Référence bibliographique: Giuseppe Baretti (Éd.): "Numero I", dans: La Frusta letteraria di Aristarco Scannabue, Vol.1\01 (1763), pp. 14-46, édité dans: Ertler, Klaus-Dieter / Fuchs, Alexandra (Éd.): Les "Spectators" dans le contexte international. Édition numérique, Graz 2011- . hdl.handle.net/11471/513.20.324 [consulté le: ].


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N.° I

Roveredo primo ottobre 1763.

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Memorie istoriche dell’Adunanza degli Arcadi di M. G. M., Custode generale d’Arcadia. Roma 1761, nella Stamperia de’Rossi, in 8°.

Metatextualité► Quegli amanti d’inutili notizie, che non sapendo come adoperar bene il tempo, lo impiegano a imparare delle corbellerie, e che bramano di essere informati di quella celebratissima letteraria fanciullaggine chiamata Arcadia, si facciano a leggere questo bel libro che ne dà un ragguaglio distinto distintissimo. Il suo celibe autore l’ha scritto con tutta quella snervatezza, e con tutto quell’umile spirito d’adulazione che principalmente caratterizza gli Arcadi; e assai nomi rinomatissimi si trovano in esso libro registrati, la rinomanza de’quali non è stata punto mai rinomata nel mondo. L’opera è divisa in dieci capitoli, che sono come dieci giojelli di vetro. Ecco qui la sostanza di que’dieci capitoli. ◀Metatextualité

Niveau 4► Hétéroportrait► Il capitolo primo dice L’istituzione d’Arcadia, e narra fra l’altre fanfaluche, il caso memorandissimo d’un certo poeta, il quale avendo sentiti cert’al-[15]tri poeti recitare certe pastorali poesie in certi prati situati dietro un certo castello, proruppe in questa miracolosa esclamazione: Egli mi sembra (notate quell’enfatico Egli), Egli mi sembra che noi abbiamo oggi rinovata l’Arcadia. Oh magica esclamazione, alla quale deve l’Arcadia il suo nascimento, come da un picciolissimo seme nasce una zucca molto smisurata; o per dirla con più dignità, come certi gianetti d’Andaluzia è fama debbano l’esser loro allo ingorgarsi d’un po’di vento Favonio nella matrice di certe puledre! Item in quel capitolo primo vengono via i quattordici nomi de’quattordici fondatori d’Arcadia, undici de’quali nomi è un pezzo che sono miseramente sprofondati in Lete, cioè a dire quelli del Coardi, del Paolucci, del Leonio, dello Stampiglia, del Mailard, del Figuri, del Negro, del Melchiorre, del Vicinelli, del Vili e del Taja. Dico che gli undici nomi di questi undici personaggi sono sprofondati in Lete in qualità di nomi poetici, che nessuno interpretasse male. I tre di que’quattordici nomi che ancora si nominano, sono quello del Gravina, quello del Crescimbeni, e quello del Zappi. Niveau 5► Hétéroportrait► Quello del Gravina è ancor nominato dai dotti, perchè Gravina aveva un capo assai grande, e pieno di buon latino e di buona giurisprudenza. Ma siccome tutti gli uomini hanno il loro difetto in mezzo [16] a tutte le loro perfezioni, il Gravina ebbe il difetto di voler fare dei versi italiani, e quel ch’è peggio di volere con italiane prose insegnar altrui a farne de’lirici, de’tragici, de’ditirambici, e d’ogni razza, a dispetto della natura che volle farlo avvocato e non poeta: ◀Hétéroportrait Hétéroportrait► il nome del Crescimbeni è tuttavia nominalo con somma venerazione da’nostri più massicci pedanti. Il Crescimbeni fu un uomo dotato d’una fantasia parte di piombo e parte di legno, cosicché sbagliò sino quel matto poema del Morgante Maggiore per poema serio. Che fantasia fortunata per un galantuomo destinato dal Destino ad essere compilatore, e massimamente compilatore di notizie poetiche! Quelle notizie, e tutt’altre cose, il Crescimbeni le scrisse in uno stile così tra il garfagnino e il romano, che gli è propio la delizia degli orecchi sentirsene leggere quattro paragrafi. ◀Hétéroportrait Hétéroportrait► Il Zappi poi, il mio lezioso, il mio galante, il mio inzuccheratissimo Zappi, è il poeta favorito di tutte le nobili damigelle che si fanno spose, che tutte lo leggono un mese prima e un mese dopo le nozze loro. Il nome del Zappi galleggerà un gran tempo su quel fiume di Lete, e non s’affonderà sintanto che non cessa in Italia il gusto della poesia eunuca. Oh cari que’suoi smascolinati sonettini, pargoletti piccinini, mollemente femminini, tutti pieni d’amorini! ◀Hétéroportrait ◀Niveau 5

