Cita bibliográfica: Anonym [Eliza Haywood] (Ed.): "Libro Terzo", en: La Spettatrice, Vol.1\03 (1752), pp. NaN-208, editado en: Ertler, Klaus-Dieter / Fuchs, Alexandra (Ed.): Los "Spectators" en el contexto internacional. Edición digital, Graz 2011- . hdl.handle.net/11471/513.20.2263 [consultado el: ].


Nivel 1►

Libro terzo.

Nivel 2► Io non posso approvare quel giudizio, che ordinaramente si forma di una persona insociabile, e si dice essere di un naturale cattivo. La natura per se medesima aspira all’unione; tutti abbiamo certa inclinazione all’amore, alla gratitudine, ad una benevolenza universale, e proviamo piacere in vedere gli altri uomini dotati delle stesse virtù. Nasce ciascheduno con le qualità necessarie per vivere in società, ma le viziose passioni sovente corrompono la nostra natura, e ad essa tolgono quanto ella ha di buono, e di amabile. L’avarizia, l’ambizione, la collera, l’invidia, e la gelosìa sono piante malvagie, che crescono nell’animo nostro, capaci di estinguere a poco a poco i principj più nobili, quando non si prenda cura di estirparle per tempo. Quanto la na-[142]tura è bella nell’infanzia, prima che prendan vigore queste turbolente passioni e quanto ella sarebbe ancora più bella nella età matura, se queste passioni fossero tenute sempre sotto l’imperio della ragione?

Dirà forse tal uno, ch’io pretendo dividere ciò, ch’è unito nel nostro essere, che le passioni sono veramente una porzione di noi medesimi, che le portiamo con noi dalla nascita, che tanto i fanciulli sono sensibili alle più menome cose, quanto in una età più avanzata lo siamo per i più solidi oggetti: e si citerà contro di me il detto di uno de’nostri migliori Poeti Inglesi, che Cita/Lema► gli uomini non sono differenti da i fanciulli se non per la statura. ◀Cita/Lema Non ho difficoltà di accordar tutto questo, ma egli è però vero; che le passioni della nostra infanzia non han tanta forza da precipitarci in alcuna di quelle cose, che si chiaman vizio, quando chi ha cura della nostra educazione non le secondi, e fortifichi; ed a misura, ch’esse vari prendendo vigore, la nostra ragione ancora, che deve dirigerle, si faccia più robusta. I nostri genitori per tanto, e i nostri direttori devono avere una cura particolare di abbassare al possibile le nostre inclinazioni, che pajono pericolose, e conservare l’eccellenza, e la purità nella nostra natura fin che siamo ancor giovani: a noi poi tocca pensarvi quando siamo divenuti padroni di noi mede-[143]simi, poichè abbandonando questa diligenza, diventiamo senza dubbio non meno molesti agli altri, che incomodi a noi medesimi.

Io non intendo per questo, che il taciturno, il melanconico, il bisbetico, ed il fantastico ancora, sieno dominati sempre da qualche passione viziosa. Una continua serie di traversie, di calamità, e di cattivi trattamenti, cui d’ordinario un disgraziato è soggetto, ovvero una lunga malattia, possono inasprire il naturale più dolce; ma in tal caso questo cambiamento non sarà mai, che la persona diventi crudele, vile, interessata, disleale, ingrata. Potrà per avventura, essere importuna, e nojosa, e verrà considerata quasi un peso inutile nella società, ma non sarà mai ad altri pericolosa, nè farà male se non a sè stessa.

Dall’altra parte, dove prevalga l’avarizia, non si possono se non aspettare delle conseguenze dannose al genere umano; e tutti i mali, onde è afflitta la società, si possono riferire a questa causa, la quale ne’soggetti più puri va introducendo delle pessime qualità, e in certa maniera sconvolge l’ordine, e il fine della nostra esistenza. Una vil diffidenza, l’invidia, l’odio, la malignità non ci lascieranno godere un momento tranquillo, e c’impediranno di aver per gli altri i dovuti riguardi, se mai questi ci vengono in sospetto di attraversare i nostri inte-[144]ressi. Con questo principio resta dalla società intieramente sbandita l’unione, a tutti gli uomini tanto vantaggiosa, ogni pubblica virtù, ogni obbligazione privata di dovere, di gratitudine, o di affetto naturale, resta sagrificata a certe mire particolari, che si concentrano in noi medesimi, e non si risparmia nè la frode nè l’aperta violenza, quando tali mezzi sien necessarj per venire al termine, de’nostri disegni. Quante guerre hanno avuto un esito infelice? Quanti progetti sono stati sconcertati? Quante floride famiglie ridotte alla mendicità unicamente per l’avarizia d’un solo, che trovava il suo interesse nella rovina comune? Questa è una delle più evidenti verità. Non si vedono bene spesso persone del sangue medesimo, allattate dal medesimo seno, diventar col tempo nemici i più accaniti, e crudeli? Riflesso ben ingiurioso ma lasciamolo, ed esaminiamone la sua contraddizione.

Nivel 3► Exemplum► Nivel 4► Retrato ajeno► Un esempio degno d’essere imitato da tutti quelli, che si trovassero nel medesimo caso, si vide nella famiglia di Eufrosina. Era quella bella, e giovane Dama ricercata in isposa da un’uomo assai ricco, ma che aveva il doppio d’età, incapace senza dubbio di piacere a persona sì delicata e spiritosa,qual era Eufrosina, per la sua poco avvenente figura, e per le sue rozze maniere. ◀Retrato ajeno ◀Nivel 4 Prima di spiegare la sua passione a questa Dama coltivò il di [145] lei padre, e in tal proposito gli fece delle offerte, che pochi padri avrebbero ricusate. Ma questi gli rispose, ch’egli cercasse di scoprire il genio della figliuola, alla quale comanderebbe di ricevere alle sue visite, e che quando ella vi prestasse l’assenso, con piacere incontrerebbe questa parentela. Dovette per allora questo vecchio amoroso contentarsi di questa risposta, e siccome vedeva di poter ottenere il suo intento colla sua eloquenza, adoperò tutti i mezzi creduti proprj a rappresentarle la sua passione, ed a svegliarne altrettanta nel cuor della Dama. Le fece più volte tutte quelle amorode espressioni, che aveva sentite far sul Teatro, e che poteva ricordarsi; le portò tutte le arie più applaudite dell’Opera, acciocchè ella le suonasse sul suo clavicembalo; la condusse a i giardini di Vaux-hall, e di Ruckolt1 dicendole sempre esser ella la Divinità d’ogni qualunque luogo, in cui si trovava.

Eufrosina, ch’era la stessa ubbidienza, e che sapeva approvate da suo padre tutte le visite, e le premure di quello amante, non ardiva di rifiutarlo, nè di metterlo a ridicolo; ascoltava i suoi graziosi [146] discorsi, riceveva le sue attenzioni, e i suoi regali, come da uno uomo, cui secondo tutte le apparenze si credeva destinata. Ella non diede mai alcun indizio di quell’interno dispregio, che aveva per esso, nè di lui parlò mai co’fratelli, e con le sorelle se non con tutta la stima. In tanto la forza, che doveva fare a sè medesima, le tolse in gran parte quell’allegria, e vivacità, che d’ordinario le brillava sul volto, e negli occhi, divenne di giorno in giorno sempre più malinconica, e taciturna, e spesso veniva sorpresa con le gote sparse di lagrime, quando trovavasi sola. Un così visibile cangiamento fu osservato da tutti di sua famiglia, che teneramente l’amavano, nè alcuno osava far parola in tale proposito. Così passato un intero mese, incoraggito l’Amante dalle obbliganti maniere, con cui dall’Amata veniva accolto, ed impaziente di possederla, la pregò istantemente di stabilire il giorno, in cui dovesse assicurarsi della sua felicità. Eufrosina gli rispose, ch’ella, intieramente dipendendo dal padre, non aveva libertà di stabilir cosa alcuna. Egli ne parlò al padre, dal quale ebbe risposta, che non aveva per anco discoperta l’intenzione della figliuola, e che quando lo avesse fatto, avrebbe o accelerata o differita la cerimonia, a misura ch’ella avesse dimostrato più o meno di genio a questa unione, nella quale per la reciproca felicità non doveva es-[147]servi alcuna violenza per l’una, o per l’altra parte.

Non restò molto contento di questa risposta; ma siccome gli amanti sempre si lusingano, così tutte le civiltà usategli da Eufrosina per ubbidire al padre le aveva prese per testimonianze del suo genio verso di lui, e non dubitava, ch’ella pure bramasse conchiuso questo matrimonio. Le rappresentava per tanto il suo dispiacere di questa dilazione, e si lagnava della tardanza di quello, che poteva solo disporre della sua Amata, e tanto era insistente, che il padre di Eufrosina gli promise di esaminare la figlia il giorno seguente, e fargli immantinente sapere la presa risoluzione.

Nivel 4► Diálogo► Chiamolla dunque nel suo gabinetto, e fattasela seder vicina, le espose l’impazienza del suo Amante, al quale aveva promesso di dare una finale risposta; le rappresentò la di lui passione molto meglio di quello ch’egli medesimo avesse saputo fare, e le aggiunse, che in vece di domandare per sua figliuola una dote, gli aveva protestato sin dalla prima volta di non domandare se non il di lui assenso. Questo, Eufrosina, soggiunse, è lo stato di questo affare; e giunge a tal segno la tenerezza disinteressata, ch’egli ha per voi. Voi sapete che ho molti figliuoli, e che quella porzione delle mie facoltà, che dovrei dare a chi esigesse una dote, può considerabilmente accrescere le porzioni di essi. Voi potete [148] sapere in oltre, che pochi padri avrebbero voluto consultare la vostra inclinazione in tale proposito; ma io non sono di questo numero, mia cara figliuola: io penso, che la vera felicità non consiste nelle sole ricchezze, e crederei di commettere un’ingiustizia, ed una crudeltà, se cercassi di far miserabili quelli, cui ho data la vita. Ditemi dunque liberamente, se aveste mai timore di offendemi, cosa pensate di questo Cavaliere, e se potrete amarlo, come sareste obbligata, quando diventaste sua moglie. Allora chinando il capo la figlia piena di virtù gli rispose con voce languida-, ch’ella farebbe sempre il suo dovere, come aveva imparato dalla sua educazione. Varj sono i motivi, ripigliò il padre, di fare il suo dovere, il primo è l’avere obbligo di farlo, il secondo è trovarvi in facendolo la propria soddisfazione. Io avrei troppo dolore in vedere sagrificata la vostra tranquillità al primo di questi motivi. La malinconia, che in voi scorgo da poichè ho permesso a questo Cavaliere di visitarvi in figura di Amante, mi fa credere, ch’egli non vi gradisca: posso però ingannarmi, e desidero, che m’apriate il vostro cuore in questa circostanza.

