Citazione bibliografica: Gioseffa Cornoldi Caminer (Ed.): "Num. XIX", in: Donna galante, Vol.2\19 (1786), pp. NaN-224, edito in: Ertler, Klaus-Dieter / Fuchs, Alexandra (Ed.): Gli "Spectators" nel contesto internazionale. Edizione digitale, Graz 2011- . hdl.handle.net/11471/513.20.4804 [consultato il: ].


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Num. XIX.

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[195] Lettera

Di una giovane di 15. Anni ad un sedicente Filosofo suo amico.

Io sono confinata nella mia stanza da quattro giorni, il che mi ha ormai tolte tre commedie, due conversazioni, quattro tavolieri da giuoco, e mi ha fatto mancare in dieciasette visite; e il Medico dice alla mia Signora Madre che se io mi cruccio e piango, mi anderanno i vapori alla testa; e dovrò restare quaranta giorni senza mai lasciarmi vedere. Ma, caro Amico, chi può soffrirlo? In questo punto la mia nemica danza con un graziosissimo Gentiluomo, domani farà colazione con lui, riceverà complimenti e regali, poi si abbiglierà, farà visite, anderà al Teatro, giuocherà, guadagnerà, e tornerà a casa con due torce. Caro il mio Filosofo chi può trattenersi?

Mia Zia mi ha poco fa portato un vostro libro per divertirmi, dicendomi che siete un Filosofo, che, m’insegnarete a moderare i miei desiderj, e a guardar il mondo con indifferenza; ma ella non si avvede che siete troppo giovine per riuscirvi. Fui dunque sforzata questa mattina a sedere un [196] intiero quarto d’ora col vostro libro al viso, ma in quel momento appunto che mia Zia entrava io aveva ricevuta una lettera dal Sig. L. R.°.°.°.°.°. ch’io ascosi fra quelle pagine, e leggeva assenza, dolore inconsolabile, ardore, passione irresistibile, costanza eterna, mentre mia Zia credeva che mi beccassi il cervello colla vostra filosofia, e spesso andava dicendo quando mi vedeva confusa: Figlia se v’è qualche parola che tu non intenda te la spiegherò io.

Ho una Mamma e due Zie già famose per brio, e per bellezza, ma se non fosse per la speranza di vedermi, non ci sarebbe nessuno con un vestito alla moda che si accostasse a loro. Queste, Signor Filosofo, mi hanno governato a bacchetta per quindici anni e mezzo, e in tutto questo tempo si sono affaticati invano a farmi certe pitture della vita che io trovo fallaci.

Avrebbero voluto ch’io pigliasi gusto ai libri, perciò mi dicevano che le cognizioni sole poteanmi rendere amabile agli uomini di buon senno: ma il loro scopo principale era di farmi temere gli uomini, il che andò loro tanto bene per qualche tempo che neanche osava di guardargli in faccia, e star sola con essi: perchè mi avevano fitto in capo che un uomo non apre bocca se non [197] per ingannate, e non gira occhio se non per sedurre: che una citella che si lasciasse avvicinare di bel nuovo chi le aveva stretto la mana era sull’orlo del precipizio: e che colei che si avanzasse a rispondere ad un biglietto senza consultare i suoi parenti era certa di divenire infame. Ma ditemi Amico, mi potevano esse ingannare più barbaramente?

Da tre mesi solamente hanno cominciato a tollerare, ch’io faccia e riceva visite, ch’io balli, ch’io vadi al Teatro, e potete ben credere cosa io pensi di chi mi ha ingannato con false idee, incomodato con finti terrori, e tenutami lontana da tutto ciò che ora ho scoperto che forma la felicità di una donna.

Tanto è vero che i libri sieno utili e necessarj, che se non ci avessi rinunciato affatto avrei perduto il mio L. R.°.°.°.°.°.°,°, che in altra occasione ho fatto fuggire in un palchetto vicino al mio. Intanto quel vuoto di tempo che i libri debbono empire non l’ho ancora potuto trovare, perchè, sentitemi bene, io vò a letto tardi, perciò non posso levarmi di buon’ora: subito in piedi debbo abbigliarmi pel passeggio o a cavallo o a piedi; dopo è forza cambiar vestito per il pranzo, poi fare le mie visite, poi andare al corso, poi cor-[198]rere al Teatro, poi al tavoliere da giuoco. Questa è la vita d’ogni giorno senza gli straordinarj. Se qualche volta posso guadagnar qualche ora, facendo dire alla mia gente che non sono in casa, io mi trattengo tranquillamente col mio diletto Giornale delle Mode, ho quindi tante mode da studiare, tanti affari e tanti ordini per la cuffiara, tanti cambiamenti per il vestito, tanti nomi di visite, tanti inviti da rifiutare, o da accettare, che ne sono stordita, e mi trovo sforzata a fuggire in qualche compagnia, o gettarmi sopra una sedia, e lasciar mezzi i miei affari sotto la direzione della Cameriera.

