Citazione bibliografica: Cesare Frasponi (Ed.): "Lezione LXXX", in: Il Filosofo alla Moda, Vol.2\080 (1728), pp. 87-94, edito in: Ertler, Klaus-Dieter / Fuchs, Alexandra (Ed.): Gli "Spectators" nel contesto internazionale. Edizione digitale, Graz 2011- . hdl.handle.net/11471/513.20.216 [consultato il: ].


Livello 1►

Lezione LXXX

A Letterati, sopra la Orazione.

Citazione/Motto► Omnibus in terris, quæ sunt a Gadibus usque
Auroram & Gangem, pauci dignoscere possunt
Vera bona, atque illis multum diversa, remotæ Erroris nebula.

Juv. Sat. X. I. ◀Citazione/Motto

Livello 2► Metatestualità► Dopo avere toccata qualche generalità sopra la Divozione, farò qui vedere quali idee ne aveano i più sottili Pagani, tali quali ce le rappresenta Platone nel suo Dialogo intitolato: Della Orazione, overo il secondo Alcibide, che ha dato, senza dubbio, occasione alla X. Satira di Juvenale; ed alla seconda di Persio. Che che ne sia, l’ultimo di questi Poeta ha copiato quasi parola per parola nella sua VI. Satira, l’altro Dialogo di Platone intitolato: il primo Alcibiade.

Gl’Interlocutori nel Dialogo sopra l’Orazione sono Socrate ed Alcibiade; e la sostanza di tale Dialogo, dopo averne separati gl’imbarazzi, e le digressioni, si riduce a questo. ◀Metatestualità

Livello 3► Racconto generale► Livello 4► Dialogo► Socrate incontratosi nel suo discepolo Alcibiade, che si portava a fare le sue divozioni al Tempio, cogli occhi bassi co-[88]me un uomo, che pensa a qualche cosa di rillievo, gli dice: che avea motivo d’essere pensieroso, e serio in tale occasione; avvegnache un uomo potea attraersi de’mali colle sue pregherie; e che le sue dimande esaudite poteano rivoltarsi a sua rovina. Questa disgrazia, aggionge, puole accadere non solamente a quello, che dimanda a’Dei cose perniciose di loro natura; come Edipo, che i suoi Figlioli decidessero i loro diritti colla spada, ma eziandio a chi loro chiede ciò che crede di proprio vantaggio; e li priega d’allontanare da se ciò, che presume gli debba cagionare qualche pregiudizio. Mostra indi il Filosofo, che questo è inevitabile, avvegnache la ignoranza, l’incostanza, e la passione accecano la maggior parte degli uomini; e toglie loro il vedere ciò, che sia realmente di loro profitto. Per darne un esempio al suo caro Alcibiade, l’interpella; se non sentirebbe una straordinaria allegrezza, in caso, che il Dio, cui se ne va ad invocare, gli prometesse renderlo sovrano di tutta l’Europa? Alcibiade risponde, che riguardarebbe, senza dubbio, tale promessa, come il più grande favore, che potesse ottenere dal Cielo. Socrate ripiglia: se dopo averla ricevuta sarebbe contento di perdere la vita? o pure se la riceverebbe, benche persuaso, che ne farebbe un cattivo uso? Alcibiade confessa, che nolla vor-[89]rebbe a tali condizioni. Socrate gli mostra subito, con varj esempj, che questa potrebbe essere la sequela d’una grazia sì strepitosa. Aggiogne, che tutto ciò si chiama buona fortuna nel mondo, come d’avere un Figlio; o di elevarsi alle più alte Dignità dello stato, si trova soggetto agli stessi roverscj, benche tutti gli uomini vi aspirino con ardore, ne’lasciassero di chiederlo alli Dei se credessero di poterlo ottenere colle preghiere. ◀Dialogo ◀Livello 4

Dopo avere stabilito questo Punto capitale, cioè; che le più grandi Felicità della vita sono esposte a sì terribili conseguenze; e che non vi è alcuno al mondo, il quale sappia ciò, che in fine sarà per lui una benedizione, o una maledizione; ammaestra Alcibiade, in quale maniera debba priegare Dio.

