Citation: Gasparo Gozzi (Ed.): "Numero XX", in: L’Osservatore veneto, Vol.1\020 (1761), pp. 85-89, edited in: Ertler, Klaus-Dieter / Fuchs, Alexandra (Ed.): The "Spectators" in the international context. Digital Edition, Graz 2011- . hdl.handle.net/11471/513.20.322 [last accessed: ].


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N° XX

Citation/Motto► . . . Animæ, quibus altera fato
Corpora debentur, Lethæi ad fluminis unda
Securos latices et longa oblivia potant
.

Virgil.

. . . L’anime a cui dovuti
Sono altri corpi, al fiume Lete accolte
Beon dimenticanze e lunghi oblii
Dell’altra vita. ◀Citation/Motto

Level 2► Level 3► General account► Il più bel pazzo ch’io conoscessi a’miei dì, è un certo Naldo che fu già calzolaio di professione, e al presente è uscito del cervello, per aver tralasciato di cucir suole e tomaie, ed essersi dato allo studio. Non credo in vita mia d’avere udite le più solenni bestialità di quelle ch’egli dice. Domandai a’suoi di casa quai libri egli fosse accostumato a leggere, e m’arrecarono innanzi uno squarcio tutto logoro e lacerato, di forse dieci o dodici carte il più, che conteneva un pezzo verso la fine del Dialogo decimo della Repubblica di Platone. Vedi s’egli avea dato in cosa da impazzare. Tutti i suoi ragionamenti non sono altro che a migliaia di tramutazioni della sua vita. Level 4► Utopia► Egli è uno de’maggiori diletti del mondo ad udirlo a dire ch’egli avea già un segreto di non so quai versi, e che quando gli dicea, l’anima sua usciva fuori del corpo, e andava aggirandosi invisibile dovunque egli volea. Che un tempo fu principe nel Mogol, e che avendo conferito ad un cortigiano molto suo amico il segreto suo, e pregatolo che gli custodisse il corpo vôto, mentre ch’egli andava svolazzando qua e colà in ispirito, il cortegiano gliel’avea accoccata. Perchè un dì standosi alla custodia delle sue membra vacue, gli venne in animo di recitare i versi, e incontanente uscì fuori del corpo anch’egli, ed entrò nel principe, e, posto mano ad un certo coltellaccio ch’egli avea, tagliò di subito il capo al proprio corpo che avea lasciato in terra; onde il principe ritornato, non sapendo più dov’entrare per allora, s’allogò in un pappagallo d’una signora ch’era morto in quel giorno. Vi so io’dire che in casa della signora, dove fu pappagallo, egli spiò di belle cose, e ne dice di quelle ch’io non potrei pubblicare. Ma perchè, essendo anche pappagallo, non avea perduta la malizia dell’uomo, egli facea anche un peggiore ufficio, cioè quello di notare i fatti di lei, e per dispetto di vederla ad ingannare ora questo, ora quello, avvisava gl’innamorati delle sue maccatelle; tanto che quella casa n’andava tutta a romore. Se non che avvedutasi la padrona un giorno della sua mala lingua, la gli si avventò alla gabbia con tanta furia, deliberata di rompergli il collo, che s’egli non avesse in fretta in fretta detti i [86] suoi versi, sarebbe rimaso morto. Uscito di pappagallo, volò in ispirito fuori d’una finestra, e non trovando meglio, s’allogò nelle membra d’una castalda morta che avea fatto impazzare il marito, il quale fu per impiccarsi quando la vide risuscitata. E così di tempo in tempo vivificò diversi corpi; e ora afferma che non sa come gli sieno usciti di mente i versi, e piange amaramente d’aver infine a morire. ◀Utopia ◀Level 4

Metatextuality► Non è però questa la sola pazzia ch’egli dice, ma un’altra non minore. Io credo certamente ch’egli abbia così dato nelle girelle, fantasticando sopra quello squarcio di Level 4► Platone, dove il filosofo racconta quella favola egiziana delle tramutazioni degli spiriti dall’un corpo all’altro. Pitagora e altri valentuomini antichi i quali non aveano la guida del lume maggiore, innamorati dell’attrattive della virtù, e volendo confermarla tra gli uomini, l’aiutavano con tale invenzione; e significando che un uomo nella sua seconda vita verrebbe premiato del suo bene operare, o del male gastigato, affermavano che l’anima dell’uomo dabbene sarebbe passata a vivere nel corpo d’un re, d’un principe o d’altro personaggio qualificato o fortunato, e quella del malvagio sarebbe stata condannata a far tela in un ragnatelo, ad andar saltelloni per un orto in una lucertola, o in altro peggiore e più schifo animalaccio. ◀Level 4 Ma per tornare al calzolaio e alla sua pazzia, egli cominciò a dire ch’egli era stato in un luogo dove si tramutano le vite, e che si ricordava benissimo ogni cosa; di che pregandolo io che mi narrasse tutto quello che se ne ricordava, cominciò a parlare in questa forma. ◀Metatextuality