Fatta coraggiosa da tanta bontà, ella finalmente arrivò a confessargli di scegliere piuttosto la vita celibe, quando non trovasse altr’uomo, che le piacesse più di questo. Contuttociò, soggiunse, se questo matrimonio vi reca vantaggio e se voi [149] l’approvate, io deliberato sin da principio di non resistere al vostro volere, ma di fare tutti gli sforzi per meritarmi in qualche maniera quella bontà, con cui m’avete in oggi trattata. No, no, mia cara figliuola, replicò questo padre ammirabile, voi ben meritate, ch’io vi lasci in libertà di fare altra scelta, poichè siete così disposta a rassegnarvi. Per me non ho creduto giammai, che tanto vi potesse piacere questo Amante, quanto egli vanamente si lusingava, e vi prometto, che da lui più non sarete inquietata. In questo giorno han da finire tutte le vostre agitazioni sù questo punto. ◀Diálogo ◀Nivel 4

Si preparava Eufrosina a ringraziarlo, come doveva, per una tanto affettuosa risposta, quando improvvisamente entrarono nella stanza i due suoi fratelli, e le tre sue sorelle. Avevano essi intesa l’esibizione del suo Amante di sposarla senza dote, e sapendo ch’era stata chiamata dal padre ad un segreto colloquio, giudicarono, che volesse con la sua autorità obbligarla a fare una scelta, contraria, per quanto essi vedevano, al suo genio, e credendo aver la sorella bisogno del loro ajuto, vennero insieme tutti, si gittarono a pie del padre, e lo supplicarono di non lasciarsi portare da alcuna ragion d’interesse a render misera una sorella a lor tanto cara, persuasi, ch’ella non fosse inclinata a questa unione, quantunque non se ne fosse mai con essi [150] spiegata. Chi stringeva le ginocchia del padre, chi gli baciava la mano, e tutti lo rimiravano cogli occhi grondanti di lagrime, quasi temessero la risposta, ch’egli era per dare alla loro supplica. Ascoltò il tenero padre un testimonio sì raro di amor fraterno con un trasposto misto di meraviglia, e malgrado il piacere, che provava in vedere questa patetica scena, non volle tenerli più a lungo in sospensione, ed in pena. Alzatevi i miei cari, e degni figliuoli, disse loro, abbracciandoli successivamente, la vostra domanda è accordata, prima ancora che pensaste di farmela. In qualità di padre io non obbligherò mai nè Eufrosina, nè alcun di voi a dar la mano a chi che sia contro l’inclinazione del vostro cuore. ◀Exemplum ◀Nivel 3

La sola consolazione di questo buon padre in vedere la scambievole tenerezza de’suoi figliuoli poteva pareggiare la gioja da essi provata in sentirlo parlare in tal guisa. Dal suo canto Eufrosina non sapeva come esprimere all’uno ed agli altri il suo affetto, e la sua gratitudine. In una parola, quest’amorosa famiglia non faceva che darsi reciprocamente tutte le dimostrazioni della più viva, e sincera affezione, che possa venire da un animo tranquillo. Come si possono mai mettere in paragone beni di fortuna, per quanto sien grandi, con questi puri e giocondi trasporti, prodotti da una disinte-[151]ressata benevolenza tra persone del medesimo sangue? Questo è un piacere, che non si può esprimere con parole, e non può concepirlo se non chi l’abbia provato! un piacere istillato dalla natura, fortificato dalla ragione, approvato da Dio e dagli uomini, in somma, un piacere più che terreno.

Ma oltre di questa interna soddisfazione, ed oltre di quella stima, che nel mondo si acquista, mantenendo questa unione affettuosa con la nostra famiglia, vuole la politica, che s’abbia a diportare in tale maniera, quando non fosse l’aver solo in vista i più sordidi vantaggi; e mi maraviglio, che si possa mai essere cotanto stupido, e non fare questo riflesso: Nivel 3► Cita/Lema► voglio dire, che si dovrebbe dirigere con quello antico proverbio, che bisogna farsi delle provvigioni per le cattive giornate. ◀Cita/Lema ◀Nivel 3 Poche son le famiglie, nelle quali non vi sia alcuno in fortuna, e se tutti l’hanno in vista il comune interesse, la prosperità di uno non è ella vantaggiosa anche agli altri? Questo mondo è un mare incostante, e burrascoso, che sotto la più tranquilla superficie nasconde pericoli senza numero. Chi vi s’imbarca non può già promettersi di arrivare al porto senza essere agitato dalle tempeste, che da ogni parte minacciono. Non troverassi per tanto alcuno, il quale non volesse assicurarsi d’una barca amica, la cui assistenza favorevole potesse in [152] caso di naufragio, salvarlo cogli avanzi di sua fortuna.

Nivel 3► Fabel► Quale istoria più triviale, ancorchè non vi si faccia molto riflesso, quanto quella di un certo padre; il quale avendo molti figliuoli, e sentendosi vicino alla morte, chiamosseli al letto, e fattosi portare un fascio di verghe ben legato, datolo in mano al primogenito gli comandò di romperlo. Tentatolo questi inutilmente, si provò il secondo, poscia il terzo, e tutti gli altri successivamente, ma in vano. È impossibile, disse un di loro, spezzarlo, se non si taglia il legame, ad una ad una separatamente sarà facilissimo romper tutte queste verghe. Verissimo, replicò il padre, sarà egualmente impossibile, amici diletti figliuoli, che vi sia recato alcun danno, quando voi continuerete a stare uniti; ma quando si rompa questo vincolo, perderete tutta la vostra forza, e sarete esposti a diventar la preda di che verrà ad attaccarvi. ◀Fabel ◀Nivel 3

L’amore, e l’amicizia, dirà taluno, non si può dividere in tanti: i sentimenti sinceri, e senza riserva non possono darsi se non tra due persone; e se una terza sopravviene, si divide, e s’indebolisce questo attaccamento, e mette l’animo in una total confusione, attese le differenti mire d’ognuno. Questa massima è senza dubbio generalmente vera, ma non ha che fare con quella unione, che deve conservarsi tra le persone d’una [153] stessa famiglia, le quali, simili a varj rami d’un albero stesso, tanto meglio resistono all’urto violento de i turbini, quanto meglio sono insieme avviticchiati, e quanto più son numerosi.

Mi pare una cosa sorprendete, che persone di nascita illustre non si degnino di soccorrere i loro parenti, maltrattati da qualche traversia, per decoro del loro nome, e in maniera corrispondente alla lor condizione. Non vedono, che cade sopra di sè medesimi quel disprezzo, con cui certe anime vili trattano i suoi parenti? Posson vedere i ripieghi funesti, a’quali sovente si riducono per il bisogno questi miserabili rami di lor famiglia, e non riflette quanto resti pregiudicata la grandezza del proprio nome. O condannabile ostinazione Donde mai nasce tanta dimenticanza de’nostri doveri rispetto a Dio, a noi medesimi, e a quelli, con cui siamo congiuti? Qual fatale incantesimo chiude le vie tutte dell’animo, e non lascia luogo a i motivi di Religione, ed a i sentimenti d’una così giusta, e così necessaria compassione verso le persone del nostro sangue? Ciò non può nascere certamente, se non dall’amore del lusso, e da una falsa vanità di superarci l’un l’altro in que’vizj, che costano troppo, e de’quali si sarebbero vergognati i nostri degni maggiori.

Nivel 3► Exemplum► La saggia e virtuosa Lucilia non ha ella negato un giorno una mezza Guinea [154] ad una sua stretta parente, ricca una volta quanto essa, ma caduta in miseria, e dalla necessità costretta di ricorrere ad essa per questo piccol soccorso e in tanto non è ella andata la sera stessa in una conversazione a perdere in giuoco un migliajo di doppie? ◀Exemplum ◀Nivel 3 È cosa meravigliosa come abbiamo col tempo cambiato maniera di pensare Pochi anni fu si dispreggiava, anzi abborrivasi chi faceva la professione di giuocatore, ed ora chi più si cerca di avere in compagnia, quanto le persone di simil mestiere? Una volta per conservare la riputazione, e mantenersi in credito, cercavasi questo divertimento ne’luoghi più segreti, e con le cautele possibili; oggidì non amare il giuoco si giudica un mancamento di politezza. Le carte non servivano allora se non a diminuire il tedio delle lunghe sere d’inverno, ed ora si fa lo stesso in ogni stagione; questa è l’occupazione di tutto l’anno, e sovente molte migliaja di campi vengono assorbite (sic) prima del pranzo in una bottega da caffè. Si trattavano da truffatori que’che parevano più abili al giuoco, e le persone savie schivavano la lor compagnia; e a’nostri giorni costoro si chiamano uomini di grande abilità, si fa applauso alla loro sagacità in tutte le finezze del giuoco, e si considera, come la parte più utile della educazione, insegnare a barare il suo avversario nell’importante giuoco di Welcish. [155] Questo furore di giuoco, che nasce dalla più vile delle nostre passioni, è senza dubbio più pernizioso alla società di qualunque altro vizio. Ella è dunque una cosa degna di compassione, che questo sia in oggi divenuto la moda, autorizzato da persone di qualità, e che fanno figura, dall’esempio delle quali restano infetto le persone di ordine inferiore, sempre portate ad imitare i suoi superiori, e andare in precipizio in buona compagnia. Questa pessima inclinazione è la vera cagione, che molte floride, e ben provvedute botteghe sono chiuse al presente, anche nel cuore della Città, che i proprietarj han fallito, o si sono dovuti ritirare in paesi stranieri. E non è da stupirsi, poichè non si fa conto di un guadagno onesto, che si può far col commerzio, colla vana lusinga di molto più guadagnare al giuoco. Il semplice Borghese troppo rischia a voler giuocare col Cortigiano, e per colmo della sua mortificazione viene deriso da que’medesimi, che si approfittano di sua follia, per aver voluta uscire dalla sua sfera.

Si può contare dall’anno 1720. anno tanto fatale alla Nazione, questo stravagante prurito di giuocare, che, simile alla peste, ha sparso il suo veleno su tutte le differenti condizioni di persone. L’ingannevole perspettiva di fare fortuna in un colpo solo, senza fatica, e senza inquietudine, aveva abbagliato in tal guisa [156] le persone portate all’ambizione, all avarizia, alla indolenza, che per lungo tempo si vide un totale abbondono d’ogni affare, eccettuati i negozi fatti nella strada de’cambj da Sensali, che con eccessiva perdita de’proprietarj trafficano le loro lettere mercantili. Cominciò d’allora a fiorire nella Nazione l’arte di truffare, e da quella Epoca si è conservata al dì d’oggi sotto forme diverse. Finiti i negozj del Mar de Sud, a tanti fatali e rovinosi, si apprese a tendere altra forte d’insidie, meno considerabili è vero, ma non meno dannose all’onesta industria. S’inventò ogni giorno qualche nuova maniera di rovinare il suo prossimo. Si cavano di continuo nuovi Lotti, ne’quali la miglior forte toccava a che li aveva formati. I nostri prudenti Legislatori credettero opportuna cosa impedirli, ma non si potè sradicare la pessima influenza introdotta negli affari per una lunga disattenzione. Si era chiascheduno troppo avvezzato all’ozio, e all’infingardaggine, per ripigliare le occupazioni di prima. Vi avrebbe voluto una pioggia d’oro per essi, e sospiravano nuove occasioni di rinovare quelle speranze chimeriche, che avevano rovinato la maggior parte: L’azzardo era il loro idolo, ed agli amici sensati, che mettevano loro in vista la grande pazzia di abbandonare un mezzo sicuro e certo da guadagnarsi di che vivere onorevolmente, [157] per un progetto incerto, ed immaginario, da cui speravano con che vivere lussuriosamente, rispondevano comunemente volersi mettere in braccio della Fortuna; poter anch’essi riuscire come certuni, che poveri da prima, eran giunti in istato de vivere magnificamente, e di fare una bella figura nel mondo. Allora fu che il giuoco diventò un’occupazione, poichè era questo il solo fondamento, su cui alzare que’castelli in aria, che piacevano tanto. Una notte propizia alle carte, un colpo fortunato a i dadi poteva rimettere tutte le perdite passate, e ogn’uno pensava di dover arrischiare quanto gli restava.