  1. I. 

    Gli offre in primo luogo, per modello della sua Divozione, una breve orazione, composta da un Greco Poeta per uso de suoi amici, e conceputa ne’seguenti termini: Grande Giove, concedeteci i beni, che ci sono necessarj o ve li dimandiamo o nò; ed allontanate da noi i mali, quando anche ve li dimandassimo.

  2. II. 

    In secondo luogo, acciò il suo Discepolo potesse chiedere le cose, che gli sarebbono utili, gli fà vedere, ch’gli è assolutamente necessario l’applicarsi allo studio della vera sapienza, ed alla cognizione del sommo bene, e di [90] cio che meglio si accorda colla eccellenza della sua natura.

  3. III. 

    In terzo, ed ultimo luogo, gl’insegna, che il più sicuro mezzo d’attraersi le Celesti benedizioni, e di rendere grate le sue preghiere alla Divinità, sarebbe il vivere nella pratica costante de suoi doveri, e verso Dio, e verso gli Uomini. Gli raccomanda, con questa occasione la orazione de’Lacedemoni, che dimandavano alli Dei: di loro concedere tutto ciò ch’era buono, mentr’eglino s’appigliassero alla Virtù. Gli discorre altresì in tale proposito d’un oracolo degno di riflessione; eccone in epilogo, la Storia.

Livello 4► Exemplum► Gli Atteniesi dopo essere stati battuti molte volte in una Guerra, nella quale erano impegnati contro i Lacedemoni; inviarono all’Oracolo di Giove Ammone per sapere donde venisse, ch’eglino, che aveano inalzati tanti Tempj ad onore delli Dei, e gli aveano arrichiti di sì belle offerte; che aveano istituite in loro onore tante Feste solenni, accompagnate da sì pompose Cerimonie; che in somma aveano immolate tante Ecatombe sugli Altari, non aveano la stessa sorte de’Lacedemoni, che per niun verso poteano stare a fronte del loro zelo. L’Oracolo rispose: Io amo più la orazione de’Lacedemoni, che tutti li Sagrificj de’Greci. ◀Exemplum ◀Livello 4 Si come una tale orazione supponea, ed incoraggiva la virtù in quelli, che la [91] porgeano: il Filosofo s’applica nel far vedere, che l’Uomo, anche più abbandonato al vizio, potrebbe a questo prezzo doventare grato alli Dei, ma che questi hanno in orrore le sue vittime, e le sue preghiere. Aggiongne due versi d’Omero ne’quali dice: che i venti portavano dalla terra al Cielo l’odore delle Ecatombe, che i Troiani offrivano agl’Immortali, e che questi ricusarono di gusturlo; perche aveano dell’avversione alla Città di Troja a Priamo, ed a tutto il suo Popolo.

Metatestualità► Riesce molto considerabile la conclusione di questo dialogo. ◀Metatestualità Livello 4► Dialogo► Dopo che Socrate ha distolto Alcibiade dal offrire le sue preghiere, e le sue vittime, per le difficoltà, vi erano nel adempire un tale dovere, conclude: Perche è di necessità indispensabile aspettiate, che qualchuno v’insegni, come dovete portarvi verso i Dei, e verso gli uomini. Quando verrà questo tempo repicla Alcibiade; chi sarà questo, che mi istruirà? Io lo vedrò con piacere. Socrate risponde: chi ha veramente cura di voi. Ma mi pare, che come si legge in Omero che minerva dissipa la nuvola, che copriva gli occhj à Diomede, e gl’impediva il distinguere i Dei dagli uomini, fà di mistieri, che anch’egli dissipi le tenebre, che offuscano la vostra mente, prima, che siate in istato di discernere ciò ch’è buono da ciò ch’è cattivo. Dissipi dunque risponde Alcibiade, scaccj le mie tenebre, e tutto ciò, che vorrà. Mi abbandono alla sua condotta; e sono pronto di ub-[92]bidire à tutto ciò, mi ordinerà, purche io ne doventi migliore. ◀Dialogo ◀Livello 4 ◀Racconto generale ◀Livello 3 Metatestualità► Il rimanente di questo Dialogo è pieno di oscurritá; benche vi sia qualche cosa, la quale potrebbe insinuare, che Socrate vogli parlare di sè medesimo, quando ci fà aspettare un nuovo Dottore nel mondo, se nel fine non confessasse di ritrovarsi al proposito in una incertezza pari agli altri Uomini.

