Lezione CXIX Cesare Frasponi Moralische Wochenschriften Alexandra Fuchs Editor Lisa Pirkebner Editor Institut für Romanistik, Universität Graz 17.01.2017

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Frasponi, Cesare: Il Filosofo alla moda, ovvero, Il Maestro Universale. Venezia: Giovanni Malachino 1728, 330-336 Il Filosofo alla Moda 2 119 1727 Italien
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Lezione CXIX A Principi, ed a loro Favoriti.

Quis talia fandoMyrmidonum, Dolo punire, aut duri miles ulysseiTemperet à lacrymis?

Virg. Æn. L. II. 6. 8.

Da che ho parlato di quell’antico manoscritto, che contiene la vita segreta di Faramondo, l’ho esaminato, con più attenzione; e persuaso, che gli Uomini si governino in tutti li se-coli colle stesse passioni, ne ho raccolti diversi tratti, che ponno servire ad istruirci. L’Amico, da cui l’ha ricevuto, mi ha dato il carattere di Eucrate, Favorito di questo Principe, estratto da un Autore, che vivea seco in quella Corte.

Non sarà fuori di proposito l’inserire quì alcune particolarità, che vi si ritrovano, concernenti all’uno, ed all’altro, che ponno giovare a meglio intendere il fine delle loro Conversazioni. Ecco in quale maniera l’Autore si esprime.

“Quando Faramondo aveva desiderio di passare un ora, o due lontano dal tumulto degli affari, e dall’imbarazzo delle cerimonie; si mettea la mano sul volto, o si appoggiava, con aria trascurata, ad una Finestra; o fea qualche azione di questa natura, che compariva indifferente a tutti, ma servia di segnale al fedele Eucrate. Questi perciò si ritirava al suo Appartamento, dove non mancavo di portarsi il Rè quivi dava udienza à molte persone, che Eucrate vi ammettea, per una scala segreta e che le guardie, a cagione della loro cattiva mina, impedivano d’entrare in Palagio; per questo Faramondo chiamava quel luogo privilegiato, Porta degl’Infelici, ed accusava il suo ministro, perche si lasciava corrompere dà lo-ro regali, che consisteano in lagrime. In fatti Eucrate era l’Uomo il più compassionevole del mondo, eccettuatone il suo generoso Padrone, le di cui viscere si commovevano all’udire la minima miseria. Eucrate era il Protettore de’veri infelici, di quelli che da improviso accidente venivano immersi nelle avversità, de’Figlj abbandonati dà loro Parenti, delle Moglj maltrattate da loro crudeli Mariti; de’Ricchi fatti poveri da un naufragio, o da un incendio; di quelli in somma, che non aveano verun appoggio nel Mondo, e vedea esposti alli roverscj, a’quali soggiace la vita Umana. Si può dire ancora, che disponea della liberalità del suo Principe, senza essere invidiato, nissuno si applicava nel ricercare, per quai mezzi le persone afflitte venissero sollevate.

Una sera, in cui Faramondo si era portato all’Appartamento di Eucrate, lo ritrovò si abbattuto, che gli dimandò, con quel grazioso sorriso, che gli era sì naturale. D’onde viene che Eucrate è sì malinconico? Vi e qualche infelice, che Faramondo non sia in istato di soccorrere? Cosi temo, rispose Eucrate: vi è là di fuori un Gentiluomo di buona mina, ben’attappato, che mostra d’essere nel fiore della sua età, ed è in procinto di soccom-bere al peso di qualche duro travaglio: Tutti li suoi tratti palesano l’agonia del suo animo; e mi pare più disposto a sciogliersi in pianto, che a cadere in disperazione. Io gli ho dimandato ciò che bramava, e mi ha risposto, che volea parlare a Faramondo. L’ho priegato a communicarmi le sue premure, ma appena ha potuto repplicarmi: Eucrate degnatevi presentarmi al Rè; la mia avventura è troppo dolorosa per narrarla due volte; non sò se nè meno avrò lena per rifferirla una sola dal principio fino al fine. Faramondo commandò, che entrasse; il Gentiluomo si avvanzò, con un aria la più interdetta, e la più imbarazzata del mondo. Il Rè che subito sen’avvidde, cercò di rinfrancarlo, colle sue civili, ed obbliganti maniere, dicendogli: La mia presenza non v’intimorisca, ne accresca il dolore, che veggo sparso sulla vostra faccia: sovengavi, che parlate ad un vostro amico, che ritroverete tale, se posso porgere qualche rimedio alla vostra afflizione. “Oh benignissimo Faramondo! disse il Gentiluomo; Non parlate d’un Amico allo sfortunato Spinamonto; ne avevo uno, ma non vi è più; questa mano; l’hà ucciso; ma Faramondo n’è il colpevole: Non vengo per dimandarvi grazia; vengo per raccontarvi il dolore, che mi ferisce, e che non ho forza per tollerarlo. Non vi è più per me, nè piacere nè allegrezza in questo mondo. Oh magnanimo Principe soffrite, che malgrado la bontà del vostro naturale, nell’amarezza di quest’anima, vi tacci d’avere parte nella effusione di quel generoso sangue, che oggi questa infelice mano ha sparso. Oh! Dio volesse, che prima del colpo fatale, l’avessi perduta.” Dopo avere quì fatta un poco di pausa, raccolte alla meglio le sue idee, ripigliò con maggiore calma la narrativa, e la proseguì nella seguente maniera.

