L’Osservatore veneto: Numero XIV

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Nivel 1

N° XIV

A dì 21 marzo 1761.

Cita/Lema

Nimc et Anaxagoræ scrutemur Homoeomeriam. Lucr.

Ora esaminiamo anche l’Omeoemeria d’Anassagora.

Nivel 2

Anassagora fu uno de’più begli umori dell’antichità; cioè di que’tempi ne’quali gl’intelletti si sfogavano a dire le più strane opinioni che potessero entrare in capo umano. Costui volendo dimostrare altrui di che fossero fatte tutte le cose del mondo, inventò una certa faccenda nominata le Omeoemerie, come chi dicesse minutissime particelle somiglianti, le quali andavano a ritrovarsi insieme in questo modo. Tutte le minuzie dell’ossa, o vogliam dire gli ossicini invisibili, s’accozzarono insieme, e si legarono per forma che n’uscirono l’ossa; le venuzze andarono a ritrovarsi, e composero le vene; i sassolini si visitarono, e n’uscirono i sassi; e, in breve, tutte le particelle somiglianti con dolcissima amicizia si collegarono, e fecero tutto quello che si vede. E però, diceva egli, se voi volete vedere che così sia, notate quello che noi mangiamo. Agli occhi nostri il pane parrà tutto una cosa, l’acqua lo stesso; e tuttavia tanto nel pane, quanto nell’acqua, comecchè le non caggiano sotto gli occhi nostri, ci debbono essere infinite di queste particelle, una porzione delle quali, somigliando alle ugne, corre alle cime de’piedi e delle mani, e fanno crescere l’ugne; altre, che somigliano a’capelli, vanno alla cotenna del capo e s’aggiungono alla capellatura; e così dite de’nervi, de’muscoli, de’polmoni e di quanto altro abbiamo nel corpo. Di questo trovato parlano Lucrezio, Plutarco, e altri che ci hanno lasciato qualche memoria degli antichi filosofi. Io credo che Anassagora si prendesse un bel passatempo a studiare la varietà delle raschiature che concorrono a formare uomini e donne; quali particelle fabbricassero il cervello e il cuore degli avari, de’liberali, de’femminaccioli, degli studiosi, e in somma d’ogni genere di persone; perchè certamente non potrebb’essere che tanta varietà fosse composta d’una medesima pasta. Di questo sollazzo io ne ho avuto una parte stanotte dormendo, perchè dopo d’aver letto il verso da me allegato disopra, m’addormentai col pensiero dell’Omeoemeria, e feci il sogno che segue.

