Citazione bibliografica: Gasparo Gozzi (Ed.): "Numero XIV", in: Gli Osservatori veneti, Vol.1\14 (1761-03-20), pp. 491-496, edito in: Ertler, Klaus-Dieter / Fuchs, Alexandra (Ed.): Gli "Spectators" nel contesto internazionale. Edizione digitale, Graz 2011- . hdl.handle.net/11471/513.20.3575 [consultato il: ].


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No XIV.

A dì 20 marzo 1762.

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Capriccio

Metatestualità► Un uomo passato alla seconda vita da non molto tempo in qua, mi diede pel corso di due ore materia da fare non so quali osservazioni; e dietro ad esse io avea intenzione di tessere il panegirico di lui. Ma non so da che proceda ch’io non ho pazienza per iscrivere a lungo: [492] deriverà ciò forse dall’aver conosciuto per prova, che chi legge non può indugiar troppo lungamente, e richiede le cose a sbalzi e a lanci. Con tutto ciò avendo io raccolti non so quanti pensieri, e formata dentro di me l’orditura della immaginata orazione, pubblicherò lo schizzo di quella. ◀Metatestualità

Argomento.

Bontà e felicità del Moro di Piazza, buona memoria.

Sbozzo dell’esordio.

Sogliono i maestri, i quali insegnano ad allevare i figliuoli, ammaestrare principalmente i padri di quelli, che standosi colla bilancia dell’orafo nelle mani, pesino sottilmente le loro interne inclinazioni e pendenze degli animi e degl’intelletti, per poterneli indirizzare a quegli studi ed uffizi a cui vengono dalla furia di lor complessione traportati. Quindi avviene che non curando punto i padri tutti gli ammaestramenti che vengono dati loro, vanno sopra le culle dei figliuoletti nati appena e fasciati il primo giorno, e stabiliscono in loro cuore ad un tempo con qual nome debbano chiamargli e a quale opera assegnare i loro venturi giorni. Non è dunque maraviglia se vediamo alcuno, divenuto già grandicello, prendere l’esercizio della pittura, che col martello in mano battendo sopra l’incudine avrebbe fatto maravigliose opere di ferro, laddove col pennello fa visi che il cielo ne abbia misericordia; e alcun altro, lasciata da un canto la pialla e la sega, che sarebbero propriamente stati gli ordigni suoi, squaderna libri, e scritture fa con sì poco onore delle buone arti, ch’è una vergogna il fatto suo e delle buone arti medesime. Malamente vengono adattati gli uffizi all’ingegno delle persone, in quella guisa appunto che si vestono coloro i quali, o per non aver danari o per altro, comperano i vestimenti alle botteghe dei rigattieri, e se gli pongono indosso co’fianchi più lunghi, col ventre più largo o più stretto della persona, per modo che sembrano starsi quivi entro in prestanza, e si diguazzano tra quelle troppo larghe pieghe, o fra le troppo ristrette s’affogano. Fortunati que’padri i quali hanno l’avvertenza tanto predicata da’buoni maestri! Non mancherà mai loro la consolazione di vedere occupati i propri figliuoli in esercizi che facciano loro onore, e procacceranno nello stesso tempo riputazione a sè, a loro e a tutta la famiglia.

Metatestualità► In questo luogo io avea intenzione di porre uno squarcio che descrivesse la fina intelligenza del padre del nostro defunto, e fra le altre cose collocare o tirarvi coi denti questi pochi da me apparecchiati periodi. ◀Metatestualità