L’afflizione è accompagnata da una specie di auttorità; e già che tutti gli Uomini vi sono soggetti, non ve n’è alcuno, che non sia obbligato a darle udienza. Sono persuaso, che Faramondo sia sempre disposto ad ascoltarla. Sappiate dunque, che ho avuta questa mattina la disgrazia di uccidere in Duello l’Uomo il più amato, il più caro, che avessi al mondo. Ho troppa renitenza nel dire, in faccia alla Maestà vostra che mi rendiate l’amico, e che voi me ne avete privato. Potrà il pietoso Faramondo distruggere i propri sudditi, potrà il Padre della Patria svenare il Popolo suo figlio; e pure voi fate l’uno è l’altro. La fortuna e ricercata da tutto il mondo: tutta gloria, e tutto onore de sudditi sono nelle mani del loro Principe; egli distribuisce le Carriche, e le grazie; innalza, ed abbassa chi più, o meno gli piace. Così i Monarchi sono debitori di tutte le cattive usanze, che s’introducono ne’loro stati, a pregiudizio de’loro ordini. Una corte puol fare, che la moda, el dovere caminino con passo uguale; ne accaderà mai, che vi si approvi la colpa, senza ch’ella non ne sia complice.

Ma ahi, nel Regno di Faramondo, per la tirannia d’un’infelice costume, che falsamente si chiama punto d’onore, il Duellista uccide il proprio amico, el Giudice lo condanna, benche approvi la sua azione: Che significano tutte le leggi se i violatori non sono esposti, che alla morte; el disonore ch’è il più grande di tutti i mali, e la ricompensa di quelli, che le osservano? Per me non posso esprimere le varie sorti di tenerezza, e di ribrezzo, che provo quando riffletto alle picciole avventure della mia vita passata col amico ucciso; Il mio cuore è si oppresso dal dolore che non sò contenermi in presenza di Faramondo. Indi versò un torrente di lagrime, e si pose a gridare ad alta voce: Perche Faramondo non intenderà i crudeli rimorsi, che mi tormentano, da quali, egli solo, può liberare gli altri in avvenire? Impari da me fin dove giongano quelli di chi ha ucciso un Amico, per la falsa dolcezza del suo governo; e si rappresenti la vendetta dimandata dal sangue di tutti quelli, che sono periti per la inosservanza delle sue leggi.”

