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Carta/Carta ao editor
Metatextualidade
Sig. Filosofo.
“Io sono di un rango, e d’una tornitura, senza
parlare delle mie facoltà, che mi rendono considerabile al pari di ciascun altra Dama Giovine della
Città. Sta in mio arbitrio il godere tutte le vanità del secolo; ma per la cura, che si è pigliata
della mia educazione, provo del ribrezzo per le arie sfrontate, per le maniere libere che si veggono
da per tutto; e particolarmente nelle publiche Adunanze. Mi pare, che una delle più grandi sorgenti
di questo male venga dallo stile, e dal libertinaggio delle nostre Comedie.
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Exemplo
Mi ritrovai, hieri sera, a quella, che a per titolo: Il Duolo alla
moda, dove un Amante, parlando della sua Innamorata, ha la sfacciatagine di esclamare “oh, vezzosa
Nina~k perche non posso stringerla frà le mie braccia, e vederla finalmente soccombere, dopo avere fatta qualche resistenza.”
Un tratto di questa natura non dovrebbe mai esporsi alla immaginazione d’un uditorio casto, e
di regolati costumi; vi priego dirmi sopra di questo il vostro parere, e di essaminare, in qualità
di Censore de Moderni Costumi, lo stile de’nostri Poeti Comici per quello riguarda la Castità e la
modestia.
Metatextualidade
Sono &c.”
E così giusto il lamento di questa Dama, che la espressione da cui rimane offesa, e molto
grossolana per dispiacere, a chi non professa la sua delicatezza, e modestia. Vi sarebbono molte
cose in difesa degli Autori. Se si considerasse la difficoltà di sostenere un Dialogo vivo, ed
animato per cinque Atti continui, si permetteterebbe ad’uno scrittore, che ha evacuato tutto il suo
fuoco, il riccorrere a qualche piccola gagliardia; altramente non piacerebbe. Ardisco fare sicurtà
per tutti li Poeti in generale, che non ve n’è un solo, il quale abbi scritto delle impurità, se non
perche si ritrovava al termine della sua invenzione. Quando un Autore non ha più talento per
innalzarsi sopra il grosso del suo uditorio bisogna, che venga a ciò, che ha del comune con esso; e
che lusinghi qualche appetito sensuale, già che non ha di che solleticare una immaginazione purgata.
A questo mancamento dobbiamo attribuire lo sgarro, di cui si tratta. E tutti gli
altri, della stessa speccie, nelle nostre Comedie, che d’ordinario passano sotto il titolo di
espressioni saporite. La maggior parte degli Autori, che sono riusciti nelle opere da Teatro, hanno
posto in pratica questo spediente, per supplire al diffetto dell’ingegno. Io non conosco, che un
Autore, il quale abbi scritto, con dissegno, una Comedia fondata sul desiderio, abbiamo di
moltiplicare la nostra speccie se io a caso intendessi ciò, che sospira la Dama, nella Comedia
intitolata: ella vorebbe se ella potesse. Altri Poeti hanno insinuato, o in un luogo, o in un altro,
che questa e sempre la mira, non ostanti tutte le ritirate, e tutte le astuzie, colle quali una
Donna sà occultare il suo giuoco. Non vi è che l’accennato Autore, che senza verun riguardo, ha
condotta la immaginazione de’suoi uditori a questo unico ogetto dal principio sino al fine
dell’opera. Per altro ella è ben ricevuta; sia, che le Donne maliziose, che la veggono a
rappresentare, volessero se potessero; o che le innocenti vadano ad ascoltarla per congietturare
ciò, che significano quelle parole ,,ella vorebbe s’ella potesse. Un discorso languente, senza
ragione, senza rima viene sostenuto da una positura lasciva. Quando e di stile troppo basso resta così elevato; e la insipidezza viene stagionata dagli equivoci. Gli scrittori che non
hanno talento non mancano mai, d’impiegare questo picciolo Corpo di riserva, per eccitare alle risa,
ed ottenere Applauso. Per me, che non conosco le Donne, se non in vederle alla Comedia, allorche
sono sieduto, con maniera molto innnocente (sic.), nella Platea; e mi veggo insultato dalle vesti
delle Ballerine, la gentille tornitura delle quali riesce d’un grande soccorso ad’una composizione
meschina, posso quasi indovinare la situazione del bel sesso. Quando un Poeta si rilascia, egli
mancano le espressioni di gusto elevato, una gaiosa Comediante, cogli atteggiamenti lascivi,
supplise al tutto, e mantiene il credito dell’Autore. I Poeti senza vivacità, fanno, co’loro uditori
presso poco, come i Buffoni coi loro Padroni; quando non sanno più divertirli co’tratti spiritosi, o
con qualche graziosa giovialità, li pascono con qualche lusinga, che si accorda col loro umore,
Benche, in sostanza, la disaprovino. Appisio~i prova un estremo piacere, se gli parlate d’un Pasto
dov’erano esquisite vivande; e Clodio~i è tutto fuoco, se gli descrivete una belta impudica. Pure la
delicatezza, Ed i gradimenti della conversazione sono i migliori giudici, quando non si toccano le
accenate due debolezze, dalle quali vengono dominati. L’ho di già insinuato; è più
facile il parlare all’Uomo, che all’Uomo di buon senno. È degno di riflessione: Gli Auttori, che
hanno minor sapere, sono i più esperti ne’discorsi libertini. Le Donne che si applicano alla Poesia,
hanno fatte meraviglie in questo genere;
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Exemplo
e siamo obbligati a quella, che ci ha donato l’Ibraim, per avere
introdotta una scena, che serve di preparativo all’atto stesso, quando quell’Imperatore getta il
fazzoletto alla sua Inamorata, e la impegna a seguirlo nel luogo più appartato del Serraglio.
