Lezione XLIV Cesare Frasponi Moralische Wochenschriften Alexandra Fuchs Editor Lisa Pirkebner Editor Institut für Romanistik, Universität Graz 01.12.2016

o:mws-092-207

Frasponi, Cesare: Il Filosofo alla moda, ovvero, Il Maestro Universale. Venezia: Giovanni Malachino 1728, 273-297 Il Filosofo alla Moda 1 044 1728 Italien
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Lezione XLIV A’Padri inesorabili contro le Figlie, che scelgono da sè lo Sposo.

His lachrimis vitam damus, & miserescimus ultrò.

Sono più sensibile ad una Lettera, in cui parla la natura, che a quella, in cui spicca l’ingegno. Eccone una del primo ordine che ho ricevuta da una Dama.

Sig. Filosofo.

Fra tutte le disgrazie, che accadono alle Famiglie, non mi sovviene che abbiate niente motivato de’Figliuoli, che contraggono matrimonio senza il consenso de’loro Genitori. Io sono del numero di queste sfortunate persone. Non avevo che 15. anni in circa, quando mi pigliai la libertà di eleggermi uno Sposo; e da quel momento ho strascinata una vita languente, per essere incorsa nella indignazione d’un Padre inesorabile, che non mi vuol perdonare; benche possegga il migliore de’Mariti; e Dio mi abbi onorata di molto gentili figliuoli. Avea una volta tanta bontà per me, che questa stessa aggrava il mio fallo; e raddoppia sì bene la mia tenerezza verso di lui, che l’amo più di tutte le cose del Mondo; soffrirei di buon cuore la morte, se a questa condizione mi volesse ricevere in grazia. Mi sono gettata a’suoi piedi, e l’ho supplicato colle lagrime agli occhi di perdonarmi; ma egli mi rimanda sempre, e mi ributta con isdegno. Gli ho scritte molte lettere senza che le abbi mai volute, nè meno ricevere. Sono due anni che gli mandai il mio piccolo figliuolino vestito di nuovo, ma il povero fanciullo ritornò bagnato di pianto, perche noll’avea voluto vedere; ed avea ordinato, che si cacciasse di casa, benche mia madre sia interessata per me, non ardisce aprire la bocca a mio favore, per non irritarlo. Sarà un Mese in circa che stava male a morte; rimasi sì penetrata all’udire questa nuova, che non potei a meno d’informarmi del suo stato. Mia Madre pigliò questa occasione per parlargli di me, e rappresentargli con un torrente di lagrime che io ero venuta per vederlo; che la mia afflizione era sì grande, che non avevo forza di parlare; e che morirei di dolore se negasse di darmi la sua benedizione, e di riconcigliarsi con me; ma ben lontano di placarsi, la pregò di non parlargli più a mio favore, se non voleva conturbare gli ultimi momenti di sua vita. Sappiate ch’egli ha la riputazione d’Uomo virtuoso, e saggio; e questo rende il mio male tanto più crudele. Grazie a Dio, si è rimesso dalla malattia; ma il suo rigore eccessivo mi ha dato un colpo sì fatale, che temo di presto soccombere, quando la lettura di questa Lettera inserita in uno de’vostri Fogli non faccia in lui qualche impressione, e non me lo renda più favorevole. Sono ec.

Di tutte le durezze che gli Uomini hanno gli uni per gli altri, non ve n’è alcuna che possa meno scusarsi di quella de’Genitori verso i loro figliuoli. Un umore ostinato, inflessibile che mai perdona riesce odioso in tutte le occasioni, ma in questa ripugna alla natura. L’Amore, la tenerezza, e la Compassione che s’introduce ne’nostri cuori verso di quelli che dipendono da noi, mantengono la vita di tutto il Mondo animato. L’essere supremo per la eccellenza e per la bontà infinita della sua natura estende la sua misericordia sopra tutte le sue opre, e perche le sue Creature non hanno questa benevolenza volontaria verso di quelle che sono commesse alla loro cura, e si ritrovano sotto la loro protezione, ha loro communicato un istinto, che serve loro di bontà naturale.

Questo istinto è più generale, e meno ristretto negli Uomini, che negli Be-stie, perche la ragione, e’l Dovere gli dà della estensione. In fatti se esaminiamo, con qualche attenzione, noi stessi ritroveremo, che non solamente incliniamo ad amare quelli che traggono la origine da noi, ma eziandio, che abbiamo una specie di affezione naturale verso tutte le Creature che aspettano di ricevere qualche vantaggio, o la loro sussistenza dalla nostra cura. La dipendenza sì appella sempre alla umanità; e questo è il più possente motivo, che porti alla Tenerezza, e alla compassione.