[17] Il secondo capitolo delle Memorie Istoriche ne secca aliquantulum con le Leggi d’Arcadia, che sono scritte a imitazione di quelle dell’antica Roma, e che s’assomigliano a quelle, come uno de’miei scimmiotti americani s’assomiglia a un dottor di Sorbona; anzi come la mia gamba sinistra, che è un pezzo di legno, s’assomiglia alla mia gamba destra, che è una gamba bella e buona. Niveau 5► Récit général► Dopo il registro puntuale di quelle leggi, il celibe autore delle Memorie, ne dà la vera e distinta relazione d’una tremenda e crudelissima guerra, la quale poco mancò non rovinasse l’augusto impero arcadico pochi giorni dopo che fu fondato. Due segnalati campioni si fecero molto distinguere con le loro braverie in quella guerra. Uno fu Alfesibeo, primo califfe d’Arcadia. L’altro fu un certo Opico, il quale non contento forse di essere stato solamente creato uno de’principali argaliffi dell’arcadico regno, e pretendendo di essere anch’egli califfe, o almeno indipendente dal califfe Alfesibeo, si ribellò, e menò un vampo terribile per le arcadiche provincie, minacciando di metterle tutte a saccomanno, anzi pure di mandarle a fuoco e fiamma. ◀Récit général ◀Niveau 5 La descrizione di tal guerra nelle Memorie Istoriche è fatta così maestrevolmente, e i suoi varj e spaventosi accidenti sono quivi dipinti con tal vivezza e furia di colori, che s’io cono-[18]scessi qualche arcadica pastorella la quale fosse incinta, la sconforterei dal leggere quella descrizione per tema non si sconciasse; conciossiacosafossechè io medesimo che mi sono visto portar via senza smarrirmi un’intiera gamba da una cannonata, e che ho intrepidamente sofferta una marrovescia sciabolata sul labbro inferiore da un soldato circasso nella città di Erzerum, io medesimo, cospetto di bacco! mi sono tutto raccapricciato quando giunsi a leggere quell’orribilissimo periodo, in cui il Califfo Alfesibeo spacca la testa al ribelle argaliffa Opico.

Il terzo capitolo parla del Bosco Parrasio, nel qual bosco si sono veduti più poetici mostri, e più paladini incantati, che non se ne videro un tempo nella famosa selva d’Ardenna. I nomi di que’mostri e di que’paladini sono a minuto registrati in quel capitolo terzo.

Il capitolo quarto è intitolato Del Serbatojo, voce greca derivata dal caldeo, la quale in Roma significa Segreteria Poetica, e in Firenze significa stanzino da serbare uccellami morti, tanto crudi che cotti, insieme con altre derrate mangiative.

Il quinto capitolo è intitolato de’Libri; e in quello siamo assicurati, che « l’Italia, grazie alle leggiadre produzzioni (con due zete alla romana) fatte ascoltare nel prefato bosco Parrasio poco meno [19] che tutta aveva ripreso il buon gusto ». L’autore con le « produzioni fatte ascoltare » vuol dire che gl’Italiani usavano nel Seicento cibarsi di pan muffato, e che furono sforzati in quel Bosco Parrasio a nutrirsi quindinnanzi di pane azzimo; ma, per esprimersi arcadicamente, chiama buon gusto il pane azzimo.

Capitolo sesto. Favella delle Lapide di Memoria, vale a dire de’pataffj incisi sulle tombe de’prefati califfi e argaliffi e altri eroi d’Arcadia.

Capitolo settimo. Delle Acclamazioni. Questo capitolo è un catalogo, contenuto a fatica da diciannove pagine, di famosissimi poeti e di famosissime poetesse. Non si può dire quanta dottrina vi sia da imparare in quelle diciannove pagine di famosissimi poeti e di famosissime poetesse.

Capitolo ottavo. Delle Colonie. Colonia pare che abbia sempre significato, e che significhi tuttavia, « un bel numero di gente tratta d’un paese, e mandata ad abitare in un altro paese per popolarlo ». Ma da questo ottavo capitolo si viene a capire che Colonia significa in lingua arcadica « molta gente scioperata, che, standosene in un paese a casa sua, perde il tempo a scrivere delle fanfaluche pastorali ad altra gente scioperata che se ne sta pure a casa sua in un al-[20]tro paese ». Quelle Colonie nominate in quell’ottavo capitolo furono cinquantotto ne’più vertiginosi tempi d’Arcadia. A’nostri men fanatici dì quel numero di cinquantotto è tanto scemato, che quelle Colonie non eccedono omai più il numero delle Babilonie.

Capitolo nono. Della Effemeride. Ho saltato via questo capitolo, conjetturando dal suo titolo che non contenga se non la descrizione dell’almanacco arcadico, insieme co’nomi e cognomi di tutti gli autori di taccuini pastorali prodotti dall’Arcadia e dalle quondam sue colonie.

