Zitiervorschlag: Cesare Frasponi (Hrsg.): "Lezione CXVII", in: Il Filosofo alla Moda, Vol.2\117 (1727), S. 319-325, ediert in: Ertler, Klaus-Dieter / Fuchs, Alexandra (Hrsg.): Die "Spectators" im internationalen Kontext. Digitale Edition, Graz 2011- . hdl.handle.net/11471/513.20.253 [aufgerufen am: ].


Ebene 1►

Lezione CXVII

A Principi Umani, genorosi, e gioviali.

Zitat/Motto► Ut tu, fortunam, sic non te, Celse, feremus.

Hort. L. I. ep. VIII. 17. ◀Zitat/Motto

Ebene 2► Non vi è niente di più ordinario dell’incontrare un Uomo, la di cui condotta vi è sempre comparsa uguale, soggetto a trasporti, ed a stravaganze, che lo rendono più differente da se stesso, non solamente di quello, da principio lo credevate, ma eziandio di quello possano essere due Persone distinte. Questa bizzaria viene, perche si trascura di formarsi una determinata regola per la propria condotta; o qualche fissa idea delle cose in generale, capace di produrre in noi degli abiti buoni, e per l’anima, e per lo corpo. Questo diffetto non ci espone solamente ad una incivile leggerezza nelle nostre maniere; ma di più alla incostanza, verso de’nostri amici, de’nostri interessi, e delle nostre corrispondenze. Un semplice spettatore di ciò, che corre d’intorno a se, senz’avere quasi verun’commercio col mondo, non è che un povero giudice de’segreti movimen-[320]ti d’un Cuore, e delle cagioni di quelle grandi alterazioni, che si vengono nella stessa Persona.

Quando uno non è soggetto a tali contrarietà, che compariscono negli Uomini del mondo, la speculazione non puol essere, che al supremo grado piacevole, ed istruttiva; a fine però di gustarne tutto il dolce, bisogna essere in posto superiore, ed avere la disposizione della loro fortuna nelle proprie mani. Questo è stato in buona parte il motivo, che abbi letto, con incredibile piacere, le segrete memorie della vita di Faramondo Rè di Francia, imprestatami, come una singolare curiosità, da un Antiquario mio Amico. Ecco il Ritratto, che ci dà l’Autore di questo Monarca.

Ebene 3► Allgemeine Erzählung►Faramondo era un Principe altretanto umano, quanto generoso. Era l’Uomo il più grazioso, ed il più faceto de’suoi tempi. Avea un gusto assai singolare, che avrebbe potuto rendere infelice un Principe d’ogn’altro naturale del suo. Credea non si potesse godere tutto il diletto della Conversazione, se non trà gli uguali. Qualche volta graziosamente si lagnava, perche vivea sempre nella folla, ed era il solo Uomo in Francia, che non avesse mai compagnia. Questo tenore di spirito l’impegnava al divertimento d’andare sulla mezza notte, or da una parte, ora [321] dall’altra, con un solo Gentiluomo di Camera. In queste passeggiate notturne, fea lega con quelli, de’quali volea provare l’umore; e li raccomandava in particolare, al favore del suo primo Ministro. Osservava, nel proposito, in generale, che i suoi nuovi amici, subito, che speravano di avvanzarsi ad una più alta fortuna, non feano più capitale di lui. Dicea, in questa occasione, che a torto si tacciavano i Principi, perche perdeano la memoria nella loro esaltazione; mentre vi erano sì poche persone, che potessero vedere con occhio tranquillo i loro favoriti.” ◀Allgemeine Erzählung ◀Ebene 3 Si ritrova un fatto nell’Autore, che ci da una idea molto viva dello stravagante genio di Faramondo. Ebene 3► Allgemeine Erzählung► Questo Principe, dopo avere posto un Uomo a tutte quelle prove, per le quali fea passare tutti quelli, che volea conoscere à fondo; e dopo averlo ritrovato tale quale il ricercava; gli somministrò un giorno la occasione di palesargli, quale Bene fosse capace di soddisfarlo, indi glie ne promise il dupplicato; e gli parlò ne’seguenti termini: Avete il doppio di ciò, che desideravate dalla generosità di Faramondo, ma siatene almeno contento, perche questo è l’ultimo favore, che avrete da lui. Da questo momento vi considero come una Persona, che mi è obbligata; ed affine lo siate di buona fede, vi dò la mia parola Reale, che voi [322] non sarete mai, nè più nè meno di quello siete adesso. Non mi rispondete, aggionse sorridendo, ma godete la fortuna, a cui vi ho innalzato. Questa è sopra la mia, mentre non avete più niente, ne da sperare, ne da temere.