Questo è il corso del mio giorno: e quando si fermerà egli, o lo cangerò io per poter ridurmi ad aver bisogno di un libro? Non si può credere che questi divertimenti sieno per finir presto. Sempre ci saranno i giardini, il passeggio, il corso, il Teatro, le carte; sempre vi saranno mode, sempre si porteranno vestiti, e quel che più mi preme, spero che continoerà il Giornale delle Mode a divertirmi, ed istruirmi; e potrò io aver ozio?

Ma non so come indovinare la causa delle tragiche favolette, che mi si andavano raccontando della crudeltà, della perfidia, e degli artifizj de-[199]gli uomini; i quali se già furono tali, certamente sono molto emendati. Dopo che sono entrata nel mondo non ne ho trovato uno, che non sia pronto a vivere e morire ad un mio cenno. Tanto è lungi che mi vogliano nuocere, che anzi la sola loro gara è di chi sarà riconosciuto il più diligente a servirmi; il più splendido a trattarmi, e veggo brillare e ringalluzzarsi [sic] quello che ottiene la presenza alle sue offerte, allora egli mi conduce fuori in trionfo, adora la mia clemenza, e si compiace di esser vissuto fino a quel momento felice, Caro Amico, e queste sono terribili creature? È egli credibile che chi non gode della vita se non in quanto è beatificato dalla mia presenza, possa farmi alcun torto?

Tutte queste distinzioni le debbo a quella bellezza, che non era mia lodata; onde però non potea conoscerne il pregio. Questo silenzio era certo malizioso, perchè le mie zie hanno due occhi come le altre, e ogni giorno mi vien detto che bisogna esser ciechi per isfuggire i colpi della mia bellezza. Tutte quelle descrizioni del mondo ch’esse conoscevano tanto, sono una filza d’imposture, e benchè le usanze della vita mi obblighino a seguire alcune apparenze di rispetto, tuttavia persone convinte così chiaramente d’ [200] ignoranza e d’impostura non possono pretendere niente alla stima e venerazione della vostra umilissima Serva. N. N. ◀Lettera/Lettera al direttore ◀Livello 3

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Il Papagallo

Favola.

Fabel► Un buon uom perduto avea

La mogliera, e aver volea

Seco un Papagallo invece.

Consolarsi a ognuno lece.

Pieno ancor di lei la mente

Brama aver chi almen sovente

Gliela faccia ricordare

Imitando il suo parlare.

Dunque ci và all’ uccellatore:

Fischio, canto, e bel colore

Ivi trova in varj uccelli

D’ogni specie vaghi e belli,

Rossignuoli, Canarini,

Merli ancora, e Cardellini,

Sopra tutto Papagalli

Bianchi, rossi, verdi, e gialli,

Onde un alto cicaleccio,

E di varie voci intreccio;

[201] Un dimanda zuppa e grida,

Un la Ghitta chiama e sgrida,

Un le voci tutte fà

Di chi vende per Città.

Mentre ‘l nostr’uomo ritarda

Sulla scelta e attento e guarda,

Fra se stesso meditando,

E qualsia il miglior cercando,

Se n’accorge d’un che sotto

D’una tavola stà chiotto:

Che fai tu colà proscritto,

Dice a lui, perche stai zitto?

Senti gli altri come gridano,

E a parlar seco ti sfidano.

Io nè men ci penso, tosto

Dall’Uccel gli fu risposto.

Tu sei ben, cappita, bravo!

Dice l’uomo, io ti son schiavo.

Su, su, a voi che ne volete?

Tanto. Tanto? Si, prendete:

Mai più meglio i miei denari

Non ho spesi, ei non ha pari.

Dal suo uccello egli s’aspetta

Maraviglie udire, e in fretta

Seco il porta in sua magione:

Ma può ben dargli lezione,

[202] E incitarlo quanto ci vuole,

Che giammai altre parole,

Che il nojoso suo ogni volta

Io nè men ci penso, ascolta.