Alcuni Saggi riguardano quest’ultimo tratto, come una predizione della venuta di Gesù Christo; o almeno pensano, che Socrate, a punto come Caifasso, profetizasse senza saperlo; e dessignasse quel Divino Dottore, che dovea, qualche secolo dopo venire al mondo. Siasi com’esser si voglia vaggiamo; che questo gran Filosofo scuoprì col lume della ragione, che era conveniente alla Divina Bontà l’inviare una persona al mondo, per istruire gli Uomini, ed insegnare loro à priegare Dio. ◀Metatestualità

Ogn’uno, che leggerà questo Ristretto del Dialogo di Platone sopra l’Orazione, non lascierà, à mio credere, d’accorgersi, che il Grande Fondatore della nostra Santissima Religione, in tutta la sua condotta, e nella Orazione, che insegna egli stesso a suoi Discepoli, non si restringe alle sole massime dettate dai lumi della natura à Socrate; ma di più, istruisce gli stessi Discepoli sopra tutta la estensione d’un tale dovere; come anche di tutti gli altri: Mostra lo-[93]ro il vero oggetto del loro culto, insegnando, giusta la terza Regola sopra dettata l’obbligo di riccorrere a lui senza fasto, e senza ostentazione ed adorarlo in ispirito, e verità. Se i Lacedemoni chiedeano a loro Dei in generale di concedere loro tutto ciò, ch’era buono, mentr’eglino s’applicavano alla virtù; noi preghiamo Dio, in particolare, che ci perdoni le nostre offese, come noi perdoniamo a quelli che ci hanno offesi. Se la seconda regola di Socrate prescrive di applicarsi alla ricerca del sommo Bene; e di ciò che meglio si accorda coll’eccellenza della nostra natura; il Vangelo c’insegna, in diversi luoghi, che dobbiamo avere l’idee lontane da quelle del mondo, e perciò dimandiamo a Dio nella orazione Dominicale, che venga il suo Regno, ch’è la sorgente della nostra somma Felicità, e l’unico fine della nostra Creazione, senza mettersi in pena per lo Temporale, se non per quanto s’aspetta alla nostra sussistenza di giorno in giorno. In oltre, noi non lo preghiamo di liberarci se non dal male in generale, senza dire in che questo consista, ben persuasi, che la sua infinita sapienza, lo determinerà meglio di quello sapremmo noi fare. Se finalmente esaminiamo il Formolario di Socrate nella sua prima Regola lo ritroveremmo, non solamente compreso, ma portato infinitamente più in alto nella Dimanda, che indrizzia-[94]mo a Dio, supplicandolo, che sia fatta la di lui volontà sopra la Terra, come nel Cielo. Questo s’accorda con ciò, che il nostro salvatore dicea egli stesso nella vigilia della sua morte frà le agonie del Getsemani: Nulla dimeno, non come io verrei, ma come tu vuoi. Si può dire, che questa dimanda è la più sommessa, e la più prudente, che possa fare la creatura al Creatore: suppone, che quel Essere infinito niente voglia, che non sia per nostro vantaggio, e ch’egli solo sà ciò, che ci conduce a tal fine. ◀Livello 2 ◀Livello 1