Non mancano mai certe astute persone, che stanno in aguato per profittarsi delle pazzie degli altri. Vedevan costoro dove pendeva il genio univerale, e per animarlo con qualche novità, inventarono varie sorte di giuochi non ancora pensati, e che potevano soddisfare alle brame, se la fortuna avesse voluto secondarle. Restarono molti ingannati da questi nuovi stratagemmi, nè vi sarebbero inciampati, se avessero avuto men opinione della sua abilità nel giuoco, poichè a far fortuna su questi tavolieri di nuova invenzione non si ricerca nè attenzione, nè abilità. Potrei nominare una piccola porzion di terreno ne’contorni di Westminster, dove dentro [158] lo spazio di ducento verghe vi sono quattordici pubblici ridotti da giuoco, e questi sono pieni tutte le notti di persone di qualità, e della plebe più vile.

Son esercizj maschi e vigorosi la Racchetta e ‘l Cricket 2 inventati per esercitare e conservare la forza e la destrezza, e preservare la nostra gioventù dalla mollezza e dall’ozio. Il costume introdotto di giuocare a quest’ultimo una Contea contro dell’altra, era per ispirare una nobile emulazione di superarsi l’un l’altro in questo esercizio, e diventare così più atti a servire il Re, e la Patria, quando il bisogno lo richiedesse. Non entrava nella istituzione di questo giuoco alcuna mira mercenaria; non si proponeva se non l’onor per oggetto, e si contentavano degli applausi, che si facevano a i più coraggiosi. Ma dopo quel tempo questi sono diventati nomi vani: un migliajo di lire porta un diletto più reale della sterile gloria; il guadagno, ed un guadagno sordido e vile è la sola occupazione del loro spirito, che li riempie di gioja, quando l’esito sia felice: senza di questo molti di coloro, che concorrono a gara per dar prove della propria abili-[159]tà, vorrebbero passare piuttosto il tempo in amoreggiare una Dama alla tavoletta, o starsene in casa agiatamente sedendo, in tanto che i suoi dimestici si esercitano nella caccia.

Diranno forse che così vuole la nostra natura? No, no: sono i vizj che la sfigurano, e che potrebbero chiamarsi una seconda natura, poichè son fatti così comuni. Quando mai la natura da sè sola ci porterà a frugare in sen della terra, cercando l’oro, e quando l’abbiam trovato, idolatrare questo metallo? C’insegna ella forse a stimar noi’medesimi più o meno, secondo la quantità, che possediamo di questo, e a far consistere tutto l’onore e la virtù in diventar ricco. Ma poichè tanto si è cambiato il mondo dal vero stato di natura, e presentemente non si può sussistere senza una certa quantità di quest’oro, non dobbiamo affettare un disprezzo troppo grande di questo metallo: ma siccome non dobbiamo lasciarci trasportare dal solletico dell’avarizia, cercando di farci ricchi con mezzi indegni, e scandalosi, così quando si abbian acquistate delle ricchezze, non dobbiamo scioccamente spenderle in bagatelle superflue, e il più delle volte nocive. Dovremmo riflettere, che i nostri posteri ne avran bisogno quanto noi, e considerare ogni nostra colpevole stravaganza per un furto fatto a loro: dovremmo pensare, che abbiamo il solo [160] usufrutto della eredità de’nostri maggiori, la quale ha da lasciarsi intatta e ben conservata, come l’abbiam ricevuta. Siamo ingiusti egualmente, quando senza necessità, e per sola soddisfazione di qualche sregolato appetito, dissipiamo i beni di fortuna ancorchè acquistati colla nostra industria particolare. I nostri figliuoli, porzione di noi medesimi, han diritto su i nostri beni, ed a mio parere è un grande assurdo il detto di cert’uni, che i nostri figliuoli han debito di faticare per noi. Chi li assicura della capacità de’loro figliuoli? Mille accidenti posson rendere inutile tutti i loro tentativi; e in tal caso qual giudizio formerà un figlio di suo padre, il quale con le sue prodigalità, e dissolutezze ha ridotto a morire di fame quelli, a cui ha data la vita?

Io non intendo per questo, che s’ abbia a privare delle cose necessarie, nè rinunziare a i piaceri della vita in grazia de’posteri: deve osservarsi una prudente mediocrità, la quale consiste in ubbidire alla natura, goder de i beni sin che viviamo, e riserbarne una discreta porzione a chi viene dopo di noi.

Non può negarsi, che il lusso è arrivato a tal segno tra noi in ogni genere, che tale non si è veduto in nessun tempo in veruna altra nazione. Vi ha taluno di bassa estrazione, e d’ignobile educazione, che pur vorrebbe nella tavola [161] imitare Eliogabalo, e più d’una donna, che somigliando a Cleopatra, non si farebbe scrupolo di assorbire una Provincia in un sorso. Par che nell’abbigliarsi non si cerchi ciò che sta meglio, ma ciò che più costa. Non c’è più differenza tra il giovane nobile, e ‘l figliuolo del mercante, e non è cosa rara che questi faccia più comparsa dell’altro. Canne col pomo d’oro, orologi, anelli, tabacchiere, abiti guerniti, consumano quel denaro, che doveva servire a stabilire la sua sorte, e lo conducono a tradire il padre, che dal canto suo è forse troppo occupato ne’suoi piaceri, e non ha tempo di dare un’occhiata agli affari del suo commerzio, e quando la cassa è vuota, prende a censo per qualche tempo per sostenere la sua vanità, fino a che venga un colpo che lo precipita nella miseria, e nel dispregio.

Il nostro sesso ha tale passione per gli abbigliamenti, che non è da stupirsi, se le mogli de’mercatanti superano i mariti in questo proposito: ma è cosa mostruosa, se per far pompa delle loro ricchezze compariscono mal concie, e disadatte. Quando si vede una stoffa d’oro e d’argento pesante a segno di opprimere una donna, e guernita in oltre di altri pesanti ornamenti, qual giudizio si ha da formare di chi la porta? E forse ella ha vuotata la borsa del marito solamente per sorpassare la vicina, quan-[162]tunque avesse fatta più graziosa comparsa adorna d’una stoffa semplice e schietta. Osservo, che questa nostra falsa delicatezza nel mangiare, nel bere, nel vestire, ne’mobili, ne’piaceri, che regna imperiosamente tra noi, non solamente ha mandato in rovina la metà della Nazione, ma ci ha messo in derisione appresso tutti gli stranieri, che ci han veduto. Così l’avarizia ha introdotto il lusso, questo porta al disprezzo, e non tarda a sopravenir la indigenza. Dispiacerà forse a molti de’miei Leggitori quanto ho detto su questo articolo; ma se per mia buona sorte facessi, che alcun di loro riconocesse il suo fallo, sarei meno sensibile al disgusto di chi vuole acciecarsi. Ne’tempi correnti bisogna usare i corrosivi, non i lenitivi. Il male ha di già troppo penetrato nella pubblica sanità, bisogna recidere la parte infetta per salvar le membra vicine.

Nivel 3► Traum► Mi sovviene una storia, di un certo Adolfo, assicurata più volte per vera. Aveva costui per quanto posso ricordarmi trecento lire sterline di rendita, viveva felice, e contento, fino a che addormentatosi un dopo pranso nel suo giardino, sognò, che un uomo di venerabile aspetto, fattosi a lui vicino, dicevagli: Adolfo! la vostra onoratezza, la vostra ospitalità, e le altre vostre virtù vi danno un giusto titolo di pretendere qualche ricompensa dal Cielo. Da qui un an-[163]no, in questo medesimo giorno, e precisamente a quest’ora avrete per mia mano trenta mila lire. Questo sogno fece in lui una forte impressione. Notò nel suo taccuino il momento del suo svegliarsi, e credendo con quella sicurezza, come se fosse un Angiolo disceso dal Cielo a fargli questa promessa, cominciò a pensare in qual maniera dovesse vivere in avvenire, e qual uso dovesse fare di quello tesoro. Mille idee di grandezza si presentarono al di lui spirito. Esaminando la sua casa, la trovava troppo picciola a proporzione dell’aspettata fortuna, e in conseguenza per non perdere un momento di tempo, chiamò immantinente degli operaj, e trattò con essi per fabbricarla di nuovo, secondo un disegno d’ottimo gusto fatto da lui medesimo.

Un buon orto fu convertito allora in uno spazioso cortile in semicirolo, chiuso d’intorno da un muro ornato di vasi con fiori dorati; un bel portico su cinque gradini conduceva in una sala di cento cinquanta piedi in quadrato, il cui soffitto, tutto di legni di cedro, era sostenuto da dodici colonne di marmo coi capitelli, ed ornati d’ordine Dorico e Jonico. Nella volta sublime si vedeva dipinta la storia di Orfeo e delle Baccanti, le quali infuriate fecero in brani il suonatore con la sua cetra. Travavasi da ogni lato una fila di bellissime camere, e in poca distanza si vedevano due [164] scale maestose, che con la dolce salita conducevano l’una all’ala dritta, l’altra alla finestra della casa, dove in ogni parte si trovava un egual numero di appartamenti. Sovra il gran portico della sala camminava una galeria con finestre da ambedue i lati, così che da essa insieme si potevan vedere i giardini dietro la casa, e ̕ l cortile.

Di là per sette bande discendevasi in sette differenti parti, e ornati di fontane e di statue; e l’ultimo di questi andava a finire in un boschetto, entro del quale v’era una peschiera con certe grotte curiose, e là di bel mezzo giorno, e negli ardori Canicolari si godeva tutto il fresco, e ̓l piacere delle mattine di Primavera.

Fu questa fabbrica in poco tempo finita, essendovisi impiegati gran numero di operaj, e Adolfo aveva ordinati i mobili proporzionati alla magnificenza della casa. Tutto era di buon gusto, nè vi si trovava che condannare; ma siccome tutti i vicini erano informati delle sue fortune, non sapevasi intendere, com’egli fosse in un momento diventato sì ricco per alzare una fabbrica di tanta spesa. Calcolando la spesa, e i materiali del vecchio edifizio messi in opera, si faceva un conto infallibile, che non potesse costar meno questo edifizio di dieci mila lire. Credevano alcuni, ch’egli avesse ritrovato qualche tesoro nascosto, [165] altri che avesse segretamente sposata qualche Dama molto ricca; ed altri, più portati a giudicar male, dicevano, che avesse fatto patto col demonio. Pensava ognuno diversamente su quest’opera, e nessuno poteva indovinare la verità. Ah! Non si sapeva, che Adolfo era stato a Londra, che aveva impegnati tutti i suoi beni per provvedere marmi, cedri, ed altri materiali, che in altra maniera non avrebbe potuto acquistare; per gli operaj poi aveva stabilito di pagarli al giorno, in cui faceva i suoi conti secondo il sogno; e tutti vivevan sicuri, per la buona opinione che avevano della bontà, onoratezza, ed economia di lui. Non aveva confidato il suo segreto ad alcuno de’suoi amici più intrinseci, e compariva sempre così allegro e contento, che non dubitavasi le sue fortune essere notabilmente accresciute. Venne finalmente il giorno tanto bramato. Aveva per quel dì ordinata una magnifica collezione, ed aveva invitati tutti i suoi parenti, e diversi gentiluomini del vici nato [sic] , avendo stabilito di pagare alla loro presenza tutte le partite degli operaj. Per quanto mi sovviene, cinque ore in circa dopo il mezzo giorno aveva avuto la riferita visione, e appena sentì suonare quell’ora, che presa licenza dalla compagnia di assentarsi un momento, si ritirò nel suo gabinetto, sicuro di ritornare carico di nuove ricchezze. Restò [166] qualche tempo nella più soave aspettazione, fino a che passata l’ora cominciò a sentire nel cuore qualche leggera palpitazione. Ma che fu di lui, quando suonate le sei, e le sette, non vide comparire il Messagero aspettato?

