Zitiervorschlag: Gasparo Gozzi (Hrsg.): "N. 78", in: La Gazzetta Veneta, Vol.1\078 (1760-10-29), ediert in: Ertler, Klaus-Dieter / Fabris, Angela / Fuchs, Alexandra (Hrsg.): Die "Spectators" im internationalen Kontext. Digitale Edition, Graz 2011- . hdl.handle.net/11471/513.20.3688 [aufgerufen am: ].


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N.o 78.

Sabbato addi 1. Novembre 1760.

Che contiene

Quello, ch’è da vendere, da comperare, da darsi a fitto, le cose ricercate, le perdute, le trovate, in Venezia, o fuori di Venezia, il prezzo delle merci, il valore de’cambj, ed altre notizie, parte dilettevoli, e parte utili al Pubblico.

Ebene 2► Pochi giorni fa è giunto in Venezia il Sig. Abate Frugoni, nel cui celebrato cognome si contengono più lodi di quante gliene potesse dare ogni penna. Questo rinnomato ingegno abbellisce, e per parlare Omericamente, inghirlanda co’fiori delle Muse ogni argomento. Essendomi pervenuta, per altrui gentilezza, l’Epistola da lui scritta al Sig. Conte Algarotti, intorno alle Feste fatte nella Real Corte di Parma, Metatextualität► spero di far cosa grata al Pubblico mettendola in questo Foglio. ◀Metatextualität

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Epistola al Chiarissimo Sig. Conte Algarotti ec. Scritta dal Sig. Abate Frugoni, dopo le Solenni Feste dell’Augustissimo Sposalizio celebrato nella Real Corte di Parma

Amico immortale.

Bisogna ben dire, che qualche fatal catena abbiavi ritenuto. Le nostre celebri Feste hanno mossa quasi tutta l’Italia; Voi siete rimasto. Voi però valevate solo molti spettatori. Le Muse vi hanno nascente raccolto fra le rose, educato fra i mirti; i miei replicati inviti sono stati inefficaci. Io mi vo’vendicare, se pur posso, della vostra insensibilità. Vo’che leggiate leggiermente descritto ciò che meritava di essere pienamente veduto. Tentiamo dunque questa gentil vendetta.

So però qual altro effetto

Fanno in noi gli occhi fedeli;

Quando avviene che un oggetto

Lor si mostri, e si riveli.

So che meno per l’udito

Ciò che scende mover suole;

Troppo rapido e spedito

Vola il suon delle parole.

Primieramente voi quì tornando, aveste veduta una Città non dicasi ignota a voi, quasi di sè stessa maravigliarsi; nuova in gran parte a sè stessa sembrando; e vi sareste risovvenuto di quella selvatica pianta dell’Egloghe Virgiliane.

Che selvaggia, e poscia doma

Dall’innesto che si appiglia,

Nuove frondi, e nuove poma

Di produr si maraviglia.

Voi già rozza e disadorna vedeste la Piazza di Parma. Vi avrebbe ora sorpreso; presentandovi tutti gli Edifizij, che le fanno corona di conforme candore ricoperti, e per quanto potevasi di architettura arricchiti. Qual Nobiltà, qual eleganza non avreste ritrovata ne’grandi Archi riaperti; sopra i quali posa il pubblico Palagio. Il celebre Architetto Vignola, avea per essi fornito la Piazza di un Atrio magnifico; dove quanti sguardi vi si abbattevano tante a lui ne venivano lodi. Sotto altro Governo si chiusero per alloggio dell’armi, e per le Dogane. Liberi ora dall’ingiurioso chiudimento, e destinati al passeggio, all’annona, al comodo, all’ornamento, mirabilmente vengono ad unire insieme l’utilità col diletto.

Piace un Atrio che difende,

Sotto ogni Arco maestoso,

I passeggi, e le faccende

Del nemico Ciel piovoso,

Viene Cerere nutrice,

Dove Marte fu custode.

Ed un cambio sì felice

Va su l’ali della lode.

Ma che? Voi non avreste forse ne pure riconosciuta di prima vista la lunga strada detta di Santa Lucia, che da quest’Atrio dirittamente mette a Corte. Troppo ora tutte le circostanti sue abitazioni sono dall’antico squallore deterse, ed i fondachi di elette Merci a pie guernite, e troppo infine cambiate per esterno ripulimento conforme. Meritava questa via le prime cure del ben pensato rabbellimento universale, come quella che più sovente viene sotto i sovrani sguardi, e serve a tutto il gentil Mondo, che viene a Corte.

Questa via la prima sente

Il favor de’tempi nostri;

Par che all’altre alteramente,

Nella sua beltà si mostri.