Livello 3► Racconto generale► Faceva le viste il buon padre di non avvedersi punto dei portamenti del figliuolo, per concedergli ne’suoi giovanili anni libertà mag-[493]giore da potere senza rispetto veruno spiegare semplicemente la sua natura, e vedere con gli occhi corporei le inclinazioni di lui. Per la qual cosa non alle scuole, accompagnato da rigido vegghiatore, lui mandava giammai, o lo stringeva a stare solitario a stillarsi il cervello in moleste applicazioni; ma conoscendo che natura gli avea dati due piedi per camminare e lingua per favellare, lasciavalo andare a posta sua per le vie e per le piazze, nè mai di cosa che dicesse, o buona o rea, gli fece rimprovero. Quindi avvenne che il giovane, non punto atterrito dalla paterna autorità, fattosi solenne andatore di notte, e grande amatore delle piazze e dei circoli, in pochissimo tempo dimostrò al padre suo che non era al mondo arte veruna che gli piacesse; e che infinite spese e pensieri avrebbe alla famiglia sua risparmiati. Rise il padre suo di contentezza un giorno, e ne lo baciò in fronte, dicendogli: “Va’, figliuol mio, che tu sei già allevato; di che io ti ho un grandissimo obbligo, dappoichè non si può dire che per te io abbia avuto un pensiero al mondo. Va’, e fa’a modo tuo, che tu farai bene.” Qual altro uomo della terra, abbandonato a cotanta libertà e levatogli il guinzaglio dell’autorità paterna in quegli anni primi e bollenti, non avrebbe corso il mondo per suo, e fatto fascio, come suol dirsi, d’ogni erba? Ma egli entrato incontanente in sè medesimo, e dato un’occhiata alla società in cui vivea, incominciò a fare queste riflessioni: “A qualche cosa debbo essere utile agli uomini miei compagni, e molte sono le loro bisogne. Queste sono di corpo o di spirito. Vediamo in che possa io loro giovare. Io veggo, dovunque gli occhi rivolga, ripiena la città di botteghe, nelle quali con tutte le diverse arti si supplisce alle prime; e s’io ad una di queste arti m’attengo, che sarò io altro che una gocciola di pioggia in un mare immenso? Dall’altro lato, oh quanto pochi sono quelli che alle bisogne degli animi arrecano giovamento! Ma sopra tutto pochissimi sono quelli, i quali delle loro continue ed infinite molestie gli alleggeriscono. Non so io forse quanti pensieri aggravano sempre gl’infelici mortali? Di qua le fastidiose mogli fanno per tutto quel tempo che stanno in casa disperare i mariti, di là i poco caritatevoli mariti danno continuo travaglio alle mogli. I capi delle famiglie si querelano delle spese soverchie, i domestici si lagnano della ristrettezza nello spendere. Tutto è guai nelle case, tutto querimonie, tutto desolazione. Gli abitatori di quelle, uscendo fuori talvolta con quei loro gravosi pensieri in testa, dovunque vanno, seco portano que’loro acuti chiovi che gli trafiggono. Non bastano aria e sole per distorgli dall’interno martirio, il passeggiare non è sufficiente. Più addentro si conficcano le molestie, se non ritrovano chi le frastorni, chi le interrompa. Bello e veramente nobile atto di compassione sarebbe il mio, s’io potessi a questa parte delle umane occorrenze giovare! Non potrei io forse con queste poche forze ch’io ho, dedicarmi del tutto alla consolazione ed allo alleviamento del prossimo?” Metatestualità► Oh tutti quanti voi, che dalla testimonianza della mia voce ascoltate le riflessioni del nostro al presente defunto uomo dabbene, come potrete negare ch’egli non fosse di bontà ripieno, e d’una cordialità che non potrebbe dirsi a parole? ◀Metatestualità Chi potrà negare che, s’egli fosse stato ricco uomo, mosso a compassione degli altrui fastidi e travagli, non avesse dispersi i suoi tesori in feste, in rizzare teatri, [494] ed in mille invenzioni utilissime a ricreare l’animo delle genti e far uscir l’amarezza, almeno per qualche tempo, del cuore? Ma non potendo livellarsi le forze a tanta bontà, divisò di spendere tutta la sua vita, le mani e la voce per consolare le comuni afflizioni. Quindi avvenne che egli consagrò il corpo suo ad un’indicibile diversità di vestimenti; le sue labbra a’più arditi e quasi impossibili torcimenti, le mani ad un cembalo con la sonagliera, gli orecchi a lunghissimi pendenti, il capo talvolta alle cuffie, e la sua voce, qualunque si fosse, alle canzoni e alla musica. Fatta questa deliberazione, divenne instancabile.

