Il Filosofo alla Moda: Lezione XII

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Niveau 1

Lezione XII

Agl’Ippocondriaci Valetudinarj.

Citation/Devise

Egrescitque madendo.

Virg.~i Eneid~i. XII. 46.

Niveau 2

Metatextualité

La seguente lettera non ha bisogno di spiegazione, o di appologia si vedrà subito ciò, che l’Auttore si prefigge.

Niveau 3

Lettre/Lettre au directeur

Metatextualité

Sig. Filosofo.

Niveau 4

Récit général

Io sono del numero di quella debole Tribù, che communemente si chiama de’Valetudinarj; e vi confesso, che ho contratto questo cattivo abito del corpo, o più tosto del cervello, dallo studio della Medicina. Da che mi applicai alla lettura de’Libri, che ne trattano, sentj, che il mio polzo si alterava; ne leggevo quasi mai la descrizione d’una malattia, che non mi paresse d’esserne aggravato. Il sapiente Trattato sopra le Febbri del Dotor Sidenamo~k mi gettò in una Febbre languente, che punto non mi abbandonò, per tutto il tempo, che impieghai nel leggerlo. Mi applicai, indi allo studio di varj auttori, che hanno scritto dell’Ethisia e mi credetti subito infetto dalla consummazione, fino che finalmente diventato molto grasso, una speccie di rossore mi risanò, in qualche maniera, da questa immaginazione. Ben presto dopo, mi vidi attaccato da tutti i Sintomi della Gotta, eccettuatone il dolore; ma venni guarito dalla lettura d’un Trattato sopra la Renella, scritto da un Auttore assai ingegnoso, che giusta la pratica de’Medici, di cacciare un male coll’altro, mi diè il male di Pietra, per liberarmi dalla Gotta. Finalmente studiai tanto, che mi tirai adosso un complesso di varie infermità, ma dopo avere letto l’eccelente Discorso di Sanctorius~k, che mi cadde, a caso, nelle mani ho rissoluto di seguire il di lui metodo, e di osservare tutte le sue regole, da me raccolte, con tutta la diligenza. Tutte le Persone letterate sanno, che questo grand’Uomo, per meglio esseguire le sue sperienze, avea inventata una certa sedia matematica, si artificiosamente sospesa nell’aria, che vi si puole pesare il tutto, come se fosse una bilancia. Così egli sapea quante oncie del suo nodrimento ci dissipavano colla traspirazione, quale quantità se gli convertiva in sostanza, e ciò che se n’andava per le altre strade della natura. Doppo essermi proveduto d’una di codeste sedie, m’avezzai à studiare, mangiare, bere, e dormirvi sopra, di maniera che si può dire, che da trè anni sono vissuto in bilancia. Giusta il mio calcolo, quando godo perfetta sanità, peso essatamente ducento libre; ne perdo una in circa, dopo avere digiunato un giorno; e ne acquisto una di più, dopo avere fatto un buon pasto, così stò sempre attento a mantenere la bilancia uguale trà le due libre volatili della mia costituzione. Ne’miei pasti ordinarj si accresce il mio peso fino à duecento libre, e mezza, e se, dopo avere pranzato, ne manca qualche cosa, bevo a giusta misura, tanto di vino piccolo, o mangio tanta quantità di pane, quanta ne bisogna per arrivare al detto peso. Ne’miei più grandi eccessi, non vi si aggiogne, che un altra mezza libra; e quest’eccessi me li piglio, per mia sanità, in tutti li primi Lunedì di ciascun mese. Quando dopo il pranzo, mi ritrovo star bene, e debitamente bilanciato, mi pongo à passeggiare fin a tanto, che abbi traspirato il peso di cinque oncie, e quattro scrupoli. Se scuopro, colla mia sedia, che sono ridotto al mio intento, mi applico a’libri, e dissipo trè oncie, e mezza di più collo studio; quanto al rimanente della libra non ne tengo conto. Non mi regolo mai colle ore per lo pranzo, e per la cena. Ma se la sedia mi avvertisce, che la mia libra di nodrimento rimane tutta evacuata, concludo da questo, che ho fame, e la riparo con tutta diligenza, tenendo sempre pronta una picciola bilancia da pesare le vivande. Ne miei particolari digiuni perdo una libra e mezza di mio peso, e ne’digiuni solenni me ne costa ben due libre. La mia dosa del sonno, una notte per l’altra è di un quarto di libra, e qualche grano, poco più, o meno. E se ritrovo nell’alzarmi, che non l’ho consumata tutta, mi piglio il rimanente sulla mia sedia. Giusta un essatto calcelo di quanto ho perduto, o acquistato di peso, in fine dell’anno, tenendone il registro in un libro, trovo, che ordinariamente si è ridotto alle mie ducento libre; onde non credo che la mia sanità in questo tempo, abbi perduta una oncia. Malgrado però tutte le diligenze nel tenere in un giusto equilibrio il mio corpo; mi veggo ridotto ad’una indicibile languidezza. Sono diventato pallido, ho il polso ineguale, e sono minacciato d’Idropisia.
Abbiate dunque la bontà mio caro Signore di ricevermi nel numero de’vostri pazienti, e di communicarmi qualche regola più certa di quella ho osservata fin’ora. Obligherete molto quello che è.
Questa lettera mi richiama alla memoria un Epitafio scolpito sul sepolcro d’uno di codesti valetudinarj, dove si fà così parlare:

