Cita bibliográfica: Luca Magnanima (Ed.): "Saggio XVII.", en: Osservatore Toscano, Vol.1\17 (1779), pp. 158-167, editado en: Ertler, Klaus-Dieter / Fuchs, Alexandra (Ed.): Los "Spectators" en el contexto internacional. Edición digital, Graz 2011- . hdl.handle.net/11471/513.20.3549 [consultado el: ].


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Saggio XVII.

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Osservazioni fatte sopra di alcuna parte del littorale di Livorno, riguardo al ritiramento del mare.

Quando la città di Livorno era un semplice Castello, e poco o nulla considerato, era presso di lei un Porto celebre nelle nostre storie. Questo fu il rifugio delle galere pisane, perchè i Pisani sono stati mercanti, e navigatori, nè poteano averne un più vicino a Pisa, perchè l’Arno che la divide per il mezzo, non presentava loro alcun sito migliore vicino alla sua foce. In vicinanza di Livorno dovettero trovare verisimilmente qualche seno di mare, che si stendeva non poco dentro la terra, e che sarà stato, come si dice al presente, una baia, o una cala. Questo vantaggio offerto dalla Natura, gli sospinse a risguardarlo importantissimo per gli affari di mercanzia, e di guerra. Senza un sì fatto vantaggio naturale, avendo dovuto fare un grande edificio, egli è molto verisimile che l’avrebbero [159] fatto in vicinanza della loro città, nè mai presso di un castello lontano da essa. Lo fecero dunque in tal vicinanza di Livorno, che non sembra arrivare ad un miglio. Una sì fatta distanza provasi con gli avanzi di quattro torri, che sono in piede tuttavia, non molto lungi una dall’ altra, e che dovean essere sicuramente alla bocca del porto. Era per conseguente lontano da Pisa per la parte di mare da sedici miglia nostre, e dodici almeno da quella di terra, perchè si estendeva molto addentro in essa verso un luogo detto la fonte di S. Stefano, che resta ora distante da Livorno forse due miglia.

Questo Porto nondimeno esser dovea, come ho io detto, un seno di mare, o una rada, fatto più dalla natura, che dall’ arte. E che vero sia ciò, restano in piede tuttavia le quattro torri diroccate già dette, le quali dalla figura rotonda, dall’ altezza, e dal fondamento, che suppongono, fanno pur conoscere essere state assai piccola cosa. Veramente non potean queste fondarsi in una parte di mare, ove grande fosse l’altezza delle acque; e perciò si ravvisa vie più che i Pisani elessero un luogo di non molto fondo, e adatto insieme a tenere in sicuro le loro navi. Ma per meglio provarlo, consideriamo le loro navi o galere medesime. Eran queste simili alle più piccole Galeotte, che usano ora i Turchi per corseggiare, e che servirebbero pur ora in una flotta per legni da trasporto. Non era pertanto necessaria nè una gran profondità per tenerle, nè per assicurarle una difesa di rocche, e di forti-[160]ni, quale si usa oggidì. Eran dunque sì le navi, che le torri, ed il porto molto convenienti fra loro.

Non si sa precisamente la figura di esso, nè fin dove entrava dentro la terra. Non si sa neppure quali difese avesse fuori delle torri mentovate. Ma dalle percosse, che sentì in diversi tempi, si può ricavare, che non fosse alcuna cosa di grande. Rimane un acquedotto ad un luogo, che dicesi la Torretta, ora casa di contadino, dal quale similmente si apprende che tutto era fatto in piccolo, e per cui dovean distribuirsi le acque ad alcun presidio, o a poche genti, che abitavano all’ intorno.

Ho detto che ebbe delle percosse, e questo si ha dalla storia, o sia da molte memorie, le quali con sofferenza erudita ha affrontate e raccolte l’ illustre Targioni. Infatti erano allora nemici de’ Pisani i Genovesi, i Fiorentini, i Lucchesi. Si gli uni che gli altri lo presero in vari tempi, l’arsero e lo rovinarono. Nel 1118. vi vennero i Genovesi, e misero tal paura ne’ Pisani, che gli obbligarono ad una pace vergognosa. Nel 1268. Carlo Duca d’Angiò vi venne colle truppe de’ Fiorentini, lo vinse, e distrusse miseramente. In ultimo vi tornarono i Genovesi nel 1284, e lo devastarono senza pietà. Tanti mali sofferti provano chiaramente che questo Porto non avea potenti difese, e che sarebbe servito al più per guardare piccoli legni dalla furia de’ venti, non da quella de’ nemici.

