Il Filosofo alla Moda: Lezione CIV
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Lezione CIV
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Appena vi è un Uomo capace di rifflessione, che, impegnato negli
affari del mondo, non abbi una segreta impazienza di liberarsi tosto, o tardi, dall’imbarazzo, in
cui si ritrova; e che non formi il disegno di mettersi un giorno in uno stato, che corrisponda al
fine della sua Creazione. Si ascoltano ad ogni momento de’Filosofi, i quali protestano contro gli
onori, contro le dignità, e contro le Ricchezze, che no risarciscono un quarto di quella pena, che
si prova per ottenerle, o conservarle. Vi è niente di più contradittorio della Teorica, e della
Pratica di codesti vaneggiatori? Gemono sotto il peso, che gli opprime, nè sanno risolversi a
scuotere il giogo: avrebbono bisogno di ritiratezza, e la fuggono a tutto potere: si sfogano in vani
sospiri, ed allo stesso tempo vogliono comparire sulle Scene più fastose di questa vita. Questo non
è gran cosa più ragionevole, di quello sarebbe, se un Uomo facesse accendere maggior numero di
candele, quando vuol’andare à dormire. Già che dunque siamo in questo gl’ingannatori de’nostri
cuori, nè abbiamo la forza di escire con un salto dal mondo; benchè ne pigliamo ogni
giorno la risoluzione, mai la eseguiamo, e così a poco a poco, si avezziamo ai piaceri, fino che
potremo goderne. Non vi è dubbio alcuno, che questo non sia il generale disegno della maggior parte
degli Uomini; e che non si lusinghino di vivere un giorno in maniera, che sia conforme alla Ragione.
Ma se la durazione della nostra vita è sì incerta; e questo e un punto, sopra il quale si discorre
da che vi sono Uomini al mondo, com’è possibile, che se ne ritardi un momento la esecuzione? L’Uomo
d’affari, ha sempre qualche cosa da finire, e dice a se stesso, che dopo essersene spicciato,
rinunciarà tutte le vanità dell’ambizione. Il sensuale vuole almeno pigliare congedo dalla sua
Innamorata, e lasciarla con civiltà. Ma l’ambizioso s’impegna a tutte le ore in nuove facende; ed il
voluttuoso ritrova nuove attrattive nell’oggetto, che credea di poter abbandonare. In questa maniera
si andiamo pascendo di chimere: s’immaginiamo alle volte cambiando luogo, o circostanze, di dover
cambiare costumi; ma le stesse passioni ci seguono da per tutto, fino che non siano, domate. E
difficile, a mio credere, il vivere contenti nella Ritiratezza, quando non siamo in istato di
gustare presso poco la stessa dolcezza, anche frà i rumori, ed imbrogli del mondo.
Non saprei esprimervi la obbligazione, che vi
professo, per avermi impegnato ad una sorta di penitenza tanto singolare, di prestare cioè qualche
servigio, in ciascun giorno di mia vita, a qualche persona di merito. Il Posto, in cui sono, me ne
porge sovente le occasioni, ed il nobile principio, che mi avete ispirato, di fare del bene a tutti
quelli, che mi si acostano, mi rende attento in tutte le mie imprese. Quando rilevo il merito
abbattuto, cavandolo dalla oscurità in cui stava nascosto; o proteggo una Persona
abbandonata, condanno me stesso nel disegno, ch’avevo d’abbandonare il mondo, per attendere alla mia
salute. Mi spiace non vogliate approfittarvi della occasione, che avrei di avanzare la vostra
fortuna, quantunque sia persuaso, siate più sensibile all’avviso, che vi porgo, d’essere doventato
col vostro mezzo più onesto di quello ero. Questo è ciò, che riconoscerà in tutta la sua vita, chi è
&c.
Sono più convinto di tutto ciò, mi diceste l’ultima
volta, ch’ebbi la fortuna d’essere solo con voi. Allora mi rappresentaste il pessimo stato, in cui
sono impegnato. Ora persuaso dalla vostra carità, vi scuopro le circostanze del mio attaco alla
Giovane consaputa. So che vi siete ristretto ad insinuarmi, che rinonciassi, per lei, al mio
carattere; ma la Forfantella ha un aria sì dolce, che la simplicità dovrebbe servire di compenso
alla sua debolezza. Voi altri virtuosi non distinguete punto le colpe, giusta le persone che se ne
fanno ree. Dovrà dunque la mia cara Cloe~i portare lo stesso nome infame, che dare alle pubbliche
Dissolute? Vedete, che vi parlo a cuore aperto, della situasione (sic.), in cui mi trovo, con questa
Giovane, e vi prometto d’impiegare tutti li miei sforzi per vincere la inclinazione,
che mi ha reso fin ora suo umilissimo servo a un segno, che ho quasi ribrezzo nel dirmi vostro
&c.
Non vi è stato più incommodo di quello d’un Uomo, che
non siegue i lumi della Ragione. Vi parerà senza dubbio strano se vi dico, che l’amore della
ritiratezza, fù quello, che mi condusse, da principio alla Corte; ma non sarà più un enigma per voi,
quando saprete, che non avevo altro in mira se non di adunare di che comprarmi un podere in
Campagna, e così procurarmi una gradita solitudine. Mi veggo oggi in istato di fare un tale
acquisto; il mio dovere mi sollecita a passare il rimanente de’miei giorni lontano dal tumulto, e
dagl’imbarazzi del mondo; ma ho la digrazia d’avere perduto tutto il gusto per la vita tranquilla; a
segno che ritornerei adesso in Campagna, con maggiore repugnanza, di quella avessi di venire alla
Corte. Sono abbastanza sfortunato per conoscere, che amo le bagatelle, e trascuro ciò che vi è di
più importante. In somma la Ragione, ed il Costume combattono dentro di me. Non mi sono scordato
d’avervi udito dire una volta, che potevo vivere nel mondo senza attaccarmivi. Abbiate
dunque la bontà di spiegarmi un pò più a longo questo Paradosso, affinche viva s’è possibile, in una
maniera, che sia conforme al mio dovere, ed alla mia inclinazione.
Metatextualität
Ho sempre creduto, che li mezzo più sicuro di conoscere gli Uomini, sia
l’esaminare le Lettere, che scrivono a’loro Amici. Un saggio, e dotto Theologo mio collega, con cui
mi trattenni l’altro giorno, con molta serietà sopra il pericolo della Penitenza tardiva, ebbe la
bontà di communicarmi quelle, che voglio quì inserire. Le ha ricevute da Persone sue confidenti. La
prima viene da un Uomo suo Proselità. La seconda d’un Amico, di cui ha concepute buone speranze. E
la terza di uno, che non si fissa a niente ma, si lascia trasportare, ora da una parte, ora
dall’altra dalla istabilità del suo umore. Veggiamo come la discorrono.
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Sono &c.