Zitiervorschlag: Cesare Frasponi (Hrsg.): "Lezione XXI", in: Il Filosofo alla Moda, Vol.1\021 (1728), S. 130-137, ediert in: Ertler, Klaus-Dieter / Fuchs, Alexandra (Hrsg.): Die "Spectators" im internationalen Kontext. Digitale Edition, Graz 2011- . hdl.handle.net/11471/513.20.21 [aufgerufen am: ].


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Lezione XXI

A Letterati curiosi sopra la chimera degli Americani, circa l’altra vita.

ZM* Felices errore suo.

Lucan ◀Zitat/Motto

Ebene 2► Ebene 3► Fremdportrait► Gli Americani s’immaginano, che tutte le Creature animate o inanimate, le bestie, i vegetabili, le pietre abbino la loro anima come gli Uomini. Hanno una simile idea di tutte le opre dell’arte; de’coltelli, de’specchj, delle Barche, e di tutto ciò che si fabrica; e credono, che le loro anime, quando tali cose periscono, o si rompono, vadano in un altro mondo dove abitano gli spiriti degli Uomini e delle Donne. ◀Fremdportrait ◀Ebene 3 Per questo pongono sempre vicino a’cadaveri de’loro Amici che sepeliscono, un Arco, e delle Frece, affinche se ne servano nell’altro mondo; delle armi, e di que’stromenti, de’quali si erano serviti in questo. Per quanto stramba comparisca una tale opinione, i nostri Filosofi Europei ebbero diverse Nazioni ugualmente poco probabili per tutti i versi. Certi discepoli di Platone, in particolare, quando spiegano le loro idee, [131] ci parlano di sostanze, che non sono meno stravaganti, e chimeriche. Così pure molti Aristotelici hanno parlato in una maniera molto poco intelligibile, delle loro forme sostanziali, che si potrebbono spiegare colla opinione de’nostri Indiani Occidentali, considerandole, come le anime delle creature iragionevoli senza la immortalità di un altra vita. In oltre gli Americani pretendono, ed è una Tradizione costante frà di loro, che un nativo del loro Paese, avesse una visione, colla quale scendesse fino al grande Riserbatorio delle anime, o pure all’altro mondo, come noi quì diciamo; e che al suo ritorno rendesse un conto esatto a suoi Amici di tutto ciò, che avea veduto nelle Regione de’morti. In occasione, che capitarono in questi Paesi certi Indiani, un mio amico l’informò di ciò, ch’eglino stessi diceano di questa Tradizione. Ecco quanto gli fù possibile raccogliere dalle risposte, che dierono alle sue richieste.

Ebene 3► Utopie► Il visionario, che si chiamava Marraton, dopo aver fatto un longo e faticoso viaggio, sotto la caverna d’una montagna, gionse finalmente, in vicinanza, di quel mondo de’spiriti: ma non vi puote entrare, a cagione d’una folta Foresta di cespuglj, di tronchi, e di spine, s’imbarazzate, le une colle altre, che non vi era mezzo di farvisi addito. [132] Mentre stava ricercando da tutte le parti qualche sentiero, vidde un grosso Leone, che avea l’occhio sopra di lui, e che stava coricato in positura di fare agguato alla preda. Appena l’Indiano si era ritirato pochi passi, che il Leone gli fù addosso. Non avendo altr’arma, volle dar mano a pigliare una pietra; ma rimase sorpreso quando vidde, che non avea impugnato altro, che dell’aria. Se la paura il fe impallidire in questa occasione, ebbe altretanto giubilo nel vedere che il Leone, il quale già stava colle sue zanne sulla di lui spalla sinistra, non gli fea verun male, non essendo, che lo spirito di quell’animale feroce. Liberato dell’impossente nemico, subito si avvanzò verso il Bosco, e dopo averlo esaminato per qualche tempo, cercò di penetrarlo in un luogo, che gli parea meno folto; quando con suo grande stupore ritrovò, che i cespuglj non gli feano resistenza veruna, che caminava attraverso i Bronchi e le spine colla stessa facilità come se non vi fosse, che dell’aria; e che in somma tutto quel Bosco non era, che una foresta di ombre. Concluse subito, che quella vasta estensione di Boscaglie e di spine, non servia, che per una specie di Barriera, e di viva siepe per rattenere i spiriti, che vi erano; potendo bene quelle delicate sostanze essere ferite da que’sottili [133] pungenti, benche non facessero veruna impressione sopra la carne. Prevenuto da questa idea, e rissoluto d’attraversare tutto quel Bosco, sentì un aria profumata, e quanto più si avvanzava l’odore, sempre più doventava vivo, e grato. Non tardò molto à scuoprire che i Bronchi, e le spine feano luogo a migliaja d’alberi vestiti di fiori d’una singolare bellezza, e d’un odore il più soave del mondo; che formavano un deserto di Profumi, e serviano di termini a quella spaventosa Barriera, che avea passata. All’uscita da questo dilettevole quartiere di Bosco, ed’all’ingresso nella Pianura, che racchiudea, vidde molti Cavallieri correre di galloppo, e subito dopo, udì i latrati d’una muta di Cani. Osservò frà gli altri un Corsiere bianco di latte, con sopra un Giovine, che si avvanzava, a tutta corsa, presso ad un centinajo di Cani bassi, affannati nel perseguitare lo spirito d’una Lepre, che fuggiva con una incredibile sveltezza. Passò il Cavaliere vicino a lui, ed egli osservandolo con attenzione, il riconobbe per lo Giovine Principe di Nicaragua, ch’era morto già da sei mesi in circa, per cui tutta l’America occidentale si ritrovava allora in duolo, a cagione delle sue qualità virtuose.