Bisogna confessare che sua Maesta Turca si ritira con buona grazia, ma mi pare che quelli
l’aspettano di fuori facciano una brutta figura. Questa ingegnosa persona ha raffinati in
quest’opera de’veri R. per un altra Poetessa, che si ha regalati del Corsaro, dove un Gentiluomo si
spoglia di tutto, a riserva de’Calzoni di tela d’Olanda. La piacevolezza di spogliarsi quasi nudi è
stata pratticata dopo, con molto applauso, da Ciarlatani.
Non si dee quì trascurare che il Corsaro viene spedito più d’una volta in ciascun atto per la
stessa ambasciata. Questo non è del tutto contrario alla natura. Se l’Uomo dipinge se stesso, per
quanto si dice nel carattere che ci da degli altri, non è cosa giusta che la Donna quando s’impegna
di scrivere, abbi la stessa libertà? si come l’intelletto maschio, nel fine della
Comedia, dà una ricca ereditiera al suo Eroe, così l’intelletto femina dà un gallante alla sua
eroina. Non vi è quasi opera il di cui Eroe, o il di cui Cavaliere di bell’aria esca di Scena con
tale dissegno, e non lasci occupati gli uditori nel riflettere all’onesto impiego che loro dà, o a
tutto ciò che loro piace. Chi frequenta le Comedie, non potrebbe che avere un alta idea di se
stesso, se si arricordasse, quante volte ha servito di Mezano a qualche Rattore Tiranno, o a qualche
Fortunato empio. Allorche gli Attori si sottraggono per questa buona occasione, lo spettatore che
stà nel piano non manca di esaminare il contegno delle Dame per vedere quale diletto vi ritrovino, e
vi è sempre qualche dissoluto, grande Fisonomista, che pretende scuoprirle dalla loro mina. Alcune
Dame non vanno mai alla Comedia a cagione di tali accidenti; ed altre vi si portano per la prima
volta a fine di non ritornarvi più se vi osservano troppo lezzo. Se i bei Talenti che si applicano a
scrivere per lo Teatro, in vece di studiare di divertire, con questa maniera indegna e vile,
rivolgessero i loro sforzi ad eccitare negli Uditori que’buoni principj naturali che sono negli
uditori, benche affogati dal vizio, e dalla dissolutezza, non solamente ci
piacerebbono, ma ci tratterebbono da Amici; e ne avremmo loro una obbligazione eterna. Chi potrebbe
impedire ad un Poeta il segnalarsi nel dare un nuovo sistema alle Comedie? Forse quel galante che
oggidì ci viene rappresentato come il centro della politezza, benche disonori il Letto del vicino, e
dell’Amico, e dorma colla metà delle Donne che compariscono in Scena? Forse non si divertirebbero
meglio gli Uditori, se in vece d’abbadarvi colei fosse riconosciuto come un perfido, e trattato col
dovuto dispregio? Non vi è quasi alcuno che nello stesso tempo abbi più d’un vizio predominante; di
maniera che tutti li cuori sono accessibili da qualche parte; onde se gli possano ispirare degli
avvantaggiosi, e nobili sentimenti, se i Poeti volessero applicarvisi, con tutto il candore che
conviene al loro carattere. In fatti dov’è l’Uomo che ami, o il vino, o la sua Inamorata, a segno di
non avere gusto veruno per lo merito ben espresso d’una persona illustre, che non sia schiava, ne
dell’una, ne dell’altra di codeste passioni? Un Uomo sobrio, generoso, valente, casto, fedele e
virtuoso, puol avere insieme dello spirito, della gajosità, della pollitezza, delle maniere civili,
e grate. Nello stesso tempo che mette in uso queste ultime qualità, puole ritrovare
cento occasioni, per far vedere, che possiede le altre. Così il Ritratto ben caratterizato d’una
persona onesta toccherebbe il cuore di colui che ha buon senno, benche immerso nella dissolutezza.
Ritornato in sè confesserebbe i suoi falli passati; e rimarebbe convinto che la sanità del corpo
unita alla purità de’costumi, è il vero mezzo di godere quanto si puole di bene in questa vita.
Tutte le persone di buon gusto tratterebbono un bel ingegno, che rivoltasse la sua ambizione ad un
sì profittevole dissegno da Amico, e da Benefattore della Patria; ma non sò qual nome daranno a
colui che impiega i suoi talenti con indegne maniere contrarie, e alla civiltà, e alla coscienza.