Citation/Devise

Io stavo bene, e per stare meglio sto quì.
Il timore della morte è sovente mortale. è ci fà pigliare certe misure, per conservarci la vita, che ce ne privano. E rifflessione di qualche Storiografo, che si uccidono più Uomini in una Fuga, che in una ordinata Battaglia. Si puole applicare al numero infinito degli ammalati imaginnarj, che rovinano la loro complessione, colla quantità de’rimedj; e per fuggire la morte, se le gettano frà le braccia. Non affaticare, che alla conservazione della vita, come l’unico fine, che si debba prefiggere in questo mondo, fare tutto il capitale della sanità, ne avere in capo, che i rimedj, e le regole, sono pensieri si bassi, e si indegni della natura umana, che uno spirito alquanto elevato vorrebbe più tosto, che sottommettervisi, mille volte morire, e una pratica troppo al di sotto dalla eccelenza d’una ragionevole creatura. Una inquietezza continua per la vita, ne scancella tutto il piacere, e spande le tenebre sù tutta la faccia della natura. E impossibile il gustare sodisfazione veruna nel possesso d’una cosa, che si teme di perdere ad ogni momento. Non già, che io dissapprovi una legitima premura della propria sanità, solamente dico, che si come la tranquillità dell’animo, e la capacità per gli affari, così la sanità, dipendono in gran parte dalla buona complessione; così non vi è bisogno di molta pena per coltivarla, e mantenerla; ma questa premura, a cui il sentimento commune, il dovere, e l’istituto c’impegnano non dee mai attraersi de’timori chimerici degli accessi di malinconia, ne dei mali immaginarj, che accompagnano sempre quello, che si affatica più per vivere, che per regolare i costummi. In somma il costume ben regolato dee essere lo scopo principale; è la propria conservazione l’accessorio. Se questa sarà la massima innalterabile, pigliaremo la strada migliore di conservarci la vita, senza troppo inquietarsi degli avvenimenti, e giugneremo a quell’alto punto di bene, che consiste, al dire di Marziale, nell’aspettare la morte, senza ne bramarla, ne temerla. Per quello riguarda il nostro Valetudinario, che regola la sua sanità colle oncie, e coi scrupoli; ed in vece di seguire il desiderio naturale di mangiare, bere, dormire, passeggiare, si governa cogli ordini della sua sedia, gli manderò questa picciola Favola

Niveau 3

Fable

“Giove~i” come ci riferisce il Mythologista per gratificare la pietà d’un buon Paesano gli promise di concedergli tutto ciò gli chiederebbe. Il Paesano desidera d’avere il tempo a sua disposizione, e subito ch’ebbe ottenuta la sua dimanda, distribuì la pioggia, la Neve, el Sole sopra i suoi campi a misura, ch’egli giudicava del loro bisogno; ma in fine dell’anno, quando aspettava un abbondante raccolta la ritrovò molto più scarsa di quella de’suoi vicini; di maniera che per non essere la causa della sua totale rovina, supplicò Giove~i di ripigliare la condotta del mondo.