Dopo che sua Maestà ebbe fatta questa elezione, e comprata, in questa maniera, la compagnia d’un buon Amico: godea di volta in volta, tutti i piaceri d’un Particolare di buon umore, e quelli d’un possente Monarca. Quando si trastullava col suo Amico s’intitolava; sovente, il grazioso Tiranno, perche castigava l’insolenza, e la pazzia de’suoi Cortiggiani, non con alcuna pubblica disgrazia, ma colla tortura, e coll’imbarazzo, in cui mettea il loro animo.

Se vedea, che uno fosse rozzo, ed altiero verso i suoi inferiori, cercava. La occasione di mostrargli qualche benevolenza; e così renderlo insopportabile a suoi uguali. Sapea, che si osservavano tutti li suoi passi, tutte le sue parole, tutte le sue azioni, e fino tutte le sue occhiate, interpretandole ciascuno a suo modo. Il suo Amico, che si chiamava Eucrate, e che avea l’animo, nobile senz’essere ambizioso, gli communicava liberamente tutti i suoi pensieri, ne temea punto, che ne facesse cattivo uso. Questa non era soddisfazione per loro, il rifflettere sopra tutto ciò, ch’era seguito in pubblico.

[323] Per soddisfare alle volte la sciocca vanità, d’un Grande, che avea del potere nella sua Provincia, Faramondo, gli parlava in piena Corte; e con una sola parola, che gli dicea all’orecchio, l’impegnava a dispregiare tutti i suoi vecchj amici. Una longa sperienza gli avea fatti conoscere gli Uomini ad un segno, che si vantava di cambiare tutta la massa del sangue in alcuni, ai quali avesse parlato trè volte. Padrone della fortuna degli altri, si divertiva nel maneggiare i suoi passi verso di quelli, che unicamente la ricercavano; ed a trattarli nella maniera, che meritavano. Con una occhiata, data a proposito, e con un picciolo sorriso, impegnava due mortali nemici ad abbracciarsi, con tanto ardore, che pareano intimi, e pronti ad affogarsi vicendevolmente colle carezze. Quando pieno di bell’umore, ed avea la sera qualche adunanza straordinaria in Corte, pigliava le sue misure con Eucrate, per ben divertirsi; e metea in giuoco le passioni di tutti li suoi Cortiggiani. Si dilettava nel osservare una fiera Bellezza, che aspettava le occhiate d’un Gentiluomo, da lei per qualche tempo, dispregiato; su questo rifflesso gli dava qualche picciolo segno di distinzione; e l’Amante veniva a concepire sì alte speranze, che rinunziava la Dama per cui, il giorno precedente moriva. Nella Corte, dove s’impiega-[324]no i termini più forti per assicurare qualcuno della sua amicizia; ed i più freddi per mostrargli il suo odio; era uno spettacolo assai comico il vedere, svanite le dissimulazioni in un caso, ed accresciute in un altro, a misura del Favore, o della Disgrazia, che accompagnava gli oggetti, respettivamente, dell’approvazione, o del dispregio presso gli Uomini. Così Faramondo, mosso dalla bassezza del cuore Umano, con graziosa maniera, dicea. “Ch’egli potea togliere i cinque sensi della Natura ad un Uomo, e dargliene un centinajo quando volea. Quello, ch’è in disgrazia, aggiognea, perde subito tutti li suoi naturali talenti; e quello, ch’è in favore acquista gli attributi d’un Angiolo. Pretendea pure, che non solamente gli ufficiali subalterni della sua Corte ne avessero questa idea, ma eziandio, che i Grandi avessero buona o cattiva opinione di se medesimi, a misura della buona grazia, che godeano del loro Principe, o che perdeano.”

Un Monarca del talento, e dell’umore gioviale di Faramondo, non potea, che godere que’piaceri, che sono impossibili ad ogn’altro. Non ellevava ad un alta fortuna se non quelli, che credea capaci di riceverla senza veruno trasporto. Fea un nobile, e generoso uso delle sue osservazioni; nè stimava [325] tanto i suoi Ministri, perche gli piacessero, quanto perche erano utili al suo Regno. In questa maniera tutti li suoi primi ufficiali lo rappresentavano al naturale; nè ve n’era un solo, che avesse parte colla sua auttorità, se non se gli rassomigliava nella virtù. ◀Allgemeine Erzählung ◀Ebene 3 ◀Ebene 2 ◀Ebene 1