Level 4► Utopia► Tu dèi sapere che due mila anni fa io fui un certo Aro Ermeno, e che morii in una battaglia; onde discesi in un bellissimo prato, dov’io ritrovai molti ch’io avea conosciuti al mondo uomini e donne, i quali mi si fecero incontra; ma volendogli io abbracciare, mi parea di toccar nebbia e fumo. Mentre che mi correvano tutti intorno a chiedermi novelle di costassù, come a colui che v’è andato di fresco, io udii sonare una tromba, e appresso una voce gridare: “O tutti voi, che siete qua e colà per lo prato dispersi, raccoglietevi dov’udite il suono, imperciocchè fra poco dovete scegliere novello corpo, e andare a popolare il mondo.” Ti dirò il vero, che non mi dispiacque punto lo intendere questa novità; perchè, quantunque il luogo fosse bello a vedersi, mi parea che vi regnasse una certa malinconia e taciturnità universale che non mi dava nell’umore. E tanto più l’ebbi caro, perch’io avea udito che ognuno si potea eleggere il corpo a modo suo, ed entrare dov’egli avesse voluto.

Di là a non molto tempo io vidi apparire una donna con un ordigno che aggirava certe infinite migliaia di fusa, e un’altra che avea nelle mani un bossolo, e tuttadue mostravano nelle grinze della faccia d’avere più centinaia, anzi migliaia d’anni. La seconda, poste le mani nel bossolo, ne trasse fuori certe cartucce, dov’erano, come dipoi vidi, segnati certi numeri, e le lanciò in aria, che pareano un nuvolo, donde poi cadendo disperse, a chi ne toccò addosso una, a chi un’altra, tanto che ogni spirito ebbe la sua, e conobbe al numero che gli era tocco, s’egli dovea essere il primo, il secondo o il terzo ad eleggere il no-[87]vello corpo. Appresso io vidi apparire sopra il terreno, e non so come, delineata ogni qualità di vita, tanto che ognuno potea vedere ed esaminare prima quella ch’egli avesse voluto eleggere, per non dir poi: io non ebbi campo a pensarvi. Il primo numero era tocco ad un poeta, il quale ricordandosi tutti gli stenti della passata vita, e sapendo i lunghi e molesti pensieri ch’egli avea avuti, stabilì di fuggire la carestia; e fisato l’occhio sopra il disegno d’una cicala, disse ad alta voce: “Da qui in poi m’eleggo d’essere cicala, per vivere della rugiada del cielo.” Così detto, divenne piccino piccino, gli s’appiccarono addosso l’ale e se n’andò a’fatti suoi, e la donna dalle fusa incominciò a filare la vita d’una cicala. Il secondo fu uno staffiere, il quale avea servito nel mondo ad una civettina lungo tempo, e ricordandosi le commessioni che egli avea avute, le polizze, le ambasciate, il continuo correre su e giù per sarti, calzolai, per acque, per medici, per cerusici, tanto ch’egli non potea avere il fiato, domandò di essere scambiato in un olmo; e così fu, e s’aggirò un altro fuso per l’olmo. Venne poscia una donna, ch’io avea già conosciuta al mondo per la più bella e aggraziata ch’io avessi veduta mai, la quale non avrebbe certamente potuto scambiare il corpo suo in altro migliore. Costei posto l’occhio in sui disegni delle vite, domandò che la sua tramutazione fosse in una donna brutta; e venendone compassione alla femmina del fuso, la gli chiese il perchè, ed ella rispose: “Nella mia prima vita io non ho mai potuto avere un bene. Quella mia bellezza invitava a sè un nuvolo d’uomini d’ogni qualità, tanto ch’io era assediata continuamente le calcagna. Non vi potrei dire quanta fu la mia sofferenza nel comportare goffi che voleano appresso di me fare sfoggio d’ingegno; uomini tristi che, non potendo colorire il loro disegno, m’attaccavano qua e colà con la maldicenza; io non ebbi in vita mia ad udire altro che sospiri e disperazioni, a veder lagrime; fui attorniata da quistioni, e, quel che mi parea peggio d’ogni altra cosa, da sonetti. Sicchè ad ogni modo ho preso il mio partito, e dappoichè debbo ritornare al mondo, io intendo di ritornarvi brutta, e di non avere quelle seccaggini intorno.” La fu esaudita. Io non ti narrerò tutte le trasformazioni ch’io vidi, d’un avvocato che volle diventare un pesce, per non aver voce, non che parole; d’un creditore che, per la mala vita fatta nel riscuotere, volle entrare in un corpo aggravato da debiti, dicendo che avea giurato, s’egli avea più ad entrare nel mondo, di voler piuttosto aver a dare altrui, che a riscuotere. Finalmente venuta la volta mia, tenendo a mente le fatiche da me sofferte nella guerra, volli entrare nel corpo di un porcellino, per vivere un anno senza far nulla, e morir fra poco, prendendomi per diletto il cambiare spesso la vita. ◀Utopia ◀Level 4 ◀General account ◀Level 3

Metatextuality► Non avrebbe il calzolaio pazzo finito mai, e m’avrebbe narrato tutte le sue trasformazioni fino al presente, se le sue ciance non mi fossero venute a noia, e non l’avessi piantato. ◀Metatextuality

