Lezione XXXIII Cesare Frasponi Moralische Wochenschriften Alexandra Fuchs Editor Lisa Pirkebner Editor Institut für Romanistik, Universität Graz 01.12.2016

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Frasponi, Cesare: Il Filosofo alla moda, ovvero, Il Maestro Universale. Venezia: Giovanni Malachino 1728, 201-205 Il Filosofo alla Moda 1 033 1728 Italien
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Lezione XXXIII Alli moderni Adulatori ne’complimenti.

Et noto fictum carmen sequar, ut sibi quivis.Speret idem: sudet multum frustràque laboret.Ausus idem.

Un Teologo della nostra Società, offeso da’complimenti, che se gli fanno; e che crede non dovuti a chi si sia, benchè io creda applicabili a lui solo, almeno in sua assenza, vi fè sopra l’altro giorno nella consueta addunanza un bellissimo discorso, in cui notò come preambulo, che nella nostra Compagnia, da che fu istituita, non ha mai udito a fare un solo complimento. Questo rifflesso piacque a tutti li Associati, che ben persuasi del suo buon cuore verso di loro rimasero convinti, che tutte le assicuranze di amicizia, e di servitù che d’ordinario si fanno nel Mondo, non sono naturali, che non vengono dall’interno; e che vi si prostituisce il linguaggio, il quale allora non significa niente, o almeno pochissimo di quanto esprime. Or ecco ciò che ne disse.

“Trà una folla d’esempj, che non provano, se non troppo, la corrutela del Secolo in cui viviamo; la mancanza di sincerità non è il minore. La dissimulazione ne’complimenti è oggidì tanto alla moda, che le parole quasi più non significano i pensieri. In fatti se un Uomo siegue i movimenti del suo cuore; se dichiara con sincerità, ciò che pensa; e se non mostra agli altri più amicizia di quello dee, appena fuggirà la taccia d’essere mal educato. Quell’antica sincerità de’nostri Paesi; quella generosa Candidezza, quella buona Fede naturale, che sempre palesa una vera grandezza di animo, e viene ad ogn’ora animata da un intrepido corraggio, è quasi fra di noi estinta. Non è gran tempo, che cerchiamo di famigliarci colle mode straniere: e di assoggettarci alla servile imitazione di quelli d’un Paese lontano, che non sono i migliori. Lo stile della Conversazione è sì gonfio di vani complimenti e si affogato, per così dire, dalle assicuranze di rispetto, e di amicizia, che se un Uomo escito già uno, o due Secoli dal Mondo, se ritornasse avrebbe necessità d’un Dizionario, per intendere il proprio linguaggio; e per conoscere il giusto valore delle frasi alla moda. Che dico io! avreb-be difficoltà a credere, che tutte codeste solenni proteste della più perfetta divozione, che si possa imaginare, fossero a sì vile prezzo nell’ordinario corso del Mondo, e quando ne rimanesse istrutto, gli bisognerebbe molto tempo per avvezzarvi la propria coscienza, ad intraprenderle con serietà e pagare gli altri colla stessa mente.

Confesso, non sarebbe sì facile il decidere se sia più degno del nostro dispregio, o della nostra compassione l’udire le sicurezze di ossequio, e d’una invisibile fedeltà, che gli Uomini si danno a vicenda. Quale stima, o quale zelo non attestano ad uno, che forse mai hanno veduto? con quale perfetta divozione, non si dedicano in un subito, al suo serviggio, e non pigliano a cuore i suoi interessi, senza un minimo fondamento? Quali obbligazioni infinite d’avergli senza che abbino ricevuto verun benefizio? Con quale viva maniera non s’interessano in tutto ciò, che lo riguarda, ed anche non si affligono del suo stato, senza che ne sappino la cagione? Sò benissimo che per giustificare il vuoto, ed il debole di questa usanza, si dice, che non vi è punto di male nè d’inganno ne’complimenti: Verba valent, ut nummi. Hanno pigliata la natura della moneta, che vale quanto si fa valere. Sarebbe passabile il sutterfuggio se i Complimenti valessero qualche cosa; ma quando si mettano in conto non sono che Zerri in cifra. Siasi com’esser si voglia, abbiamo sempre motivo di dolersi, che la franchezza, e la sincerità non siano più alla moda, che i nostri discorsi abborriscano in menzogne, che sia quasi affatto pervertito l’uso della parola, che le espressioni non significhino più niene (sic.) che la Conversazione degli Uomini, non sia che un commercio, dove ciacuno (sic.) dissimula i proprj sentimenti, di maniera che una Persona onesta, nel vedere la poca sincerità, che regna nel Mondo, non può essere che annojata di starvi.”