Capitolo decimo ed ultimo. Di Alcune Memorie più considerabili concernenti l’Adunanza degli Arcadi. Il titolo di questo capitolo non è così laconico come gli antecedenti; onde Aristarco si contenta d’aver qui registrato quel lungo titolo, e lascia la lettura dell’intiero capitolo a chi ama le memorie considerabili, e le memorie concernenti. Forse chi lo leggerà verrà a sapere questa considerabile cosa: che, chi vuol essere Arcade, bisogna sappia assolutamente quante sillabe entrano in un verso, e quanti versi entrano in un sonetto senza coda. In oltre chi lo leggerà verrà forse a sapere quest’altra concernente cosa; che fa d’uopo leggere almeno un paio di tomi della raccolta del Gobbi; e poi pagare uno scudo, [21] o, per dirlo con frase più poetica, dieci paoli, per ottenere una patente, che ti baratti un nome di battesimo in qualche nomaccio mezzo da pecorajo e mezzo da pagano. Povera Italia, quando mai si chiuderanno le tue scuole di futilità e d’adulazione! ◀Hétéroportrait ◀Niveau 4 ◀Niveau 3

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Del Matrimonio

Discorso di A. C. Mugellano.
Londra 1762, in 8°.

Metatextualité► Questo discorso del Matrimonio è una postuma produzione dell’ingegno d’un celebratissimo dottore, il quale tanto in questo, quanto in altri degli scritti suoi, si fece più volte pregio di occultamente manifestarsi Scettico e Pirronista molto più del bisogno, e di meritarsi sopra ogn’altro letterato d’Italia il titolo francese d’esprit fort. Non è gran tempo che il mio povero Mugello ha perduto questo suo filosofo, onde non fia da meravigliarsi se in tempo di seccore non menerà più acqua.

Il mio venerato maestro Diogene Mastigoforo, che ha arricchito l’Oriente con molte sue opere in lingua armena, soleva avere frequentemente in bocca questa sentenza, che « Nessuna cosa s’ha a scrivere dagli scrittori, quando non aggiunga qualche vantaggio, o almeno qualche diletto, a que’pochi diletti e a que’pochi [22] vantaggi che già la società o naturalmente o artificialmente possiede ». Ma il quondam filosofo del Mugello fu d’altro parere, e mostrò con questo suo Libercolo un infuocatissimo desiderio, non mica di vantaggiare o di dilettar gli uomini, ma sibbene di guastarli e di corromperli vieppiù di quello che già sono. Egli si è provato con questi pochi fogli di buttar sossopra tutto il politico ed ecclesiastico sistema della sua patria e di molt’altre patrie; e sciorinando alcune empietà già stomachevolmente fritte e rifritte da innumerabili scrittorelli oltramontani, ha bravamente mostrato di credersi atto a riformare il mondo nel morale, come nel fisico si credette pur atto a riformarlo quell’altro filosofo d’Aragona. Oh maladetta superbia, quando cesserai tu dal persuadere a’vermi ed agli scarabei, ch’e’sono lionfanti e rinoceronti, e quando cesserai tu, balorda ignoranza, di sbagliare per lionfanti e per rinoceronti i vermi e gli scarabei!

Niveau 4► Hétéroportrait► L’infranciosata e abbindolata sofisticheria di questo discorso del Matrimonio tende, apertamente e senza cirimonie, a sconfortar gli uomini dallo stato conjugale, non solo con provar loro per via d’anatomia non v’esser marito alcuno che possa lungamente amar una moglie, ma provando altresì che non si dà, e non si [23] può dare moglie giovine e sana la qual possa (anche volendolo risolutamente) conservarsi intemerata agli amplessi d’un marito. Bella dottrina da predicare per accrescere la benevolenza e la pace e la sicurezza nelle nostre famiglie, e per doppiare a mille doppj i vantaggi e i diletti della umana società in cui chi non si cura del vantaggio e del diletto d’esser nato bastardo, e chi si compiace di redare i beni posseduti da’suoi maggiori, bisogna che appaja nato da un uomo e da una donna congiunti in matrimonio.

Niveau 5► Hétéroportrait► Chi prestasse fede al filosofo del Mugello, un galantuomo che s’ammoglia non può badare seriamente a studio alcuno; non è più atto agli affari; non può più intraprendere cosa alcuna che abbia del grande e del magnanimo; non può più accrescere per vie oneste le sue fortune; non può più sperare di trovare amicizia vera in alcuno, perchè i buoni lo fuggono, e solo i tristi cercano di cattivarsi la sua benevolenza per infinocchiarlo nell’onore; non ha più a sperare allegria, passatempi, diletto, o conforto alcuno in questo mondo, e in somma l’uomo ammogliato non può più in alcun modo fuggire l’universal taccia d’inetto, di ridicolo, di forsennato e d’infame. ◀Hétéroportrait ◀Niveau 5

Tutte queste stupende verità il nostro filosofo Mugellano le puntella a modo suo [24] con ragioni, secondo lui, irrefragabili, e cavate fuora dal più recondito midollo degli organi umani, e dal suo infallibil fisico delle cose sublunari. Niveau 5► Hétéroportrait► Nell’opinione sua le donne non sono altro che automati, a’quali non è permesso di operare se non secondo l’impulso delle suste, delle molle e delle girelle d’una libidinosa natura, la quale rende quelle creature simili in tutto, fuorchè nella esterna forma, alle salvatiche giovenche e puledre, che mugghiando e nitrendo d’amorosa rabbia, ferocemente s’avvolgono per l’ampie campagne dell’America meridionale. ◀Hétéroportrait ◀Niveau 5

In conseguenza di queste sue stillatissime anatomiche scoperte, il filosofo del Mugello desidererebbe che il matrimonio fosse piamente abolito, o che fosse unicamente limitato a due sole classi di persone, cioè alla più infima canaglia, e a certi « nobili artefici che dichiarano oracoli con facile interpretazione, perchè costoro hanno da dividersi tra loro immense ricchezze; e vivendo in un ozio tranquillissimo, lontani da qualunque pericolo o fatica, e liberi affatto da quei tormenti dell’intelletto, che la ricerca del vero produce nelle scienze più profonde, si godono felicemente la gloria sedendo. Ma giusto a costoro è vietato il matrimonio dall’istesse leggi loro per alcuni motivi sublimi e da noi non intesi, e par [25] che lo abbiano voluto abbandonare al volgo profano ».