Level 3► Letter/Letter to the editor► Metatextuality► Signor Osservatore. ◀Metatextuality

Level 4► Heteroportrait► Io non so se sia il nutrimento diverso dagli altri, che danno gli uomini di lettere al loro cervello, e quello stare continuamente spenzolati sui libri in solitudine; ma certamente non riescono nelle compagnie degli uomini secondo quel concetto che pure hanno. A me [88] sembra pure una strana cosa a dire: Il tale ha pubblicato un libro e n’ha acquistato onore; il nome suo va intorno per le bocche degli uomini; il cognome suo è conosciuto da tutti; tanto che molti desiderano di vederlo e conoscerlo e d’appiccare amicizia seco; e quando egli entra in una conversazione, che tutti aspettano d’udire concetti meravigliosi, appena egli avrà fatti uno o due inchini, quali ne vengono, si porrà a sedere con un viso sconcertato e sì di mala voglia, che a poco a poco i circostanti gli sbadigliano intorno. Quando si parte di là, si comincia a dire: “Oh, è egli poi vero ch’egli sia così gran letterato costui? Io lo credo un’oca, io.” – “Che m’importa a me,” dirà uno. “ch’egli consumi tutte le sue parole in sui libri e nelle stamperie per non aver più che articolare, quando si trova fra le genti? O non saremmo noi forse degni che Sua Signoria apra la bocca, dove non sono persone scienziate?” Dirà un altro: “Non sapete voi che cotesti dottori non parlano se non hanno meditato prima e pesato bene quello che hanno a dire? Chi sa quante cose egli avea sulla bilancia; diamogli tempo che pesi, domani verrà a dirci quello che non ha finito stasera di bilanciare.” Infine si levano i pezzi del fatto suo e si fa uno sghignazzare universale. Potrebb’essere che la sua taciturnità nascesse anche dal non aver egli parole a proposito per le compagnie usuali; essendo egli avvezzo ad un linguaggio suo proprio che non ha vocaboli per le cose correnti. ◀Heteroportrait ◀Level 4

In questo caso consiglierei gli uomini di lettere ad andare in qualche cantuccio delle botteghe da caffè con un taccuino segnato con l’alfabeto, e un toccalapis sotto il mantello. Quando dico segnato coll’alfabeto, non intendo già con l’abbicì tutto intiero dall’A fino alla Zita, ma solo con alcune lettere d’esso, per esempio B, C, G, P, e per rubrica d’esse lettere mettervi sopra Buontempo, Cuffie, Commedie, Giuoco, Guerra, Pioggia, che sono i titoli più universali. Con questo apparecchiamento di quaderno diasi al tutto ad ascoltare l’uomo di lettere, e secondo il titolo che viene dalla brigata intavolato, segni i vocaboli che sono usati, sotto alla sua rubrica, e noti bene in quante forme si parli sempre della stessa materia; indi uscito di là, procuri d’imparar bene a memoria questo dizionario, ch’egli non sa, o non si sarà mai sognato che gli dovesse abbisognare. Oh! con quanta sua maraviglia vedrà egli in brevissimo tempo sè essere divenuto eloquente e al caso di poter intendere un linguaggio nuovo che gli gioverà molto più che il latino ed il greco. Nè voglio ch’egli mi dica che l’alfabeto che io gli ricordo, sia troppo breve. Anzi tenga per fermo che poche altre lettere, o forse una o due, gli faranno bisogno per aggiungervi titoli nuovi; essendo questi i più usitati argomenti e i trattati in ogni luogo. Coll’andare poi del tempo s’assuefarà alle figure ed ai colori retorici, e con una buona imitazione imparerà a favellare con invasazione e con forza. ◀Letter/Letter to the editor ◀Level 3

Ritratto Decimoterzo. Level 3► Heteroportrait► La Geva, contadinella, tre mesi fa era di buon’aria e lieta. Spiccando un canzoncino, veniva la mattina fuori dell’uscio. Canterellava tutto il dì. Alla sua poverella mensa facea con gli scherzi ridere la famiglia. Vaghetta naturalmente, poco si curava [89] di ben coltivati capelli; un fiore a caso era suo ornamento. Perchè è divenuta oggidì malinconica e taciturna? Ha gran cura di sè. Fiorellini sceglie. Due o tre volte gli si misura alle tempie, alla fronte o al seno, poi contenta appena gli appunta. Geva alla venuta di Cecco arrossa e imbianca ad un tratto. Alitar corto e spesso le fa ondeggiare la vestetta al petto. Gli altri guarda con occhio sicuro, lui non s’attenta di guardare. Stizzosetta ad ogni detto di lui risponde. Quando egli parte, le si ammortiscono gli occhi, che alla sua venuta brillavano. Dov’egli vada non chiede mai: rizza gli orecchi, s’altri gliele domanda. Se d’amore si favella, non vuole udire: coglie sè stessa di furto che sospira. Di suo sospirare adduce fallaci scuse, se viene udita; se non gli sono credute, sta ingrognata. Cecco, tu hai chi t’ama di cuore. ◀Heteroportrait ◀Level 3 ◀Level 2 ◀Level 1