L’Osservatore veneto: Numero XIII

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N° XIII

A dì 18 marzo 1761.

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Il Pittore dei Ritratti

Diálogo

Benedetti quei mestieri e quelle arti nelle quali ha poco che fare la testa, ma sono opera delle mani. Quando un calzolaio ha imparato bene il modello d’una pianella o d’uno stivale, le braccia l’assecondano per tutto il corso della sua vita, e ne fa le migliaia senza altro pensiero, e quasi tutte gli riescono a buon fine. Così fa il legnaiuolo, così il muratore, il tesseragnolo e tutti gli altri artisti. Quando s’entra in quelle arti che si chiamano liberali, s’ha ad attendere che la fantasia si svegli; un po’di pensiero strano che la sturbi, ti fa diventare un’oca; l’umido, il vento e mille varietà dell’aria v’hanno tanta influenza dentro che ti pare ancora d’essere alla scuola o per meglio dire di non saper nulla. Chi non sa, crede che tanto sia un giorno quanto l’altro, e che si possa sempre ad un modo; non è vero. Di qua nasce che si veggono tante diversità d’opere in un pittore, in un poeta, in un musico. Queste sono arti che vorrebbero essere esercitate poche ore del giorno, o piuttosto della settimana, e non più. Il fiore solo dell’ingegno vi s’avrebbe ad adoperare non altro. Questo in poche ore della mattina si consuma; tutto il restante della giornata è uso, pratica, non opera d’intelletto.

Metatextualidade

Tutto ciò vi dico per iscusarmi appresso di voi se ne’passati giorni non v’ho mandato veruno de’miei ritratti. Non so da che sia proceduto, ma non m’è riuscito in tutto questo tempo di sbozzarne uno. Stamattina, quasi posso dire in un attimo, sono venuto a capo di tre. Eccogli.
Ritratto Decimo.

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Retrato alheio

Bella e di sedici anni è Cassandra. L’allevarono in virtù padre e madre, ora poveri e infermicci. Piange la fanciulla lo stato loro. Parenti da lato paterno e materno la compassionano nelle compagnie: ma in casa sua più non vanno; gli amici sono spariti. Curio lo sa, cerca di vederla. Appicca seco amicizia; sente pietà del padre e della madre di lei. Per soccorrergli, manda il mercatante, acciocchè la fanciulla s’elegga a suo piacere vestiti, il più perito sarto, la miglior mano ch’usi pettine e forbici. Cassandra ha staffiere, gondolieri, dilicata mensa. Esce mascherata con Curio di giorno e di notte. Entra seco nei teatri; dove sono passatempi, si trova. Vede padre e madre meglio nudriti: non ha più cagione di pensieri: perchè non è lieta? La virtuosa fanciulla sa in sua coscienza che Curio non è veramente liberale. Curio investe.
Ritratto Undecimo.

Nível 3

Retrato alheio

Un buon vecchiotto ha davanti a sè due libri. Fattosi d’una palma letto alla guancia, or questo legge, or quello; gli confronta, gli esamina. Ha incavati occhi, pallido colore, aggrinzata pelle. Tramuta in sè il contenuto di quelli, in anima e sangue. Talvolta di là si parte, e con vigoroso intendimento s’immerge a considerare nel ceto umano vizi e virtudi. Dall’alto favella. Tuono e saetta è il suo ragionare; e talora mèle e dolcezza. A proposito sbigottisce e conforta. Se per universale carestia piange il minuto popolo, o avarizia fa chiudere i granai a’più potenti, il buon vecchio al soffio di sue parole fa chiavistelli aprire, grano spargere, abbondanza nel caro nascere; lagrime d’orfanelli e vedove rasciuga. Ire ammorza, ebrezze raffrena. Il vecchio è Basilio il Grande, i due libri Bibbia e Vangelo, semplici Omelie sono la sua eloquenza.
Ritratto Duodecimo.

Nível 3

Autorretrato

Qual ape da fiore a fiore, trasvolo da libro a libro. Arti di bel parlare e di garbato periodeggiare sono gli autori ch’io leggo. Squisita dicitura e a squadra composta è il mio favellare. Figure, fraseggiamento, minute pitture, atteggiamenti quasi apparecchiati allo specchio, e fuor di casa meco arrecati, voce a battuta è la mia, eloquenza. Chi m’ascolta non piange, non si move a far meglio. Prestami gli orecchi, non altro. Che è a me? Io ho però saputo far cambiare in nomi più nobili al ragionare pubblicamente quel meschinetto titolo d’Omelia. M’accosto a’gran padri dell’eloquenza, Demostene e Cicerone. Paeselli poveri non m’invitano nè sono degni d’udirmi. Quello che l’arte del parlare ha perduto nel frutto, l’ha acquistato per opera mia in grandezza. Bene sta: ma il frutto solo fa la grandezza di quest’arte.