Bisognerebbe essere un troppo gran perdigiorno per mettersi da buon senno a confutare il grave filosofo che scrive di questi periodi, e che per migliorare il mondo vorrebbe che nel mondo s’introducesse un bestialissimo concubinato universale. A chi finge di voler solo bellamente scopar via i ragni dagli angoli di qualche stanza, ma che di fatto si sforza di rovinar la casa dalle fondamenta, farebbe mestiero d’altro che d’argomenti e di ragioni; nè voglio dire quello che meriterebbero que’temerarj sacciuti, che sempre si lambiccano il cervello in cercar modi, onde rendere gli uomini vieppiù sfrenati e licenziosi nel pensare, e vieppiù scorretti e dissoluti nel costume, e onde si cancellino da’nostri cuori quelle ridenti e confortevolissime speranze di futura beatitudine, che solo possono farci sostenere con virtuosa ilarità e con eroica costanza que’tanti e tanti mali, che dalla santissima imperscrutabile Provvidenza sono stati annessi alla misera condizione nostra. ◀Hétéroportrait ◀Niveau 4

Dalle idee del nostro cristiano filosofo del Mugello, quanto sono diverse le idee [26] sul matrimonio del maomettano Sathim Mum Gabner poeta arabo! In uno di que’suoi volumi, che insieme con quelli d’altri famosi orientali poeti e medici stanno [27] da molti secoli sospesi nella moschea della Mecca, l’onorato e discreto Sathim Mum Gabner ha una canzone, che io voglio qui avventurarmi a tradurre, per porla a [28] confronto di questo discorsaccio Mugellano, comechè io sappia quanto una traduzione in prosa riesca svaporata, languida e secca, a fronte d’un fiorito, impetuoso ed enfatico originale in versi. Questa è la canzone. ◀Metatextualité

Niveau 4► Exemplum► « O tu, che dalla sonora ed irresistibil tromba dell’Angelo della Nettezza non sei chiamato ad ardere incenso sull’elevato altare della castità, volgiti a man destra, e cercati una compagna mentre le tue braccia hanno ancora robustezza bastante per reggere l’ardente corsiero, e mentre le tue gambe sono ancor atte a farti schivare con precipitosa fuga le zanne e gli unghioni della spietatissima tigre.

« Gli è in giovinezza, e non negli anni imbianchiti, che l’uomo attrae a sè con violenta forza gli occhi azzurri delle belle discendenti d’Ismaele. Gli è in giovanezza [29] che l’uomo si forma una comoda capanna ne’loro amorosi cuori.

Non ti scordar però, che le folgoranti gemme di Golgonda non sono tanto atte ad abbagliare e a sedurre la vigilanza della ragione, quanto il lusinghevole pensiero di passar la vita nella inseparabile compagnia d’una bella discendente d’Ismaele. Quel pensiero, aimè, è troppo lusinghevole! Guarda non ti precipiti nel golfo dello sbaglio in cui ondeggiano vani sogni di perpetua delizia, o aerei fantasmi d’incessante felicità.

I piaceri sposerecci sono come le radici del cedro che ogni dì più si sprofondano e si perdono nella materia terrestre.

Il mentecatto dice nel suo cuore: S’io potessi possedere la bruna Fathime, non avrei a invidiare l’estasi delle purissime anime che fanno continua festa ne’sempreverdi giardini d’Eden. Ma il mentecatto dice così, perchè non può ricordarsi che la bruna Fathime è una caduca e terrestre vergine, e non un eterno e fiammante serafino.

Volgiti a man destra, e cercati una compagna fra le belle discendenti d’Ismaele, ma ricordati che le nozze e la contentezza sono sovente due cose separate come le due punte dell’arco, o come le due estremità della zagaglia.

[30] Due persone innamorate indotte dal Genio Conjugale a salire di mano in mano il monte della vita, non possono troppo soffermarsi e perder l’ore in occhieggiarsi e in susurrarsi mutuamente intorno come innocenti colombi. Pure il sorriso e la dolcezza non si scompagneranno affatto da essi, quando si vogliano consigliare sovente con la benevolenza, con la mansuetudine, con la pudicizia e con la moderazione.

Quando il faticoso viaggio su per quell’aspro monte è intrapreso, non ti far iscortare dalla familiarità, che è nemica insidiosissima dell’amor conjugale. Vengano teco la cortesia, l’affabilità e il rispetto, e salirai agevolmente.

