nuovo scrittore giura in suo cuore, e anche fuori di suo cuore, che non ci sia il migliore del suo. Ebene 3► Exemplum► Nè in ciò è punto diverso dalle femmine. Tutte quelle che partoriscono, infine danno alla luce una cosa medesima. Ogni bambino ha due braccia e due gambe, una bocca, due occhi, e quello ch’ebbero tutti gli altri che nacquero prima, e che avranno quelli che nasceranno appresso. C’è quella diversità che sa ognuno tra maschio e femmina, e non più. La maggior differenza consiste in certi pochi lineamenti che fanno diverso l’un [90] viso dall’altro; negli occhi ora neri, ora celesti, ora bigi e talvolta giallógnoli; ne’nomi, che chi si chiama Matteo, chi Filippo, chi Simone; e delle donne qual Giovanna, qual Caterina, qual Margherita: per altro il modello è sempre quel medesimo, e sono sempre uomini e donne. ◀Exemplum ◀Ebene 3 I libri sono lo stesso. Tanto è a leggerne uno, quanto un migliaio. Scambiatisi alcun poco le fattezze e i titoli che portano in fronte, ma la sostanza mi sembra quella medesima sempre. Ogni scrittore si crede di aver partorito il più bello, e non conosce che infine egli ha modellate le membra del figliuol suo sopra quelle de’figliuoli altrui; e quel che più strano è, egli avrà tolto dagli altri qua un braccio, colà una gamba, e costà un occhio d’un colore, e colà un altro di colore diverso, tanto che avrà fatto un figliuol pezzato come un bracco. Oh! va’, e di’ a costui che il figliuol suo non sia la più bella gioia del mondo. Benchè quando anche tu avessi animo di dirgliene in faccia, egli ti avrà già preoccupato con una prefazione che ti chiude le parole fra’denti. Che vorrestù più cianciare, dappoich’egli avrà empiuti gli orecchi del comune della sua sufficienza, e dell’utilità grande dell’opera sua? Quando egli t’avrà provato con quanti sillogismi ed entimemi sono in Aristotile, che il mondo vien da lui finalmente cavato della ruggine, e illuminato dalla torcia celeste della sua scienza: vuoi tu essere strozzato, se apri la bocca? Lascia partorire al nome del cielo, e sta’cheto come olio nel vase, che sarà il tuo meglio. Oh! l’operetta è scritta intorno ad un argomento trito, meschino, di picciola importanza, senza il quale si potea benissimo vivere nel mondo. Che fa a te? Vivi e fa’conto che la non ci sia. Abbi sempre a mente che se lo scrittore ha fatto e fa una stima grande dell’opera sua, egli è ingannato da natura, che gliela fa parere necessaria, utile, dilettevole, bella e desiderabile sopra tutte l’altre. Egli non fa nè più nè meno di quello che abbiano fatto tutti gli altri, e che faresti tu medesimo, se fossi autore. Direbbe, per esempio, Plutarco, s’egli vivesse oggidì: Io ho fatto opere grandemente utili alla morale; Cicerone all’eloquenza, Virgilio alla poesia, e tanti altri ad altre dottrine e scienze. Nel modo appunto che comporteresti costoro, puoi sofferire anche un trattato del governare i rosignuoli; e darti pace, se l’autore di quello afferma nel suo proemio ch’egli ha trattata materia di tale necessità all’umana vita, che appena si potrebbe vivere se non fosse venuto finalmente chi l’insegnasse. Ad ogni modo egli avrà i partigiani suoi, e gli avrebbe, s’egli avesse scritto dell’alimento e delle gabbie dei grilli, o d’altra cosa somigliante. Ogni argomento ha in sè, come dire, una certa armonia che consuona con altri capi. Toccansi le corde di quello; il suono che n’esce, ferisce altrove nelle corde tese all’unisono, e l’armonia si distende così ampiamente, che lo scrittore de’grilli ha ragione prima con un centinaio, poi con un migliaio, poi con due e più di persone. Allora ti spezzerai il gozzo, e ti trarrai dalle radici la lingua, se alzerai la voce per voler farti intendere a dire il contrario. ◀Metatextualität

[91] Non vitæ, sed scholæ discimus.

