L’Osservatore veneto: Numero XVIII

Permalink: https://gams.uni-graz.at/o:mws-099-371

Nivel 1

N° XVIII

A dì 4 aprile 1761.

Cita/Lema

Omnino amicitæ, corroboratis jam, confirmatisque
ingeniis et ætatibus, judicandæ sunt.

Cic. De Amic.

Non si può veramente giudicare dell’amicizie,
se non quando l’intelletto e l’età saranno
assoluti o maturi.

Nivel 2

Non c’è al mondo vocabolo che più facilmente esca della lingua, dell’Amicizia; ognuno dice tuttodì: “Io son buono amico, degli amici miei pari se ne trovano a stento; quegli è veramente amico mio; oh! che leggi d’amicizia ha in suo cuore!” Sicchè a udire con quanta soavità e con qual calore escono dalle labbra sì fatte amichevoli dolcezze, parrebbe che gli amici piovessero da tutti i lati. Dall’altro canto però s’odono continue lamentazioni. Chi si querela d’essere stato piantato da uno ch’egli avrebbe creduto che fosse stato un altro sè medesimo, chi d’essere stato beffato da chi avea il suo cuore in mano; e non s’ode altro che: “Oh! la buona razza degli amici è spenta! oggidì non se ne ritrova più. Il nome c’è bene, ma la sostanza è sparita.” Io medesimo ho detto a’miei dì più volte quello che odo a dire a tutti gli altri, e mi sono querelato quanto ogni uomo di tale calamità. S’io ebbi torto o ragione, non lo so; ma certamente ebbi il torto a credere, massime nella mia giovinezza, che quattro buone parole, un’accoglienza amorevole e una faccia lieta fossero indizi d’amicizia. Questo è uno studio profondo che richiede una lunghissima sperienza, una prudenza mirabile che ci guidi, e un esame di varie circostanze. Il cuore dei giovani voglioloso, infocato e tutto sollecitudine ne’suoi desiderii, non ha tempo di fare molte riflessioni; ma lanciasi in ogni sua cosa, come dire, a nuoto, e tuffasi in questo ampio mare del mondo; quando è dentro, mena le mani e i piedi il meglio che sa, e giunge poscia a riva quando piace a Dio, e come può, o affoga. Se gli uomini sperimentati gli gridano dalla riva: “Olà, o tu, dove vai? Non fare: odi me;” gli stima pedanti, che vogliano impacciarsi ne’fatti suoi; e tutto quello che legge, se pur legge, gli pare un sogno, e cosa cattedratica, non da mondo. Finalmente invecchia, e va sulla riva a gridare agli altri, e gli viene prestato orecchio appunto in quel modo ch’egli l’avea prestato altrui; sicchè si può dire che questo mondo è composto di due fazioni di genti, l’una che sempre si gonfia il polmone a stridere e a dare ammaestramenti altrui, e l’altra di sordi che lasciano gracchiare. Ora, dappoichè l’età mia è giunta a tale ch’io debbo essere uno della fazione di coloro che cianciano, farò l’ufficio mio, come lo feci già del sordo quando dovea; se non che, non essendo io ancora invecchiato affatto, in iscambio di dare intorno all’amicizia precetti, intratterrò chi legge con una novelletta allegorica intorno a questo argomento.