Le persone di temperamento sanguigno, siccome egli era, non così facilmente danno in disperazione. Per iscusare questa mancanza di parola, pensò ch’egli solo, fosse colpevole di questa dilazione; e siccome la promessa era stata in tempo di sonno, pensò che bisognasse mettersi nella stessa positura, perchè si adempisse; essere possibile in oltre, che lo strepito e ‘l tumulto che allora facevano in casa avesse dispiaciuto a queste Intelligenze, che amano il ritiro, e la quiete. Prevenuto da queste immaginazioni si restituì alla compagnia con un’aria di franchezza, e persuaso di ricevere la seguente notte la somma di denaro, per sua imprudenza non portatagli il giorno, disse a’suoi creditori, che per certo accidente doveva differire alla mattina vegnente il piacere di pagare i suoi debiti, al qual tempo potevano essere sicuri dell’intiero pagamento. Con questa assicurazione partirono tutti contenti, e Adolfo passò il resto della sera in compagnia de’ suoi convitati con la stessa vivacità ed allegria, che aveva dimostrata dal principio di questa giornata.

[167] Egli è vero che in questa medesima notte finì la sua tranquilità. Postosi a letto, si addormentò, ma in tutto il sonno non comparve alcuna dilettevole immagine: svegliatosi, col benefizio d’una candela lasciata accesa girò gli occhi d’intorno alla camera, sperando di vedere sul tavolino, o in qualche altro luogo le borse delle tanto bramate monete, ma vide, che tutto era quale lo aveva lasciato. Ammorzò allora il lume, lusingandosi di maggior favore dalle tenebre. Un piccolo strepito, che si fece allora per accidente, gli fece credere adempite di già le sue brame; sbalza dal letto con un trasporto di gioja, va tastando per tutti gli angoli della camera, ma non trova niente di quello, che cerca; torna a mettersi a letto, e procura indarno di addormentarsi di nuovo. Comparisce finalmente il giorno. Fe nuove e più diligenti ricerche, inutili queste pure, come le precedenti. Altro non vede che quadri, specchi, ed altri mobili preziosi, che non essendo ancora pagati gli facevano sovvenire la sua disgrazia. Cominciò allora a tremare per le conseguenze della sua troppa credulità, ma non potendosi ancora persuadere di una cosa, che lo facea inorridire, gli venne in testa un nuovo pensiero per mantenere in viva le sue speranze: Era un anno in punto, che gli era stata fatta la promessa, ed era passato quel gior-[168]no senza ricevere quel che aspettava; ma pensava, che avendo avuta questa visione in un altro giorno della settimana, avrebbe forse in quel giorno ricevuto nuove migliori.

Assicurò per tanto corraggiosamente i suoi creditori di pagarli tutti il giorno dopo, e questi benchè la seconda volta delusi, atteso il di lui carattere, e la fanchezza della di lui promessa, partirono per allora contenti; mà ritornati la terza volta, e vedendo che Adolfo in vece di pagarli non si lasciava più vedere e s’era rinserrato, con ordine a’suoi dimestici di dire, ch’egli era indisposto, cominciarono a mormorare, e alcuni d’essi, cui era noto aver Adolfo impegnati i suoi fondi, pensarono di urlar altri mezzi per farsi pagare, prima che tutto andasse in fumo. Fecero contro di lui molti ricorsi, e comandarono a sbirri di stare in continuo aguato intorno la sua casa per farlo prigione, ma egli, tenendosi ben chiuso, rese per qualche tempo inutile la lor vigilanza. Informati di ciò gli amici di lui, nè sapendo concepire la cagione di questo suo nuovo procedere andarono più volte alla sua casa per intendere da esso lo stato delle cose sue, per esibirgli ajuto, e rimetterlo, se fosse possibile; ma egli non volle lasciarsi vedere da alcuno. La sua confusione, il suo dolore, e la sua disperazione di aversi da se medesimo ingannato e tal [169] segno, e fatto reo di una manifesta ingiustizia verso di tanti, oltre il vederli rovinato senza rimedio, lo agitavano inguisa, che non era in istato da lasciarsi vedere nè pure dalle persone più considenti; e non fu poco che nell’eccesso della sua disperazione non abbia tentato di privarsi di vita. Con tutte le sue precauzioni fu posto finalmente in prigione, e fattosi un diligente esame dello stato delle cose sue, si trovò, ch’ egli aveva consumato tutto, ma era ignoto ancora come un uomo, fino a quella epoca infelice, governatosi con la maggiore prudenza, e moderazione, fosse giunto a questo estremo: quindi molti che avevano avuto a fare con esso lui, immaginandosi ch’egli fin dal principio avesse voluto ingannarli, cotanto s’irritarono, che non vollero ascoltare alcun accomodamento. Egli conoscendo veramente la sua pazzia, non sapeva risolversi a confessare il fatto, ma finalmente la persuasione costante d’essere tanto pazzo gli fece realmente perdere il seno, e discoprì nel suo vaneggiare ciò, che aveva tenuto segreto fino che ebbe l’uso di ragione. Il sogno dorato, le conseguenze funeste di esso, furono allora il motivo de’discorsi per tutta la Città. I più inviperiti contro di lui sentirono compassione della sua disgrazia. I [170] suoi parenti, consigliatisi insieme, vendettero la bella casa, i mobili, e i terreni, e soddisfatti in primo luogo i creditori ipotecarj, pagarono col restante gli altri creditori, per quanto fu possibile. Fu liberato così dalla prigione, ma ignudo, senza un soldo, e senza il bisognevole per mantenersi.

In questa miserabile condizione fu creduto un atto di carità chiuderlo in Bettelehemme 3 , e m’han detto, ch’egli ricuperò, quanto bastava, la ragione per raccontare tutte le particolarità della sua istoria, imperfettemente accennate in tempo di sua pazzia; ma la frenesia convertissi di poi in una profonda malinconia, non volle uscir più da quel luogo, non volle abbandonare quella sua compagnia, e morendo pochi mesi dopo, lasciò un esempio funesto degli effetti d’una speranza chimerica, e senza fondamento. ◀Traum ◀Nivel 3

Io non credo difficile trovar molti Adolfi nel nostro Regno, e se volessero trattarsi da pazzi tutti coloro, che han fatto lo stesso, e senza nessun maggior fondamento, lo Spedale di Moorfields non sarebbe capace della millesima par-[171]te, e converrebbe far nuove e più ampie fabbriche per quest’uso. È una cosa terribile, che gli uomini non vogliano contenersi dentro la sfera, in cui Iddio, e la natura li ha collocati . Questa inquietudine, questo amore di sempre cambiare, ha prodotto la metà de’mali del genere umano. Tutti ne abbiamo, più o meno, la nostra porzione, desidera ognuno ciò che non ha, e quindi propriamente non gode di quanto possiede. Stoltamente pensiamo di conoscere il nostro bisogno, ed empiamente accusiamo la provvidenza di parzialità nella porzione assegnataci; e per quanto ammiriamo le Opere dell’illustre Pope, non vogliamo ricordarci una delle di lui massime, e confessare con esso lui, che Nivel 3► Cita/Lema► Tutto ciò che è, è bene. ◀Cita/Lema ◀Nivel 3 Ma, siccome ho detto di sopra, non provengono già questi mali dalla natura, che di poco si appaga e non cerca mai il superfluo, ma nascono dal giogo che c’impongono le nostre passioni. Ho fatto osservazjone, che il possedere la cosa più ardentemente desiderata diventa il più delle volte un motivo per noi di pentimento, e appena uno o due de’miei leggitori non avrà, in tutta la sua vita provata una volta o l’altra questa verità. Quante migliaia di persone in questa Capitale avran desiderata la morte del padre, del fratello primogenito, [172] del marito, o della moglie, e poco dopo han trovato questa perdita la maggior disgrazia, che potesse loro accadere? Mi appello a gli uomini stessi intorno i disegni, che formano sul nostro sesso, e mi dicano, se l’aver sedotto la moglie, o la figliuola d’un amico, non ha costato loro maggior dispiacere, e tormento, che se avessero sofferto una negativa?

Anche ne’disegni, che pajono più degni di scusa, sovvente avviene, che l’accordarci le nostre domande è un atto di maggior crudeltà, di quello che sarebbe il rifiuto. Se un Principe per affezione particolare desse un de’più importanti impieghi dello Stato ad uno, incapace affatto di sostenerlo onorevolmente, non sarebbe stato più vantaggioso a costui restare in una condizione privata, di quello che con la sua esaltazione mettere in pubblica vista la sua ignoranza, ed essere un oggetto di derisone tra una folla di Critici, attenti a mettere in ridicolo le debolezze de’Grandi?

In somma non si dà cosa alcuna, per quanto abbia apparenza di bontà, il possedimento della quale non ci possa rendere miserabili, o perchè ella non è tale quale ce la figuriamo, o perchè non sappiamo farne l’uso dovuto. Il solo mezzo per tanto di gode-[173]re qualche tranquillità, è il non agitarsi per qualsivoglia cosa, nè mai troveremo questa pace di spirito nell’acquisto di quelle cose, che le nostre passioni ci rappresentano come il nostro bene più grande. Ma, dirà tal uno, queste son massime, che insegnano a diventare stupidi; quando ci avvezzassimo ad uno stato d’indolenza, e d’inazione, caderessimo facilmente in una letargia, e diverressimo statue moventisi. Le nostre passioni danno all’anima nostra un certo nuovo vigore, e la portano a fare azioni nobili, e generose, laddove chi è senza affetti, o li tiene troppo mortificati, è incapace di far cosa alcuna in servigio di Dio, della patria, e in proprio vantaggio. Egli è verissimo, e mal intende il mio pensiero chi prende in senso diverso i miei detti. Accordo, che debba ognuno fare tutti gli sforzi per distinguersi nel posto assegnatogli, e nella professione esercitata, ma vorrei, che non si cercasse di uscire da i confini della medesima, ovvero che invece di tanto pensare a un avanzamento, più si badasse a i mezzi da praticarsi per arrivarvi. Per rendersi degno di qualche posto sublime vi vuole non so che di ambizione, ma per ottenere ciò che si brama non bisogna passare tutte le barriere della virtù. Non voglio che un Luogotenente proditoriamente uccida il suo Capitano per otte-[174]nere la di lui carica, ma vorrei che con la sua condotta si meritasse un posto migliore.

La maggior parte degli uomini hanno una certa rea inclinazione, (non so se debba chiamarla passione,), e questa è la vanità di credersi di aver più merito, di quello che in fatti lor si deve concedere. Quando non possano soddisfare questa vanità, si lamentano, si sdegnano contro di quelli, che, potendolo fare, non accordan loro quanto desiderano, conservano una invidia, e un odio secreto contro chi possiede ciò che si credono dovuto; e tentano infiniti vili e vergognosi artifizj per rovinare la fortuna di quelli, che sono in più bella vista, ed hanno maggiori speranze. Quando una persona di tal carattere riesce ne’suoi pravi disegni, ella sa da a conoscere con un certo altiero portamento, con certi movimenti di testa indicanti sprezzatura, se ha da trattare cogli inferiori, se cogli eguali con certa sostenutezza, e con adulazioni servili verso di chi può contribuire alla loro maggior grandezza: e l’ambizione di un uomo pien di se stesso non ha confini. Al contrario una persona, che sia innalzata dal proprio merito, è civile, ed affabile cogli inferiori, sociabile co’pari, e per i superiori non ha se non la considerazione dovuta al loro merito intrinseco, o alla dignità che sostengono. Ella gode [175] della sua buona fortuna, ma non cambia costume; non si scorda mai del passato suo essere, nè degli antichi amici, e non s’immagina di aver più merito, perchè si trova in grandezza .