Venga il fistolo a’babbei

Dice il vedovo: tu sei

Un balordo in chermesì

Ma di te più sciocco io sì,

Che da un sol suo detto a caso

Mi lasciai menar pel naso. ◀Fabel ◀Livello 3

Livello 3►

Poemetto intitolato la moda.1

O Della Senna multiforme Figlia

Dove le grazie, ed il buon gusto han nido,

E le inezie gentili, instabil Dea

D’abito varia e di color, nè mai

Somigliante a te stessa, e sol costante

Nell’incostanza tua, Proteo novello,

Cui le femminee menti Idolo e Nume

E d’ogni lor pensiere arbitra, e guida

Di consenso crearono, e col nome

[203] Distinsero di Moda, arresta alquanto

Il tuo corso volubile e leggiero,

Finch’io d’un solo almen critico sguardo

Il tuo studiato vaneggiar contempli.

O se per usa a cangiar loco sempre

Breve non sai su le inquiete penne

Soffrir riposo, ovunque andar ti piaccia

Non io ricuso di seguirti a volo.

Anche i Poeti volar sanno, e molti

Amano ancor di variare, e teco

Peregrinando portano sovente

Or dal Tamigi, or da più strano lido

Barbari vezzi all’Italo Parnaso;

E dal tuo gusto innovator sedotti,

La sonora dolcissima favella

D’Arno adombrando di color non suoi,

Parlan stranieri nel natìo linguaggio.

Non sperarlo da me: libero ottenni

Estro nascendo, e le native idee

Sdegno supplir col mendicarle altrove,

E da’capricci tuoi mercar non curo

Facile onor di passeggieri applausi.

Dunque io ti segui volontario, e sciolto,

Nè vò cangiarmi, nè a cangiarti aspiro;

Liberi siamo; e teco sì, non tuo,

Se gradir non mi puoi soffrimi almeno.

[204] Or dimmi prima, ed a qual Ciel destini

Questo che attenta e capricciosa or formi,

E non contenta mai correggi, e adorni,

Apportator d’abbigliamenti nuovi,

Di seta e nastri pueril fantoccio?

Quali popoli, dimmi, emendar deve

L’Archetipo novello, ed a chi primo

Concedi, o Dea, di ricopiarne i freggi?

Non certo all’Asia, che in talare ammanto

Di lunghe bende attortigliate avvolgo

Il raso capo, nè al non colto ancora

Nè assai corrotto American selvaggio,

Non all’Etiope ignudo, e non al cinto

D’ispide pelli abitator del polo.

Popoli ignoti a te, sempre uniformi.

Che la natura consultando, e il clima.

E dall’etade il non mutabil uso,

Non appresero ancor degl’Avi loro

Le prime vesti, e le maniere antiche,

Deridendo a cangiar, per esser poi

Derisi anch’essi un dì dai loro Nipoti.

Te, il so, d’Europa la più colta parte

Religiosa venera, e i doni tuoi,

E il tuo giudicio impaziente aspetta.

Benchè ne’suoi diversi Regni uguale

Sorte non hai: dove si pensa, e dove

[205] Si vive sol; varj i talenti, e gli usi,

E in vario Ciel sei variamente accolta.

Timida ancora e sol di furto inoltri

Su l’aureo Tago, alla feroce ahi troppo

Ineducabil Africa vicino

Che dal frapposto mar non ben difeso

L’altro grave ne raccoglie, e oppone

De’Pirenei l’altissima barriera,

Onde respinge la piacevol aura,

Che lieve spira da Parigi in vano.

Indocil meno alle tue leggi sembra

L’Istro guerrier: nelle gelate nevi

Innestate germogliano i tuoi vezzi,

Benchè stranieri inver serbar non fanno

Il nativo color, quai natìa forza

A Sol d’inverno non spontanei fiori.

Ma più che altrove su la serva Italia

Regni a talento tuo, su lei, che un tempo

Degli studj e dell’arti altrui maestra,

Or discepola tua misera impara

Di Velli, e Cuffie, e femminili arredi

I nomi, e l’uso, e quell’istesso Regno,

Che vinse un tempo, e soggiogò pugnando,

Ogni consulta di qual nastro debba

L’elsa vestir dell’oziose spade,

L’elsa soltanto, che l’inutil punta,

[206] Fatta inesperta e vil, in liscio e molle

Fodero chiusa a irrugginir destina.

In questo dunque a te soggetto Cielo

Opportuna giugnesti. E qual migliore

Sceglier mai loco ad incontrarti, o in quale

Meglio, o gran Dea, del tuo poter far pompa!

Odi già come al tuo venire ingombra

Sacro orror questo lido, e d’ogn’intorno

Un’indistinto fremito si sparge,

Un confuso bisbiglio, un curioso

Chieder di te. Tutto si avviva e more

Alla presenza tua: giugnesti appena,

E già sei nota; ognun s’affanna, e scorre

La Città tutta ad annunziarti il primo.