Non vi era via, piazzetta, o luogo veruno della città, dove egli di tempo in tempo non si ritrovasse, e non procurasse con gli atti, col canto e colle sue piacevolezze, di sviare i popoli dalla malinconia; e sì gli riusciva, che avea sempre un gran cerchio di circostanti intorno a sè; e al primo tocco del suo cembalo, aprivansi finestre di qua, di là, da’lati e a dirimpetto, e udivasi da ogni parte a scoppiare la dolcissima giocondità delle risa. S’egli si movea per andarsene, avea dietro un codazzo di genti; era pregato da’circostanti ad arrestarsi, invitato da’lontani ad andare; in somma era da tutti e da ciascheduno amato e richiesto. Fuggivano dinanzi a lui i pensieri e le noie, come dinanzi alla faccia del sole quella nebbia che la mattina per tempo ingombra la faccia della terra; e al suo partirsi non rimaneva altra molestia, fuorchè quella della sua partenza. Io vorrei, o umanissimi ascoltatori, che qui fossero presenti ad udirmi tutti coloro, i quali niun’altra cosa curando che sè medesimi, quando un infelice va a lagnarsi agli orecchi loro delle proprie calamità, gli rispondono in breve, e non hanno altro conforto da dargli, fuorchè contargli lungamente i propri infortuni e aggiungere le lagrime loro alle altrui, delle quali è sì grande abbondanza. E talora, il che peggio è, inventano con la fantasia disgrazie che non hanno, per turar la bocca agli sfortunati e toglier loro ogni speranza di alleviamento. È questa bontà da uomini? è questo umano cuore? sopraggiungere miseria a miseria, afflizione ad afflizione? Se non potete consolare con fatti e coll’opere, sì fatelo almeno con le buone parole; e con buon viso e con le ricreazioni procurate, senza ch’egli se n’avvegga, di sviare l’animo tribulato dalla sua profonda tristezza. Fate, s’egli è possibile, che intorno all’uomo rida l’aria da cui è circondato; levategli via dagli occhi quanto potete aspetti di miseria e dolore. Imitate quanto più potete la gaiezza e la giocondità del nostro ora perduto sostegno. Io non vi dico già che debba ogni uomo, com’egli facea, andarsene per le vie cantando, picchiando un cembalo, diguazzando una sonagliera, ora vestito da donna, ora da gran signore; non dico questo, no; chè se tutti così facessero, la parrebbe una pazzia universale e si direbbe che tutti corrono a nozze; ma dicovi bene che il ragionare di cose liete, di facezie che non offendano, e di gentilezze che confortino, è la ricetta degli animi abbattuti dal peso delle faccende e da’fastidi dell’umana vita.

