Citazione bibliografica: Gasparo Gozzi (Ed.): "Numero III", in: L’Osservatore veneto, Vol.1\003 (1761-02-11), pp. 10-14, edito in: Ertler, Klaus-Dieter / Fuchs, Alexandra (Ed.): Gli "Spectators" nel contesto internazionale. Edizione digitale, Graz 2011- . hdl.handle.net/11471/513.20.305 [consultato il: ].


Livello 1►

N° III

A dì 11 febbraio 1761.

Citazione/Motto► Murmur incertum, atrox clamor, et repente quies.
Diversis animorum motibus pavebant, terrebantque
.

Tac., Ann., lib. I.

Un bisbigliare non inteso, stridere atroce, chetarsi
a un tratto. Con movimenti contrari d’animo
si mostravano timorosi e tremendi. ◀Citazione/Motto

Livello 2► È cosa naturale che gli uomini, prima d’avere formato le parole, si valessero de’cenni per significare le loro bisogne e le volontà. I fanciulli, prima che sappiano balbettare e mozzare fra’denti qualche parola, si vagliono del sussidio di certi attucci ch’esprimono le voglie loro; e ci sono mutoli fra noi, i quali hanno per necessità ridotta questa facoltà a tanta squisitezza, che raccontano e fanno intendere altrui una storia. L’arte, imitatrice della natura, non lasciò cadere inutile tal qualità dell’uomo; anzi con lungo esame e con sottili perscrutazioni tanti principii trasse da’movimenti del capo, delle braccia, delle gambe e de’piedi, che ne compose un piacevolissimo Dizionario da esprimere l’amore, la collera, l’allegrezza, l’odio, la gelosia, l’invidia e molte altre passioni umane, e intitolò il suo Dizionario: La danza. Tutti que’movimenti, così grati agli occhi e al cuore degli spettatori, non sono altro che cenni e movimenti sottoposti ad alcune regole che gli legano a certe classi e gradi, e hanno i loro capitoli e le loro proprie divisioni, come la Rettorica d’Aristotile, o quella di Quintiliano. Comecchè però l’arte del ridurre i cenni significativi sembri pervenuta al colmo della perfezione, parmi che non tutte le sue parti siano state studiate con diligenza, e che non poco le si potrebbe aggiungere ancora dagl’intelletti speculativi. Ci sono alcuni cenni o segni i quali non sono nè affatto parole, nè affatto cenni. Parole no, perchè non v’entra l’articolazione della lingua; nè cenni del tutto, perchè sono aiutati dalla voce, o da quell’aria che forma la voce. Fra questi sono la tossa, il soffiarsi il naso, o sputare con forza, gli starnuti ed il fischiare, a’quali mancano le grammatiche, le rettoriche ed i maestri. Io non mi tengo da tanto, nè sono uomo tale che intenda di fare un’arte per assoggettarvi queste sei specie di semicenni; ma dico solamente che, se al-[11]cuno volesse prendersi la briga di meditarvi sopra, son certo che ne riuscirebbe con sua riputazione, e con benefìzio del ceto umano; o almeno potrebbe vantarsi d’essersi adoperato in cosa nuova e in un argomento non più caduto in intelletto d’uomo; cosa d’importanza in un tempo in cui sono state prese quasi tutte le materie, e fu trattata ognuna da tanti.

Livello 3► Racconto generale► Essendo però io stato quel primo a cui è caduto in animo di porre sotto alcune regole quest’arte, parmi di necessità il dire in qual forma mi nascesse di ciò il pensiero. Questo fu per caso, come appunto avviene di quasi tutti i segreti e arti nuove; le quali hanno l’origine loro da leggerissimi principii e semplici. Io mi trovava pochi dì fa in una chiesa per udire un dottissimo Padre, il quale dovea fra poco con la sua nobilissima eloquenza spiegare la divina parola. E già poco tempo dovea egli stare ad apparire in sul pergamo, quando vidi entrare nella medesima chiesa, in cui già erano molti uomini ragunati, una femmina, che, a quanto prediceva il suo portamento e l’aria, avea un certo che dell’intelligente e di capacità. La non avea come tutte l’altre una certa studiata attillatura, ma più presto parea vestita a caso, che con diligenza. Teneva gli occhi alti, camminava a lunghi passi, guardava tutte le genti in faccia come soggette a sè; in somma le si leggeva nel viso il suo parere, cioè ch’ell’era venuta quivi a dar giudizio dell’orazione. Si rivolsero verso di lei le occhiate di tutta quell’adunanza, e non so s’ella vi fosse conosciuta, o no; ma ciascheduno s’affrettava per allargarsi sollecitamente, e lasciamela passar a sedere a suo agio; accrescendo in tutti la civiltà e il buon garbo, il veder un bel viso e due bracciotte bianche come la neve. Quand’essa fu giunta dove le parve, diede di mano ad uno scanno, e senza punto curarsi d’averne fatti cadere in terra due o tre che n’avea d’intorno, con altissimo romore, si piegò e sedette in faccia al luogo dell’oratore: dove tratto fuori delle tasche un bel moccichino di seta, in una maniccia di candidissimi ermellini, che avea, lo ripose. Parve che quest’atto, veduto da’circostanti, risvegliasse tutta l’udienza, perchè tutti, quasi ad un segnale dato per ordine di capitano, si posero le mani alle tasche, credo per accertarsi s’anch’essi aveano moccichino da valersene a tempo. Intanto salì l’oratore in sul pergamo, e con tutte le squisitezze dell’arte oratoria, non punto dimenticatosi però della gravità di suo uffizio, disse lo esordio, e lo proferì con sì bella voce e con sì misurati movimenti, che tacitamente in mio cuore io gli dava il pregio d’ottimo dicitore, e provveduto di quelle qualità che ad un maestro altrui appartengono. Ma non sì tosto egli fu giuntò al fine del suo proemizzare, che la buona femmina tratto fuori il moccichino degli ermellini suoi, lo si pose al naso, e vi sonò dentro la tromba; e nel medesimo tempo vidi da dugento e più mani in circa col moccichino al viso accordarsi col primo strumento, per modo che la casa d’orazione fece un solenne rimbombo universale. M’avvidi allora che in tal guisa gli uditori, non potendo battere le mani, nè alzare la voce, adoperavano il naso; e comecchè la mi paresse cosa non convenevole a quel luogo, e forse rincrescevole all’umiltà e bontà del sagro dicitore, pure quasi mi vergognai d’essere rimaso fra tutti gli altri col naso [12] scoperto, e proposi da me di rimediarvi al primo bel passo che avessi udito.