Lezione CXIX A Principi, ed a loro Favoriti. Quis talia fandoMyrmidonum, Dolo punire, aut duri miles ulysseiTemperet à lacrymis? Virg.~i Æn.~i L. II. 6. 8. Da che ho parlato di quell’antico manoscritto, che contiene la vita segreta di Faramondo~i, l’ho esaminato, con più attenzione; e persuaso, che gli Uomini si governino in tutti li se-coli colle stesse passioni, ne ho raccolti diversi tratti, che ponno servire ad istruirci. L’Amico, da cui l’ha ricevuto, mi ha dato il carattere di Eucrate~i, Favorito di questo Principe, estratto da un Autore, che vivea seco in quella Corte. Non sarà fuori di proposito l’inserire quì alcune particolarità, che vi si ritrovano, concernenti all’uno, ed all’altro, che ponno giovare a meglio intendere il fine delle loro Conversazioni. Ecco in quale maniera l’Autore si esprime. “Quando Faramondo~i aveva desiderio di passare un ora, o due lontano dal tumulto degli affari, e dall’imbarazzo delle cerimonie; si mettea la mano sul volto, o si appoggiava, con aria trascurata, ad una Finestra; o fea qualche azione di questa natura, che compariva indifferente a tutti, ma servia di segnale al fedele Eucrate~i. Questi perciò si ritirava al suo Appartamento, dove non mancavo di portarsi il Rè quivi dava udienza à molte persone, che Eucrate~i vi ammettea, per una scala segreta e che le guardie, a cagione della loro cattiva mina, impedivano d’entrare in Palagio; per questo Faramondo~i chiamava quel luogo privilegiato, Porta degl’Infelici, ed accusava il suo ministro, perche si lasciava corrompere dà lo-ro regali, che consisteano in lagrime. In fatti Eucrate~i era l’Uomo il più compassionevole del mondo, eccettuatone il suo generoso Padrone, le di cui viscere si commovevano all’udire la minima miseria. Eucrate~i era il Protettore de’veri infelici, di quelli che da improviso accidente venivano immersi nelle avversità, de’Figlj abbandonati dà loro Parenti, delle Moglj maltrattate da loro crudeli Mariti; de’Ricchi fatti poveri da un naufragio, o da un incendio; di quelli in somma, che non aveano verun appoggio nel Mondo, e vedea esposti alli roverscj, a’quali soggiace la vita Umana. Si può dire ancora, che disponea della liberalità del suo Principe, senza essere invidiato, nissuno si applicava nel ricercare, per quai mezzi le persone afflitte venissero sollevate. Una sera, in cui Faramondo~i si era portato all’Appartamento di Eucrate~i, lo ritrovò si abbattuto, che gli dimandò, con quel grazioso sorriso, che gli era sì naturale. D’onde viene che Eucrate~i è sì malinconico? Vi e qualche infelice, che Faramondo~i non sia in istato di soccorrere? Cosi temo, rispose Eucrate~i: vi è là di fuori un Gentiluomo di buona mina, ben’attappato, che mostra d’essere nel fiore della sua età, ed è in procinto di soccom-bere al peso di qualche duro travaglio: Tutti li suoi tratti palesano l’agonia del suo animo; e mi pare più disposto a sciogliersi in pianto, che a cadere in disperazione. Io gli ho dimandato ciò che bramava, e mi ha risposto, che volea parlare a Faramondo~i. L’ho priegato a communicarmi le sue premure, ma appena ha potuto repplicarmi: Eucrate~i degnatevi presentarmi al Rè; la mia avventura è troppo dolorosa per narrarla due volte; non sò se nè meno avrò lena per rifferirla una sola dal principio fino al fine. Faramondo~i commandò, che entrasse; il Gentiluomo si avvanzò, con un aria la più interdetta, e la più imbarazzata del mondo. Il Rè che subito sen’avvidde, cercò di rinfrancarlo, colle sue civili, ed obbliganti maniere, dicendogli: La mia presenza non v’intimorisca, ne accresca il dolore, che veggo sparso sulla vostra faccia: sovengavi, che parlate ad un vostro amico, che ritroverete tale, se posso porgere qualche rimedio alla vostra afflizione. “Oh benignissimo Faramondo~i! disse il Gentiluomo; Non parlate d’un Amico allo sfortunato Spinamonto~i; ne avevo uno, ma non vi è più; questa mano; l’hà ucciso; ma Faramondo~i n’è il colpevole: Non vengo per dimandarvi grazia; vengo per raccontarvi il dolore, che mi ferisce, e che non ho forza per tollerarlo. Non vi è più per me, nè piacere nè allegrezza in questo mondo. Oh magnanimo Principe soffrite, che malgrado la bontà del vostro naturale, nell’amarezza di quest’anima, vi tacci d’avere parte nella effusione di quel generoso sangue, che oggi questa infelice mano ha sparso. Oh! Dio volesse, che prima del colpo fatale, l’avessi perduta.” Dopo avere quì fatta un poco di pausa, raccolte alla meglio le sue idee, ripigliò con maggiore calma la narrativa, e la proseguì nella seguente maniera. L’afflizione è accompagnata da una specie di auttorità; e già che tutti gli Uomini vi sono soggetti, non ve n’è alcuno, che non sia obbligato a darle udienza. Sono persuaso, che Faramondo~i sia sempre disposto ad ascoltarla. Sappiate dunque, che ho avuta questa mattina la disgrazia di uccidere in Duello l’Uomo il più amato, il più caro, che avessi al mondo. Ho troppa renitenza nel dire, in faccia alla Maestà vostra che mi rendiate l’amico, e che voi me ne avete privato. Potrà il pietoso Faramondo~i distruggere i propri sudditi, potrà il Padre della Patria svenare il Popolo suo figlio; e pure voi fate l’uno è l’altro. La fortuna e ricercata da tutto il mondo: tutta gloria, e tutto onore de sudditi sono nelle mani del loro Principe; egli distribuisce le Carriche, e le grazie; innalza, ed abbassa chi più, o meno gli piace. Così i Monarchi sono debitori di tutte le cattive usanze, che s’introducono ne’loro stati, a pregiudizio de’loro ordini. Una corte puol fare, che la moda, el dovere caminino con passo uguale; ne accaderà mai, che vi si approvi la colpa, senza ch’ella non ne sia complice. Ma ahi, nel Regno di Faramondo~i, per la tirannia d’un’infelice costume, che falsamente si chiama punto d’onore, il Duellista uccide il proprio amico, el Giudice lo condanna, benche approvi la sua azione: Che significano tutte le leggi se i violatori non sono esposti, che alla morte; el disonore ch’è il più grande di tutti i mali, e la ricompensa di quelli, che le osservano? Per me non posso esprimere le varie sorti di tenerezza, e di ribrezzo, che provo quando riffletto alle picciole avventure della mia vita passata col amico ucciso; Il mio cuore è si oppresso dal dolore che non sò contenermi in presenza di Faramondo~i. Indi versò un torrente di lagrime, e si pose a gridare ad alta voce: Perche Faramondo~i non intenderà i crudeli rimorsi, che mi tormentano, da quali, egli solo, può liberare gli altri in avvenire? Impari da me fin dove giongano quelli di chi ha ucciso un Amico, per la falsa dolcezza del suo governo; e si rappresenti la vendetta dimandata dal sangue di tutti quelli, che sono periti per la inosservanza delle sue leggi.”