Par che voglia all’altre dire

Voi di me men belle siete,

Ma tra poco ingentilire

Dopo me tutte dovrete.

Chi per me si ben pensò,

Per voi pure penserà;

Se da me ben cominciò,

In voi meglio finirà.

Voi non siete fatto, per non trovare Ospiti illustri. Dunque vi giovi pellegrinando, portar con voi il nome ed il valor vostro. Pur sò che quì venendo sarebbevi oltre modo piaciuta la nuova ben ordinata coltura degli stessi venali alberghi, che sono de’Viaggiatori il più sicuro, e il più libero ricovero. Abitava prima in essi la sparuta negligenza; il dispiacevole disagio, l’intemperante amor del guadagno; ora vi sono arredi che convengono; Letti che accarrezzano il sonno, Cuochi che meglio servono; leggi che proteggono la bella Ospitalità.

Più frequente da ogni lido

Lo stranier quinci a noi viene,

Tanto può diffuso il grido

Del novello albergar bene.

Il conviver co’ piaceri

Facilmente c’innamora.

Si prolunga volentieri

Un’amabile dimora.

Che se poi quì voglia di salubre divagamento vi fosse talor venuta, o com’io volentieri vi avrei meco tratto; la dove avanti al Castello dominatore di queste Contrade, un verde, e largo piano si stende, amico de’servidi ingegni, che sovente cercano lunge dalla strepitosa moltitudine un Cielo aperto a’loro respiri, ed un romito ed ameno passeggio a’loro pensamenti: veduto avreste ancora questa men frequentata parte della Città con ottimo divisamento erudirsi non meno al diporto, che al vantaggio de’suoi fortunati Abitatori. Due novelli lunghissimi Stradoni vi si sarebbero offerti, ciascun d’essi con due ben piantate e ben disposte file di Gelsi, i quali già dal Giovane fusto con bella è (sic.) lieta chioma, promettono favorevol ombra a’passaggeri; e felice alimento a quell’Indico verme.

Che diffonde dal suo labbro

Biondi stami, e ne compone,

Ben nudrito, industre fabbro,

A se stesso aurea prigione;

Nelle cui ben chiuse parti

In farfalla poi sì scioglie,

E morendo, lascia all’Arti

Il tesor delle sue spoglie.

Entrando poi ne’giorni delle nostre Solenni Feste, e degli Apparecchi, e nelle magnificenze, e nel grato tumulto infine dell’universal gioja, io non una Epistola avrei preso a tessere, ma una troppo lunga o malegevole Storia, della quale i miglior tratti toccherò di fuggita, a me la fatica di scrivere, ed a voi quella di leggere abbreviando.

Poche troppo de’Scrittori

Son le penne avventurose,

Sempre ricche di colori

Per dipingere le cose.

Io lungh’anni arsi e sudai,

Molto sei, molto soffersi;

Ed ancor non imparai

La divina arte de’versi.

La Corte nostra in tutte le sue parti ha corrisposto al merito delle sue fortunate circostanze, e di quel Principe, che da per sè solo ne fa tutta la grandezza. Tutti gli appartamenti in isquisito Nobilissimo apparecchio. Niuna spesa, e niun’arte risparmiò per fargli risplendere. La gran Sala, che se voi ben vi ricorderete, primiera s’incontra, già di assai neglette forme, vi sarebbe ora sembrata la Sede delle Grazie, e della Maestà. Drappi e cristalli bellissimi ridevano sopra le sue pareti. Il fregio che di sopra la circonda, era così bene immaginato, e posto a disegno antico di Figure, che pareva diffondere la sua dignità negli altri moderni ornamenti.

Io non sono adoratore

Della sola antichità;

E difendo il giusto onore

Della nostra culta età.

Ma so ben l’utile alterno

Che provien dal nodo Amico,

Che con arte il bel moderno

Sa congiunger con l’antico.

In questa Sala s’imbandì il solenne Real Banchetto delle Nozze; e ben potevasi l’ammirazione de’numerosi Nobili circostanti dividere sopra quanto sontuosamente lo componeva, se oggetti più felici e più grandi non avessero tutta la loro ammirazione meglio occupata.

Era oggetto assai più degno

Tra i Regnanti l’Adorato,

Che si forma col suo Regno

Il piacer d’esser amato.

Sposa Augusta, chi vedea

Presso Lui l’eccelsa Figlia

Lui veder sempre credea;

Tanto il Padre Ella somiglia.

Ma perchè non vi parlo ancora del nostro Teatro, che senza esaggerare può in oggi signoreggiare sopra tutti i più famosi d’Italia? Non potreste credere che picciol tempo l’abbia prodigiosamente riprodotto.