Intrinsecavasi frattanto lo sperto dicitore nella materia, e con tanta forza e sì appassionatamente la coloriva, ch’io credea fra poco di vedere l’udienza a singhiozzare ed a piangere. Con tutto ciò, vedendo che ognuno avea gli occhi asciutti, e solamente spalancati e fisi per l’attenzione, mi ricordai del moccichino, e giudicai fra me che fra poco sarebbe venuto il punto dell’adoperarlo. Ma m’ingannai; perchè arrestatosi alquanto il dicitore per riavere il fiato, e pensando io che quello fosse il momento di soffiarsi il naso, lo strinsi nel fazzoletto, e fui solo; perchè la donna incominciò a tossire e sputò, e la tossa e lo sputare andò in un attimo circuendo fra tutti i circostanti; per modo che se il romore universale di tossa e sputo non avesse affogato il mio, correva risico di movere a riso col mio tuono particolare e diverso dagli altri. Vedendo io dunque che non era atto ad intendere quando si dovea usare il moccichino e quando la tossa, proposi in cuor mio di commendare il dicitore fra me, e di riconoscere le verità ch’egli diceva nella sua orazione, senza farne cenno aperto ad alcuno, o curarmi d’essere tenuto per un idiota e incapace d’intendere le molte bontà e il figurato parlare dell’oratore. Terminato il suo giudizioso ragionare, me n’uscii di là mezzo assordato; e a poco a poco riavutomi, cominciai a considerare che, da quanto udito avea, si poteano gittare i nuovi fondamenti dell’arte ch’accennai di sopra, e ridurre i semicenni della tossa, dello sputare, e indi anche dello starnuto e d’altri, ad una norma utile e dilettevole; assegnandole però altri luoghi da esercitarla comunemente, fuorchè quello in cui mi venne questo pensiero la prima volta. ◀Racconto generale ◀Livello 3

Citazione/Motto► Multos libi dabo, qui non amico, sed amicitia
caruerunt.

Sen., ep. VI.

Molti io ti porrò innanzi, che non furono
privi d’amici, ma d’amicizia. ◀Citazione/Motto

Metatestualità► Nelle carte de’miei confratelli Pellegrini, i cui tre ultimi fogli sono ora sotto il torchio, ho ritrovato il detto di Seneca allegato qui di sopra: e ad esso di sotto questi pochi versi, che il satirico poeta di quella compagnia avea dettati con intenzione di proseguire. ◀Citazione/Motto

Livello 3► Vana filosofessa, e di civette

Consorzio, Atene, in cui molto si ciancia
Di verace amicizia entro alle scuole;
E poi nell’atto dell’umana vita
L’un dell’altro il coltel ficca in la strozza:
[13] Co’tuoi ben recitati in su’teatri
Piritoi e Tesei, Piladi e Oresti
Rimani. Sì disse Timone un giorno,
E dispettoso alto gridando: Togli,
Le mani alzò con amendue le fiche,
Squadrolle alla città, volsele il tergo. ◀Livello 3