Chi mostra un nastro, chi primiero ottenne

Dalla tua mano, e chi superbo e gonfio

Si pavoneggia in lunga benda enorme

Imprigionato il collo; altri le fibbie,

Altri un Cappel di nuova forma ostenta.

Felice poi chi non più visto manto

Puote il primo vestir, cui tu tingesti

Con misti raggi, e intitolar ti piacque

Coi nomi strani di color d’Aurora,

Di diabolico verde, o dei Capelli

Della Regina, o del leggero insetto

Familiare alle Donne oscuro pulce,

[207] O di sospiro trattenuto, e spento,

Ma ciascun già le peregrine insegne

Impaziente esamina, e ricopia:

Tutto è uniforme in breve tempo, e tutto

Piega a tuoi cenni: ognun riforma o getta

Gl’invecchiati ornamenti, e un breve istante

Tutti i sudditi suoi trasforma e cangia.

E in qual parte non ne hai? dove non sei

Conosciuta, o gran Dea; qual sì riposto

Loco il tuo culto a propagar non trovi?

Tu ne’Chiostri penetri, e al fido specchio

Che di furto provide, e ascoso serba,

La solita Verginella assisti,

Che il Parlatorio ravvolgendo in mente

Novelle fogge, e nuove pieghe intanto

Al docil velo monacale insegna;

Tu l’ampie cherche alle fratesche teste

Radi con arte, e il bianco cranio cingi

Con giusta e uguale di capei corona,

E il leggiadro Abatin spedisci all’ara

Col crin composto, e con bizzarre insegne

Al santuario sconosciute un tempo.

Nè te di Marte i sanguinosi Campi

Escluder sanno; già da lungo tempo

Dalla lor fronte i Giovani guerrieri

Scosser degli Elmi l’importuno peso;

[208] Così può meglio campeggiar la sparsa

Di odori e polve inanellata chioma;

Che mal sicura poi dal ferro ostile

Salvarla sanno con veloce fuga,

E delle Amiche in sen volar tremanti

A ricomporne scarmigliati nodi.

Ma che dirò del tuo sì fido, e tanto

Dal nome tuo, dal tuo favor protetto

Sacro a te sola avventurier Drappello?

Nel sen d’ogni Città vegeta un scelto,

Nuova spezie d’insetti, ordine strano

Di Ninfe, e Ganimedi, a cui Natura

Della Donna, e dell’Uom solo concesse

La sembianza esteriore, e moto, e voce,

E un non so che, che all’anima somiglia.

Nulla di più, fuorchè un fatale istinto

Di studiar nuovi abbigliamenti, e nuove

Forme create, o ricopiar di vesti,

Di vezzi, e di maniere ognor più strane,

E ridicole più; l’ambito vanto

Contrastandosi a gara a chi più sappia

Leggiadramente difformar se stesso.

Tutti d’un sol pensier, giovani tutti;

Benchè talvolta per gli antichi merti,

E le sofferte in bionda età fatiche

Per tuo culto e servigio, alcun tra loro

[209] Di qualche lustro più sovrano ancora,

Con privilegio concedendo a lui

Di vaneggiar col crin canuto, o finto,

E al par d’ogn’altro anch’ei vestir de’tuoi

La capricciosa giovanil divisa.

Or questo popol tuo, questo è che reggi

Con fren privato, ed a tua voglia il giri,

E in mille guise trasfiguri, e cangi.

Poco è, che ai fregi delle vesti, e al vario

Color presieda; i tuoi diritti estendi

Più largamente agli atti, al riso, ai guardi,

Alla statura, e al camminar dai norma.

Or giusto il passo e maestoso, or breve

E spesso il vuoi, sicchè nel moto sorga

Il fianco alterno, e quasi culla ondeggi.

Ora diritto il portamento esigi,

Gli omeri stretti, ed il femmineo seno

Sporto non pur, ma con crudel tortura

Sforzi, e mentisci la natura avara;

Ed or per qual non so capriccio, o vezzo,

Curve le spalle, ed incarcato il petto

Agir le sforzi; e rilassate, il busto

Quasi segnando la natìa ricchezza,

Finger del sen la povertà virile.

Quando la fronte spaziosa, e quando

Bassa a te piace, e la metà nascondi

[210] Sotto parte del crie, che in giù ritorci,

Or Matronale gigantesco aspetto

Lodi, e legno altissimo puntello

Sopponi al piè delle più brevi, ed ora

Le più grandi accorciando, insegni loro

Non saprei come a divenir pigmee.