La sua rapida e bella metamorfosi è paruta a noi stessi un prodigio. Tutto il suo palco è ora rifabbricato sotto, e sopra, ed ingegnosamente messo a qualunque Scenico giuoco di macchine, di tal modo, che nulla può ritenere un valente Poeta di porre ne’suoi Drammi quanto egli mai sa di maraviglioso immaginare, sicuro che verrà sulle nostre Scene esguito.

Noi possiam dal Ciel superno

Far che scendan Numi in terra;

Noi possiam dal nero averno

Far che vengan di sotterra.

Noi possiam l’onde imitare

Dell’instabile elemento

Far i Numi, e il Dio del Mare

Divenir nostro portento.

Io vi dovrei tacere lo spettacolo, che per queste Auguste Nozze vi si rappresentò, almeno per quella poca parte ch’è mia. Un Prologo, e tre Atti disgiunti, ciascun d’essi indipendente dagli altri, e sussistente per sè solo, erano il Soggetto d’una egregia Musica, eseguita da’più rinomati Cantori de’nostri tempi. Piacque questa novità per più ragioni, nè il buon successo mancò.

Non mai stanchi i Circostanti

Ritrovavano in questi Atti

Nuove Scene, nuovi manti

Nuove cose, e nuovi fatti.

So ch’avverso non m’ispira

Per i Drammi il Dio de’carmi,

L’abbandono della Lira

Spesso il sento rinfacciarmi.

Le Danze che a questi Atti s’intrecciarono, quanto non avrebber mai ricreato il vostro spirito? In essi la disconvenienza al suggetto, l’incomposto saltare il gesteggiar mimico non offendeva i conoscitori dell’uniformità, gli amatori de’passi ben intesi, delle graziose attitudini. Nulla vi dirò degli abiti, ne’quali una varietà sempre doviziosa, una vaghezza sempre nuova commendava il buon gusto inventore.

Il buon gusto è sempre quello

Per cui tutto piace al Mondo;

Che crear sa in tutto il bello,

E restar sempre fecondo.

Di acquistarlo in van proccura

Chi non l’ebbe dalle fasce;

Dono egregio di natura,

Il buon gusto con noi nasce.

Foste almeno quì stato nel faustissimo giorno delle Celebrate Nozze Sovrane! Che giorno pieno di felicità, pieno di magnificenze, di grazie, e di prodigiosi piaceri! Le Truppe tutte in nuovi elegantissimi uniformi schierate, ovunque trasferendosi al maggior Tempio l’Augusta Sposa dovea passare, vi sarebbero parute degne di un Principe, che fu già mente, e braccio ed amore de’Paterni gloriosi Eserciti in campo. Che buon ordine, che pompa di Reale coraggio!

Splendissime divise,

Sete piume, oro e cristalli.

E guernite in ricche guise

Lunghe coppie di cavalli.

Cocchi fulgidi che lenti

Col bel Pegno si movevano;

E fra i voti delle Genti

Al bel Nodo il conducevano.

Udite ora come l’ombre notturne di questo memorabil giorno seppero fin divenire più belle della stessa sua luce. Nella sera si passò al Palagio, ed al Giardino, amendue da tanta dovizia di lumi da per tutto illustrati, che rinato vi parea quel giorno, che poco dianzi tramontò. Questo Palagio voi ben vel rammenterete, voi che delle buone Pitture amantissimo, già quelle ne conoscete di tanti Eccellenti Maestri, che sopra i muri delle sue stanze ancor vive, e famose si serbano. Ma certamente non vedeste ancora quanto il suo Giardino abbia affatto cangiato l’aspetto, e sia in ogni sua banda cresciuto in bellezza. Deliziosissimo è non meno a vedersi, che a misurarsi, a lenti, e piacevoli passi l’ampio terrazzo, che da una parte in lungo ed elevato giro vi sorge. Tutto già verdeggia, ora fregiato dalle crescenti piante, e guernito lungo il Muro di spessi piedistalli, che aspettano una ricca e ben concertata vicenda di Statue, e di sculti Vasi; mentre già l’inferior suo Piano, comincia in più parti a rivestirsene, ed a sentir tutto il favore di quello studio, che felicemente tenta a’ dì nostri emulare il Greco scalpello, e metter vita ne’ sassi. Nel mezzo di questo Giardino dirimpetto alle finestre del Palagio, donde i Sovrani riguardano, una superba Macchina di fuochi artifiziali rallegrò non meno i silenzi, e le tenebre della notte, che l’innumerabile Mondo ammesso a vedere, e ad accrescere questo Festeggiamento. Rappresentavasi per essa il Tempio di quella Dea, che voi tanto conosce, ed a ragione favoreggia ed ama, vale a dire di Minerva, che riuniva Amore, ed Imeneo con faustissimi auspicj.