Di maniera, che un Uomo che puole vincere questo Istinto, o affogare questa naturale affezione, degenera dal suo stato, si mette di sotto alle Bestie, roverscia per quanto puole il grande fine della Providenza, e bandisce dal suo cuore un principio il più divino, che la natura vi abbi piantato.

Fra una infinità d’Argomenti, che si potrebbero addurre contro un procedere sì irragionevole, io non ne sceglierò che un solo, se bene commune, egli è però il più forte. Nella Orazione Dominicale dimandiamo a Dio, che ci tratti come noi trattiamo gli altri; e che ci perdoni come noi perdoniamo a quelli che ci hanno offesi. Siamo a puntino in caso. La relazione tra il Figlio e’l Padre, si avvicina più d’ogni altra, a quella della Creatura al Creatore. Per quanto sia grave il fallo del Figlio verso il Padre, se questo è inesorabile, come può egli rivolgersi al supremo Padrone dell’universo, dargli il tenero nome di Padre, e supplicarlo di concedergli un perdono ch’egli stesso niega ad una propria figlia.

Potrei aggiungere a questo molti altri argomenti somministrati dalla Religione, e dalla Prudenza umana; ma se il motivo che ho toccato non produce un buon effetto, sarebbe inutile l’avanzarne degli altri. Così finirò il mio discorso con una Storia di molto rilievo, ritrovata in una antica Cronica dell’Alemagna.

Eginhart Segretario di Carlo magno addempiva sì ben il suo impiego ch’era amato da tutto il Mondo. Fu anche ardentemente amato da Imma figlia di questo Imperadore; ed egli concepì, altresì molta passione per lei: Il timore impediva loro l’unirsi; ma non togliea che da una parte, e dall’altra non andasse ogni giorno aumentandosi il fuoco dell’Amore. Egli si rissolvette finalmente, non potendo più raffrenare l’ardore che lo trasportava, di fare un colpo di estremo ardire. S’introdusse di notte nell’Appartamento della Principessa, picchiò destramente alla porta, venne ammesso nella Camera sul piè d’una Persona che dovea parlare da parte dell’Imperatore, parlò subito di tutt’altro, e contentò le sue focose brame. Volea ritirarsi prima che spontasse il giorno, ma si avvide che nel tempo, in cui si era divertito con Imma, era caduta molta neve, temette che la traccia de’suoi piedi non lo scoprisse. Consultò colla Principessa sopra il mezzo d’escire da quel cattivo passo. Finalmente ella ritrovò il partito; si offrì ella medesima di caricarsi le spalle dell’Amante, e portarlo fin di là dalla neve. L’Imperadore avea passata quella notte senza dormire; e si crede che questa sua vigilia fosse un effetto particolare della Providenza. Si alzò di buon mattino, e rimirando dalla finestra, vide la sua figlia che stentava a camminare sotto il peso che portava, e che dopo averlo deposto si ritirò con grande prestezza; rimase sorpreso dalla meraviglia, e dal dolore; ma credendo che vi fosse qualche cosa di sovranaturale, pigliò per allora il partito di dissimulare Eginhart, sicuro che la sua azione non rimarrebbe gran tempo occulta, rissolvete di ritirarsi, e si gettò a piè dell’Imperadore per ottenerne la permissione, sotto pretesto che i suoi lunghi serviggi non erano stati ricompensati. L’Imperadore gli rispose, che vi penserebbe; e che per il tale giorno gli avrebbe fatta sapere la sua intenzione. Il giorno vegnente adunò il suo consiglio segreto; espose di punto in punto ciò che avea veduto, chiedendo parere sopra un affare che disonorava la sua fami-glia. Le opinioni furono varie. Molti inclinarono ad un esemplare, e rigoroso castigo; altri ben pesata la delicata facenda, suggerirono all’Imperadore, che decidesse egli da sè colla sua sublime prudenza. Or ecco la sua sentenza: Dichiarò, che castigando Eginhart accrescerebbe più tosto, che diminuire la vergogna della sua Famiglia, che però stimava partito più saggio, che coprire questa ignominia sotto il velo del Matrimonio. Si fè dunque entrare il galante, e se gli disse, che per soddisfare ai suoi lamenti di non essere stato riconosciuto de’suoi lunghi serviggi, se gli concedea in Moglie la figlia dell’Imperatore. Vi darò mia figlia, gli disse Carlo magno, quella portatrice che sì benignamente caricò le sue spalle della vostra persona. Si fè pure venir subito la Principessa, e si consegnò ad Eginhart in Moglie, con una dote proporzionata alla figlia d’un sì gran Principe.