Dopo avere dipinto questo vizio, soto colori sì dispreggievoli, lo combatte con invincibile maniera, per via di pensieri sì giusti, e termini sì naturali, che ogn’Uomo intendente s’immagina subito, ch’egli ne sia l’Autore.

“Se l’apparenza, dice, d’una certa cosa può servire a qualche buon fine, io sono persuaso che per questo valerà assai meglio la realtà. In fatti, per quale motivo un Uomo dissimula, o vuole comparire quello non è, se non perche ha una idea vantagiosa di quella virtù con cui vuole adobbarsi? Il mascherare, o dissimulare è un vestire le apparenze di qualche buona, e reale qualità. Il più sicuro mezzo di comparire ornato di qualche Talento è il possederlo di fatto. Aggiognete. che sovvente è tanto difficile il mantenere una falsa pretesa, quanto l’acquistare un legitimo diritto, che probabilmente si scuoprirà l’artificio; e che allora tutte le industrie usate per ben occultare il giuoco, doventaranno inutili.”

In un altro luogo del suo discorso fa vedere, che ogni artificio, non mira per naturale sequela, che a rovinare i dissegni di chi l’addopra “Qualsivoglia commodità, dice, si ritrovi nella Buggia, e nella dissimulazione, passa ben presto; ma l’incommodo, che ne risulta è di lunga durata. Un mentitore, o un dissimulatore è sempre sospetto, non gli si crede ne meno quando dice la verità, e sì diffida di lui, anche quando tratta di buona fede. In somma un Uomo, che non è più riconosciuto sincero ha legati i piedi, e le mani, è perduto senza rimedio; non vi è niente, che possa ristabilirlo. La verità, e la buggia più non gli servono ad uso veruno.”