Nivel 3

Sogno

Nivel 4

Sueño

Entrai, non so come nè quando, in un’ampia e bella campagna, circondata da tutti i lati di verdi alberi, e innaffiata da’ruscelli, e sopra tutto sì risplendente, che da niun lato vedevasi la menoma nuvoletta che sopra d’essa l’aria occupasse. Da tutte le parti di quella menavano le braccia quasi innumerabili lavoratori, i quali tuttavia non adoperavano altri strumenti, fuorchè seghe e lime, e aveano dinanzi a sè molte materie, sopra le quali esercitavano le mani e i ferri, riducendole in minuzie; e ognuno separatamente collocava la sua limatura e segatura per modo, che qua e colà si vedeano apprestati infiniti monticelli di quelle. Mentre ch’io stava tutto attento, e quasi fuori di: me, ad osservare quella nuova generazione di lavoro, ecco ch’io vedeva aprirsi nell’Olimpo una grandissima porta, da cui vedeva innanzi a tutti uscire Giove, e diètrogli una lunga schiera di Deità; e a poco a poco ne vennero a terra, e giunti nella campagna in ch’io mi trovava, si posero in bell’ordine a sedere. “Voi vedete, o compagni,” diceva il padre de’Numi, “che le cose del mondo coll’andare del tempo si sono invecchiate, ed è nato un miscuglio tale, che la stirpe degli uomini sembra fatta di tutt’altra materia, e affatto diversa da quella che Prometeo adoperò nell’edificargli; e non so come nelle particelle d’alcuni si sono mescolate quelle degli altri; anzi sono entrate oggidì a formare corpi d’uomini e donne di quelle minuzie, ch’erano riserbate solo a comporre altre cose nell’universo. Peli di lione, artigli di nibbio, code di volpi, nervi di bertuccia, becchi di civette e lingue di pappagalli si sono mescolate a formare uomini e donne, i quali non sanno più quello che si vogliano, nè quello che si sieno, a cagione di così fatta mistura. Ma sopra tutto mi sbigottisce che Momo notomizzando sottilmente a questi passati dì un corpo di femmina, per riferirmi di che fosse fatto, mi disse che la maggior porzione di quello era composto di muscoli gagliardi e vigorosi, di che si vedea ch’erano nelle femmine passate le particelle de’maschi; e che sopra tutto giurerebbe d’avervi trovato nel mento alquante minuzie che gli pareano uno strato di barbe. Tanto m’atterrì questa novità, che io non volli vederne altro, nè andar più oltre col ricercare, tenendo per cosa ferma che se le porzioni stabilite a formare il maschio, erano passate nella femmina, doveano all’incontro quelle della femmina essere nel maschio passate. Io so bene che lasciando correre la faccenda a questo modo, a capo d’un lungo tempo il mondo tornerebbe allo stato di prima; nè altro avverrebbe, se non che quando tutte le particelle avessero scambiato luogo, quelli che si chiamano ora maschi, sarebbero femmine affatto, e quelle che si chiamano femmine, sarebbero maschi del tutto. Ma voi vedete che a ciò è necessario qualche migliaio d’anni ancora, e che frattanto questo scompiglio e miscuglio disordinato è cagione non solo di cose straordinarie sopra la terra, ma che noi medesimi siamo continuamente chiamati in aiuto da que’pochi che non hanno ancora in sè mistura che gli offende. Per la qual cosa, o Mercurio, da’ora subitamente nella tromba, e fa’un bando che debbano qui venire uomini e donne, perch’io intendo che sieno rigovernati di nuovo.” Appena egli ebbe così favellato, che Mercurio, posto bocca alla tromba, fece un altissimo suono, e da tutti i lati si videro a comparire uomini e femmine ad udire la volontà di Giove. Il primo ch’egli si facesse andare avanti, fu un cert’omiciattolo che avea più figura d’arpía che d’uomo, il quale, dopo un breve esame fattogli da Momo, si scoperse ch’era il più tristo taccagno, e il più misero avaro che fosse al mondo. Io vidi allora una mirabile esperienza, che soffiandogli Esculapio da quella parte dove sta il cuore, gli uscì incontanente fuori per la bocca un sottilissimo fumo, il quale si divise in più parti in aria, e in alto formò una certa pioggia, che cadendo poscia in terra, e da Momo disaminata sottilmente, fu ritrovato che quelle minutissime gocciole erano particelle che naturalmente doveano concorrere a formare ami, uncinetti, catenelle, e sanne di cinghiale, e s’erano non so come introdotte a formar il cuore di quello infelice; a cui Esculapio ne fece incontanente un nuovo, traendone la materia dalle limature ch’erano quivi state apprestate, di cui fece una morbida pasta e di carne. La seconda che s’appresentò a Giove, fu una giovane ariosa e gentile, a cui soffiando Esculapio, come avea fatto al primo, le uscì di bocca un certo fumo di colore grigerógnolo, il quale non si divise, come il primo, per l’aria, ma all’incontro si raunò e collegò tutto insieme, indi cominciò a volare, diventato una civetta. Di subito venne, come il primo, anche costei provveduta d’un cuore, qual si conveniva alla sua condizione. Non so quante penne mi sarebbero sufficienti a descrivere tutte le riformagioni ch’io vidi in quel luogo; nè di quante ragioni fumo scorgessi innalzarsi verso al cielo; ma sopra tutto mi ricordo, ch’essendo andato io medesimo dinanzi a Giove, Esculapio affermò che, quanto al cuore, egli giudicava ch’io non avessi in esso porzione alcuna che non appartenesse ad un cuore umano; ma che qualche particella avea nel cervello, che dovea concorrere a formar grilli e farfalle. Mentre ch’egli avea fatta la bocca tonda, e cominciato il soffio, un altissimo scroscio di tabelle mi percosse gli orecchi, ond’io destatomi all’improvviso, non potei ricevere la grazia del mio scambiamento, nè di veder quello di tanti altri ch’erano dinanzi a Giove apparecchiati.

Nivel 3

Carta/Carta al director

Metatextualidad

Signor Osservatore
Si maravigliano alcuni che nel mio matrimonio duri uno scambievole amore per diciott’anni, come se fosse oggi il primo giorno. Se mia moglie ed io avessimo seguito il costume di tutti gli altri, saremmo oggi annoiati per modo che non ci potremmo più guardare in faccia. Ma noi abbiamo con molta avvedutezza e pensiero posto rimedio a tutti que’mali che debbono di necessità derivare dal possedimento assoluto e dalla continua pratica. Avendo in mia giovinezza sperimentato più volte, che quando desiderava una cosa, mi parea di non averne mai a perdere il desiderio, e che non sì tosto l’avea acquistata, non passavano due ore che la m’era uscita di memoria, giudicai che il somigliante sarebbe avvenuto d’una donna, quando la fosse stata mia senza altri pensieri.