Il guardo poi, se naturale e aperto

Sarìa colpa, e vergogna; il rozzo volgo

Guardi così; le tue seguaci denno

Solo a mezz’occhio e dolcemente bieche

Sogguardar lente, e di saluto in vece

Storcere il collo, e l’increspato labbro

Sforzar languendo ad un leggier sogghigno.

Così la Scimmia docile alla voce,

E alla temuta educatrice verga

Del Maestro alpigiano, in su la via

E spicca salti, e va danzando in giro,

E si contorce, e si rannicchia, e siede,

E gira gli occhi, e le tremanti labbra,

Celere batte digrignando i denti,

Trastullo vil della minuta plebe,

E scopo eterno ai fanciulleschi insulti. ◀Livello 3

[211] Aneddoti.

Livello 3► Racconto generale► Il Re d’Inghilterra si diverte moltissimo del nome di Fermier Giorgio che gli dà la licenza d’una parte dei suoi sudditi. Alcuni giorni sono raccontò a Milord Harcourt che trovandosi nel dì antecedente a passeggiare nelle vicinanze di Windsor aveva incontrato un giovine paesano che aveva fatta una buona caccia: colpito dalla bellezza, e quantità di quei salvatici gli domandò se fossero da vendere: nò, gli rispose arrogantemente il paesano -- Dove andate dunque con essi? riprese il Re -- Dal Fermier Giorgio -- Chi è questi? Io credo di conoscere tutti i Fermieri di questi contorni -- Come! Non conoscete il Fermier Giorgio? Egli è quello che abita in quella casa, additando il Castello di Windsor, si chiama IL RE, ma noi non lo chiamiamo altrimenti che il Fermier Giorgio. ◀Racconto generale ◀Livello 3

Livello 3► Exemplum► Si sa che la Nobiltà d’Inghilterra non è meno del popolo portata distinguersi nella lotta. Un Cavaliere Baronetto il primo Lottatore del regno del suo tempo pubblicò un libro sopra l’utilità della lotta, ed insegnava eziandio gratis a quelli che volevano apprendere le sue lezioni. Un Si-[212]gnore dei contorni essendo andato a fargli visita, e trattenendosi sui pregi di quest’arte, il Cavaliere lo prese di dietro, e gli fece fare un salto dalla sua testa. Questi alquanto ammaccato pella sua caduta si alzò in collera „Milord, gli dlsse [sic] il Baronetto in aria grave, e pesante, è ben grande l’amicizia che ho per voi, poichè siete il solo a cui io abbia insegnata questa forza.” ◀Exemplum ◀Livello 3

Livello 3► Exemplum► Vi fu in Inghilterra una specie di Filosofo, che voleva assolutamente che nessuna cosa lo dovesse affliggere. Invano venivagli annunziato un cattivo avvenimento, ei s’ostinava a negarlo. Essendogli morta la moglie, egli non volle crederlo: faceva mettere in tavola il coperto della desunta, e trattenevasi con esso lei come fosse presente: lo stesso faceva nell’assenza di suo figlio. Giunto agli estremi sostenne di non essere malato, e morì piuttosto che esserne smentito. ◀Exemplum ◀Livello 3

Livello 3► Exemplum► Quando si viaggia in Inghilterra bisogna avvertire di mettere a parte una dozzina di ghinee, come un tributo stabilito in favore dei ladri che si chiamano i Signori delle strade maestre. Uno di questi fermò un uomo che sapeva essere ricco, ma non aveva indosso che sei ghinee, onde l’avvertì che si guardasse bene per un’altra volta di frodare i suoi diritti ammeno di soffrire cento ba-[213]stonate. Alcuni anni fecero affiggere alle porte dei ricchi di Londra delle espresse proibizioni di non sortire dalla Città senz’avere dieci ghinee; ed un orologio d’oro sotto pena della vita. ◀Exemplum ◀Livello 3

Livello 3►

Differenza.

Tra i Damerini Inglesi, e li Francesi.

Eteroritratto► Il Damerino Inglese non è quegli che servilmente copia le mode Francesi; ne abbiamo degli esempj nel nostro Giornale: invece è quegli che fa pompa di tuttociò che è loro diametralmente opposto. Un tuono preparato, un bizzarro equipaggio, abiti ricercati, bijoux, odori, poco spirito, molto gergo, testa vuota, corpo fragile, piccola salute, gran dose di storditezza, ecco tutto quello che si richiede per comparire Damerino francese.

Una corta zazzera senza polvere, un fazzoletto al collo invece di crovatta, un abito alla marinaja, und nodoso bastone, grossolani discorsi, affettazione dei costumi del basso popolo, ecco il vero Damerino Inglese.