È veramente cosa degna di compassione il vedere così poche di queste persone modeste, il cui merito venga ricompensato. Con tutto questo nè tale riflesso, nè mille dispiaceri, che abbia a provare un uomo virtuoso nell’osservanza de’suoi doveri, o nel posto acquistatosì colla sua condotta, non faranno mai, ch’egli lasci di operare nella maniera medesima, poichè così soddisfà a sè medesimo, e trova maggior piacere così conducendosi, di quello che se per mezzi illegittimi si vedesse innalzato al colmo de’suoi desiderj.

Nivel 3► Exemplum► Retrato ajeno► Seusi a forza di continue finzioni, di tradimenti, d’inganni, di finte minaccie da una parte, e di false proteste d’amicizia dall’altra, in una parola, dopo aver usati tutti gli artifizj d’una dannata politica, si è finalmente intruso quasi per forza in un posto, al quale nè per là sua nascita, nè per i suoi talenti doveva mai arrivare, ed al quale non avevano mai aspirato i suoi migliori amici. E pure qual figura infelice non fa egli in questa sua nuova grandezza? La sua cupa guardatura, la fronte increspata, non danno a conoscere que’segreti rimorsi, che lo consumano internamen-[176]te, quando in vece di rispetto si vede continuamente esposto ad insilti, e ben conosce, che quella dignità, per nessun conto da lui meritata, lo rende un oggetto di vilipendio presso tutte le persone di merito, e di abominazione presso del pubblico? ◀Retrato ajeno ◀Exemplum ◀Nivel 3

Nivel 3► Exemplum► Retrato ajeno► Osserviamo dall’altra parte il valoroso Timoleone, capace di onorare con le sue Iuminose virtù le dignità più sublimi, e pure non ha se non quelle, che gli son tramandate da suoi illustri antenati: egli non è della Corte, nè debitore all’altrui favore: spicca in tutta la sua condotta certa naturale grandezza, si scopre nel suo andamento la persuasione, ch’egli ha del proprio merito, la pace, e la calma, che regnano nel suo animo, donde procede l’affetto, e la riverenza di quanti lo conoscono: non si pronunzia il suo nome, che non si colmi di benedizioni, e nell’amore, e nell’ ammirazione di tutte le condizioni trova quella vera grandezza, che non può mai nascere da i titoli vani, nè da una fastosa arroganza. ◀Retrato ajeno ◀Exemplum ◀Nivel 3

Chi dunque niegherà meglio essere il meritare, che l’ottenere? Chi non vorrebbe essere un Timoleone piuttosto che un Seusi, quando ben si pesi la differenza de’loro caratteri, prima d’impegnarsi troppo nel funesto labirinto per poter ritornare addietro? Egli è ben vero, che nel mondo si trovano certe persone cotanto orgogliose, che non voglio-[177]no avere obbligazione veruna, e si fan gloria di ricusare un favore, ancorchè ne abbiano un sommo bisogno, e con una Cinica arroganza, in vece di ringraziare chi loro offre la sua amicizia, gli insultano. Un genio di tal fatta non merita molta considerazione, ma siccome veramente nasce da una certa fierezza d’animo, o da una falsa delicatezza, non son mai questi tali pericolosi alla società, e come non possono far niente per sè medesimi, non faranno certamente alcun male agli altri. Metatextualidad► In un secolo così interessato, e così portato al guadagno come è questo, è cosa rara trovar esempj in tale carattere: io ne presenterò a’miei Leggitori uno accaduto di fresco, e a mio giudizio molto straordinario. ◀Metatextualidad

Nivel 3► Exemplum► Leolino era un Gentiluomo di una delle migliori famiglie nel paese di Galles, e destinato al possesso di fortune considerabili: sin dalla prima gioventù s’era con la più viva passione attaccato ad una giovane Dama chiamata Elmira, la quale doveva ereditare una rendita di mille seicento pezze all’anno. Le sue brame avevano avuto il più felice incontro, e s’egli in Elmira trovava unite tutte le grazie del bel sesso, ella dal suo canto non trovava alcun altro Cavaliere tanto degno del suo affetto, quanto Leolino. I loro genitori, da gran tempo intrinseci amici, approvarono le fiamme di questi giovani amanti, e giunto Leolino all’età [178] di vent’anni [sic] , ed Elmira all’anno suo sedicesimo, deliberarono di unire le mani di due persone, di già unite col cuore, anche prima di conoscere la natura, e ‘l fine della loro passione.

Steso dunque il contratto dello sposalizio, si facevano preparativi grandiosi per solennizzarne la cerimonia, quando due o tre giorni prima dello stabilito, il padre di Elmira caduto fatalmente di cavallo, e rottosi una gamba, fu costretto dalla infiammazione sopraggiunta a lasciarsela tagliare. O non fosse il Chirurgo capace, o fosse egli troppo ostinato a non volersela lasciar tagliare al sopra del ginocchio, fu l’operazione sfortunata, e morì in termine di ventiquattr’ore.

Questo accidente fece differire a i nostri amanti il conseguimento della loro felicità. La prudente e virtuosa Elmira non volle comparire tra le feste, e tra le allegrezze d’un matrimonio, appena morto un padre, che l’aveva amata con tenerezza, e per cui ella aveva avuto sempre una riverenza sincera, ed un affetto filiale. Leolino medesimo, partecipe di tutte le di lei pene, non ardiva di sollecitarla ad accelerare il momento della sua felicità, e il padre di questo Gentiluomo era così osservante dei doveri della convenienza, e tanto addolorato per la morte dell’amico, che non volle affrettare la conchiusione di questo [179] affare, ancorchè vivamente la desiderasse. Rifletteva in oltre, che più sensibile diverrebbe il godimento alle parti interessate, quando il tempo avesso calmato in parte la violenza della loro afflizione. Passato il tempo del corrotto, e ripigliati ch’ebbe Elmira gli abiti suoi primieri, ed un’aria serena, cominciò l’innamorato Leolino a risvegliare a poco a poco la memoria dell’impegno.; ed ella in fatti era in procinto di dar termine agli affanni di questo amante, quando a turbare, anzi a distruggere la loro felicità, sopravvenne un secondo accidente, per le sue conseguenze più fatale ancora del primo.

Infermossi all’improvviso il padre di Leolino, e dopo alcuni giorni di malattia lo portò all’altro mondo una febbre violenta: ma questo accidente ancorchè al figlio doloroso, era una leggera disgrazia in paragone dell’altre, che procedevan da questa. Terminati appena i funerali del padre, si vide entrar in casa a viva forza i ministri di Giustizia, che asportarono quanto aveva, in virtù, com’essi dicevano, di una donazione fatta, alcuni anni prima, ad un suo nipote, figlio di un suo fratello: Leolino impetuoso naturalmente, si oppose quanto gli fu possibile a costoro, ma bisognò cedere al numero, e si ritirò in casa di un Gentiluomo vicino, intimo amico di suo padre, lamentandosi di questa ingiusti-[180]zia, ed implorando il di lui consiglio, e ajuto.

E questi, e gli altri Gentiluomini della Provincia, lo consigliarono a difendersi con le leggi: non parendo in maniera alcuna verisimile, che un padre volesse privare della sua eredità un figliuolo qual era Leolino, il quale non gli aveva mai dato verun disgusto, ed era da lui amato con tutta la tenerezza. Dall’altra parte aveva pure questo parente le sue ragioni, le quali io debbo riferire per mettere in chiaro questo affar misterioso. Leolino era giunto appena all’età di quattro in cinque anni, che sua madre fuggì dal marito, e ritirossi in Francia con un Cavaliere, che l’aveva amoreggiata in passato, e ch’ella aveva continuato ad amare, a segno di perdere affatto ciò, che dovrebbe esser caro, e gelosamente custodito da tutto il sesso.

Una prova così manifesta della incontinenza di sua moglie fece, che riguardasse con indifferenza il giovanetto Leolino, poichè dubitava, se realmente fosse suo figlio, ed eran prodotti nel processo de i testimonj giurati, che lo avevano sentito a dire, questo bastardello non crediterà giammai un boccone de’miei beni; e quando gli fu risposto, ch’egli non avrebbe potuto diseredarlo, replicava, che di ciò non si prendeva fastidio, e che avrebbe preso altre misure. Essi credette-[181]ro, come avevan deposto, che allora egli avesse voluto intendere della donazione, che attualmente si produceva, e quantunque Leolino fosse trattato come suo figliuolo, supponevano, che in questa guisa avesse voluto schivare le dicerie, e riserbarsi dopo la morte a vendicare sul figlio il risentimento, che avea con la madre.

Dopo un lungo esame si venne finalmente al giudizio; ed il parente aveva prese così bene le sue misure, che malgrado tutte le ragioni allegate in favor di Leolino, guadagnò la causa; contentandosi i Giudici di assegnargli duecento pezze all’anno, di tante migliaja, che avrebbe dovuto averne, sul riflesso d’essere stato allevato da Gentiluomo, e con l’aspettativa di una considerabile facoltà. Era per altro comune opinione, che gli fosse fatta un’ingiustizia, e i Giurati medesimi non potevan conciliare con la propria ragione la sentenza, ch’erano stati costretti di pronunziare su le deposizioni così positive, e così circostanziate, così che stando alle leggi non si poteva giudicare diversamente.

Leolino, che per le sue buone qualità era stato sempre onorato ed amato nella sua Provincia, ebbe molte esibizioni amichevoli, e molti replicati inviti di varie case; ma le ricusò tutte, si levò da qualunque commercio co’suoi più confidenti amici, ritirossi in una piccola casa da [182] castaldo, ordinando di non ammettere alcuno che cercasse di lui. Io mi sono impegnata a riferire questi avvenimenti a cagione della sua maniera di procedere verso di Elmira, ch’è ben sorprendente. Fino a che durò la lite, e che sperava di riportar vittoria sul suo antagonista, egli non l’aveva mai abbandonata, anzi dalla conversazione di una persona a lui tanto cara aveva sempre trovato un grande conforto nell‘agitazione cagionatagli da una sì barbara opposizione. Ma da poi che fu certa la sua rovina, egli la schivò più d’ogni altra persona. In vano ella prete la risoluzione di scrivergli, persuasa che il suo amore, e i reciprochi impegni a bastanza giustificassero questo passo, lo assicurò di non aver cambiato sentimetni per lui con tutto questo cambiamento di sua fortuna, che le proprie sue facoltà bastavano per uttti e due, e ch’era pronta a farlo padrone assoluto di tutto, non meno che della sua persona: con tutto questo non potè mai da lui ottenere una visita.

Ancorchè egli fosse uno de’più affabili, ed obbliganti Cavalieri, divenne all’ora un uomo il più malinconico, il più bisbetico, e del più cattivo umore, che dar si possa, secondo il detto d’un Poeta, che le anime grandi sempre nelle disgrazie diventan superbe. Una Dama da lui tanto amata, ammirava, e quasi direi adorata, si abbassava fino a pregarlo [183] di accettare tutti i beni, di cui ella poteva disporre, e a nulla servì: tutte le prove da essa dategli di affetto, di costanza, di disinteresse, non fecero che accrescere la sua noja; in fine per liberarsi dalle di lei importunità le scrisse una lettera in risposta alle molte da essa ricevute. Un mio amico, il quale ritrovavasi con Elmira, quando ricevè questa lettera, m’assicurò che così diceva.

Nivel 4► Carta/Carta al director► Mia Signora.