Lezione XLIV A’Padri inesorabili contro le Figlie, che scelgono da sè lo Sposo. His lachrimis vitam damus, & miserescimus ultrò. Sono più sensibile ad una Lettera, in cui parla la natura, che a quella, in cui spicca l’ingegno. Eccone una del primo ordine che ho ricevuta da una Dama. Sig. Filosofo. Fra tutte le disgrazie, che accadono alle Famiglie, non mi sovviene che abbiate niente motivato de’Figliuoli, che contraggono matrimonio senza il consenso de’loro Genitori. Io sono del numero di queste sfortunate persone. Non avevo che 15. anni in circa, quando mi pigliai la libertà di eleggermi uno Sposo; e da quel momento ho strascinata una vita languente, per essere incorsa nella indignazione d’un Padre inesorabile, che non mi vuol perdonare; benche possegga il migliore de’Mariti; e Dio mi abbi onorata di molto gentili figliuoli. Avea una volta tanta bontà per me, che questa stessa aggrava il mio fallo; e raddoppia sì bene la mia tenerezza verso di lui, che l’amo più di tutte le cose del Mondo; soffrirei di buon cuore la morte, se a questa condizione mi volesse ricevere in grazia. Mi sono gettata a’suoi piedi, e l’ho supplicato colle lagrime agli occhi di perdonarmi; ma egli mi rimanda sempre, e mi ributta con isdegno. Gli ho scritte molte lettere senza che le abbi mai volute, nè meno ricevere. Sono due anni che gli mandai il mio piccolo figliuolino vestito di nuovo, ma il povero fanciullo ritornò bagnato di pianto, perche noll’avea voluto vedere; ed avea ordinato, che si cacciasse di casa, benche mia madre sia interessata per me, non ardisce aprire la bocca a mio favore, per non irritarlo. Sarà un Mese in circa che stava male a morte; rimasi sì penetrata all’udire questa nuova, che non potei a meno d’informarmi del suo stato. Mia Madre pigliò questa occasione per parlargli di me, e rappresentargli con un torrente di lagrime che io ero venuta per vederlo; che la mia afflizione era sì grande, che non avevo forza di parlare; e che morirei di dolore se negasse di darmi la sua benedizione, e di riconcigliarsi con me; ma ben lontano di placarsi, la pregò di non parlargli più a mio favore, se non voleva conturbare gli ultimi momenti di sua vita. Sappiate ch’egli ha la riputazione d’Uomo virtuoso, e saggio; e questo rende il mio male tanto più crudele. Grazie a Dio, si è rimesso dalla malattia; ma il suo rigore eccessivo mi ha dato un colpo sì fatale, che temo di presto soccombere, quando la lettura di questa Lettera inserita in uno de’vostri Fogli non faccia in lui qualche impressione, e non me lo renda più favorevole. Sono ec. Di tutte le durezze che gli Uomini hanno gli uni per gli altri, non ve n’è alcuna che possa meno scusarsi di quella de’Genitori verso i loro figliuoli. Un umore ostinato, inflessibile che mai perdona riesce odioso in tutte le occasioni, ma in questa ripugna alla natura. L’Amore, la tenerezza, e la Compassione che s’introduce ne’nostri cuori verso di quelli che dipendono da noi, mantengono la vita di tutto il Mondo animato. L’essere supremo per la eccellenza e per la bontà infinita della sua natura estende la sua misericordia sopra tutte le sue opre, e perche le sue Creature non hanno questa benevolenza volontaria verso di quelle che sono commesse alla loro cura, e si ritrovano sotto la loro protezione, ha loro communicato un istinto, che serve loro di bontà naturale. Questo istinto è più generale, e meno ristretto negli Uomini, che negli Be-stie, perche la ragione, e’l Dovere gli dà della estensione. In fatti se esaminiamo, con qualche attenzione, noi stessi ritroveremo, che non solamente incliniamo ad amare quelli che traggono la origine da noi, ma eziandio, che abbiamo una specie di affezione naturale verso tutte le Creature che aspettano di ricevere qualche vantaggio, o la loro sussistenza dalla nostra cura. La dipendenza sì appella sempre alla umanità; e questo è il più possente motivo, che porti alla Tenerezza, e alla compassione. Di maniera, che un Uomo che puole vincere questo Istinto, o affogare questa naturale affezione, degenera dal suo stato, si mette di sotto alle Bestie, roverscia per quanto puole il grande