Alla China i Damerini portano sempre un libro [214] sotto il braccio, e molto rassomigliato ai pedanti dell’una e dell’altra nazione.

Il Damerino Francese sostiene la conversazione con dei belli niente; sa divertire la compagnia quand’anche le sue frasi sieno vuote di buon senso.

Il Damerino Inglese non si trattiene che di caccie [sic] e di violenti esercizj di corpo; egli non è mai esausto parlando delle avventure delle taverne, ed analizzando i stravizzi più straordinarj.

Il Damerino Francese tratta con leggerezza tutti gli affari più importanti, scherza sopra i più serj, e mette tutta la sua attenzione in ciò che non è che bagatella: legislatore della moda, tutta l’artiglieria della toletta è la sua risorsa: egli ne è il giudice Sovrano.

Il Damerino Inglese invece di gentilezze usa maniere dure, e grossolane: i spettacoli fatti per il popolaccio sono le sue delizie.

Un Damerino Francese che aveva letto Adisson e Pope disse un giorno ad un amico = Addesso [sic] io penso = Il nostro ente pensante era vestito di verde, il suo abito era senza pieghe, i suoi capegli senza polvere, il cappello in testa, e un grosso bastone in mano. Ebbene, continuò egli, come mi trovare? Non ho forse l’aria del tutto Inglese? ◀Eteroritratto ◀Livello 3

[215] Metatestualità► Altra Lettera scritta da giudiziosissima penna da una delle più amene Villeggiature, ed una sua amica di egual condizione, portata, intelligenza, buon gusto, e discernimento. È in data 29 Giugno 1787. ◀Metatestualità

Livello 3► Lettera/Lettera al direttore► Autoritratto► Amica non ne posso più. Se con qualche bel ritrovato non mi traete da questo Inferno, attendetevi in deplorabile notizia dalla mia interruzione del sbattimento de’polmoni; della mia soffocazione. Un Palazzo, che racchiude quanto v’ha di galante, e comodo ma sempre lo stesso; un Giardino, che non ha confine. Statue antiche, Moderne, grandi, picciole [sic] , Cavalli ma ognora i medemi, Carrozze, che ad ogni villeggiatura non si cambiano; Socj di villeggiatura quasi sempre gl’istessi; in somma una monotomia, che giammai può variare; tutto ciò che vi ha di nojoso, tutto quì è all’eccesso. Il mio garbatissimo Sposo a rimbambisce, o invecchia innanzi tempo. Caccia, coltivazione, lettura, esercizj di ogni sorta, vigilanza agli affari villici; ordini continui, consulti con questi sciocchi di contadini, con l’Agente, col P. di C., in somma egli ritorna fanciullo, e a gran passi arriva alla seccante vecchiaja. Figuratevi, se a no-[216]stre pari possono aggrandire fanciulli, o vecchi! Io ormai penso risolutamente, e con quella assennata intelligenza, ch’è la sola, la degna di una Sposa, sì maltrattata, e ridotta in schiavitù. Ecco tutte le gentilezze del Signor Marito. Tutto ciò che di raro v’ha di fiori, e frutti in questo Orto, in questo giardino, tutto mi fa trovare nella mia stanza, quando mi desso; vale a dire al mezzodì poichè questo animale, si ala al far del giorno, e trova piacere co’suoi stolidi esercizj campagnuoli. Alla Tavola invita numerosi commensali; ma di che si ragiona? Di caccia, di agricoltura, di prodotti, di alti, e bassi prezzi. È vero che si termina cantando, bevendo, e ballando. Ma quali Canti! Canzoni dozzinali. Quei bevande! Niuna di Francia, nè di Spagna, nè di Toscana; ma tutto di nomi communi, e nostrani; vantati forse per adulazione, per i migliori, anche da bevitori Oltramontani, che ne sono professori, o dilettanti. Quai danse! Con quattro, o sei Stromenti soli; senza un Maestro. Almeno vi fosse il nostro Zoppo Monsieur, il nostro sgangherato Don, il nostro amabile Pirolettino! la sera giuoco; e qual giuoco! Di poche lire, o pochi soldi. Passeggiati in Carrozza, o a piedi, che mai hanno termine frà queste sempiterne verdure, fio-[217]rite, ec. In somma in questa uniformità, mi si ristringe il cuore, o mi soffoco sicuramente. Se non avessi dati due Figli a cotesto mio gentilissimo Sposo, per bacco vorrei intimargli per il solo motivo di questa insoffribile Villeggiatura un scioglimento di nodo maritale. Lo credereste, ei fà il geloso. È vero, ch’ei mi accorda una Corsa a bearmi in Città all’Opera, l’esser servita, ec. ma come! Voi m’intendete; e sapete altresì come sappiamo compensarci. Marchesini canta a Milano, v’ha Opera a Mantova, a Padova, a Vicenza, a Mestre; or ora sarà a Verona, a Treviso, a Sinigaglia, ec. ec. e noi restiamo quì; e se ne veggo alcuno di questi soavissimi Spettacoli, non si vuole assolutamente ch’io li vegga tutti. Amica, leggete questa mia alla vostra Toelette; vedrete scorrere le lagrime a’vostri amici tutti compassionanti il mio misero stato. Oh Cielo .°.°.°.°.°. sono costretta a chiamare una delle Cameriere.°.°.°.° io svengo; mi cadde la penna. Addio .°.°.°.° ◀Autoritratto ◀Lettera/Lettera al direttore ◀Livello 3