Io non credo necessario replicarvi adesso le mie proteste, che non si può amare con maggiore sincerità di quel ch’io abbia fatto, e che ho vivamente desiderato di unirmi per sempre con voi, fino a che mi restava la menoma speranza di ottenerle, senza il pericolo d’esser messi l’uno e l’altra in ridicolo. Finalmente io ho troppa stima di voi per concentrarmi, ch s’abbia a dire, che voi avete comperato un Marito, ed io non ho un animo così vile per sottomettermi a servilmente dipendere dalla fortuna di mia moglie. Se la bilancia avesse piegato per la mia parte, non farei così ma sul piede in cui sono le cose tra noi, ci prego di non più inqietare in tal proposita e voi e me; la vostra più prudente risoluzione per la nostra reciproca tranquillità fará di più non pensare a me, poichè io non posso essere, come una volta sperava.

Vostro ec.

Leolino

[184] P.S. In questo momento parto dal luogo in cui mi trovo; non considerò a chi che sia il segreto del mio ritiro; così non mi verrà alcuna lettera; ho comandato all’uomo onesto, che mi ha qualche tempo alloggiato in sua casa di pagarvi le trecento e una pezza, che m’avete imprestato in tempo della mia lite sfortunata coll’interesse di tal somma. Addio per sempre; assicuratevi, ch’io a voi desidero felicità maggiori di quelle, che voi medesima vi possiate augurare. ◀Carta/Carta al director ◀Nivel 4

Letta ch’ebbe Elmira questa lettera cogli occhi grondanti di lagrime, che bell’anima disse, si è presentemente prevertita, e cangiata affatto da quello ch’era da prima per cagione d’un cattivo, ed ingiusto? Ma quando arrivò al proscritto, e quest’uomo le contò sul tavolino il denaro, perduta la pazienza, qual bassa idea dev’egli avere di me, disse gridando. Ah! Egli non conosce Elmira, e dopo un breve respiro. E che! son io dunque diventata un’usuraja? Ma calmatosi in momenti questo sdegno leggero, e dato luogo a sentimenti d’amicizia fece al castaldo mille interrogazioni intorno Leolino, lo pregò di trattare sinceramente, e ingenuamente dirle, se questo Gentiluomo aveva abbandonata la sua casa, o quale strada avesse presa.

Le rispose sinceramente il buon castaldo di non aver giammai veduto un uo-[185]mo tanto cambiato di temperamento, ma non credere per altro, che vi fosse alterazione alcuna nel cervello; ch’egli aveva fatto venire a sè poco prima un’Notajo, e venduto per pezze il suo vitalizio, le aveva disposte, parte in pagare i debiti contratti dopo la sua disgrazia, e preso con se il restante, ch’egli era partito a cavallo; ma siccome non aveva voluto che lo accompagnasse neppur su la strada, non sapeva per dove si fosse incamminato questo Gentiluomo infelice.

Ne’primi trasporti ella lo avrebbe seguito certamente, quando avesso saputo qual via prendere, per persuaderlo al ritorno, o per accompagnarsi con lui. Contentossi di spedire espressi a piè, ed a cavallo da tutte le parti; dando a tutti viglietti, ne’quali lo scongiurava per tutto l’amore che aveva avuto, o potesse avere, di tornare a lei, e di risparmiare all’uno e all’altra le maggiori tristezze per una folle delicatezza, e per troppa sensibilità alle altrui ingiustizie.

Questi messi, tutti domestici di Elmira, che conoscevano il genio della padrona, ed avevano molta stima per Leolino, sempre affabile, e liberale con essi, eseguirono la commessione con tutta la possibile diligenza. Ma riuscirono inutili tutte le loro ricerche. Leolino sospettando degli effetti, che produr dovea la sua lettera, ed ostinato nella sua risoluzione [186] di tollerar piuttosto ogni cosa, che avere la menoma obbligazione ad una donna che amava, andò per vie non battute, e rimote talche non fu possibile ritrovarlo. Giunse a Londra, e provvedutosi del necessario per far la campagna, passò all’armata in qualità di volontario. La poca cura che aveva della sua vita, e’l suo impeto naturale esponevalo a i maggiori pericoli, e finalmente morì nella battaglia di Dettingen con qualità di altre valorose persone.

Un vecchio Uffiziale, che aveva conosciuto suo padre, lo vide, e lo riconobbe quando arrivò al campo; e intesa la sua disgrazia, gli esibì quanto dipendeva da lui: ma Leolino ricusò queste offerte, e durò fino al fine nell’ostinata risoluzione di non voler essere obbligato ad altri che se medesimo. Le notizie di questo fatto, che sospesero le ricerche dell’inconsolabile Elmira, furon recate da questo stesso Uffiziale, quando finita la campagna tornò in Inghilterra carico d’anni, e di cicatrici. Ella era stata sì afflitta, e sì agitata dopo la partenza di Leolino, che la notizia della di lui morte non ebbe che aggiungere al suo dolore. Sparsasi questa nuova molti Gentiluomini, che vedevano inutile sollecitarla fin che viveva il suo amante, si posero a corteggiarla; ma dalla di lui morte non ebbero alcun vantaggio: la memoria di Leolino era un rivale, che con [187] tutti gli sforzi non poterono vincere: ella diceva, ch’egli era suo marito, e che gli sarebbe fedele fino all’ultimo sospiro.

Ma che diremo di Leolino se non ch’egli era un onorato, un valoroso, un uomo degno? Si può far di meno di ammirarlo, quando ancor si condanna? E se la disgraziata ostinazione, di cui fu martire, non avesse nel tempo medesimo trafitto il cuore dell’amabile, e generosa Elmira, non avremmo dovuto vivamente dolerci di questa debolezza, la quale, attentamente esaminata, si vede prodotta da una virtù portata all’accesso? Pareva, che l’amore della libertà e della indipendenza fosser la sua inclinazion favorita, ed ancorchè niente avesse a temere dall’eccellente naturale di Elmira, pure l’idea d’esserle obbligato, e ch’ella un giorno o l’altro vi potesse riflettere, aveva un non so che da non potersi digerire dalla grandezza, o per meglio dire dalla ruvidezza del suo animo. Io per me credo, che s’ella si fosse ridotta allo stato, in cui egli trovavasi, e che s’egli fosse stato padrone di tanti milioni, di quante mila lira ella era padrona, li avrebbe tutti messi a’di lei piedi col più grande piacere, e si sarebbe riputato felicissimo, s’ella gli avesse accettati. ◀Exemplum ◀Nivel 3

Un uomo di tal carattere avrebbe fatta una gran figura nel Parlamento, se fosse mai stato destinato ad intervenirvi, e [188] per vantaggio della mia Patria ne vorrei cinquecento di questo carattere. Ciò che in una vita privata fu cagione di sua disgrazia, lo avrebbe reso utilissimo a’nostri tempi in un carettere pubblico, e i posteri piu rimoti avrebbero venerata, ed amata la memoria di lui. Nè lusinghe, nè pensioni, nè ordini di cavalleria, nè dignità avrebbero potuto avere acluna influenza sovra un tal uomo; risoluto di conservare la libertà naturale d’un Inglese avrebbe detto senza riguardo i suoi sentimenti, e quanto più gli avesse offerto un parasito della Corte, perchè tacesse, tanto più avrebbbe parlato con calore per la causa della libertà. Forse sarebbe stato troppo vivo, e socoso, e per mortificarlo si sarebbe sospeso l’Atto Habeas corpus, ma non importa; avrebe patito qualche individuo, ma vi avrebbe guadagnato la Nazione, e questo suo procedere avrebe fatto aprire gli occhi a coloro, i quali piuttosto per indolenza, e per delicatezza di quello che per malizia li tengono chiusi.

Io lo condanno per tanto di aver ricusato una bella moglie teneramente da lui amata, con fortune da metterlo in istato di servir la sua Patria, e fa Iddio quanto ella abbisogni di tali sostegnj, ed egli pure poteva saperlo: ma egli era ancora troppo giovane, e poco capace di simili riflessioni; ond’è ch’io lo compiango, e mi dolgo della perdita di una per-[189]sona così qualificata, per sostenere il pubblico interesse.

Io so benissimo, che tutti i giovani spiritosi e vivaci dell’uno e dell’altro sesso tratteranno la causa d’amore, e non sapranno disporsi a perdonargli. Sembreranno loro di poca importanza i riflessi da me fatti; penseranno assai più all’afflizione di Elmira, e lo tratteranno da spirito barbaro e feroce, se per soddisffare la sua alterigia è stato capace di abbandonare una Dama, che lo amava con tanta tenerezza, che si abbassava a sollecitarlo in tal guisa. Non niego, che riguardo Elmira questo era un proceder crudele, ma non posso a meno di difenderne il motivo, e credo di non poterlo fare più efficacemente, quanto coll’opporre a questo un carattere di natura affatto diversa. Il bianco acquista una nuova luce messo in vicinanza del nero, e’l diamante grezzo, che pare a prima vista di sì poco valore, viene più giustamete apprezzato in confronto di un sasso ordinario.

Nivel 3► Exemplum► Nivel 4► Retrato ajeno► Cleofilo è tutto quello che il mondo chiama un bel Cavaliere; egli è grande, ben fatto, ha un’aria vivace e gioconda, un bel portamento, danza a perfezione, ha sempre mille istoriettte da raccontare, è graziosissimo in conversazione. Beliza unica figliola d’uno de’principali mercadanti della città, divenne l’oggetto della sua fiamma, e quantun-[190]que egli fosse con tutte le Dame che praticava l’uomo più galante del mondo, non rivolse se non a questa i suoi desiderj. Nessuno certamente avrebbe potuto disapprovare questa sua scelta; oltre i beni considerabili, che dovevan venire dal padre, aveva ereditato da sua ava due mila pezze a sua libera disposizione; era però la sua ricchezza il motivo minore, perchè gli altri Cavalieri avessero ad invidiare a Cleofilo il grazioso accoglimento, ch’ella facevagli. Le donne più maldicenti non potevano a lei negare bellezza, spirito, virtù, un buon naturale, e tutte le perfezioni, che si conciliano l’amore, e la stima; e pochi uomini potevan conversare con essa, e non sentire per lei qualche cosa di più che una semplice ammirazione. ◀Retrato ajeno ◀Nivel 4

Non vi fu mai un amante in apparenza più appassionato di Cleofilo: pareva per sino geloso di quelle ore, ch’ella dava al riposo, perchè lo privavano della di lei presenza, e di quando in quando si vendicava delle medesime conducendo Musici sotto le finestre di Beliza a cantare delle canzoni da lui composte, o fatte creder per tali: Ella era assai giovane, e poco pratica della incostanza, e degli artifizj degli uomini, e siccome le piaceva la figura del suo amante, così facilmente credeva quanto dicevale, e alle di lui proteste rispondeva con una sincera confessione della sua tenerezza. Pareva che [191] all’ultima sua felicità null’altro mancasse se non l’assenso di suo padre, e benchè non l’avesse ancora potuto ottenere, aveva per lui tanto rispetto per non mancare al suo dovere. Il vecchio mercadante aveva una idea di Cleofilo molto diversa dalla conceputane da sua figlia; lo considerava per uomo troppo interessato per essere veramente amoroso, e siccome era molto penetrativo, discoprì facilmente in questo Cavaliere un gran fondo di alterigia, di arroganza, d’ipocrisia, nascoste sotto un bell’estrinseco d’onoratezza, di generosità, di tenerezza. Ma vedendo, che Beliza lo anteponeva a tutti gli altri Cavalieri, che la corteggiavano, non volle opporsi con violenza al genio della figlia, e si contentò di prolungare ciò, che desiderava non fosse mai per succedere. Immaginavasi, che con queste replicate dilazioni d’una rispota finale potesse stancarsi la pazienza dell’amante, ovvero che sua figliuola intanto avrebbe discoperto nel di lui carattere qualche cosa, che le facesse concepire di lui un’idea men vantaggiosa. Considerava prudentemente, che la gioventù è ostinata, e che quando abbia presa qualche risoluzione, l’opporsi non giova, anzi serve a renderla più ostinata e difficile da superare; sapeva, che il carattere di Beliza poteva essere una eccezione alla regola generale, ma non sapeva poi, se la passione avesse in essa [192] più potere di qualunque altro motivo. Pensava dunque, che mostrando di non approvare, nè di contraddire alla sua inclinazione, le darebbe occasione di scoprire da se stessa ciò, che non avrebbbe creduto all’altrui asserzione. Non dubitava, che si presentasse un giorno questa occasione, poichè aveva di Cleofilo non molto buona opinione, e pratico del mondo sapeva quanto è difficile ad un uomo il più astuto di nascondersi lungo tempo senza lasciar scappare qualche cosa, che lo tradisca: avvenne in fatti ciò ch’egli aveva preveduto, ma per una parte non aspettata.