Su per quel monte incontrerai de’passi custoditi dalla fatica e dalla noja; eppure convien vincerli. Troverai ascendendo assai cespugli d’appassiti fiori, e molte fratte di spini pungentissimi, e qualche balza molto scabra, e qualche sasso molto tagliente; ma qual è quel figlio di Agar, che non abbia trovata fatica e noja, e appassiti fiori, e pungentissimi spini, e dolori, e avversità nel salire l’aspro monte della vita?

Raccomandati al coraggio e alla pazienza, che eglino ti faranno su per quel monte trovare altresì delle pianticelle d’odoroso nardo e di timo soave: e ti ab-[31]batterai talora anche nell’albero balsamico, sotto la di cui ombra salutifera potrai tratto tratto riconfortarti con la tua bella discendente d’Ismaele.

Ma non piangere, come novello schiavo, se il viaggio scarseggia di piaceri, e se abbonda d’affanni, perchè pochi piaceri piovono a noi dallo stellato firmamento; e quei pochi piaceri che dall’angelo benefico sono sparsi come lieve rugiada sugli uomini, sono come l’erba risanatrice che a stento si trova nel deserto d’Arabia. Gli affanni all’incontro sono fra di noi seminati a pien pugno dall’angelo maligno, e poi da se stessi pullulano e germogliano come l’ortica e la lappola nel fecondo terreno d’Egitto.

Non ti curare di far quel viaggio con questa e con quell’altra casual compagna, se vuoi che amore ti segni le pedate innanzi, e se non vuoi poscia restar solo e tristo e sconsolato, quando avrai salita la prima erta del monte.

Non ti scordare allo spuntar d’ogni sole di pregar il Genio di Misericordia, che ti faccia costantemente accompagnare [32] nel disastroso viaggio dalla giocondezza, dall’intrepidità e dalla prudenza maschile, se vuoi che la donzellesca modestia e le muliebri virtù ti sieguano sino a quella gloriosa fontana in vetta al monte, alle di cui sempiterne acque non potranno refrigerar le labbra se non que’fedeli, che hanno il turbante fasciato di fortezza e la sottoveste guernita di bontà e d’onore.

Cantate, dolci figliuoli d’Agar, la canzone di Sathim Mum Gabner, e vivete in perenne gaudio con le vostre belle discendenti d’Ismaele ». ◀Exemplum ◀Niveau 4

Metatextualité► Ecco la traduzione fatta; ma mi è riuscita cosi sfibrata, e mi pare che faccia un così gran torto all’originale, che sono quasi per privare i leggitori di questa lettura; pure il curato don Petronio Zamberlucco dice che è buona, quantunque non sappia un’acca della lingua araba, e vuole ch’io la lasci correre; onde i leggitori se l’abbiano, e facciano conto di sentir uno a parlare una lingua forestiera con cattiva pronunzia e con frase impropria, e invece di badare alla pronunzia ed alla frase, badino al senso ed all’intenzione, che troveranno e senso e intenzione, in questo arabo poemetto molto migliore, che non nell’animalesco discorso del filosofo Mugellano, alla di cui postuma produzione tornando, mi resta solo da soggiungere che senza la balordaggine [33] d’un figliuolo impronto e pazzerello, non verrebbe frequenti volte ad esser nota più d’una matta cosa operata da un poco savio padre. Se come delle sostanze i figli redassero della dissimulazione e dell’ipocrisia da’genitori, questo Discorso del Matrimonio non sarebbe stato pubblicato colle stampe. Così un gattino dibattendosi per ischerzo e per letizia sur un mucchio di scopature, viene talora a palesare quelle immondizie, che il gatto padre, indotto da naturale istinto, cercò nascondere agli occhi e al naso degli uomini. Intendami chi può che m’intend’io. ◀Metatextualité ◀Niveau 3

Niveau 3►

L’Uccelatura, poema dell’abate Girolamo Guarinoni, Bergamo, 1760 appresso Pietro Lancellotti, in 8.o

Niveau 4► Hétéroportrait► Se tutto quello che in poesia non è che mediocre si deve dire cattivo, questo poema dell’Uccellatura si ha a dire cattivo superlativamente, perchè la più mediocre cosa di questa appena si potria scrivere da chi si studiasse di scrivere una cosa mediocre. Qui non v’è invenzione nel soggetto, qui non v’è estro nei pensieri, qui non v’è armonia nella versificazione, qui non v’è purità nella lingua, qui non v’è grazia nello stile, qui in somma non v’è neppure una di quelle cose che distinguono la cattiva poesia dalla cattiva [34] prosa, se non che tutta questa assai voluminosa novella è stata divisa dall’abate che l’ha scritta in tante righe di undici sillabe ciascuna. Niveau 5► Exemplum► Gli è vero che alcune di tali righe dovrebbono esser considerate come di dodici anzi che di undici sillabe, come esempligrazia queste, che s’incontrano nelle due prime pagine del libro:

O vaghe ninfe che la casta Diana.

Dell’aurea stola e del glorioso manto.

A lui concede di riposo e quiete.

O se al glorioso tuo fratel che adorno.