Nivel 3

Alegoría

Narrasi dunque che negli antichissimi tempi, quando Ercole era uscito di pupillo, stavasi egli in grandissimo pensiero di quello ch’egli avesse a fare per guidar una vita veramente da uomo, e che lo conducesse ad una gloriosa fine. Due giovani donne gli si affacciarono insieme nel tempo delle sue dubitazioni, l’una delle quali era Voluttà, e l’altra Virtù; e ciascheduna di esse gli fece vedere la grandezza e magnificenza delle facoltà sue, con sì grande e con sì bell’apparato di parole, ch’egli stette buona pezza in fra due, se dovesse o l’una o l’altra seguire. Pur finalmente, come colui che avea gran cuore, turatisi gli orecchi a tutte le larghe promesse che Voluttà gli facea, s’attenne a Virtù, la quale presolo incontanente per mano, e rallegratasi seco che gli avesse creduto e si fosse messo in cuore di seguirla, gli disse: “Ora vieni meco, e io ti prometto di farti vedere il frutto della tua buona elezione.” Così detto, da una larga ed aperta campagna in cui erano, seco lo trasse ad un altro luogo dove si vedevano due cime di monti, le quali, a chi le guardava da lunge, parea che fossero insieme congiunte e terminassero tuttaddue in una; ma accostandovisi Ercole sempre più, conobbe che que’due gioghi erano da una grande area divisi. “Vedi tu?” dissegli allora la guida che lo conduceva; “quel giogo che a destra s’innalza, è sagro all’Amicizia, sorella e compagna mia, a me sopra ogni cosa carissima; l’altro a sinistra è albergo della Simulazione, stretta con vincolo di parentela a quella Voluttà che fu da te abbandonata. Accòstati, ed esamina con diligenza l’un luogo e l’altro, acciocchè vedendogli tu da lontano, non istimassi per avventura che fossero una medesima cosa. E perchè tu possa con accuratezza esplorare la natura di quelli, vedi qua, costei è Prudenza che verrà in tua compagnia, e ti farà vedere ogni cosa.” “Nota bene,” gli disse allora Prudenza, “che nelle radici di questi due monti non è diversità veruna; di qua e di là spuntano le stesse erbe, gli stessi fiori, eccoti le medesime piante; ma se all’occhio le ti paiono d’una stessa natura, non sono però tali in sostanza, dappoichè queste a man destra sono sempre fiorite, di frutti cariche, e spirano un odore beato; laddove l’altre a sinistra, vedi vedi che ora spuntano, e in un momento appassiscono e non hanno più foglie, nè altro odore che di feccia e di muffa. Alza gli occhi, Ercole, e osserva come dall’una cima e dall’altra sgorgano finissime e limpide acque, un rivolo di qua e uno di là. Diresti tu al vederle così al primo, che le non fossero tuttaddue egualmente la bellezza e la salubrità medesima? Fa’ delle mani giumelle: assaggia queste a man destra. Sono esse fresche? dolci? Sì eh? Assaggia l’altre. Oh! tu sputi. Senti tu come sono salse? come le sanno di pescheria. Fiuta bene. E sai tu che, bevute dappresso alla fonte, le fanno tremare i nervi e i polsi, sicchè l’uomo che ne bee, ne diviene paralitico, o gli va il capo intorno, che non sa più s’egli sia in questo mondo, o nell’altro? Vedi ancora quanto sieno diverse le due cime. Quella a destra è vestita d’una verde e tranquilla selva di belle ed ombrose piante che verdeggiano in eterno. I venticelli che fra esse spirano, le alimentano, non le frangono. Oh! che quiete è quella colassù. Tutto v’è pace, tutto consolazione. Pochi uomini veramente vi sono; ma se tu potessi di qua vedere que’pochi, tu gli vedresti tutti contenti, tutti consolati, andare e venire senza mai cambiare aspetto, nè punto turbarlo per interno dispiacere. Aguzza gli occhi; alzali appunto in sulla sommità. Che ti pare? È una bella donna quella che tu vedi costassù? Quegl’inanellati capelli, quella carnagione di rosa incarnatina sono bellezze sue naturali. Quivi non c’è bossoli, non lisci, non manteche. Quel suo bianco e sottilissimo vestito non ha una macula; ed è così fine, che quasi le scopri tutto il corpo. Anzi non le vedi tu forse l’anima in quel semplice aspetto, e ad un tempo nobile e generoso, in quel sorridere sempre stabile, che mai non si cambia, che dà segno d’una ferma contentezza? Sappi che, se tu potrai un giorno accostarti a lei, ella non ti darà però argento nè oro, no; ma la ti renderà sì bene tre volte e quattro migliore di quello che tu sei, e più nobile e grande.” Ercole parea fuori di sè per la maraviglia, e diceva: “Oh! quanto è bella colei! E quell’altre donne che sono in sua compagnia, quali son elleno?” – “Vedi tu,“ diceva Prudenza, “quella fra l’altre che si sta a sedere sopra quel seggio di purissimo diamante? Ella è Verità, figliuola di Giove; e quell’altra di così grato aspetto è Benivolenza, del cui ufficio la principale signora e padrona del luogo, Amicizia, si vale in ogni cosa. Sta’sta’, vedi ora quel fanciulletto, il quale nell’aspetto suo dimostra molto maggior gravità di quella che all’età sua convenga, ed ha in mano quelle catenuzze d’oro? quegli è Amore, ufficiale anch’egli dell’Amicizia; e non ha nè ale nè saette, ch’egli non vuole nè volare nè ferire, nè fa mai cosa crudele; ma s’egli s’abbatte ad animi buoni e concordi fra loro, tosto gli lega insieme e gli stringe. I legami suoi sono gagliardi e di tanta forza, che non v’ha chi gli possa più sciogliere nè spezzare; e sono di natura tale, che chi ne viene legato, non solo non se ne rammarica punto, ma ne gli porta tutto lieto, e non vorrebbe che fossero sciolti per quante ricchezze ha il mondo. “Ma egli è tempo, o Ercole, che tu ti volga ora a sinistra, e vegga l’altra cima, e l’altra donna che vi siede sopra, nelle cui fattezze tanti nomini ingannati affisano lo sguardo.” “Pare a te che la cima di questo monte, dove abita la Simulazione, sia punto in effetto somigliante all’altra? eccoti un sasso scosceso, dirotto, tutto greppi e rovine, attorniato da nugoloni negri, pieni di tempesta e di romore. Eccoti tutti que’dirupi e quelle balze coperte d’umane ossa, le quali vengono róse ancora così spolpate da salvatiche bestie, che avvelenano l’aria con la sanguinosa bava e col fiato. La donna che tu vedi quivi, è Simulazione, somigliantissima nel vero all’Amicizia, e con tutte le fattezze di quella. Ma quella sua faccia non è però una vera e naturale bellezza. Ell’ha una squamosa pelle, intonacata con due dita di belletto; e in iscambio di quel modesto risolino dell’Amicizia, vedi ch’ella finge di ridere, e boccheggia come un pesce uscito dell’acqua: e per parere anch’ella degna d’amore, ecco ch’ella finge d’amare svisceratamente quanti le si fanno incontro, anzi si fa loro innanzi, e gl’invita, e gli prega ad andar seco, e gli abbraccia, e fa loro offerte e soprofferte di mille qualità. Ecco che corte ell’ha, e qual brigata la segue: Insidia, Froda, e, in iscambio della Verità, lo Spergiurosfacciato e senza fede, il quale più di tutti gli altri seguaci serve coll’opera sua la maligna e pestifera Simulazione.” Dappoichè ebbe Ercole tutte queste cose vedute, scorgendo una femminetta che quivi zoppicava, domandò a Prudenza, chi colei fosse. “Sappi,” diss’ella, “che colei è Adulazione, una che alla Simulazione va innanzi; e come tu puoi benissimo vedere, tende mille lacciuoli a chi quivi entra, e si appicca loro al vestito con mille uncini, e con melate parole, o piuttosto incantesimi, gli persuade a non tentar mai di far cosa buona.” – “E quell’uomo malinconico,” disse Ercole, “che sta sopra pensiero, e conduce seco que’pochi che s’attristano, piangono e si stracciano i capelli, chi è?” “Quegli è il Pentimento,” rispose Prudenza, “che tardo cammina, e appena giunge a tempo. Nota com’egli aiuta que’pochi; e perchè non sia loro succiato il sangue affatto da quelle velenose bisce, ne gli toglie via di là, che appena hanno più anima nel corpo; e gli riconduce a casa, dove solitari e poco meno che disperati, condurranno da qui in poi una misera vita e piena di stenti, usciti dall’ugne dell’iniqua Simulazione.“