In quel tempo aveva due vascelli in mare con un ricchissimo carico, de’quali aspettavasi ad ogni momento l’arrivo e giunse in vece la triste notizia, che uno di essi era naufragato, e l’altro era stato preso dagli Spagnuoli, come pure molti altri, su quali aveva molto interesse, tal che del suo credito, e del suo coraggio perdette moltissimo, fioccavano da tutte le parti lettere di cambio, ed egli non era in caso di accettarle, cosa in tutto il corso di sua vita non mai più accadutagli. In queste estreme angustie Beliza lo pregò di servirsi delle sue due mila pezze, le quali egli non accettò dicendole, che non sapeva ancora se fossero periti come i primi diversi altri effetti, che aveva in altri paesi, nel qua caso non bastava a rimettere le cose sue la [193] somme di cui poteva disporre; e che il pensar solamente d’involgerla nella sua rovina per ottenere a se un momento di respiro, verrebbbe ad accrescere molto più il suo infortunio.

Non restò paga di questa risposta l’amorosa, e rispettosa Beliza; continuò a sollecitarlo più che mai ad accettare la sua esibizione, fino a che egli l’assicurò tali e tanti essere i pagamenti per lui da farsi, che non era possibile salvare il suo credito, quando non avesse almeno quattro mila pezze, finche giugnessero notizie di Amburgo, e di Turchia, e d’altri luoghi dove trafficava. Deliberò allora di comunicare il caso a Cleofilo: sapeva che questo Cavaliere aveva in banco una somma considerabile, e stava sicura, ch’egli avrebbe con piacere incontrata questa occasione di palesarle il suo amore, e l’attaccamento alla sua famigla. Le rispose freddamente suo padre, che facesse pure quel che credeva opportuno, e che se questo Signore voleva fargli un tale servigio, egli avrebbe fatto in maniera, che non avesse a riportarne discapito. Non si lusingava per niente dell’esito di questo maneggio, ma godeva di mettere al cimento la passione di questo Cavaliere, acciocchè Beliza potesse assicurarsi della confidenza che aveva in lui.

Ebbe appena la permissione dal padre, che lo fece pregare di venire alla sua casa, e gli espose in poche parole il biso-[194]gno urgente di suo padre di tal somma di denaro contante, aggiungendo, che siccome ella non ne aveva che la metà, così non dubitava, ch’egli vi aggiungesse il restante. In facendogli questo discorso, prevenuta di facilmente ottenere quanto domandava, ella non pensò ad esaminare in quel momento il di lui contegno, pure con questa osservazione avrebbe potuto discoprirvi agevolmente un gran cambiamento. Quel trasporto di gioja, con cui era volato a ricever i di lei comandi, era in quel punto sparito, ed era in vece comparsa certa aria fredda, e sostenuta. Le disse in risposta, che provava un dispiacer sommo della disgrazia di suo padre, ma che siccome tutti quelli, con cui egli aveva interesse, lo amavano, così non dubitava della loro tolleranza, fin che fossero venute notizie da’suoi corrispondenti, e che lo consigliava fare un esperimento della loro bontà, piuttostoche ridursi alla dura necessità di cercare il denaro necessario per pagare sul fatto.

Come, Cleofilo, gridò ella attonita in sentirlo parlare in tal guisa, voi chiamate una dura necessità il servirsi per pochi giorni di una somma di denaro, che una sua unica figliuola, ed una persona la quale si è protestata di bramar vivamente di diventare suo Genero, gli possono imprestare? Egli ha senza dubbio tutta l’autorità di chiederci tuto ciò che pos-[195]siamo fare per lui. Non v’ha dubbio, Signora, rispose egli con un’aria più riservata, ed io sarei contentissimo di trovare occasione di servirlo, ma per mia sfortuna ho impegno di non fare alcuna prestanza, ancorchè vantaggiosa per me: mio padre in punto di morte mi obbligò a giurarlo; non posso giustamente dispensarmene, e credo che voi non vorrete esigerlo.

No, Cleofilo, ella replicò, sforzandosi di frenare il suo sdegno, e di nascondere il suo dolore, non farete mai uno spergiuro a mio riguardo; l’avete fatto a bastanza colle proteste infedeli d’un amore disinteressato, e costante. Cercò egli in qualche maniera di assicurarla della sincerità del suo affetto, ma ella facilmente conobbe, che queste erano le comuni espressioni, che fanno gli uomini per civiltà a quella donna, che altre volte avevano assicurata della sua passione, e gli rispose come doveva. Quando perciò egli vide, che secondo tutte le apparenze ella non sarebbe mai padrona di tutta quella facoltà, ch’era stata l’oggetto principale del suo amore, come ha da poi dato a conoscere, non provò gran rammarico, se le sue scuse non erano accettate per buone; e quando ella gli disse di non potersi ricordare senza confussione la confidanza che aveva in lui, e’l conto che poteva farne, le rispose, ch’egli certamente diverrebe l’uomo più [196] infelice del mondo, s’ella deponesse la prima bontà che aveva per lui; ma e gli occhi, e la voce così poco accordavansi col suo parlare, che pareva favelare piuttosto con ironia che con serietà. In una parola ruppero ogni corrispondenza; ella gli restituì tutti gli regali fattile, e le lettere scrittele, e lo pregò di restituirle senza dilazione le sue. Finalmente, per sostener fino al fine il carattere di un Cavaliere galante, affettatamente mostrò nella partenza un eccessivo dolore; ma siccome più non poteva ingannarla, ella altro non fece che vieppiù dispregiarlo, il che fecero, divolgatosi il fatto, tutte l’altre donne.

Ora m’appello a tutti coloro, che non sapevano scusare la condotta del mio Eroe Gallese, e domando loro, se non è più lodevole il carattere di Leolino, messo a confronto di quel di Cleofilo? È vero che Beliza non fu tanto sgraziata quanto Elmira, perchè l’animo vile del suo amante la guarì sul fatto della sua passione; la dove la grandezza d’animo di Leolino gli conservì il cuor dell’amata, e la portò ad entrare in parte di tutti i mali di quel Gentiluomo sfortunato, a segno di tutta consecrarsi anche alla memoria di lui dopo morto. Ma torniamo al nostro proposito.

Quando il padre di Beliza credeva i suoi interessi intieramente rovinati, nè vedeva alcuna apparenza di poterli ri-[197]mettere, il Cielo gli mandò un soccorso per una via inaspettata: un suo fratello, che lungo tempo era stato nell’Indie Orientali, e con la sua industria e frugalità aveva fatto considerabili fortune, venne a morire senza figliuoli, e lo lasciò erede di tutto il suo. Arrivò tal notizia in que’ momenti, in cui era per dichiararsi fallito, e secondo l’uso del mondo fece un gran cambiamento nel suo credito. Fu allora in profitura di poter disporre di quanto contante abbisognava, nessuno più aveva premura di ricuperare il proprio denaro, ma tutti, a guisa degli amici di Timone, cercavano di colorire l’asprezza usata in passato; in una parola, fecero tutto il possibile per ricuperare la di lui stima, ed amicizia, che avevano meritato di perder per sempre.

Più d’ogni altro Cleofilo malediva la sua avversa fortuna; che non avrebbe egli fatto per restituirsi in grazia di Beliza! Beliza divenuta un partito più ricco assai che in passato, era più ardentemente adorata da quel cuore interessato. Egli le scrisse, egli pregò molti a parlare in suo favore, egli finse di ammalarsi per cagione di lei, fece correr voce di aver più volte tentato di uccidersi, pose in opera tutti gli stratagemmi, e tutti gli artifizj possibili, ma [198] inutilmente; il disprezzo, ch’ella sentiva per lui, cresceva a proporzione degli sforzi ch’egli faceva per superarlo, e sorpassò di molto la inclinazione, che aveva avuto per lui, quando era prevenuta in suo favore. Ringraziò la sfortuna, che le aveva rappresentato Cleofilo co’suoi veri color, e prese una ferma risoluzione di più non credere alla proteste di qualunque uomo, fino a che suo padre avesse ben esaminato il carattere del Cavaliere per poter formare giudizio della di lui sincerità.

Non passò gran tempo, ch’ella sperimentò gli effetti felici d’una così prudente condotta: fu corteggiata da un giovane molto superiore a Cleofilo in nascita, in fortune, in giudizio, e che veramente aveva per essa tutto quell’amore, di cui quell’indegno amante non aveva avuto se non l’apparenza. Suo padre lo accettò solennemente per suo figlio, nè ella potè negare il suo cuore ad un Cavaliere tanto compito, dopo che la persona, le cui decisioni s’era proposta di seguire, l’aveva assicurata, che in ciò non correva alcun rischio. È poco più di un anno che sono maritati; in questo tempo ella è divenuta madre d’un figliuolo bello come un Angiolo, il quale è il solo rivale ch’essi abbiano nel loro affetto reciproco. Il vecchio mercadante ha ricevuto [199] tutti gli effetti aspettati; vivono tutt [sic] insieme in una perfetta armonia, e l’inquietudine provata in tempo del loro infortunio serve a renderli più contenti del suo stato presente. ◀Exemplum ◀Nivel 3

L’istoria di questa famiglia, unita a molti altri esempj della stessa natura, che giornalmente succedono, dovrebbe, a mio parere, insegnarci a tollerare con pazienza le nostre disgrazie, poichè in questa vita, simile ad un giuoco, il caso ci può recare un favorevole cambiamento. Nivel 3► Exemplum► Retrato ajeno► Mi ricordo aver letto d’un antico Filosofo, il quale, se gli succedeva qualche traversia, invitava i suoi amici, li regalava, e trattava con essi con una giocondità, e con un estrinseco; che dinotava un uomo veramente felice; ed al contrario, se gli accadeva qualche buona fortuna, chiudevasi nella sua camera, stava senza mangiare, piagneva, e dava tutti i segni della più viva afflizione. Ricercato della ragione d’un procedere così diverso dall’uso comune, rispose: Coloro, che si stupiscono in vedermi lieto nelle avversità, e nelle prosperità malinconico, non considerano cosa sia la fortuna, ovvero non conoscono l’incostanza di questa Divinità. Non è ella di continuo fluttuante, sempre varia, e non passa da un estremo all’altro quando dunque mi vien qualche bene, come mai posso non temere, che immediatamente ne siegua un male preporzionato? E quan-[200]do ho patito qualche disgrazia, non ho io ragione di rallegrarmi nell’aspettativa d’un bene vicino? Era veramente straordinario il genio di questo Filosofo, e si può dire in tal proposito eccedente; ma considerando il tutto, non si può negare, che avesse qualche ragione, e con ciò s’accorda Nivel 4► Cita/Lema► il detto del Sig. Dryden, che il bene ed il male si fan vedere a vicenda, senza poterli prevedere, a misura che la fortuna va cambiando la scena. ◀Cita/Lema ◀Nivel 4 ◀Retrato ajeno ◀Exemplum ◀Nivel 3

Ma senza ricorrere al capriccio, o ad una finzione, per apprendere a tollerare le calamità mandateci dal Cielo, dovremmo riflettere, che sopportandole con rassegnazione acquistiamo un certo diritto di sperare qualche mutazione in nostro favore. Un naturale, che facilmente perde il coraggio, più d’ogni altro dispiace a Dio, ed agli uomini, poichè suppone una diffidenza del primo, e ci fa mancare alle convenienze verso degli altri. Evvi cosa più incivile, se vogliamo farvi riflesso, quanto venire a turbare la giocondità d’una compagnia col racconto delle nostre private disgrazie? Elleno son tutte nostre, e non abbiamo diritto di comunicarle agli altri, in quella guisa che non dobbiamo infettare gli altri delle nostre malattie. Il compiacersi delle querimonie ha un non so che di vile, e di troppo interessato. Un nobile coraggio del pari ha vergogna a muovere compassione, e a destare dispregio; [201] ed un naturale veramente generoso non cercherà mai di eccitare nell’altrui animo quell’afflizione, che naturalmente procede dalla pietà.