Non fu appena escito da quella pianura del Bosco, che vidde un Paese in-[134]cantato di altre Pianure smaltate di fiori, di Praterie verdeggianti, di limpidi Ruscelli, di Colline esposte al sole, e di vallete, ove regnavano l’ombra ed il refrigerio. Tutto questo era tanto sopra tutto ciò, che si vede nel mondo, che gli mancarono le parole da esprimerlo, nè si potea concepire. Questo beato Paese era popolato da una infinità di spiriti, che si divertivano in varie maniere, giusta il loro genio. Altri giuocavano alle piastrelle, colle loro figure, altri alla palla, colla sua ombra; e ven’ erano molti, che si applicavano ad opre gentili colle anime degli utensiglj diffonti; questo è il nome, che danno gl’Indiani a’loro stromenti quando sono abbruggiati, o rotti. In mezzo di quella felice Campagna, e di quell’abbondante varietà di fiori, che l’addornavano per ogni parte, essendovene molti, che Marraton non avea mai veduti nel suo Paese, gli venne sovente voglia di coglierne qualch’uno, ma ritrovò, che subito gli scappavano dalle dita, benche fossero l’oggetto degli occhj. Finalmente si avvicinò ad un grande Fiume; e si come amava molto la Pesca, si fermò, per qualche tempo ad osservare un Pescatore che pescava colla Canna, e che avea pigliato quantità di figure di Pesci, che saltellavano sulla ripa d’intorno a lui.

[135] Avea quest’Indiano perduta la sua moglie, ch’era una delle più belle Donne del suo Paese, e da cui ne avea avuti molti Figliuoli. La tenerezza passata frà di loro, era si straordinaria, che fino al dì d’oggi quando gl’Indiani felicitano i nuovi matrimonj, augurano loro di vivere insieme così contenti come Marraton e Taratilda. Ora questo Fedele vedovo, attento a rimirare il Pescatore, voltando l’occhio vide all’improviso l’ombra della sua dolcissima Taratilda di là del Fiume, che stava di già fissa nel riguardarlo, prima che egli sen’accorgesse. Ella gli stendea le braccia, con un torrente di lagrime, che le cadeano dagli occhi; le di lei mani, le di lei occhiate, la di lei voce l’invitavano di portarsi a lei, e parea gli dicessero, allo stesso tempo, che non vi era mezzo di passare il fiume. Chi potrebbe descrivere la gioja, il dolore, l’amore, il desiderio, lo stupore, che assalirono il cuore di Marraton alla vista della sua cara Taratilda? Egli non potè esprimere le diferenti passioni, che lo agitavano, se non colle lagrime. Impaziente di abbracciarla, si gettò nel fiume, che non era se non il Fantasma, e gionse dall’altra parte a piedi asciutti. Taratilda venne a gettarsegli fra le braccia e Marraton avrebbe avuto caro d’essere spogliato di quel corpo, che lo privava del-[136]le sue carezze. Dopo molte tenerezze, che si fecero a vicenda nella maniera, ch’era loro permessa, ella lo condusse ad un Gabinetto di verdure, che avea fabbricato di propria mano, ed ornato di tutto ciò, che que’fioriti Paesi poteano soministrarle di più grato. Vi aggiognea ogni giorno qualche nuovo ornamento; e l’avea reso il luogo più gajoso, che si potesse mai concepire. Mentre Marratone ammirava estatico la bellezza di quel Luogo, imbalsamato dall’odore, che esalava da tutte le parti, Taratilda gli disse, che avea apparecchiato quel Gabinetto per riceverlo, persuasissima, che la sua pietà verso Dio, e la sua buona fede verso gli Uomini, non mancheranno di condurlo a quel beato soggiorno, dopo la sua morte. Dopo fe venire due loro figliuoli, che erano già, da qualche anno, morti, e che stavano con essa lei sotto quel delizioso albergo. Esortò, in oltre il suo sposo ad allevare quelli, che gli restavano al mondo, in maniera, che potessero finalmente rivedersi, tutti assieme in quel incantato Paese, dove non si gusta, che piaceri innocenti e tranquilli. ◀Utopie ◀Ebene 3

La stessa Tradizione aggiogne, che quell’Indiano vidde altresì li spaventosi, e dolorosi soggiorni de’malvaggi, dopo la loro morte: vidde molti laghi d’ [137] oro liquefatto, ne’quali erano immerse le anime di que’barbari Europei, che aveano fatta strage di tante migliaja di poveri Indiani, per satollare la loro ingiusta, e sordida avarizia. Ma avendo io toccate le principali cose di questa Tradizione, i termini, che mi sono prescritto, in questo Foglio, non mi permettono il dire d’avvantaggio. ◀Ebene 2 ◀Ebene 1