Nivel 3

Carta/Carta al director

Metatextualidad

Signor Osservatore
Ci sono alcuni che desiderano di vedere ne’vostri fogli qualche nuovo lavoro del pittore, il quale è un lungo tempo che non s’affatica. Stimolatelo a mandarvi qualcosa, e fatene partecipe il Pubblico, che vede l’opere di lui volentieri.

Metatextualidad

Addio.

Nivel 3

Metatextualidad

Risposta

Il pittore è uscito di città che sono parecchi giorni; e appunto ho ricevuto martedì una lettera da lui. Non sapendo in qual forma darle ricapito, acciocchè vi pervenga alle mani, mi vaglio del mio corriere, ch’è questo foglio.

Nivel 4

Carta/Carta al director

Metatextualidad

All’amico Osservatore, il Pittore
In quest’ozio della villa fo una dolcissima vita. La mente mia si va aprendo a poco a poco col favore di quest’aria di primavera, e fruttificherà come le piante. Ci sono venuto per disperazione. Il continuo pensare e dipingere m’avea così inaridito il cervello, che non avea più un pensiero al mondo. Dappoichè sono qui, pare ch’io mi sia rinnovato. Ritrovo qualche carattere d’uomo in un sasso, in un albero, in un bue, in un’oca, in somma in tutto quello che veggo. Non dubitate. Fra poco vi fioccheranno i Ritratti. Ho immaginato un certo lavoro d’arazzi istoriati, che non vi sarà discaro. Que’visi lunghi lunghi, quelle braccia infinite, e quelle gambe sproporzionate, che più volte ho veduto in certi arazzi antichi, m’hanno fatto nascere questo pensiero. Gli do esecuzione in questa pace villereccia. Vi confesso che rido da me medesimo a vedere i visacci che m’escono del pennello, e le capricciose grottesche, nelle quali vo esprimendo quanto posso l’animo e il costume delle genti. Stamattina ho dipinto un villano e una villana che fanno all’amore con una certa goffaggine la quale non tende ad altre gentilezze, fuorchè a quella dell’avere figliuoli. Ieri ho pennelleggiato un Ippocrate di queste boscaglie, il quale va a visitare gl’infermi sopra un cavalluccio spallato, con un valigiotto dietro al groppone, e déntrovi una spezieria e un arsenale di ferruzzi; perchè oltre all’esser medico, è anche cerusico, e trincia le gambe e le braccia a questi villani, come se fossero polli cotti. Ora ho alle mani gl’inchini e le sberrettate d’un villanzone, che per la sua eloquenza e gran mente è venerato da tutta questa ciurmaglia. In breve avrete nuove del fatto mio. Intanto stampate del vostro. Amatemi, ch’io amo voi.