Non può negarsi, che quando le attinenze del sangue, o i piú stretti vincoli dell’amicizia, ci autorizzano ad aspettare qualche consolazione in certe tristi circostanze, sarebbe un folle orgoglio allora il tacere, dimostrando di mancarci quella confidanza, ch’è il legame d’una sincera affezione, o di lasciarci troppo avvilire dal male; poichè è meglio consolarsi anche con la speranza degl’impossibili, di quello che lasciarsi abbattere dall’afflizione. Pretendono gli stranieri esservi qualche cosa nel nostro clima, che in noi produce questo tristo temperamenteo, e ci fa più naturale, che a nessun’altra nazione, questo infelice carattere, ed io credo benissimo, che le frequenti variazioni de’tempi, come sarebbe in qualche stagion dell’anno un certo peso dell’aria, possano molto contribuirvi; ma tempo, che se ne potrebbero assegnare dell’altre cagioni, le quali è in nostra mano sfuggire, e se non lo farem prontamente, si peserà di noi negli altri paesi assai più sinistramente che non ci figuriamo.

Suppongo, che il nostro clima sia lo stesso ch’era una volta: oggidì non è il nostro emisfero coperto da più copiosi vapori, e i nostri venti non sono più [202] variabili di quello ch’erano ne’secoli andati: e pure sono certa, che non si è veduta la metà degli esempi funesti di avvilimento, e di disperazione prodotti nel nostro secolo. Imputiamo a cause naturali la colpa di que’fatti orribili, che tutto giorno si sentono raccontare, e ci lamentiamo d’un clima, che ha sempre prodotto, e può ancora produrre i più bei talenti, ed animi i più corraggiosi, che alcun altra nazione abbia veduto uscir dal suo seno. Non è già l’aspetto maligno degli Astri, nè la perniziosa influenza della Luna, la cagione di questo effetto; ma siamo noi, che abbiamo degenerato dalla virtù de’nostri maggiori. Il cambiamento è dentro di noi medesimi: e mentre pare che tutti sieno inanimiti a rovinare gli altri, o se stessi, non è meraviglia, se da una parte gli orrori d’una coscienza agitata, e dall’altra il dispregio, e le miserie inseparabili dalla povertà, sospingano tanti de’nostri alla disperazione. La sorgente fatale di tutte le calamità, onde siamo afflitti, è la nostra indulgenza per quelle perniziose passioni, le quali ne’suoi principij sarebbe facile sradicare; ma se loro permettiamo di alzar la testa, e facciano per così dire lega insieme, ci si rende impossibile il domarle. L’avarizia, l’ambizione, la lussuria, e la superbia sono i veri tiranni dell’anima, queste passioni operano alla cieca, resistono ad [203] ogni opposizione, e una volta che giungano a discacciare la ragione dal trono, la fan servire a i loro più sordidi ed abbominevoli disegni.

In qual maniera mai chi ha cura della gioventù potrà discolparsi della sua negligenza su un punto contanto importante, quanto è quello d’instillare per tempo un odio mortale contro di questi vizj perniziosi? questo è il principal dovere de’ genitori, e quando altre occupazioni egualmente indispensabili non permettano loro di adempirlo, quando o le malattie o la vecchiezza li rendano incapaci, ovvero la loro molle indolenza non li lasci volervi applicare, il meno che possan fare si è scegliere persone provvedute delle qualità necessarie a questa importantissima commessione . Pochi sono i Signori di qualità, che non abbiano attenzione di affidare i loro figliuoli a persone capaci d’ istruirli per quello che il mondo esige, ma per quanto sia necessario procurar loro il carattere d’ una buona educazione, si dovrebbe fare molto più conto del carattere di una buona riputazione. Quindi è, che non si dovrebbero scegliere per direttori que’ che sono più abili nelle lingue, negli esercizj più agili, più valenti nella musica, e più pratici del bel mondo, ma piuttosto i più temperanti, i più accostumati, i più prudenti. Il loro esempio ha da corroborare i loro precetti, e instillare ne’suoi [204] allievi l’amore d’una vita regolata, con la propria condotta dimostrando la bellezza della medesima. Sarebbe lo stesso lasciare un giovane in balia di sè stesso, che affidarlo a persona, la quale per conciliarsi il suo amore secondi i di lui vizj; poichè questo è un confermarlo in tutte le stravaganze, e le pazzie, che gli verranno in testa. Sono pur troppo di ciò frequenti gli esempj tra quelli che fanno spese enormi per i loro viaggi, e’1 più delle volte non riportano seco non le cose peggiori delle nazioni, che hanno veduto.

Se si volesse riflettere qual ascendente abbia su i giovani il titolo solo di Ajo, si esaminerebbe con maggior attenzione a chi si dà. Metatextualidad► Penso che la storia del giovane e ricco Mercatore, benchè recente e fresca ancora nella memoria di tutti, potrebbe servire di avvertimento non solamente a i padri, ma ancora a i Gentiluomini giovani, che vanno a viaggiare, di ben intendere il carattere, e le massime della persona, che in questa figura deve accompagnarli. ◀Metatextualidad

Nivel 3► Exemplum► Era egli unico figlio d’un ricco mercatante forastiere, e siccome aveva perduto i suoi genitori nella più tenera età, era restato sotto la tutela di due persone, la cui integrità era stata molto ben conosciuta da suo padre; e non aveva il giovane dal canto suo ragione alcuna di lamentarsi, che mal corrispondessero [205] alla confidanza, che di loro aveva dimostrata suo padre. Lo trattarono con tale affetto, come se fosse stato suo figlio, lo collocarono nelle scuole migliori, ebbero cura che i maestri facessero il loro dovere, e datagli tutta l’educazione, che si poteva in patria, si pensò di mandarlo a far un giro per l’Europa per renderlo più perfetto. Il solo pensiero, che loro restava, era di trovar persona con tutte le qualità necessarie ad un Ajo, e a dire il vero usarono in ciò tutta la diligenza possibile; finalmente venne loro fatta raccomandazione di un tale, che aveva tutta l’apparenza d’un uomo savio, aveva altre volte viaggiato in questa figura, sapeva perfettamente la lingua, e le usanze de’paesi, doveve aveva a portarsi il giovane alunno. Fu eccessiva la loro consolazione di aver trovato un uomo secondo il suo desiderio, e molto più fu contento il giovane di vedersi sotto la direzione d’una persona, la quale era persuaso, che non fosse per essere molto severa in opporsi a’suoi piaceri. Era questo Mercatore un giovane di fresca età, naturalmente portato all’amore, ed aveva contratta intima confidenza con una donna, di cui era inamorato all’eccesso, quantunque non fosse bella, nè tenuta in molta riputazione. Egli s’era incontrato in casa di questa sgualdrina con quello stesso, ch’era stato destinato suo Ajo, e quando lo vide in [206] casa de’suoi Tutori, ben gli sovvenne, con tuttoche cercasse di contrafarsi, esser quel desso, con cui aveva passate più notti al bordello. In somma si accordarono perfettamente, e venuto il tempo della partenza, l’Ajo compiacente non fece alcuna difficoltà al suo alunno di seco condurre questa meretrice.

Parigi fu il primo luogo dove si fermarono: il nostro giovane viaggiatore fu in tal guisa incantato da i piaceri, che gustò in quella Città, che non seppe risolversi a lasciarla, e’l suo Ajo facilmente accomodossi al suo genio. Presero per tanto a pigione un bell’alloggio, vissero in una maniera la più voluttuosa, e Marianna (con questo nome chiamerò la compagna de’piaceri fregolati di questo giovane infelice) entrava a parte di tutte le pazzie, che inventavano continuamente per passare il tempo, in tanto che gli onorati tutori del giovane si figuravano, che ne facesse un uso molto diverso.

Consumato in questa guisa un anno in circa, Mercatore all’improvviso fu sorpreso da una malattia. Io non voglio decidere, se co’suoi disordini se l’abbia comperata, ovvero avesse origine da più occulte ragioni, certo è, ch’era eccessivamente attaccato il cervello, e delirava sovente. È credibile che in uno di questi eccessi il suo Ajo cogliesse l’occasione di persuaderlo a chiamare un Sacer-[207]dote, e un pubblico Notajo, il primo per isposarlo con Marianna, il secondo per fare il suo testamento, nel quale donava a questa donna, sotto titolo di sua moglie, la somma di sessanta mila pezze, e le quaranta mila che restavano del suo avere, al suo diletto amico, e direttore, in ricompensa della cura particolare, ch’ei s’avea preso del di lui corpo, e della di lui anima. Queste erano le precise parole del testamento disteso, sottoscritto, e sigillato secondo tutti gli ordini alla presenza di molti testimonj; dopo di che il testatore, o per non saper che altro fare in questo mondo, ovvero perchè quelli, ch’erano in sua compagnia, non avevano più bisogno di lui, morì, per quanto fu detto, coi più terribili dolori.

Dopo un tal cambiamento di stato Marianna tornò in Inghilterra in compagnia di colui, ch’era, siccome essa, a parte de i beni di Mercatore, e si maritò con esso, tosto, che potè farlo senza offendere quelle convenienze, ch’ella affettava in questo nuovo stato di grandezza. I Tutori, e gli altri amici del defonto, fecereo tutte le ricerche possibili su questo fatto, ma non raccolsero che incerte notizie, e congietture insufficienti a principiare una causa. Non è difficile immaginarsi, con quale dispetto vedano presentemente questa coppia indegna far pompa d’un magnifico trat-[208]tamento, e trionfare del suo delitto. ◀Exemplum ◀Nivel 3

Non mi stendo in riflessi su questo avvenimento, perchè, come dissi, sono incerte ancora le particolarità. Non so cosa possa il tempo mettere in chiaro, ma al presente ciascheduno ha libertà di giudicarne a suo talento. Altro non mi propongo, se non di ricordare a chi ha giovani da mandare a viaggiare, che non è mai troppa qualunque attenzione usino in esaminare il carattere, e le massime di quelle persone, cui pensano di affidarli. ◀Nivel 2

Fine del Libro Terzo. ◀Nivel 1

1Ruckolt, è una casa nella provincia d’Essex, sei miglia in circa lontana da Lodra, dove siccome a Vaux-halle a Ranelagh si va a godere il passeggio, e la musica.

2Cricket è un giuoco di esercizio violento, particolar degli Inglesi.

3Luogo dove si mettono i pazzik, dirimpetto alla piazza di Moorfields.