Io non sono poeta, nè mi darebbe l’animo di tirare innanzi questa satira, massime col nervo di sì robusto stile. In quello scambio farò alcune poche osservazioni intorno all’amicizia, ma brevi, per discoprire l’inganno in cui era Timone, nell’odiare tutto il genere umano come tristo; nel qual errore caggiono non pochi anche al giorno d’oggi. Livello 3► Exemplum► Timone fu un ricchissimo uomo d’Atene, come ognun sa; ma larghissimo spenditore e solenne in metter tavole, far conviti, largheggiare con ognuno, senza scegliere più questo che quello. Avvenne finalmente che votò in pochi anni i tesori suoi, e credendosi di trovare aiuto da coloro ch’erano stati da lui in tante guise beneficati, tutti gli volsero sdegnosamente le spalle; ond’egli rimaso solo, povero e abbandonato, pose tant’odio addosso all’umana generazione, che, uscito d’Atene sua città, andò ad abitare in una grotta, e quivi con una zappa lavorando la terra, traeva il vitto suo; picchiando di tempo in tempo con esso strumento d’agricoltura il capo a quegli uomini che quivi s’accostavano. ◀Exemplum ◀Livello 3

Dice un proverbio toscano: Se vuoi essere amato, ama. L’amicizia dev’essere un vincolo di schietto amore e di virtù, non di vizi, che non formano legame altro che in apparenza, ma in effetto lo sciolgono. Timone fu sempre amatore di sè medesimo, non d’altrui, e perciò cadde nella calamità che si disse. I compagni di lui, avvedutisi dell’amor proprio che in corpo avea, lo presero all’amo vestito di quell’esca che gli piacea, cioè con le lusinghe. Io lo m’immagino in fantasia a sedere alla mensa con una femminetta a lato, profumato, pettinato la zazzera, tutto grazia e attillatura. Che diceva egli allora in suo cuore? “Io avrei caro che questi, i quali circondano la mensa mia, dicessero ch’io sono un Amore, che vinco in grazia le Grazie medesime.” Se gli astanti, che mangiavano il suo pane, gli avessero detto il contrario, sarebbero stati un branco d’animali, l’inciviltà in carne. I buoni uomini, che sapeano quel ch’era creanza, lo mettevano con le lodi sopra le stelle, e se non faceano l’ufficio di veraci amici, faceano quello di ben creati. Ad ogni tratto metteva mano alla borsa, e senza guardare più a questo che a quello, largheggiava. Chi gli avesse detto ch’egli peccava in prodigo, gli sarebbe venuto in cuore che colui il quale gli facea tale ammonizione, volesse tutto per sè. Chi vuole che gli amici dicano la verità, conviene dimostrarsi, in ogni atto e detto, desideroso di purgarsi dei difetti, e accarezzare chi è dello stesso umore. L’amicizia è buona elezione. So che l’adulazione è cosa accortissima, e che si veste de’panni dell’amicizia più schietta e libera. Livello 3► Exemplum► Lessi già che un grande uomo, ma dell’umore di Timone, tenea per amici una legione di ballerini, buffoncelli, saltimbanchi, e d’altre sì fatte persone. Il costume suo era di motteggiare, burlare, schernirgli; e quegli che fra loro più pronto e faceto rispondea, ribattendo in lui i motti e le burle, era da lui più [14] accarezzato; dicendo egli fra sè: “Costui che sì libero e repentino risponde, e non si guarda dall’offendere me, che son tanto di lui maggiore, è d’animo schietto, ha cuor grande, posso affidarmi a lui, come ad un altro me stesso.” I valentuomini che lo circondavano, avvedutisi della ragia, e conosciuto in che peccava l’amico, incominciarono tutti ad essere pronti e vivaci ne’bottoni e nelle risposte, tanto che egli si credea d’avere intorno una squadra d’amici la migliore del mondo. Essi valendosi della sua credenza, nelle cose d’importanza lo consigliavano ognuno a fare il peggio; e chi tirava acqua al suo mulino di qua, chi di là; stimando egli che in ogni cosa fossero schietti, come nelle facezie e nel motteggiare. ◀Exemplum ◀Livello 3

Metatestualità► Io non so se questa osservazione sembrerà ad alcuni soverchiamente seria. Ma la varietà di questi fogli richiede ora un argomento, ora un altro; ed è come una raccolta di pitture, in cui diversi atteggiamenti, coloriti e maniere si veggono; sicchè ognuno possa arrestarsi dinanzi a quella tela che più gli piace. ◀Metatestualità

Metatestualità►

Avviso

Toccai di sopra che i tre fogli che mancano al Mondo Morale, si stampano. La Pellegrina partendosi mi lasciò quest’impaccio: nè io potei soddisfare al debito di lei più presto per le mie continue occupazioni; di che chieggo scusa per lei e per me al pubblico. Ho avute nuove lettere da’miei compagni, i quali mi mandano e promettono varie osservazioni, anch’esse fatte in diverse città in questo loro breve viaggio. Vedremo che sarà, e se le sono cose che possano aver gradimento, non mancherò di darle alla luce.

Ho anche ricevute diverse lettere da persone incognite, le quali trattano varii argomenti, e mi descrivono alcuni casi, per lo più brevi, ch’è molto meglio perchè d’una novità si passa all’altra più presto; cosa che ricrea non solo i leggitori, ma me ancora, che volontieri cambio pensiero, e contro mia voglia m’arresto lungo tempo in un solo. ◀Metatestualità ◀Livello 2 ◀Livello 1