fine della Providenza, e bandisce dal suo cuore un principio il più divino, che la natura vi abbi piantato. Fra una infinità d’Argomenti, che si potrebbero addurre contro un procedere sì irragionevole, io non ne sceglierò che un solo, se bene commune, egli è però il più forte. Nella Orazione Dominicale dimandiamo a Dio, che ci tratti come noi trattiamo gli altri; e che ci perdoni come noi perdoniamo a quelli che ci hanno offesi. Siamo a puntino in caso. La relazione tra il Figlio e’l Padre, si avvicina più d’ogni altra, a quella della Creatura al Creatore. Per quanto sia grave il fallo del Figlio verso il Padre, se questo è inesorabile, come può egli rivolgersi al supremo Padrone dell’universo, dargli il tenero nome di Padre, e supplicarlo di concedergli un perdono ch’egli stesso niega ad una propria figlia. Potrei aggiungere a questo molti altri argomenti somministrati dalla Religione, e dalla Prudenza umana; ma se il motivo che ho toccato non produce un buon effetto, sarebbe inutile l’avanzarne degli altri. Così finirò il mio discorso con una Storia di molto rilievo, ritrovata in una antica Cronica dell’Alemagna. Eginhart~i Segretario di Carlo magno~i addempiva sì ben il suo impiego ch’era amato da tutto il Mondo. Fu anche ardentemente amato da Imma~i figlia di questo Imperadore; ed egli concepì, altresì molta passione per lei: Il timore impediva loro l’unirsi; ma non togliea che da una parte, e dall’altra non andasse ogni giorno aumentandosi il fuoco dell’Amore. Egli si rissolvette finalmente, non potendo più raffrenare l’ardore che lo trasportava, di fare un colpo di estremo ardire. S’introdusse di notte nell’Appartamento della Principessa, picchiò destramente alla porta, venne ammesso nella Camera sul piè d’una Persona che dovea parlare da parte dell’Imperatore, parlò subito di tutt’altro, e contentò le sue focose brame. Volea ritirarsi prima che spontasse il giorno, ma si avvide che nel tempo, in cui si era divertito con Imma~i, era caduta molta neve, temette che la traccia de’suoi piedi non lo scoprisse. Consultò colla Principessa sopra il mezzo d’escire da quel cattivo passo. Finalmente ella ritrovò il partito; si offrì ella medesima di caricarsi le spalle dell’Amante, e portarlo fin di là dalla neve. L’Imperadore avea passata quella notte senza dormire; e si crede che questa sua vigilia fosse un effetto particolare della Providenza. Si alzò di buon mattino, e rimirando dalla finestra, vide la sua figlia che stentava a camminare sotto il peso che portava, e che dopo averlo deposto si ritirò con grande prestezza; rimase sorpreso dalla meraviglia, e dal dolore; ma credendo che vi fosse qualche cosa di sovranaturale, pigliò per allora il partito di dissimulare Eginhart~i, sicuro che la sua azione non rimarrebbe gran tempo occulta, rissolvete di ritirarsi, e si gettò a piè dell’Imperadore per ottenerne la permissione, sotto pretesto che i suoi lunghi serviggi non erano stati ricompensati. L’Imperadore gli rispose, che vi penserebbe; e che per il tale giorno gli avrebbe fatta sapere la sua intenzione. Il giorno vegnente adunò il suo consiglio segreto; espose di punto in punto ciò che avea veduto, chiedendo parere sopra un affare che disonorava la sua fami-glia. Le opinioni furono varie. Molti inclinarono ad un esemplare, e rigoroso castigo; altri ben pesata la delicata facenda, suggerirono all’Imperadore, che decidesse egli da sè colla sua sublime prudenza. Or ecco la sua sentenza: Dichiarò, che castigando Eginhart~i accrescerebbe più tosto, che diminuire la vergogna della sua Famiglia, che però stimava partito più saggio, che coprire questa ignominia sotto il velo del Matrimonio. Si fè dunque entrare il galante, e se gli disse, che per soddisfare ai suoi lamenti di non essere stato riconosciuto de’suoi lunghi serviggi, se gli concedea in Moglie la figlia dell’Imperatore. Vi darò mia figlia, gli disse Carlo magno~i, quella portatrice che sì benignamente caricò le sue spalle della vostra persona. Si fè pure venir subito la Principessa, e si consegnò ad Eginhart~i in Moglie, con una dote proporzionata alla figlia d’un sì gran Principe.