Ma chi ha la minima pratica d’inetti verseggiatori s’accorge tosto che il nostro abate è uomo d’orecchio duro, e che ha letto poco e osservato pochissimo in materia di lingua e di poesia toscana, onde ha fatto quiete e Diana di due sillabe, e glorioso di tre, commettendo di tali errori con molta costanza in ogni pagina della sua opera. E così pure in un’altra riga ha stranamente spaccato laidi in tre pezzi, quando la natura e l’uso avevano destinato quel vocabolo ad essere diviso in due solamente.

Non fogli aspersi di laidi inchiostri.

Caro abate Girolamo, voi siete da lodare che non aspergete i fogli di la-i-di inchiostri; ma la costumatezza non è mica la sola qualità che si richiede in chi vuol fare il poeta. ◀Exemplum ◀Niveau 5 ◀Hétéroportrait ◀Niveau 4 Metatextualité► Non trascrivo qui alcuno squarcio di questa meschina Uccellatura, [35] perchè non posso trovare in essa dieci versi in fila che meritino l’onore d’essere trascritti. Tutto è debolezza poetica, tutto è poetica povertà. Suppongo che l’Autore sia un qualche giovinetto principiante; e su questa supposizione gli dico il mio parere sull’opera sua così alla brusca, per distoglierlo a un tratto dal perdere il tempo dietro un mestiero per cui non è nato. So che egli soffrirà un poco di disgusto dal sentirsi così onninamente disapprovato in poesia; ma co’giovanetti bisogna parlare al bisogno con autorevolezza per farli volgere subitamente i loro talenti a cose con quelli proporzionate. ◀Metatextualité ◀Niveau 3

Niveau 3►

Il Mattino, poemetto in versi sciolti, stampato in Milano 1763, in 8.o

Niveau 4► Hétéroportrait► Il conte Baldassare Castiglione che sapeva le belle creanze molto meglio che non la maniera di scriver bene in volgare, dice in qualche luogo del suo Cortigiano, che « le leggi della maschera richiedono che una persona mascherata non sia salutata per nome da uno che la conosce malgrado il suo travestimento ». Confermandomi a questo urbanissimo precetto io non dirò chi sia l’autore del Mattino, poichè l’autore del Mattino ha giudicato a proposito di non porre il suo nome in fronte all’opera sua, e di star-[36]sene anzi, dirò così, appiattato dietro il suo quadro per sentirne i liberi giudizj de’passeggieri. Ma siccome il conte Castiglione non proibisce di dire a’nostri circostanti quanto bene vogliamo d’una persona in maschera da noi conosciuta, e conosciuta degna d’elogio, così io non mi farò scrupolo di dire che l’incognito autore del Mattino è uno di que’pochissimi buoni poeti che onorano la moderna Italia. Con un’ironia molto bravamente continuata dal principio sino alla fine di questo poemetto, egli satireggia con tutta la necessaria mordacità gli effeminati costumi di que’tanti fra i nostri nobili, che non sapendo in che impiegare la loro meschina vita, e come passar via il tempo, lo consumano tutto in zerbinerie e in illeciti amoreggiamenti. Egli descrive molto bene tutte le loro povere mattutine faccende, e le uccella talora con una forza di sarcasmo degna dello stesso Giuvenale. Temo però che la sua satira non produca quel frutto che dovrebbe produrre, perchè è scritta qui e qua con molta sublimità di poesia; e que’nobili che dovrebbero leggerla seriamente per correggersi di que’difetti e di que’vizj che in essa sono maestrevolmente additati e cuculiati, non intendono nè la sublime poesia nè l’umile. Ma o frutto o non frutto che la tua satira produca, io ti esorto, abate elegantissimo, a [37] non deludere la speranza, che ne dai nella prefazione, di scrivere anche il Mezzodì e la Sera de’tuoi effeminati nobili. Dacci il quadro finito, che te ne avremo obbligo, e contrapporremo senza paura i tre canti del tuo poema al Lutrin di Boileau e al Rape of Ihe Lock di Pope, massimamente se ti darai l’incomodo di ridurre i tuoi versi sciolti in versi rimati. ◀Hétéroportrait ◀Niveau 4

Metatextualité► Diamo ora un’idea del buon modo di poetare di questo valentuomo, trascrivendo qui alcuno de’suoi versi. Ecco com’egli s’introduce a descrivere, e come poi descrive il Mattino del suo muliebre cavaliere. ◀Metatextualité

Niveau 4► Citation/Devise► « Sorge il mattino in compagnia dell’alba

Innanzi al sol che di poi grande appare

[38] Sull’estremo orizzonte a render lieti

Gli animali, e le piante, e i campi, e l’onde.

Allora il buon villan sorge dal caro

Letto, che la fedel sposa, e i minori

Suoi figliuoletti intiepidîr la notte;

E sul collo recando i sacri arnesi

Che prima ritrovâr Cerere e Pale,

Va col bue lento innanzi al campo e scuote

Lungo il picciol sentier da’curvi rami

Il rugiadoso umor, che quasi gemma

I nascenti del sol raggi rifrange.

