Zitiervorschlag: Cesare Frasponi (Hrsg.): "Lezione CIII", in: Il Filosofo alla Moda, Vol.2\103 (1727), S. 238-243, ediert in: Ertler, Klaus-Dieter / Fuchs, Alexandra (Hrsg.): Die "Spectators" im internationalen Kontext. Digitale Edition, Graz 2011- . hdl.handle.net/11471/513.20.239 [aufgerufen am: ].


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Lezione CIII

Ebene 2► Non vi è niente più vile, nè di più indegno del portare segreti colpi mortali alla riputazione d’un uomo. Gli scritti satirici, pieni d’ingegno, e di malignità, si rassomigliano alle saette avvelenate, che non solamente danno la ferita, ma la rendono incurabile. Per questo ho il cuore amareggiato, ogni volta, che veggo un ingegno maligno accompagnato da un umore burlevole, e grazioso. Ingegno barbaro, e crudele, che non è mai più soddisfatto, se non quando, o affligge un particolare; o eccita la divisione trà più congionti; o espone una intera Famiglia alle pubbliche derisioni; in tempo ch’egli si nasconde in maniera, di [239] non essere conosciuto. Se oltre l’ingegno, e la malignità, un uomo è anche vizioso, egli è la creatura più perniziosa, che possa darsi nel mondo civile. Li suoi Satirici tratti, cadranno allora sopra quelli, che ne dovrebbono essere più al coperto. La virtù, il merito, e tutto ciò, ch’è degno di lode, doventeranno soggetto de’suoi scherni, e delle sue burle. E impossibile il supputare i mali, che vengono da codeste frece vibrate nelle tenebre. Tutta la scusa, che si puole addurre per coloro, che le scagliano, si ristringe; che le loro ferite non colpiscono se non la immaginazione; nè producono se non una segreta vergogna, ed una occulta afflizione in chi le riceve. E vero, che una Satira, o un Libello non porta seco l’attrocità d’un Furto, o di un Omicidio; con tutto ciò, quanti ve ne sono, che vorrebbono più tosto perdere una grossa somma di danaro, ed anche la vita, ch’essere fatti scopo de’scherni, e passare come infami? Non si dee misurare l’ingiuria colla idea di chi la fa, ma colla idea di chi la soffre.

Quelli, che meglio digeriscono in apparenza gli oltraggi di questa natura, non sono esenti dalle loro segrete punture. Ebene 3► Allgemeine Erzählung► Ho fatta più volte rifflessione sopra una circostanza della morte di Socrate, con un pensiero, che non è stato rivelato da qualche Critico. Poco [240] prima, che quest’uomo illustre bevesse il preparato veleno, fe a suoi amici, un discorso sopra la immortalità dell’anima, e nella introduzione disse loro: di non credere che il più comico ingegno potesse biasimare il discorrere, in tale occasione, sopra una simile materia. Non vi è dubbio, che egli non volesse qui alludere al Poeta Aristofane, il quale avea scritta una comedia espressamente, per mettere in ridicolo le sue massime, e beffarsene. Molti Autori dicono, che Socrate fea sì poco conto di quella Opera boffonesca, che la vidde più volte a rappresentare sul Teatro, senza mai palesarne un minimo sentimento. Con loro buona permissione però, il mio rifflesso è ben fondato, ed insinua, che un tale indegno procedere di Aristofane lasciò qualche impressione nell’animo di quel insigne Filosofo, benche fosse tanto saggio per non palesarla.

Quando Giulio Cesare si vidde esposto alla Satira di Catullo, lo priegò un giorno, di portarsi a cena con esso lui; e lo ricevette, con maniera sì obbligante, e generosa, che lo rese indi uno de’suoi più fedeli amici. Il Cardinale Mazzarino usò presso poco lo stesso, col ingegnoso Quillet, il quale lo avea toccato in un Poema Latino. Lo fe venire a se, e dopo un dolce rimprovero, l’assicurò della sua stima, e gli promi-[241]se il primo buon’impiego vacante; il che dopo qualche mese fù eseguito. Questa maniera d’agire, produsse sì buon effetto, che l’Autore dedicò la seconda edizione della sua opera al Cardinale, dopo averne tolti i luoghi, che l’aveano offeso. E troppo commune l’esempio di Aretino, per non servirmene in questa occasione. Non vi è chi non sappia, che tutti li Prencipi di Europa erano suoi Tributarj. Egli stesso ha pubblicata una Lettera, in cui si vanta d’aver messo in contribuzione il Grande Sofì di Persia. ◀Exemplum ◀Ebene 3

Benche il poco numero de’soggetti distinti, che ho addotti, si regolassero con maniere dolci verso gl’Ingegni satirici del loro secolo, che gli aveano offesi, con tutto ciò dierono tutti delle prove manifeste, ch’erano molto sensibili alle loro punture. Per me, mai mi fiderei d’un uomo capace di vibrare de’tratti avvelenati; non dubito punto, ch’egli non attaccasse anche il corpo e la roba di quello, che ha colpito nell’onore, se potesse colla medesima sicurezza eseguirlo. Bisogna confessare, che vi è qualche cosa di barbaro, e crudele ne’versi satirici de’nostri miserabili Poeti. Una giovane, ed innocente Dama sarà esposta a loro insipidi scherni, per uno sgraziato delineamento, che la natura le ha fatto nel volto. Un Padre di Fami-[242]glia si vedrà posto in ridicolo per una domestica calamità. Una maritata non godrà verun riposo nel rimanente de’suoi giorni, per un azione, o per una parola male interpretata. Che dico? Un uomo da bene, di vita esemplare, sarà sconcertato, e posto fuori de’gangheri, per lo cattivo senso, che si da alle sue qualità, che dovrebbono fargli onore. Tanto è vero, che l’ingegno è pernizioso, quando non è accompagnato dalla virtù, e dalla umanità.

Sò esservi de’scrittori storditi, e leggeri, che senza cattivo disegno, hanno sacrificata la riputazione, anche de’loro amici, ad un certo capriccioso umore, ed alla sciocca ambizione di comparire ingegni satirici, e schernitori; come se non fosse infinitamente più onorevole, il mostrarsi di buon cuore, che l’essere stimato un bell’ingegno. Quando un Autore ha del fuoco, e della vivacità, porta sovente de’colpi mortali, senza, per cosi dire, avvedersene. Per questo ho sempre stabilito, come una massima, che un imprudente è più da temersi d’un cattivo naturale: questi non insulta, che i suoi nemici, e quelli a quali desidera del male; la dove l’imprudente attacca indifferentemente amici, e nemici. Ebene 3► Fabel► Non saprei trattenermi di trascrivere, in questa occasione una Favola del Cavalier Ruggiero lo Strano, che mi viene [243] per avventura alla mano. Una truppa di Fanciulli raunati sulla ripa d’un Fosso, aspettavano, che le Rane comparissero sopra l’acqua; e subito, che una mostrava la testa, non mancavano di gettargli delle pietre, fino che non si fosse di nuovo immersa sott’acqua. Una delle più ardite disse loro: Fanciulli, benché questo non sia che un trastullo per voi, sappiate, che a noi costa la vita. ◀Fabel ◀Ebene 3 ◀Ebene 2 ◀Ebene 1