Senec., Epist.

Non impariamo a vivere, ma a disputare.

Quando i fanciulli sono grandicelli, il primo pensiero ch’io odo comunemente per tutte le famiglie, si è quello del fargli imparare. Mandansi alla scuola chi qua, chi là; ed è un’ottima usanza, se nelle scuole s’avesse avvertenza d’ammaestrare gl’ingegni secondo quella condizione di vita che a un dipresso lo scolare ingrandito dovrà eleggere. Ebene 3► Exemplum► A parlare con un villanello che intenda bene l’uffìzio suo, egli ti dirà che non tutti gli alberi si vogliono coltivare ad un modo. Pèsco, susino, mandorlo, pero son tutti alberi, fanno rami e foglie; ma chi vuole un terreno, chi l’altro; questo ama un’aria, quello un’altra. Se tutti fossero coltivati ugualmente, io non nego che non se ne vedessero rami e foglie; ma la sostanza sta nel fruttificare. ◀Exemplum ◀Ebene 3 Gli uomini sono tutti uomini; ma lasciata per ora la diversità degl’ingegni, da’quali dee nascere il frutto, dico che si dee procacciare di far nascere di loro que’frutti che sieno convenevoli alla qualità della vita, che probabilmente avranno a fare. Quando comincia ad aprirsi la prima capacità dell’intendere negl’ingegni, ad ogni fanciullo si mette in mano la grammatica latina; e a suo dispetto egli avrà ad imparare per un lungo corso d’anni un linguaggio, del quale non avrà più a valersi in vita sua. A poco a poco gli verrà insegnato a parlare con eloquenza latinamente; e s’egli non sa dire due parole nel proprio linguaggio, non importa. Di là si fa passare agli spaziosi campi della filosofìa, ne’quali impara tutto quello che non gli abbisogna mai; e in sul fiore dell’età sua, ecco ch’egli avrà compiuto gli studi; ed uscito di là, si troverà come un pesce fuor dell’acqua nelle faccende del mondo. E quel ch’è peggio, avrà assuefatto il capo a credere che le cose si facciano quali egli le avrà lette ed imparate; e ragionerà fra tutti gli altri, che parrà un uomo venuto da lontanissimi paesi. Oltre all’essersi torto il cervello, egli avrà acquistata anche un’altra infermità; ch’è quella dell’ozio. Quel continuo star a sedere, a leggere e a scrivere, gli ha così legate le membra, che a grandissima fatica potrà più tramettersi negli affari: e se vi s’impaccerà, lo farà così di mala voglia e quasi a dispetto, che non gli riuscirà mai bene; e credendosi di saper molto, tasserà tutto quello che fa il prossimo.

Ebene 3► Exemplum► Ricordomi che quand’io andava alla scuola, vi vedea molti fioriti e capaci giovani, i quali studiavano con tutto il cuore, e affaticavansi dì e notte per imparare, gareggiando tutti a chi più s’addottrinava. A me parea allora una bella cosa a vedere que’novellini germogli d’una città, e dicea fra me: “Oh! nobile ed egregio onore che n’avrà questo luogo, quando usciranno di qua così bene ammaestrati giovani e così dotti!” A poco a poco trascorsero gli anni; e coloro ch’io credea di vedere occupati a speculare, a ragionare, o a scrivere cose grandi, gli vidi appresso condotti dalla condizione di loro famiglie ad occuparsi fin ne’più menomi mestieri e ne’più meccanici lavori. “Oh! che diavol,” diss’io allora, “aveano che fare quelle cotante grammatiche e rettoriche? E a che pensavano i padri loro quando gli mandavano ad impa-[92]rare Cornelio Nipote e Cicerone? ◀Ebene 3 ◀Exemplum Non era egli il meglio avvezzar loro le braccia e la testa a quello che fanno al presente, che empiergli di latinità e di figure? Non credevano essi forse che tanto sia necessario al mondo un buon calzolaio, quanto un buon grammatico e più? Che tanto giovi un perfetto fabbro, quanto uno squisito rettorico? Perchè non s’aprono scuole costà di fucine e martella, colà di seghe e pialle, in un altro luogo di salamoie; tanto che ogni condizione di genti ritrovi l’appartenenza sua, e non s’abbatta sempre ne’primi anni a nomi, verbi, concordanze, tropi, e altri cancheri che divorano la giovinezza senza frutto, tolgono l’utilità dell’età mezzana, e l’agio della vecchiezza? In questa forma ci sarebbe anche minor quantità di giudici delle scritture di que’pochi i quali si danno alle lettere; e gli scrittori potrebbero dire allora, come quel greco pittore: Olà, o tu, non t’impacciare più su che la scarpa.”