Allora sorge il fabbro, e la sonante

Officina riapre, e all’opre torna

L’altro di non perfette, o se di chiave

Ardua e ferrati ingegni all’inquieto

Ricco l’arche assecura, o se d’argento

O d’oro incider vuol giojelli e vasi

Per ornamento a nuove spose e a mense.

Ma che? Tu inorridisci, e mostri in capo

Qual’istrice pungente irti i capegli

Al suon di mie parole? Ah non è questo,

Signore, il tuo mattini! Tu col cadente

Sol non sedesti a parca mensa, e al lume

Dell’incerto crepuscolo non gisti

Jeri a corcarti in male agiate piume,

Come dannato è a far l’umile volgo.

A voi, celeste prole, a voi, concilio

Di semidei terreni, altro concesse

Giove benigno, e con altr’arti e leggi

Per novo calle a me convien guidarvi.

Tu fra le veglie e le canore scene

E il patetico giuoco oltre più assai

[39] Producesti la notte; e stanco alfine

In aureo cocchio col fragor di calde

Precipitose ruote, e calpestio

Di volanti corsier lunge agitasti

Il queto aere notturno, e le tenébre

Con fiaccole superbe apristi intorno,

Siccome allor che il siculo terreno

Dall’uno all’altro mar rimbombar feo

Pluto col carro, a cui splendeano innanzi

Le tede delle Furie anguicrinite.

Così tornasti alla magion; ma quivi

A novi studj t’attendea la mensa

Che ricoprian pruriginosi cibi,

E licor lieti di francesi colli

E d’ispani e di toschi, e l’ungarese

Bottiglia, a cui di verde edera Bacco

Concedette corona, e disse: Siedi

Delle mense reina. Alfine il sonno

Ti sprimacciò le morbidette coltríci

Di propria mano, ove, te avvolto, il fido

Servo calò le seriche cortine,

E a te soavemente i lumi chiuse

Il gallo che li suole aprire altrui. ◀Citation/Devise ◀Niveau 4

Metatextualité► Sentite ancora, leggitori, con qual vivo e galante modo il nostro poeta dipinge il maestro di ballo che visita il suo cavaliere: ◀Metatextualité

Niveau 4► Citation/Devise► . . . Egli all’entrar si fermi

Ritto sul limitare; indi elevando

Ambe le spalle, qual testudo il collo

Contragga alquanto, e ad un medesmo tempo

Inchini il mento, e con l’estrema falda

[40] Del piumato cappello il labbro tocchi. ◀Citation/Devise ◀Niveau 4

Ah! mi par di vederlo quel monsù pas-de-deux con quelle sue scimiottesche smorfie! ◀Niveau 3

Niveau 3►

Della Preservazione della salute de’Letterati e della gente applicata e sedentaria, opera postuma di Giuseppe Antonio Pujati. In Venezia 1762, presso Antonio Zatta, in 8.o