Là si vede in più figure

Trasformarsi il vario gioco,

Ed a leggi ben sicure

Ubbidir l’indocil foco.

La si vider mille e mille

Lampi errar per l’aer cheto,

E tra scoppi e tra faville

Scioglier plausi in Popol lieto.

Ma questa mia Lettera sembra ogni convenevol termine oltrepassare. Io quì la finirei, se quì finissero le nostre maraviglie. Il Teatro nostro ancor a sè mi richiama, e vuole ch’io riconduca ancor voi, con l’immaginazion vostra ad ammirarlo nelle sue nuove innaspettate sembianze, ch’avendo meritato l’onore delle nostre, e delle straniere acclamazioni, meritava ancor quello de’vostri sguardi, e delle vostre lodi. Si diede in esso nel Solenne Nuzial Giorno un nobilissimo Ballo.

Dove l’inelita Isabella

Degno sangue di gran Regi

Più che mai comparve bella

Ne’suoi doni, e ne’suoi pregj.

Dove in Danza Amore, e Fede

Sposa Augusta seco avea;

E su’passi del bel piede

Fior Terpiscore spargea.

Questo Teatro in quella Sera si vide trasmutato in una magnifica Sala. Il suo Palco perdè con gloria le sue azioni. Il piano della Platea, sotto le mani sollecite de’valenti Artefici, repente si elevò per riunirsi ed uguagliarsi con esso. Tutto parve un Piano solo. Il Palco più non si riconobbe. Tanti ordini di Logge, quanti nella Platea ne sorgevano, parvero in lui più tosto nati, che fatti; tanto celere ed esatto ne fu il maraviglioso lavoro. Tutto in esso era stabile, tutto fermo per comode scale, e per comunicati corridoj; tutto stupendo per un travaglio sì difficile da eseguirsi, e sì felicemente eseguito. Io vi tacerò il concorde interiore addobbo di tutte le Logge, l’esterior de’Parapetti leggiadrissimo variato a sospese Ghirlande di fiori, e di gaze d’argento vergate di vermiglio; il vivo rifolgorante delle frequenti lumiere, la copia e la squisitezza de’rinfreschi. Tutto annunziava il fortunatissimo successo, tutto il trionfo di una Nazione, tutto l’universale contento. Pareva tutto in fine una magia, e mi sia permesso dire, che tutto era veramente magia di un incomparabile Genio, che diviso in tutto, può a tutto bastare.

Più direi, ma più non oso,

Troppo temo il suo rigore,

Che si oppone disdegnoso

Anche al giusto lodatore.

Ma il suo vanto non asconde,

Se dal mio tacer si copre;

In sua lode ognor faconde

Troppo son le sue bell’opre.

Vivete sano è (sic.) lieto, vivete all’onor dell’Italia nostra, e delle Lettere, ed amatemi, quanto io vi amo: e se questa mia Lettera vi avesse mai lasciato mal contento di sua lunghezza, e di sua disavvenenza, imparate a venir costì, quando alcun degno spettacolo nostro lo richiegga, e lo meriti, e così liberatevi un’altra volta dalla noja di leggere, col piacer del vedere.

Sono immutabilmente vostro.

Di Parma 25. Settembre 1760.

Devotiss. ed Obb. Serv. ed Amico vero
L’Abate
Frugoni. ◀Ebene 3

Per Lettere venute da Napoli s’ha notizia d’una sollevazione di Schiavi, e di Marinari Cristiani contro alcuni Turchi. E consuetudine che il Capitan Bascià vada in tutto il corso della State riscuotendo i tributi per l’Isole dell’Arcipelago, e ritorni a Costantinopoli al chiudersi dell’Ottobre. Provvede i Legni suoi di Marinari Cristiani Greci; la maggior parte abitanti fra terra sul Mar Negro, chiamati Levendi, e oltre a questi ha molti Schiavi per li servigi più faticosi, e più grossi. Andando dunque nel presente anno il detto Capitan Bascià, secondo l’usanza sua, in una Caravella con settanta pezzi di Cannone, e giunto ad un Paese, che Stangiò è chiamato, quivi sbarcarono la maggior parte de’Turchi. Un Genovese rinnegato, che Capitanava (sic.) la Caravella, destò i Marinari, e gli Schiavi ad una repentina sollevazione, di che dato di mano all’arme sottomisero dugento Turchi rimasi nella Caravella, e tagliata l’ancora, e allargate le vele si diedero a fuggire. Vennero inseguiti da due Caravelle e da quattro Galee, ch’erano di conserva; ma non raggiunti, per la sopravvenuta notte, che favorì il corso loro. La Caravella guidata in Malta fu a quella Religione, insieme con gli Schiavi Turchi presentata. Il danaro in gran quantità e molte altre ricchezze vennero dopo qualche dibattimento, accordati a’Marinari, e agli Schiavi. Non si sa se il Bascià comandante fosse con gli altri sbarcato, o se nella Caravella rimanesse con gli altri soggiogati, o uccisi. Se ci perveranno altre Notizie le serberemo al venturo Foglio.