N.B. La Signora non è nè svenuta, nè rattristata a segno, che non abbia fatto impazzire per tutto quel giorno il paziente Signor Marito. Il Giardiniere, il Fattore, l’Ortolano, i Domestici tutti ridono a spalle della Signorina; gli augura-[218]no su di quelle providi, e saggi avvertimenti, e saluti; ma pensano alla loro foggia. Villani!

Le bon mari.

De tes enfans tu te crois être pere

Jean, & tu fais bien, selon moi;

Le mariage est un mistere

Qui demande beaucoup de sci.

Tavola.

Avviso più che importante.

Metatestualità► Non isbagliamo Signori Associati miei gentilissimi; non prendiamo granchj a secco. Perché un Matrimonio sia scevro dal pentimento, locchè di raro succede, voi ben lo sapete, ci vuole il scambievole consenso. Voi, ed io ci siamo, per così dire, finora fatti all’amore; dobbiamo concludere, e passare al serio. Voi dovete dichiararmi se vi piace di rinnovare l’associazione; ed io se voglio continuare questa femminile produzione. Senza tali dichiarazioni il matrimonio non avrà certamente effetto; vale a dire, io non darò la mia pa-[219]rola di continuare a scrivere questo Giornale delle Mode. A terminare l’annata, mancano ancora pochissimi numeri, dunque è indispensabile, che li Signori Associati mi avanzino l’avviso, se vogliono proseguire; ed io in tal caso m’impegno di porre ancor più studio del finora posto per riuscire nella mia Opera, ed ognora più renderla utile, istruttiva, e dilettevole. Se ho abbondato ne’Figurini, sovrabbonderò in tutto al secondo anno, cui incomincierà fra trè o quattro Settimane. Ho scritto a tutti i miei corrispondenti Oltramontani, Oltramarini, ed Italo-Galli; mi promisero mode, anzi modissime per la novità, importanza, e celerità. Attendo dunque, che al Negozio Albrizzi a S. Benedetto di Venezia, si diano i nomi, che vorranno favorirmi, e che gli Signori Associati non si servano di altri corrispondenti. Quanto costoro sono esatti! Quanto puntuali! Non voglio con loro nemeno [sic] un Matrimonio da commedia; ma bensì un nodo letterario con chiunque si associerà, o mi farà avere articoli per il mio Libretto. Valete. ◀Metatestualità

Livello 3►

[220] Tavola XXXVI. Fig. 47.

Eteroritratto► Il vestito qui rappresentato è tagliato alla Turca. È di linon bianco guarnito del più bel pizzo d’Inghilterra. La sottana d’un simile linon posto sopra un trasparente blò è guarnito di tre grandi falbalà di pizzo somigliante a quello che adorna il vestito. La pettorina è di un grograno blò simile allo trasparente. Il giro della veste e li manichetti attaccati a gala sono pure di un pizzo somigliante alla guarnizione dell’abito. I Manichetti sono legati sopra il gomito con un nastro color di raso, che forma un nodo sulla piegatura del braccio.

Quest’abito è della più grande eleganza, e non dubitiamo che se fosse di Pekin rosa, violetto, o lilà parimenti guarnito, invece di essere di linon, potrebbe servire per abito da nozze per cui sempre si scieglie il più ricco ed elegante. Diamo questa notizia alle persone che ci fecero l’onore di domandarci quali sono gli abiti da nozze.

La Dama così vestita porta al collo un fazzoletto di graza assai gonfio attaccato davanti con un semplice cuore d’oro.