Diálogo

Nível 3

Carta/Carta ao editor

Metatextualidade

Signor Osservatore Io vi parlo con ischiettezza.
Non ci trovo il mio conto nella lettura de’vostri fogli. Dessi sono troppo serii e voglion esser letti con qualche poco d’attenzione. Il mio spirito è tutto moderno. Mi compiaccio de’pensieri falsi, dell’arguzie scipite e de’tortuosi scherzi di parole. So bene che i vostri fogli hanno per iscopo il fare con delicatezza delle lezioni sopra i costumi. So che la mente, quella buona donna che conduce il cuore, quel cieco rigoglioso, ha in ogni tempo dato degli ammaestramenti veri al suo compagno; e so che senza d’essi ci cozzeremmo insieme per le strade come fanno le bestie, viveremmo tra boschi come le fiere, e saremmo preda delle sfingi allegoriche. Ma in onta di tutto questo a me piace l’ozio, e per conseguenza mi piace di leggere quelle cose che nel leggerle mi lascino ozioso. Mi piace quello stato felice di cui ho goduto da ragazzo. Non dormo, se non mi viene conciliato il sonno da qualche ciancia romanzesca. Non saprei abbandonarmi al sonno con li vostri fogli morali in mente: o se dormissi, quali sarebbero i miei sogni? Morale, economia, ordine, buon costume, con le loro larve deformi mi riempirebbono di spavento. Pieno d’idee malinconiche, nel presentarmi alla tavoletta di qualche Filodemia, declamerei contro la vanità e contro lo svagamento. Oh pensateci se non verrei subito cacciato via colle male parole! E allora cosa sarebbe di me? Dovrei ricorrere alla vostra conversazione o a quella di qualche vostro amico, perchè mi faceste morire di malinconia coll’obbligarmi ad ascoltare od a parlare da filosofaccio. Così è. La vostra bile (sebbene io sospetti gagliardamente che dessa dica il più delle volte la verità) cerca d’obbligarmi anche scherzando alla lettura di libri che vogliono esser letti con attenzione e che presuppongono molte cognizioni. Così di scherzo vorreste farmi applicare allo studio del lunario; quasi che il lunario fosse libro per oziosi, per donne, o per ragazzi. I solstizii, gli equinozii, le lunazioni e gli eclissi presuppongono qualche notizia della sfera. L’arrivo e la partenza delle poste presuppongono qualche notizia di geografia. Taccio del rimanente. Oh pensate voi se a questi patti voglio perdermi col lunario. Se volete dunque che io proseguisca a leggere i vostri fogli, dalla indole mia di cui v’ho dato contezza, prendete norma per iscriverli. Nè mi steste a dire che la mia indole è de’secoli barbari. Io non mi curo di queste ciance; se il vostro cervello, di cui non saprei dir male, per ragione di sua ben ordita tessitura, di ben proporzionata miniatura degli oggetti, di giusta ed analoga combinazione delle idee (oh! che parolacce!), se il vostro cervello, dissi, non può impiegarsi in cose al gusto mio più piacevoli e grate, io vi volgerò le spalle.