Articolo d’una Lettera scritta dalla Città di Chieti.

Quì un Giovane di trent’anni fu sorpreso da dolori nello stomaco, e nelle viscere, e vomitava qualche poco di sangue, e gliene usciva per di sotto, senza che si potesse mai indovinare l’origine del suo male. Fu medicato con fomenti anodini, e olio di mandorle dolci per bocca, ma senza pro. Finalmente a capo di dieci giorni, mentre ch’egli dormiva, gli uscì dal naso una mignatta, o sanguisuga, da lui, si giudica, ingojata la sera precedente al male, mentre che si trasse la sete ad un ruscello ritornando dalla Campagna. Con acqua fresca, e sugo d’ortica venne perfettamente guarito.

Libri Forestieri.

Al Signor Paolo Colombani Librajo in Merceria all’insegna della Pace è capitato da Lucca il primo Tomo dell’Opere del Padre Norberto; e si promette una sollecita pubblicazione dei Tomi sussuguenti. Il Libro è così intitolato: Opere del Signor Abate Curel Parisot Platel, detto per l’innanzi il Padre Norberto Cappuccino, tradotto dal Francese Tom. I. In Lucca 1760. è in 8. E il suo prezzo è di L.2.

Tutto il corpo sarà d’otto Volumi in circa, tutti del medesimo prezzo, e ne uscirà uno ogni venticinque giorni. L’opera è stimatissima da lungo tempo, divenuta rara, e di molto prezzo.

Libri da vendere appresso il Sig. Pietro Bassaglia.

Nouvelle decouverte d’un tres grand Pais situè dans l’Amerique entre le nouveaux Mexique, & la mèr glaciale avec les cartes & les Figures necessaires, & de plus l’Histoire naturelle. Par le Pere Lovis Hennepin

Utrecht 1697.

Histoire & Regles de la Poesie Francoise. Amsterd. 1617.

Essay sur la Poesie Epique Traduit de l’Anglois de M. de Voltaire. 8. Paris 1728.

Methode par la langue Francoise avec des Dialogues Francois & Flammans. Par Claude Manger. 8. Amsterdam 1695.

Les Fables d’Esope traduites par Baudoin. Lion 1669.

Cambj per le Piazze Estere, corsi addi 31. Ottobre 1760.

Lione Ducati- 58 ¾ Banco per Scudi d’Oro Sole N. 100. da Lire 3. l’uno.

Bolzano Soldi- 132 ¼ per un Scudo da Carantani 93.

Roma Scudi Oro Stampe 63 3/? per Ducati 100. Banco.

Napoli Ducati Regno 121 ½ per Ducati 100. Banco.

Firenze Scudi- 80 ¼ Oro da Lir. 7 ½ per Ducati 100. Banco.

Livorno Pezze da 8/r 104 ½ per Ducati 100. Banco.

Milano Soldi- 154 per un Scudo di Soldi 117. Imperiali.

Genova Soldi- 93 ½ per un Scudo da Lir. 4: 12 Fuori Banco.

Anversa grossi- 94 ¼ per un Ducato Banco.

Amsterdam grossi- 91 ½ per un Ducato Banco.

Amburgo grossi- 83 7/8 per un Ducato Banco.

Londra Sterlini- 53 1/8 per un Ducato Banco.

Augusta Taleri- 100 ½ per 100. Ducati Banco.

Vienna Fiorini- 193 ¼ per Ducati 100. Banco. ◀Ebene 2

Vendesi la presente Gazzetta a 5. soldi, e si ricevono le Notizie.

A San Marco. Nella Bottega da Caffè di Florian.

In Merceria. Nella Bottega di Paolo Colombani Librajo.

Giù del Ponte di S. Polo appresso la Calle dei Savoneri. Nella Bottega di Gasparo Ronconella Librajo.

In Venezia. Per Pietro Marcuzzi Stampatore.

Con Privilegio. ◀Ebene 1