Lezione XXXIII Alli moderni Adulatori ne’complimenti. Et noto fictum carmen sequar, ut sibi quivis.Speret idem: sudet multum frustràque laboret.Ausus idem. Un Teologo della nostra Società, offeso da’complimenti, che se gli fanno; e che crede non dovuti a chi si sia, benchè io creda applicabili a lui solo, almeno in sua assenza, vi fè sopra l’altro giorno nella consueta addunanza un bellissimo discorso, in cui notò come preambulo, che nella nostra Compagnia, da che fu istituita, non ha mai udito a fare un solo complimento. Questo rifflesso piacque a tutti li Associati, che ben persuasi del suo buon cuore verso di loro rimasero convinti, che tutte le assicuranze di amicizia, e di servitù che d’ordinario si fanno nel Mondo, non sono naturali, che non vengono dall’interno; e che vi si prostituisce il linguaggio, il quale allora non significa niente, o almeno pochissimo di quanto esprime. Or ecco ciò che ne disse. “Trà una folla d’esempj, che non provano, se non troppo, la corrutela del Secolo in cui viviamo; la mancanza di sincerità non è il minore. La dissimulazione ne’complimenti è oggidì tanto alla moda, che le parole quasi più non significano i pensieri. In fatti se un Uomo siegue i movimenti del suo cuore; se dichiara con sincerità, ciò che pensa; e se non mostra agli altri più amicizia di quello dee, appena fuggirà la taccia d’essere mal educato. Quell’antica sincerità de’nostri Paesi; quella generosa Candidezza, quella buona Fede naturale, che sempre palesa una vera grandezza di animo, e viene ad ogn’ora animata da un intrepido corraggio, è quasi fra di noi estinta. Non è gran tempo, che cerchiamo di famigliarci colle mode straniere: e di assoggettarci alla servile imitazione di quelli d’un Paese lontano, che non sono i migliori. Lo stile della Conversazione è sì gonfio di vani complimenti e si affogato, per così dire, dalle assicuranze di rispetto, e di amicizia, che se un Uomo escito già uno, o due Secoli dal Mondo, se ritornasse avrebbe necessità d’un Dizionario, per intendere il proprio linguaggio; e per conoscere il giusto valore delle frasi alla moda. Che dico io! avreb-be difficoltà a credere, che tutte codeste solenni proteste della più perfetta divozione, che si possa imaginare, fossero a sì vile prezzo nell’ordinario corso del Mondo, e quando ne rimanesse istrutto, gli bisognerebbe molto tempo per avvezzarvi la propria coscienza, ad intraprenderle con serietà e pagare gli altri colla stessa mente. Confesso, non sarebbe sì facile il decidere se sia più degno del nostro dispregio, o della nostra compassione l’udire le sicurezze di ossequio, e d’una invisibile fedeltà, che gli Uomini si danno a vicenda. Quale stima, o quale zelo non attestano ad uno, che forse mai hanno veduto? con quale perfetta divozione, non si dedicano in un subito, al suo serviggio, e non pigliano a cuore i suoi interessi, senza un minimo fondamento? Quali obbligazioni infinite d’avergli senza che abbino ricevuto verun benefizio? Con quale viva maniera non s’interessano in tutto ciò, che lo riguarda, ed anche non si affligono del suo stato, senza che ne sappino la cagione? Sò benissimo che per giustificare il vuoto, ed il debole di questa usanza, si dice, che non vi è punto di male nè d’inganno ne’complimenti: Verba valent, ut nummi. Hanno pigliata la natura della moneta, che vale quanto si fa valere. Sarebbe passabile il sutterfuggio se i Complimenti valessero qualche cosa; ma quando si mettano in conto non sono che Zerri in cifra. Siasi com’esser si voglia, abbiamo sempre motivo di dolersi, che la franchezza, e la sincerità non siano più alla moda, che i nostri discorsi abborriscano in menzogne, che sia quasi affatto pervertito l’uso della parola, che le espressioni non significhino più niene (sic.) che la Conversazione degli Uomini, non sia che un commercio, dove ciacuno (sic.) dissimula i proprj sentimenti, di maniera che una Persona onesta, nel vedere la poca sincerità, che regna nel Mondo, non può essere che annojata di starvi.” Dopo avere dipinto questo vizio, soto colori sì dispreggievoli, lo combatte con invincibile maniera, per via di pensieri sì giusti, e termini sì naturali, che ogn’Uomo intendente s’immagina subito, ch’egli ne sia l’Autore. “Se l’apparenza, dice, d’una certa cosa può servire a qualche buon fine, io sono persuaso che per questo valerà assai meglio la realtà. In fatti, per quale motivo un Uomo dissimula, o vuole comparire quello non è, se non perche ha una idea vantagiosa di quella virtù con cui vuole adobbarsi? Il mascherare, o dissimulare è un vestire le apparenze di qualche buona, e reale qualità. Il più sicuro mezzo di comparire ornato di qualche Talento è il possederlo di fatto. Aggiognete. che sovvente è tanto difficile il mantenere una falsa pretesa, quanto l’acquistare un legitimo diritto, che probabilmente si scuoprirà l’artificio; e che allora tutte le industrie usate per ben occultare il giuoco, doventaranno inutili.” In un altro luogo del suo discorso fa vedere, che ogni artificio, non mira per naturale sequela, che a rovinare i dissegni di chi l’addopra “Qualsivoglia commodità, dice, si ritrovi nella Buggia, e nella dissimulazione, passa ben presto; ma l’incommodo, che ne risulta è di lunga durata. Un mentitore, o un dissimulatore è sempre sospetto, non gli si crede ne meno quando dice la verità, e sì diffida di lui, anche quando tratta di buona fede. In somma un Uomo, che non è più riconosciuto sincero ha legati i piedi, e le mani, è perduto senza rimedio; non vi è niente, che possa ristabilirlo. La verità, e la buggia più non gli servono ad uso veruno.”