Niveau 4► Récit général► Jerisera quel benedetto don Petronio Zamberlucco m’ebbe quasi a far diventar rabbioso, volendomi sostenere che il nostro popolo italiano è più studioso e più dotto d’ogni altro popolo d’Europa. Niveau 5► Hétéroportrait► Quantunque dal dì che nacque egli non abbia visto cinquanta miglia di paese, e quantunque delle lingue viventi non sappia altro che la sua con un po’di francese, e che per conseguenza non possa essere competente giudice d’una tale quistione, pure difese la sua pazza tesi con tanto feroce ostinatezza, che se non fosse prete, io credo certo gli avrei scagliato in capo un tomo in folio che avevo dinanzi, malgrado il gran bene che mi vuole, e malgrado il grandissimo ch’io voglio a lui. ◀Hétéroportrait ◀Niveau 5 In una disputa che cominciò alle ventitrè ore e che durò quasi sino alla mezza notte, probabilmente con qualche scandalo e disturbo de’nostri vicini, non mi valse citargli un mondo di libri buoni, che [41] sono comunemente letti da alcune nazioni da noi credute poco meno che barbare; e quel che è peggio, non mi valse nulla il fargli una prolissa enumerazione de’tanti pessimi libri che oggi sono in grandissima voga e che fanno la mentale delizia d’innumerabili leggitori della nostra gloriosa contrada. Vuoi tu una irrefragabil prova, don Petronio, che in Italia si studia universalmente poco e male? Niveau 5► Exemplum► Dà soltanto un’occhiata ai libri che tuttodì si stampano e si ristampano. Romanzi e storie galanti bestialmente tradotte dal francese, e bislaccherie del Chiari e di molt’altri, nelle quali non v’è nè bella invenzione, nè lingua pura, nè stile naturale, nè verità di costume, nè massime utili, nè documenti che vagliano un’acca. E qual è quella nazione moderna che abbia tanti libri quanti n’ha la nostra, ne’quali la virtù sia tanto costantemente scambiata per vizio, e il vizio scambiato per virtù? E se di tanto in tanto qualche galantuomo regala al pubblico qualche buon libro, cioè qualche libro pieno di pensiero, pieno di peregrine notizie, pieno di giovevoli verità, si dà egli mai il caso che quel libro vada per le mani di tutti, e diventi libro alla moda, almeno per un qualche spazio di tempo? Cospetto di Bacco! eccoti qui, don Petronio, questo libro Della Preservazione della Salute [42] de’Letterati! Gli è pur un libro piano e facile e alla portata di qualsiasi leggitore; gli è pur un libro che diverte con una somma varietà di notizie; gli è pur un libro che ne può essere d’ajuto grande a conservare la miglior cosa che si possa aver al mondo, cioè la salute. Ma vuoi tu dire, caparbio prete, che costà nella nostra metropoli sia così comunemente letto come lo sono le Ballerine Onorate, i Bertoldi in rima, i Congressi di Citera, le Poesie degli Arcadi, le Cicalate de’Cruscanti, e tant’altre insulse filastrocche, dalle quali non v’è nulla da imparare, se non talora un qualche mal vezzo? ◀Exemplum ◀Niveau 5 Leggi in quest’opera del Pujati, leggi solamente l’indice delle cose più notabili, e vedrai quante gran cose sono in così poca quantità di fogli ammucchiate una sull’altra, e vedrai di quante diverse idee e cognizioni un leggitore si potrebbe con esso arricchire con facilità la mente. Eppure nessuno lo legge, eccetto un qualche moderato studiante di medicina, o forse un qualche barbassoro di medico, per dirne anche del male occorrendo, trovandolo libro che può rendere in moltissimi casi inutile il ricorrere a sua signoria per assistenza. Eh, don Petronio mio, un libro di questa sorte sarebbe almeno per un tempo letto sino dalle donne, che si reputano due dita più su del volgo in certi paesi d’Europa; che al-[43]l’incontro in questa nostra tanto lodata Italia si potrebbe alla sicura scommettere un dente, che nessuna donna l’ha mai aperto. Basta che in Italia un libro sia indicato per libro scientifico dal suo titolo acciocchè non sia letto dall’universale; che all’incontro in Inghilterra e in Olanda, anzi nelle stesse gelate Svezie e Danimarche, anzi pure nella spaventosa Norvegia e nella stessa orribile Finlandia, dove il Settentrione sta di casa . . . Qui don Petronio perdette la pazienza anch’egli, come già l’aveva fatta perdere a me; e scagliando contro terra la sua pipa, che si fece in mille pezzi, e acchiappando stizzosamente il suo cappello e i suoi guanti, se n’andò con Dio senza voler sentire il resto della mia predica, e senza voler assaggiare un altro bicchiere d’un eccellentissimo Chianti che avevamo dinanzi. Confesso il vero, che questa sua subitezza e quel piantarmi lì, così alla brusca, senza pigliarsi in corpo tutte le belle cose che il caldo m’avrebbe fatto dire, mi scosse così a un tratto un po’più che non sarebbe stato necessario, sentendo massimamente il gran colpo che fece dare all’uscio scappandomi di camera come un lampo; ma presto mi ricomposi, e mi feci beffe della mia ed anche della sua troppa veemenza in simili casi. Che s’ha mo a fare? io sono d’una tempera ignea, [44] e sono stato viaggiatore, che tanto vale quanto dire un uomo poco avvezzo a soffrire contraddizione. Ma questo don Petronio, che pare il ritratto della flemma, come fa egli qualche volta ad essere così collerico? Affè l’Italia gli professerebbe molta gratitudine, se sapesse con quanta acrimonia e con quanta caponeria egli la difenda alcuna volta disputando con me, che essendomi fatto un vero cosmopolita vagando in qua e in là, non professo parzialità per altro che per quello che è ragione ed evidenza, e che caeteris paribus, tanto reputo mio concittadino un Tartaro o un Messicano, quanto un Italiano. Dopo d’avermi dunque digrumata un poco la rabbiosa partenza di don Petronio, lessi il capitolo quinto del libro del Pujati, che tratta del ballo, del suono e della musica, e poi me n’andai a dormire. ◀Récit général ◀Niveau 4

Poscritta. Siccome questo libro del Pujati sarà tosto o tardi multiplicato con altre edizioni, mi permettano i futuri editori d’esso ch’io dica loro una cosa, la quale nella suddetta disputa non volli dire a don Petronio, cioè che questo libro ha bisogno d’essere alquanto corretto riguardo alla lingua un po’troppo negletta dal suo dottissimo autore. E un’altra cosa, [45] che i futuri editori non faranno male se la faranno, sarà il toglier via tutti quegli epiteti di lode che quel buonuomo del Pujati diede a tutti que’letterati e valentuo-[46]mini da lui nominati. Tutti quegli addiettivi di celebre, d’illustre, di sopralodato, d’insigne, di famoso, ed altri tali che s’incontrano in troppe pagine, oltre che danno un’aria di troppo umile lusinghiero a quest’autore, lo fanno anche apparire troppo più parolajo che non occorre. Gli uomini insigni, celebri, illustri, eccetera, non perderanno punto della loro insignità, della loro celebrità e della loro illustrità, quantunque que’seccagginosi addiettivi si cancellino dal suo libro. ◀Niveau 3 ◀Niveau 2 ◀Niveau 1