Non fu senza il debito compenso la bontà del nostro defunto. La felicità l’accompagnò. È il capo dell’uomo come una pentola nuova, la quale prende l’odore di quelle cose che prima dentro vi si ripongono; e se quello che dentro vi si pose la prima volta, si segue a mettervelo, non perde l’odore mai più. Chi potrebbe indovinare che di-[495]venga finalmente un cervello, in cui continuamente si mantengono piacevolezze e facezie, che in esso, come i semi ne’poponi, in que’piccioli fili, si avviluppino? Ogni cosa che gli si presenta, prende un aspetto da ridere, e tutto gli sembra consolazione. Fino alle calamità davanti agli occhi suoi non hanno quella sconsolata faccia che apparisce dinanzi a’malinconici, e gli sembrano più leggiere; e se ne ride come d’infortuni in sogno veduti. Egli ha imparato a notomizzare le cose che vengono da fortuna, e con sottilissimo occhio a conoscere che fra quelle tristezze e cordogli v’è anche alquanto da confortarsi; e pigliandogli per quel verso, e lasciando correre l’acqua alla china, si dà buon tempo. Questa per le continue meditazioni e abitudini era divenuta la filosofia della persona ora da me commendata, la quale, per cosa che le avvenisse, non altro mai facea che ridere e che scherzare; nè vi fu uomo giammai che lo vedesse mesto e dolente. Qual cosa sembra ad alcun uomo più orribile che la povertà? E quando se ne lagnò egli giammai, il quale sapendo per prova che ogni giorno arreca il suo pane, usciva la mattina cantando, quando un altro si avrebbe spezzato il capo nelle muraglie? Ma perchè ogni uomo ha pure qualche difetto, e fino a tanto che l’animo è nell’ossa e nelle polpe legato, non può di ogni macula liberarsi, egli soleva essere solamente alquanto malinconioso, quando i venti o le piogge gl’impedivano l’andare intorno con le canzoni. Ma che? Non potrebb’esser questa forse un’interpretazione de’maligni, i quali gli volessero apporre che la sua tristezza nasceva in que’turbati giorni dal non potere, come negli altri, buscare quattrini? Benchè quando anche così fosse stato com’essi l’immaginano; io non saprei biasimare un uomo, il quale vedendosi senza pranzo quel dì, desse qualche segnaluzzo di malinconia. Ma io son certo che il suo dolore nasceva dal non potere secondo la usanza sua ricreare gli uomini suoi confratelli. Sì, non può essere altrimenti. Sarebbe questa forse la prima volta che l’altrui malignità avesse trovato a ridire delle opere altrui? Non è egli facile l’avvelenare con le interpretazioni ogni cosa? Io per me non voglio dubitar punto del fatto suo, quando veggo in tutto il corso della sua vita, ch’egli non pensò ad altro che a giovare, e finalmente ch’egli chiuse i suoi giorni per amore del prossimo. Chi mai da lui in fuori, o cari circostanti, con que’rigidi tempi, ultimi del carnovale, i quali aveano sì mala influenza sopra l’altrui salute, e con sì gran furia di aria e di freddo che scambiava i sangui in catarro, chi mai, dico, si sarebbe arrischiato, per invitare gli uomini a ricrearsi, a salire sopra il tetto d’uno di que’luoghi dove si mostrano altrui le maraviglie, e gridando a testa e quanto gli usciva dalla gola: Qua, qua a vedere, a vedere, riempiersi i polmoni di quell’aria gelata, riscaldandosi dall’altro lato a vociferare? Certo niuno. Vedevanlo con una commiserazione comune le genti dimagrato, e scambiato quel suo color nero in cenerognolo, e atterrite ne lo guardavano; ma egli di nulla curandosi fuorchè della universale ricreazione, pur vociferava: Qua, qua; e a poco a poco riceveva nel suo petto l’influenza mortale. Misero sè! anzi miseri noi, che perdemmo in pochi giorni, perdemmo.... ◀Racconto generale ◀Livello 3 Non mi dà il cuore di dirvelo. Di quanto perdemmo, tutti ce n’avvediamo.

Metatestualità► Non è questa la prima volta che si tentasse di scrivere le lodi di cosa che non paresse altrui degna di commendazione. Di tali capricci è piena l’antichità, e qualche moderno ancora ha adoperata l’elo-[496]quenza sua in somiglianti elogi. Qui avrei luogo di stendere un bello squarcio di erudizione, e allegare molte opere antiche e moderne: ma so che il pubblico poco si cura di tali cantafavole, che altro non costano fuorchè il ricopiare dai libri, e nemmeno io ho questa sofferenza. ◀Metatestualità ◀Livello 2 ◀Livello 1