Zitiervorschlag: Cesare Frasponi (Hrsg.): "Lezione XCVII", in: Il Filosofo alla Moda, Vol.2\097 (1728), S. 193-198, ediert in: Ertler, Klaus-Dieter / Fuchs, Alexandra (Hrsg.): Die "Spectators" im internationalen Kontext. Digitale Edition, Graz 2011- . hdl.handle.net/11471/513.20.233 [aufgerufen am: ].


Ebene 1►

Lezione XCVII

A’quolibetanti.

Zitat/Motto► Non equidem hoc studeo, bullatis ut mihi nugis
Pagina turgescat, dare pondus idonea fumo.

Pers. Sat. V. 19. 20. ◀Zitat/Motto

Ebene 2► Non v’è cattivo gusto, che abbi tanto prevalso in tutti i secoli, quanto quello che riguarda il giuoco, o scherzo di parole, compreso sotto il nome generale del quolibetismo. Confesso, ch’egli è difficile, anzi impossibile l’estirpare una cattiva Erba, quando il terreno è tutto disposto à produrla. Le sementi del quolibetismo nascono nella mente [194] di tutti gli uomini; e benche la Ragione, la Riflessione, ed il buon Senno possano mortificarle, germogliano alle volte ne’più grandi ingegni, se non sono coltivati con molta premura. La imitazione ci è molto naturale; e quando questa non eccita il genio alla Poesia, alla Pittura, alla Musica; o ad altre più nobili Arti, si sfoga in giuochi di parole, ed in Quolibeti.

Ebene 3► Exemplum► Aristotile nell’undecimo capo della sua Retorica, descrive tra i bei discorsi due, o trè sorte di quolibeti, da lui intitolati Paragrammi; e ne produce degli esempj cavati da alcuni de’più accreditati Autori Greci. Cicerone ha seminate quasi tutte la sue opere di quolibeti; e nel suo Libro, dove stabilisce le regole dell’Arte oratoria, cita un numero infinito di Proverbj, o di buone parole, come tratti d’ingegno, che, allo stringere delle stroppe, non sono, che vere Pagnotterie. ◀Exemplum ◀Ebene 3

Si ponno quì aggiognere i Retorici, che hanno trattato del giuoco di parole con molto rispetto; e distinte le sue differenti specie, con nomi scabrosi, che pongono […] rango di Figure, e di ornamenti de’Discorsi. Mi sovviene, che un maestro di scuola, con cui ebbi qualche conferenza, mi disse una volta, che avea udito il più bravo Paragrammatista, che vi fosse trà i Moderni; volli sapere chi era, ed intesi, che avea [195] pranzato quel giorno stesso, col Signor Sapieo, il famoso Quolibetatore. Allora il priegai dirmi ciò che era passato nella conversazione: mi rispose, che il Sig. Sapieo si era quasi sempre servito della Paronomase; che avea dato qualche volta nella Ploca; ma che, se dovea dire il suo parere, era spiccato, sopra tutto, nell’Antanaclase.

Dopo questo poco dettaglio storico del quolibetismo, è meraviglia che più non comparisca oggidì nella Repubblica de’Letterati; particolarmente, perche si ritrova negli scritti degli Antichi di maggiore politezza. Tutta la ragione, che si puole addurre, è perche, i primi Autori, i grandi Eroi nell’arte di scrivere non aveano per anco veruna regola di buona Critica. Per questo anche non hanno la esattezza, nè l’aggiustatezza di quelli, che gli hanno seguiti; benche li sorpassino nella elevatezza d’ingegno i moderni non potrebbono giognere alla loro vaghezza; ma ponno evitare le loro imperfezioni. Quando quegli Autori di primo rango erano in voga, s’innalzò una nuova razza di scrittori, che si resero celebri colle rifflessioni, che feano sopra le opere di quelli, che gli aveano preceduti. Una delle loro principali occupazioni si ristringea nel distinguere le differenti sorte d’ingegni, con termini dell’arte; ed a valutarli più, [196] o meno, quanto più, o meno si ritrovavano fondati sulla verità delle cose. Non è dunque da stupirsi, che un Isocrate, un Platone, ed un Cicerone abbino di quelle piccole debolezze che non s’incontrano negli Autori d’un merito molto al di sotto del loro, ma che hanno scritto dopo la scuoperta di tali macchie. Non veggo che alcuno degli antichi Critici, alla riserba di Quintiliano, e di Longino, abbi istabilita una esatta separazione trà i Quolibeti, ed i veri tratti d’ingegno; ma, appena l’hanno fissata, che tutte le persone di buon senno sono venute d’accordo. Il giuoco delle parole venne ricondotto a poco, a poco, verso lo ristabilimeuto [sic.] delle belle Lettere; ma non si tardò gran cosa ad esiliarlo. Questo cattivo gusto è comparso, e si è più volte ecclissato; nè vi è dubbio, non sia per ritornare col tempo, se la pedanteria, e la ignoranza piglieranno piede. Vi è anche da temere, che i nostri giovanetti non degenerino ben presto in Quolibetadori; almeno dee essere molto scusabile il mio timore; mentre ho veduto applaudire degli Acrostici, che correano per la Città, ed un piccolo Epigramma, che si chiamava la Orazione de’Stregoni, la di cui maggia, tutta si riducea, nell’essere conceputa in versi, che si legeano così avanti, come indietro, con questa differenza, che benedi-[197]va da una parte, e malediva dall’altra. Sono state, e sono per anco presso alcuni in tanto credito d’ingegnosi codesti rompimenti di cervello, che si attribuiscono spesso al Demonio, quasi superassero la umana capaccità. Il seguente verso latino, che parimente si legge all’innanzi, e all’indietro, salvo lo stesso sentimento, anzi le stesse parole; con questa sola legge, che, in leggendolo all’indietro, bisogna fare buona unione delle stesse lettere, senza però levarle dal loro primo ordine numerico. Eccolo: Signa te, signa, temerè me tangis, et angis; si dice uscito dalla bocca d’un Energumeno, contro il suo esorcista. Quando si osserva di codesti fachinosi ingegni frà di noi, chi puole indovinare quale effetto debbono produrre?

Se dobbiamo criticarsi gli uni cogli altri, si faccia coi tratti d’una satira fina, e delicata. Per me, tengo il gusto di quell’antico Filosofo, che volea più tosto cadere sotto le Zanne d’un Leone, che sotto i piè d’un Asino, in caso dovesse essere la vittima o dell’uno, o dell’altro.

Metatextualität► Dopo avere fatta la storia del giuoco di parole, dalla sua nascita fino alla sua caduta, lo spiegherò quì in un punto d’ingegno, fondato sull’uso di due parole che si accordano nel suono, e sono differenti nel senso. ◀Metatextualität L’uni-[198]co mezzo per iscuoprire se un tale punto è buono, o falsa, egli è di tradurlo in altro idioma; se stà saldo a questa prova, potete dire con sicurezza, ch’egli è di buona lega; ma se si perde, pronunciate pure coraggiosamente, che non è se non una miserabile poltroneria. Si puo dire di questo ciò che un Contadino dicea del suo Rossignuolo: Vox vox, pretereaque nihil: voce voce, e niente altro. Si potrebbe anche applicare al vero punto d’ingegno l’elogio, che Aristone fè ad una bella Donna, la quale, o fosse abbigliata, o nò, era sempre bella; così suona anche tradotto in latino: Induitur, formosa est: exuitur, ipsa forma est. ◀Ebene 2 ◀Ebene 1