Ma quantunque fosse sì fatto, tuttavia molte genti abitatrici erano nel contorno. Non si dee già [161] credere che si possano paragonare a qualche grossa popolazione, perchè nè il sito, nè i soccorsi l’avrebbero permesso. Oltre di che saria stato pur difficile, che si spegnasse affatto ogni memoria del loro stato. Si dee piuttosto pensare che lungo i fiumi, vicino al mare, intorno a’ seni di esso si portano gli uomini volentieri per fare lor traffico, e che essendo così, anche intorno al Porto pisano si fermassero quelle genti a godere della libertà, e del guadagno, che si ha dal fare il commercio. Così leggendosi in alcuna memoria raccolta dal Targioni, che prima del mille vi eran chiese, e pastori ad esse proposti, si dee sempre intendere di piccole chiese, come usavano in que’ tempi, che non conoscevano sublime. E nel vero a’ nostri giorni ne abbiam pur vedute alcune nella campagna pisana, ed io segnatamente nel territorio della Valle di Calci, le quali sono state da qualche secolo abbandonate, senza saperne il perchè. Or questi eran piccoli tempj, da mostrar sempre esser stati fabbricati per poche genti. Dobbiamo dunque conchiudere che tutto quello spazio di terreno coperto dalle acque del mare, che teneva lungi gli aquiloni dalle flotte pisane1 , e che dalle vecchie torri si dominava interamente, or più non è sotto quelle acque. Se non ci fossero gli avanzi di esse sarebbe morta ogn’ idea del porto degli antichi Pisani. È ben vero che si vede tuttora in piede la bellissima torre ottagona detta il Marzocco, lavorata di marmo bianco pisano; [162] ma questa fabbricata con maggior arte delle altre in tempo, che Firenze era città popolare, serve per mostrare, che i Fiorentini facean gran conto per avventura di quel porto, e che perciò in faccia di esso l’ avean piantata. Io voglio concedere, che tutte le rovine seguite per le guerre ostinate abbiano fatto sì, che quest’ ampio seno di mare si riempia in parte; ma le cause naturali anno forse operato con maggior forza delle morali, o sia delle umane. E la mia prima ragione si è, che questo nostro mare ne’ furiosi libecci dee spingere molte materie de’ suoi fondi fino al lido; la feconda, che le correnti da levante a ponente debbon sempre portarne, e riempire a poco a poco, e far continente; la terza, che gli ammassi di quella pianta, che nasce in fondo del mare, e che si chiama alga marina, serve non pure a ritenere le materie lasciatevi dalle correnti, e dalle tempeste, come anche respinta in gran copia al lido a far ivi de’ cumuli, ed alzare in questa guisa il terreno. Tutte queste cause prese insieme anno forse costretto, per di così, il mare a ritirarsi, ed a lasciare scoperto un gran tratto di suolo. Tutto ciò osservasi essere avvenuto dalla parte occidentale di Livorno.

Una buona porzione di questo terreno è rimaso da tre secoli in quà un padule, ove andavano ultimamente molti cacciatori. È anche al presente in gran parte; e la ragione si è che prima del governo felice di Francesco primo, cominciato nel 1736. non si pensò a farne un miglior uso. Solo [163] nel 1751 si stimò ben fatto di chiederne una parte dal Capitano Masini ingegnere per bonificarsi, e restituirla poi dopo un certo numero di anni. Fu accordata grazia, e fin d’allora si fecero delle grosse colmate, ed in poco tempo si ridusse a coltura quello spazio di terra, che comincia al di là della torretta fino al fosso detto del Calambrone, vicino al quale si fece anche una Cascina, da cui si ricava un ottimo burro, col solo pascolo delle erbe di quel terreno, che finisce colla sponda del mare, e dall’ altra col fosso de’ navicelli. La parte poi coltivata è servita quasi sempre per la sementa del grano, ove viene assai bene. Non son finite però tutte le colmate da farsi; perchè ve ne resta anche un gran tratto, e massime dal Marzocco verso il detto Calambrone, ove è rena, e loto mescolato, ed ove nasce spontanea la soda, ed altr’erbe marine. Nulla dirò dell’ altra parte, che è divisa dal fosso stesso Capitano Masini, opera di Cosimo primo, per esser anche tutta paludosa. Solo scriverò che questa ancora sarà colmata, essendovi già trasportata una buona quantità di materie per tal fine.