Metatextualidade

E sono vostro servitore Edipo

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Metatextualidade

Risposta
Al primo aprire del vostro foglio fui per ispiritare, e mi si arricciarono i capelli in capo, quando lessi a pie di quello il vostro nome: Edipo! Mi cominciarono a battere i polsi, e già immaginava d’avervi a ritrovare qualche spettacolo tragico; qualche descrizione di sangue sparso tra fratelli, di madri impiccate ad un laccio, d’occhi accecati e d’altre così fatte orribilità. Leggendo via via mi tornò il cuore in corpo e compresi finalmente che quell’Edipo altro non significa fuorchè uomo il quale non sa o non può valersi de’piedi suoi; e che forse vi siete così nominato allegoricamente per far conoscere il vostro umore d’andare adagio, di viver a sedere o coricato, in breve il vostro desiderio di poltroneggiare coll’intelletto. Edipo mio, io non son uomo da interrompere il vostro sonno; e vi chieggo scusa se non sapendolo o non volendolo io, v’avessi mai co’miei fogli risvegliato. Io non avrei creduto che vivessero al mondo uomini in fasce e col capezzolo della balia alle labbra in tutti gli anni della loro vita; per modo che tutti i libri che si stampano, e tutte le scritture che si fanno, altro non dovessero essere fuor che canzonette da cantarsi alla culla, o baiucole d’orchi e di streghe o somiglianti chiappolerie. La credenza mia fino a qui è stata che secondo che gli stomachi si rinvigoriscono con l’età, si dovesse scambiare il cibo, e passar come dire dal latte al panbollito, da questo a un sommolo d’ala di pollo, poi alla carne di bue, e dare una sostanza a tutte l’età conveniente. Quando ho veduto occhi che guardano, lingue che favellano, e facce umane, io non ho mai potuto divezzarmi dal giudicare che di sotto da esse vi sieno cervelli, intelletti, immaginative e memorie, tutte cose attive e vivaci, che cercano pastura, sostanza e movimento. Non ho mai saputo avvilire cotanto la condizione umana nel mio pensiero, che io abbia sospettato ch’essa volesse essere intrattenuta nell’ozio o nel sonno perpetuamente. Mi sarei forse ingannato? Quasi quasi voi me ne fate dubitare. E tanto più perchè quello che voi mi dite apertamente, mi fu già bisbigliato agli orecchi da più lati, che gli argomenti trattati da me sono troppo gravi, quando avrei giurato in mia coscienza ch’essi erano anche soverchiamente leggeri. Di nuovo vi chieggo scusa, se così è come voi affermate. Io non vi dirò già che comperiate o no questi fogli, non m’arrischio a pregarvi di ciò: fatene a vostra volontà. Chieggovi solamente, se voi gli comperate ancora una volta o due, che facciate una sperienza. Non v’arrestate punto in essi con la riflessione; leggetegli trascorrendo a furia, tanto che se ve ne viene domandato, possiate dire d’avergli letti e non più. Ad ogni periodo o due, domandate ora il caffè, ora la tabacchiera od altro, e se avete intorno persone che parlino, state attento con gli orecchi a quanto dicono, e rispondete anche loro talvolta, o accarezzate un cagnuolo dicendogli qualche parola vezzeggiativa di tempo in tempo, tanto che non vi troviate con tutto l’intelletto occupato nella lezione. Io ho veduto a questo modo leggere i più profondi e più dotti libri del mondo, senza che riuscissero per la loro profondità e dottrina molesti a’leggitori. Infine infine i miei fogli non sono poi sì gran cosa, e si potrà benissimo dormire con essi in mano, come con tutti gli altri libri, senza punto entrare in meditazioni gravi, nè sognare faccende che arrechino inquietudine. Credetemi, questo metodo di leggere vi lascerà nell’ozio vostro, anzi vi darà diletto d’ogni libro, come se voi sentiste favellare un pappagallo o una gazza; e se voi viveste cento anni leggendo in questa guisa, non uscirete mai di pupillo, e rimarrete quel gioviale ragazzo ch’eravate non so quanti anni fa, e che procurate d’essere al presente. Io giurerei che questa norma non potrebbe essere biasimata da qualsivoglia Filodemia, perchè voi sarete sempre in istato di dirle quante baie volete, e di cianciare a sua volontà; perchè il vostro cervello non verrà mai intorbidato da pensieri gravi. Non crediate già che questa sia una ricetta inventata da me, no; ma è solamente un’osservazione secondo l’usanza mia. Non vedete voi quante sono le botteghe de’librai? quanto ampie le corrispondenze per un traffico di libri perpetuo? Ogni dì si vende, ogni dì si compera: sempre escono frontespizi nuovi: continuamente si scrive e si stampa. Se non s’usasse comunemente il metodo del quale io parlo, credereste voi che le genti potessero leggere come fanno, senza sturbarsi punto l’intelletto? Edipo mio, voi vedete, io confesso il difetto mio; ma voi dall’altro lato dovete emendarvi, e uscir d’errore voi ancora, e se mai aveste pensato che io studii con artifizio di farvi leggere con attenzione, disingannatevi; e credete che io non m’arrisico a persuadermi che i fogli miei debbano essere letti con maggiore applicazione che gli altri libri.

Metatextualidade

Mi raccomando alla grazia vostra. E sono vostro servidore, L’Osservatore

Nível 3

Carta/Carta ao editor

Metatextualidade

Signor Osservatore
O voi non avete letto un picciolo e garbato libretto stampato in Fantasianopoli e venduto dal vostro Paolo Colombani, o non posso intendere perchè la materia in esso trattata non sia stata argomento delle vostre osservazioni. Certamente che quel Discorso sopra la morte di Iacopo Matteo Reinart Mastro calzolaio vi potea aprire la via a molte degne considerazioni. Ogni uomo, per quanto può, utile a quella società in cui vive, è sì nobile che un’orazione delle sue lodi dovrebbe essergli fatta dopo la morte. Non è picciola virtù l’avere provveduti i piedi del prossimo suo di scarpe in tutto il corso della vita, e contentarsi di star a sedere, tirar cuoi con le tanaglie e co’denti, e spago a due mani senza fare altro. Quello che dico de’piedi, dico anche del restante del corpo. Non fa minor benefizio un sarto, un cappellaio, un berrettaio e altri siffatti; massime se eserciteranno l’arte loro con lealtà e pazienza. Fino a tanto che vivono, la buona usanza sarebbe dar loro qualche rimunerazione, come a dire a chi fa la miglior berretta in quest’anno, io darei tanto, e tanto a chi fa il miglior cappello o mantello di tutti. In tal guisa si vedrebbono gli artisti a gareggiare, massime quando si vedessero sicuri di doverne anche essere lodati dopo la morte, e che non hanno perduta la gloria per avere esercitata un’arte meccanica, e che acquistano onore anche con le forbici, con l’ago e con altri strumenti siffatti, quanto con la penna o con la spada. Io vi parlo così in breve, prendetevi queste mie parole per una favilluzza che forse desterà nell’animo vostro un incendio; e comincerete a girar gli occhi vostri intorno intorno nell’infinito numero degli operai, per fare ad alcuno di quelli l’onore ch’egli merita, e seguire quel nobilissimo intelletto che ve n’ha aperta la via col suo filosofico Discorso.