Sotto al fazzoletto alla sinistra pende attaccata [221] al vestito una larga medaglia d’oro in cui è scolpita una cifra in oro di color diverso

Ha in testa un bonnetto à la grande Prètresse di garza bianca cinto d’un largo nastro a larghe righe bleu e bianche componenti una specie di turbante di bonnetto alla Turca, ed un grosso nodo di prospetto. Questo turbante è posto invece della ghirlanda di rose che sola ornava altre volte questa sorta di bonnetti. Nel mezzo del mentovato nodo s’alza un pennino di seta sfilata a guisa di piuma gialla a mosche violette, e alla destra un ramo di rose artefatte.

La pettinatura è fatta a piccoli ricci staccati. Sei di essi più grossi a tre giri le cadono dall’una e dall’altra facciata ondulanti sul petto. I capegli di dietro sono rinserrati in un grosso catogan con un riccio rivoltato.

I guanti sono di pelle bianca. Con una mano agita un ventaglio color di rosa soglio.

Le scarpe sono di grograno color di rosa con falbalà di nastro bianco, e guarnite con una larga rosetta bianca.

Porta in cintura due orologi d’oro smaltati a coda di paone, ora foglie di vite, ovvero in arabeschi, guarniti di caaene e bijoux d’oro. Lascia esposti i due orologi sulla sottana qualunque sia il pericolo che possano correre.

[222] Non porta mantiglia perchè il suo vestito è troppo ricco ed elegante. Le nostre Dame ne portano di rado, e quelle che usano sono di garza bianca o nera, o di linon bianco. ◀Eteroritratto ◀Livello 3

Livello 3►

Tavola XXXVII. Fig. 48.

Eteroritratto► Dopo di avere scorse tutte le Corti estere, la Spagna, la Polonia, la Turchia, l’Inghilterra, la Svezia, la Germania, l’Italia ec. per trovare degli abiti nuovi, la moda diventata più patriota e più concittadina s’è rinchiusa nella Francia, e si è accontentata di visitarne le differenti Provincie per sciegliersi [sic] quello che meglio piacevale [sic] , e presentarcelo come novità, come oggetti da adottarsi. Era stata in Normandia e ci aveva dati gli abiti à la Canchoise: fu in Piccardia e ci aveva date delle cuffie à la Picarde: era stata in Provenza, e dato ci aveva le justes à la Provencale: fu a Bearn, e ci diede i capotti à la Bearnoise: è stata in Linguadoca, e ci ha dati gli abiti à la Languedocienne. Siccome la Linguadoca non è lontana dalla Provenza, gli abiti di queste Provincie non sono tanto diverse, e trovandosi ambedue al mezzodì sono gli abiti loro leggierissimi. Questo si scorge nella presente tavola, in cui è rappre-[223]sentata una piccola veste alla marinaja con una sottana di grograno.

Il vestito è di grograno blò con colletto e paramani delle maniche gialli color di coda di canarino guarniti di larghi bottoni gialli disegnati in giro. La sottana è di grograno giallo frastagliata nell’estremità senza veruna guarnizione.

Tiene sul petto un gonfio fazzoletto a gala, ed intorno al collo una larga crovatta, le di cui due estremità vengono a formare davanti un gruppo.

Ha in testa a un cappello di paglia gialla imitante il cappello di Sparterie, la di cui testiera un poco gonfia è di garza rigata, di giallo, e bianco componente un grosso nodo davanti ed un altro di dietro, lasciando pendenti le due estremità, che vanno ad attaccarsi al corsetto della veste ed unirsi sul petto con un terzo gruppo.

La pettinatura è fatta a tapet. Due grossi ricci per parte le cadono sul seno, e di dietro i suoi capegli restano ondulanti à la Conseillere, con due boccole d’oro à la plaquette nelle orecchie. Quest’ultime due mode non sono ancora state cambiate.

Le scarpe sono di color blò chiaro con falbalà di nastro bianco; e porta con una mano una cannetta guarnita d’un pomolo d’oro a foggia di fungo. ◀Eteroritratto ◀Livello 3 ◀Livello 2

[224] Tavola.

Delle Materie contenute in questo Numero XIX.

Lettera di una giovine di 15 anni ad un sedicente Filosofo suo amico. Pag. 195

Il Papagallo Favola. 200

Poemetto intitolato la Moda. 202

Aneddoti. 211

Differenza. Trà i Damerini Inglesi, e li Francesi. 213

Altra Lettera scritta da giudiziosissima penna da una delle più amene Villeggiature, ed una sua amica di egual condizione, portata, intelligenza, buon gusto, e discernimento. È in data 29 Giugno 1787. 215

Le Bon Mari. 218

Tavola. Avviso più che importante. Ivi

Spiegazione delle Tavole XXXVI. XXXVII. Fig. 47. 48. 220 222 ◀Livello 1

1Del rinomato Clemente Bondi.