Ebene 3►

Al Signor N.N., l’Osservatore

Metatextualität► Mi rimproverate che spesso mi vaglio delle allegorie nei miei fogli. Io n’ho preso l’esempio non solo da molti scrittori che sempre hanno scritto allegoricamente, ma dalle nazioni intere. L’allegorie hanno un certo che di creanza in sè, e furono ritrovate per notificare altrui quello che spiace ad udire, e sono quello zucchero o mèle col quale s’ungono gli orli del vaso per far bere gli amari sughi al fanciullo. Immaginatevi una specie di gelosia ad una finestra che lascia vedere e non vedere quello che v’è dentro. Assicurano chi parla, e non offendono chi ascolta; anzi gli danno piacere, perchè gli lasciano campo d’esercitare l’intelletto nell’interpretazione. Io vorrò bene ad esse in vita mia, dappoichè ho letto molti benefizi che esse hanno fatto, e con qual garbo sanno proporre e rispondere. Uditene un esempio. ◀Metatextualität Ebene 4► Fabel► Fu un tempo in Oriente un signore di larghissimo stato, il quale avea sotto di se infinite città e castella. Era però costui sì crudele, che parte col guerreggiare, e parte colle imposte e con altri duri modi ed acerbi, avea i luoghi suoi quasi tutti ad un estremo esterminio condotti; nè v’era alcuno che ardisse d’aprir bocca, e dirgli ch’egli era una bestia. V’avea un uomo dabbene, dolente in suo cuore a morte di quello che vedea, il quale era solo rimaso suo amico, e mantenevasi la grazia sua con l’avergli dato ad intendere che sapeva benissimo il linguaggio degli uccelli. Questo capriccio glielo facea tener caro, e lo volea seco in ogni luogo dov’egli andava. Avvenne un giorno, che trovatisi l’uno e l’altro alla caccia, e sedendo sotto non so quali alberi per riposarsi alcun poco all’ombra, udironsi due civettoni che con quelle loro moleste vociacce a vicenda si rispondevano da certi rami secchi di due querce. “O tu,” disse il signore, “capacissimo nel linguaggio degli uccelli, [93] che non mi di’tu quello ch’essi favellano insieme al presente?” Il buon uomo si scusò alquanto in prima, quasi avesse a dir cosa che dovesse offendere la Maestà-Sua; ma pur finalmente assicurato dalle parole e da’giuramenti di lui, che non avrebbe avuto a male quanto gli avesse detto, rispose: “Maestà, quelli che parlano sono due civettoni maschi, de’quali l’uno ha un figliuolo, e l’altro una figliuola, e vorrebbero maritargli insieme. Patteggiano al presente per la dote. La Maestà Vostra sa che cotesti uccellacci fanno spesso la vita loro in casolari rotti, e fra calcinacci, e questa è la ricchezza maggiore che possono avere. Ecco. Ha ella ora udito questa risposta? Il padre del maschio ha domandato al padre della figliuola cento castella desolate in dote; e il padre della femmina ha detto, che per grazia di colui che regna sopra questo paese, gliene darà dugento e più, se più gliene domandasse.” La Maestà Sua, che fino a quel punto non avea avuto chi avesse ardito di dirgli la verità, arrossì prima; e poscia abbracciato l’amico che per figura s’era fatto intendere, gli disse: “Io farò per modo da qui in poi, che cotesti uccellacci non sapranno dove avere alloggiamento;” e gli attenne la parola. ◀Fabel ◀Ebene 4 ◀Ebene 3 ◀Ebene 2 ◀Ebene 1