Or questo rinterramento sì aperto, e sì vasto era mare un tempo. Ora è coltivato in buona parte, e quello di più che resta assai vicino alla città. L’ aria di essa in conseguenza è migliorata a segno che può dirsi perfetta. Questo stesso rinterramento, alquanto minore senza fallo, è visibile altresì dalla parte di levante. Io osservai già da giovinetto che molti scogli, i quali eran coperti dalle [164] onde fino alla cima, ora l’anno scoperta; e questo io mi penso che sia un segno indubitato dell’abbassamento del mare. Di più, io son sicuro che il mare ha coperto tutto lo spazio ove ora è Livorno, e lungo il suo littorale molto addentro la terra. So che diranno alcuni, che si conviene fra’ dotti, essere stata già tutta la terra sotto le acque del mare; ma sappiano che voglio riferire quel che io stesso cogli occhi miei ho osservato, dopo tanti che ne a prodotto esempi stupendi. È dunque da sapersi che sì da levante che da occidente di Livorno si trova assai in vicinanza del mare una specie di pietra, che dicesi di tufo. Ella è arenacea, e spugnosa generalmente, vale a dire ella è in molte delle sue parti di una differente durezza. Ho detto che ella è arenacea, perchè è composta di arena ora più fina, ora più grossa, ed ora di sassolini di colori bianchi, rossi, scuri, e di altre tinte. Questa varietà di componenti disegna a mio senno la differenza di questa pietra. Ma quel che le dà un carattere generale è l’esser piena in tutte le sue parti di frantumi, di sfarinamenti di nicchi marini, i quali eguagliano per avventura la parte arenacea, che vi può esser compresa. Questa è una distinzione essenziale del tufo di Livorno, quantunque questi corpi marini stritolati si trovino assai volte anco interi. Io ne ho, ora che scrivo, un pezzo sotto gli occhi, il quale ha incorporato un nicchio bianco, e di una specie, che forse più non esiste in questo littorale. Simili a questi io mi sovvengo d’ averne raccolti altre volte in un campo a semen-[165]ta che rimane in faccia al Marzocco, niente guasti dal tempo, ma interi affatto, se non che pe’ sali avean perduta la loro lucentezza naturale. Questi poi, stranieri per avventura a questo mare, mi fecero pensare o che vi fussero stati trasportati, o che ne fosse quivi in altri tempi la spezie. È dunque il nostro tufo un miscuglio di materie di qualità differenti fra loro, e di cui una buona parte sono crostacei distrutti.

Or chi negherebbe che quivi non avesse avuto sua sede l’acqua del mare? La vista di tanti crostacei parte infranti, e parte interi, lo dimostra in una maniera affatto certa. E questa pietra potrebbe dirsi che fosse tanto estesa, quanto erano i campi, da cui si è cavata. In occasione di fabbricare il nuovo lazzeretto di S. Leopoldo ne fu scoperta, e scavata della eccellente. In fatti io ne vidi scoperto un gran quadrato da tagliarsi in altrettanti più piccoli quadrati, cioè in tanti massi, i quali dovean servire per trasportarsi al molo in difesa da gran cavalloni del mare, contro di cui si frangono. Sempre più abbiamo dunque campo di credere che il mare sia stato gran tempo in questa parte, e che ella fosse allora un fondo di esso. Mi dicono che dentro uno di questi massi fu trovato un pesce impietrito non piccolo, non saprei affermare di qual genere, o di quale specie. Quel che dà molto da pensare, senza saperne poi rendere una probabil ragione, si è qualche scogliera o banco di mare, che si vede coperto pochi palmi, o come suol dirsi, a fior d’ac-[166]qua. Noi ne abbiamo una non piccola al luogo detto il Mulinaccio, per andare al quartiere de’ Cavalleggieri. Abbiamo di più quella celebre poco distante dal porto di Livorno detta della Meloria, segnata anche sulle carte marine. Or tutta questa pietra, che è altro tufo, suppone sicuramente d’ essere stata in luogo asciutto, perchè le differenti materie, ond’ è composta, lo mostrano assai. Ora ella è in mezzo delle acque. Dunque pare che il mare abbia lasciato questa parte, ove sono certe secche, e che poi coll’ andar de’ tempi siasi di nuovo impadronito della terra, ove furon esse formate. Ma io confesso, a cagion forse dell’ umile mio sapere, essere molto difficile a questo proposito la coniettura, e che quando non resta luogo ad essa gran fatto, bisogna ben pensare, che le più belle apparizioni, che la Natura ha voluto fare agli occhi dell’ opera sua più grande, ci faranno sempre oscurate da una nebbia sì folta, che non si dileguerà forse mai. La conclusione di questo mio discorso, è che il mare ha occupato il piano di Livorno; che se n’ è ritirato assai; che essendo rimase varie materie più in un luogo, che in un altro, si è formata col giro de’ secoli la pietra, che abbiam descritta; che si va ritirando sempre più, ed a segno che alcuni anni sono poteva andarsi con un battello attorno alle torri pisane, ora si può andarvi a guado, e vi è già nata, e cresciuta l’ erba, o quel che è lo stesso ha già la vegetazione fioritamente occupato quello, che non è più in signoria del mare. Infinito dirò, che la città [167] nostra di [geonameID:3174659:Livorno], la quale è posta sulla marina col trapassare de’ tempi, ne sarà molto discosta, come è avvenuto a Ravenna, la quale era pure un porto delle armate romane, ed ora ella è forse per tre miglia lontana dal mare. La Natura dunque, l’ammirabil Natura, è in un moto costante su questo misero punto dell’ universo, sul basso nostro pianeta. Da questo moto bene osservato si veggon generare mille e mille accidenti novelli, i quali spesso più non si raggiungono nell’origine, perchè mancarono de’ curiosi filosofi a notarne la comparsa, e le qualità. Tutto pertanto va perpetuamente a cambiarsi di luogo con una varietà presso che infinita di cose la più stupenda. Solo la ragione dell’ uomo è immutabile. Ella sola può raccoglierli, quando esser voglia attenta; e quando non le piaccia di esser tale, perde allora ogni diritto per esser sublime anche a’ tempi più lontani. ◀Nivel 2 ◀Nivel 1

1Classes Aquilonibus arcet.