Nivel 4

Relato general

Per la qual cosa quando l’ebbi condotta a casa mia, benchè mi paresse di doverla amare per tutto il corso della mia vita, le parlai con una filosofica schiettezza, e le dissi: “Moglie mia, io vorrei che la volubilità del cuore umano non entrasse giammai in quel vicendevole amore ch’io conosco benissimo essere acceso fra noi due al presente: ma così è fatta l’umana natura, che la non può lungo tempo durare in un solo sentimento. Dovendo noi due da qui innanzi essere sempre insieme giorno e notte, non può darsi che non ci venghiamo a noia l’un l’altro. Per la qual cosa io ti prego, quanto più so caramente, che quand’io ti dirò che in me va cessando l’amore verso di te, tu non lo ti abbia a male; ma cerchi anzi ogni mezzo per far sì ch’esso riesca durevole per tutto il corso della mia vita; e tu apertamente mi dirai il medesimo, quando ti accorgerai che nell’animo tuo esso si vada a poco a poco ammorzando.” La donna mia sparse a questo favellare qualche lagrimetta, e giurava . . . “No no,!” diss’io, “fa’com’io ti dico:” e tanto ne la pregai, che fummo d’accordo. Non passò un anno ch’io m’avvidi che in me si raffreddava quel primo bollore, e non sapea come deliberare a dirle il caso mio, vedendo ch’ella non era punto cambiata. Con tutto ciò, fatto cuore, gliene significai con quelle migliori parole che potei, tremandomi quasi la voce per sospetto d’offenderla. Fu però grande la mia maraviglia, quando ella tutta arrossita mi confessò ch’erano già passati tre mesi che si trovava nel caso mio, benchè non avesse avuto ardimento di palesarmelo. “Oimè!” diss’io, “qui si conviene mettervi subito rimedio; e però, addio: tu starai una settimana senza vedermi;” e così detto le volsi le spalle. Ella n’ebbe una grave passione, e vedendo in effetto ch’io non ritornai la sera a casa, ingelosì del fatto mio, e cominciò a spiare dov’io fossi; e trovato ch’io era con un amico, dove non le potea cadere sospetto veruno, le doleva fino al cuore che si dovesse spargere la novella di tale abbandonamento, e mi scrisse la più cara e affettuosa lettera che mi pervenisse mai alle mani, alla quale io risposi con altrettanto affetto, e la notte andai sotto alle sue finestre con musici e sonatori; e quando fu chiusa la serenata, licenziai la compagnia ed entrai in casa ridendo. Ella si rideva anch’ella della mia pazzia; e due animi in tal guisa ricreati, ritornarono ad amarsi con gran fervore per qualche tempo. Dopo alquanti mesi, una sera entrato in casa, in iscambio di ritrovarvi la moglie, trovai una polizza di lei, nella quale mi avvisava che, stanca delle mie fantasie e de’miei capricci, la s’era risoluta d’andare alla casa della madre, e di quivi dimorare senza vedermi mai più, non potendo ella sofferire la mia volubilità e il mio poco amore. Fui percosso quasi da una folgore, e correndo alla casa della suocera, saliva le scale, facendo gli scaglioni a due a due, per attestare alla moglie l’amor mio; ma in iscambio di lei mi venne incontro la vecchia, la quale, rimproverandomi le mie pazzie, conchiuse ch’io le uscissi di casa, e ch’io non avrei veduta mai più la figliuola. In tutta notte non chiusi mai occhi; e la mattina per tempo scrissi una lettera alla moglie, chiedendole scusa, e ricordandole i nostri patti. Vennemi una brusca risposta; questa tanto più m’accese: replicai; tornarono indietro migliori novelle. Infine fra due dì fummo rappacificati; e mentre ch’io mi volea seco dolere della sua fuga, la si diede sgangheratamente a ridere, e mi disse ch’essendosi in que’dì annoiata di più vedermi, l’avea cercato quello spediente. Io la stimai donna di spirito, e mi crebbe l’affetto: ella si rideva d’aver saputo così bene colorire la beffa, e tuttaddue fummo contentissimi l’un dell’altro per molto tempo. Da indi in qua di quando in quando ci siamo mantenuti in amore, col mettere qualche difficoltà di mezzo alla nostra continua pratica e alle nostre domestichezze, tanto che sono passati diciott’anni. Oggidì siamo buoni amici, e ci ridiamo del passato.

Metatextualidad

Se volete pubblicare in iscambio d’una novella questa baia, fatelo. Addio.